IV Concorso letterario Forumlibri----> I racconti

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GermanoDalcielo

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Eccoci arrivati al thread tanto atteso della lettura "popolare" dei racconti partecipanti al IV Concorso interno.
Il deja vu era il tema comune e questi sono i titoli in gara:

1) La solita solfa
2) Deja vu
3) Una vincita mancata
4) Il circolo
5) Il sorriso di un sogno
6) La caccia
7) Memoria di uno scatto
8) Sehnsucht
9) Tra il letto e l'armadio

Ricordo i giurati ufficiali:

1)Giovaneholden
2)Cristina67
3)Ila78
4)Nerst
5)Bianca
6)Go daigo
7)Risus
8)Sopraesistito


Vi chiedo di non scrivere nulla in questo thread che è dedicato soltanto ai racconti, appena li avrò pubblicati tutti aprirò uno spazio per totoautore e per i commenti dei giurati popolari.
Grazie e buona lettura a tutti!
 
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GermanoDalcielo

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La solita solfa


“Mi sembra di rivivere la stessa scena tutte le volte che lo facciamo, nessuna eccezione, so sempre cosa sta per accadere!” disse Monica preoccupata alle colleghe.
“Uuuh, un classico direi, si chiama ‘crisi del settimo anno’ cara, non preoccuparti, è tutto normale. O la superi o finisce.”
“Così non la aiutiamo di certo. Poi da che pulpito, cosa vuoi saperne tu, che cambi uomini ogni tre per due, di ‘crisi del settimo anno’! Cerchiamo di capire: da quanto va avanti questa situazione?”
“Da due mesetti, ogni santa volta che facciamo l’amore è così, stessa scena, stesse emozioni, stesso tutto.”
“Ma tesoro, hai provato a cambiare posizioni, atmosfera, luogo? Suvvia, se non ci metti un po’ di fantasia è normale che diventi monotono!”
“No Mara, non è monotonia, io rivivo esattamente la stessa scena, come un dejà vu! Mi capita spesso di averne, ma non credevo potesse capitarmi a letto. È terribile, mi passa la voglia. Suvvia, è tardi, rimettiamoci all’opera, questi articoli devono essere pronti prima di sera.”

Uscita dalla redazione del giornale di cui era direttrice, Monica si avviò verso casa.
Scesa dalla macchina, sentì una frenata improvvisa, si girò e vide il proprietario di un Mercedes nero urlare furibondo contro un ragazzo in bici che gli aveva tagliato la strada.
“Ma io questa scena l’ho già vista!” esclamò. “Sto impazzendo. Forse è il caso che consulti un me-dico!”
Salì in casa e prenotò una visita da uno specialista per il mercoledì successivo.

“La signora Martini?”
“Sono io, arrivo.”
“Prego, si accomodi.”
“Allora, mi racconti un po’, da quanto tempo continua ad avere dei dejà vu?”
“Ma non me l’aveva già chiesto!?”


GIUDIZI


Giovaneholden
Un goffo tentativo di sviluppare il tema ironicamente che naufraga dopo poche righe. Troppo mi-nimale, senza costrutto, anche in questo caso tutte le pecche vengono accentuate dall’essere subito dopo Memorie di uno scatto nella mia lettura. Non voglio ulteriormente commentare, sarebbe co-me avventarsi con un lanciafiamme contro una falena. Brutto.

Cristina67
Racconto ironico che mi ha strappato un compiaciuto sorriso alla fine. Ben scritto e originale.

Ila78
E' stato difficile giudicare questo racconto, sicuramente il tema del déjà vu è stato colto ma ho avuto al sensazione che si sia voluto concluderlo in maniera troppo sbrigativa, l'idea è carina ma si poteva svilupparla meglio.

Nerst
Apprezzo il tema del racconto, la monotonia in una coppia può essere davvero grave. Molto sem-plice l’ epilogo e triste la gabbia di una quotidianità in cui la protagonista è intrappolata. Il mio voto è legato al riscontro che si può trovare nella realtà, ma soprattutto all’ angoscia che ho provato nell’ immedesimarmi nella protagonista.

Risus
Qui proprio non ho capito di che cosa si vuol parlare... sindrome da deja-vù???? ossessione da "già visto"??? mah... lessico molto elementare, contenuti scarsi.

Bianca

Un racconto molto carino e simpatico. L’ho trovato con una buona adesione al tema, originale e scorrevole.

Go daigo

Ho letto il racconto e poi ho pensato: "E quindi?" Questa storia non ha alcun senso, alcun signifi-cato, è vuota nei contenuti e nelle emozioni. Mi è sembrato non sapessi proprio cosa scrivere.

Sopraesistito

E' una barzelletta e non un racconto. Peccato perchè, stranamente, è scritto in modo semplice ma efficace, quindi l'autore/trice penso saprebbe fare di meglio.
 
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GermanoDalcielo

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Deja vu​


Gli aeroporti si somigliano tutti. Un non-luogo, in cui il tempo sembra essersi fermato, pieni di valigie e di gente che cammina a passo svelto. Mi sento sempre solo in un aero-porto. E quel giorno avevo dei nuovi motivi per esserlo. Ero in un paese sconosciuto, dovevo andare ad un funerale ed il funerale era di mia madre. Ed io…bé, avrei voluto essere triste ma la verità era che la cosa non mi toccava affatto. O così mi ripetei fino al momento in cui non mi ritrovai con la Finlandia sotto le scarpe. Perché nel momento in cui uscii, e, camminando, mi diressi verso un muretto, proprio di fianco all’entrata, capii che qualcosa dentro di me, doveva essersi incrinato. Il giorno in cui uscii da un aeroporto della Finlandia e mi sentivo solo e stavo per andare al funerale di una madre che non avevo mai conosciuto,io, quel giorno, per la prima volta, ho vissuto due volte. Forse è stato un errore nel nastro della vita, che improvvisamente si è riavvolto fino a tornare indietro, ad un momento imprecisato. E per quanto assurdo, per quanto vago, capii che io, lì, in quel muretto di un aeroporto sconosciuto, non c’era dubbio, ero già stato. Li chiamano dejà vu. Quel giorno era abbastanza strano da farmi decidere di non pensarci. Una fila di taxi mi si era piantata davanti. Sapevo che non sarei mai arrivato in tempo per la celebrazione. Ed infatti, quando arrivai, era già tardi. Il cimitero ero vuoto e avrebbe chiuso in pochi minuti. Entrai. Vagai un po’ a caso soffermandomi a guardare nomi troppo lunghi per essere leggibili. Lì, tra quelle tombe, chissà dove, c’era mia madre ed io, di nuovo, mi chiesi se davvero non sentissi niente per la sua morte. Nessuno avrebbe potuto farmene una colpa, era lei che aveva deciso di andarsene dopo essersi preso il fastidio di farmi nascere. Non ho mai saputo come era finita in Finlandia. Il telegramma diceva solamente che era morta, ci sarebbe stato il funerale dopo tre giorni e c’era una casa lasciata in eredità. Non so per quale dei tre motivi avevo deciso di partire. Mi stavo incamminando verso l’uscita, sicuro che non l’avrei mai trovata, quando un odore di fiori freschi mi fece voltare. C’era una croce, circondata da corone, poco lontano. Dovevano averle poste da poco. Non credo nel destino. Trovai mia madre e la chiamai coincidenza. Mia madre si chiamava Elisabetta Spada, era nata nel 1950 a Torino, ed era morta nel 2011 a Iisalmi. Mia madre è bella. Guardo la foto sulla croce. Mia madre, seduta sul muretto di pietra di un aeroporto, sorride. Quel muretto di pietra, accanto a quell’aeroporto… uno dei tanti momenti di mia madre che non ho mai vissuto…o forse…



Un giorno mio padre disse che il tempo non è davanti a noi, né dietro di noi, né ora. Il tempo è dentro. Quanto è profondo quel dentro? Possibile che contenga un passato le cui radici affondano al di là di noi stessi? E quel dejà vu, quel momento, forse…? Un uomo mi chiama. Dice che è tardi e che il cimitero chiuderà in pochi minuti. Il sole non tramonterà ancora per due mesi, in Finlandia. Ripenso alla mia Torino coperta di stelle. È tardi! Continua ad urlarmi quell’uomo. Vorrei dirgli che io, nel tempo, forse ora non credo più ma forse non capirebbe. Senza guardare l’orologio, esco.



GIUDIZI


Giovaneholden

Aderenza al tema, buona cifra stilistica, italiano corretto e una decisa originalità fanno di questo racconto uno del ristretto novero dei più efficaci. Il riferimento a un non luogo come l’aeroporto, incanala la storia nella direzione giusta. Dove si possono vivere infiniti deja vu se non in posti si-mili? Riesce a tratteggiare una storia credibile in poco spazio. Buono.

Cristina67

Un racconto dove prevale il sentimento, delicato e malinconico. Il dejà vu mi è piaciuto molto.
Il voto è inferiore a quello che meriterebbe per la presenza di “d” eufoniche e qualche ripetizione di troppo.

Ila78
Ed ecco l'altro mio potenziale vincitore. Tema centrato alla perfezione, ottima l'idea di svilupparlo partendo dall' aereoporto, un luogo di passaggio che si presta facilmente alla creazione di déjà vu. Molto tenera l'immagine del protagonista che è convinto di non provare nulla per la madre che non ha mai conosciuto ma che prova lo stesso una forte emozione vedendola nel déjà vu sulla tomba. La mamma è sempre la mamma. Complimenti all'autore/autrice.

Nerst
Mi è piaciuto tantissimo. Il tema è inesorabilmente presente in tutti gli effetti. Mi riporta una vi-sione nuova del dejà vu, di vite vissute da qualcun altro, a questo non avevo mai pensato. Origina-le, anche se triste la storia.

Risus

La lettura era partita bene ma piano piano è andato scemando questo racconto... idea di partenza buona ma... dov'è il deja-vù?!? Scritto bene ma niente di più, l'ho trovato privo di contenuti...

Bianca
Un racconto interessante e a tratti triste, originale, con una buona adesione al tema e scorrevole. Sono rimasta colpita dalla frase che il padre del protagonista gli disse : (che il tempo non è da-vanti a noi, né dietro di noi, né ora. Il tempo è dentro) l'ho trovata molto particolare e interessante.

Go daigo

La lettura è stata scorrevole ma non mi ha coinvolto particolarmente la storia. Il tema da te affron-tato viene ripreso continuamente da film, fiction televisive e, appunto, libri quindi è diventato noioso e ripetitivo. Non per nulla un altro partecipante, anche se con uno sfondo diverso, ha af-frontato lo stesso argomento.

Sopraesistito
un buon racconto, sentito, in tema, mi piace l'atmosfera. Punto negativo per aver sottolineato il Deja Vu chiamandolo per nome, è come indicare al lettore che il racconto è in tema. Peccato per-chè questo racconto non aveva bisogno di prendermi per mano.
 
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GermanoDalcielo

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Una vincita mancata


Eh che cazz...
Non ci voleva proprio credere ma era tutto scritto, nero su bianco, l'assassino di quella povera ra-gazza era lui, Nicola Prosperi, l'onorevole Nicola Prosperi, mica un indagato qualsiasi, ma il sotto-segretario agli Interni e proprio in un momento delicato per il paese, con il governo che vacillava e la recessione alle porte.
Prima di quella telefonata era diventato matto per trovare le prove che inchiodavano il famoso uomo politico, erano stati interrogati tutti quelli che avrebbero potuto vederlo uscire dal Viminale, salire sull'auto blu e dirigersi verso la villetta di Santa Marinella dove quasi ogni sera si infilava tra le gambe di Miriam Lettieri, una delle tante ragazze che avevano fatto fortuna passando da un letto all'altro di qualche potente di turno, aveva ottenuto pure la conduzione di una qualche trasmissione televisiva di una qualche rete pubblica o privata, tanto non faceva differenza.
Lui ne aveva viste tante di quelle storie e sapeva che ci sarebbe stata una grande bagarre mediatica con tanto di colpevolisti ed innocentisti, solitamente schierati politicamente, un processo spettacolo che negli anni si sarebbe trasformato in un'assoluzione per insufficienza di prove o addirittura con formula piena.
Lui lo sapeva che Prosperi era colpevole ma non poteva provarlo, quella sera nessuno l'aveva visto dalle parti della villetta della Lettieri, quella sera sembrava fosse rimasto al ristorante con un collega di partito fino a tardi e poi si sarebbe diretto nell'attico di Piazza Navona con l'inseparabile autista, dalla sua legittima consorte, l'altrettanto onorevole Carla Duranti.
Gli sfuggì un'imprecazione colorita, ma non c'era niente da fare, Prosperi se la sarebbe cavata, perché anche se la Camera avesse concesso l'autorizzazione a procedere, aveva troppe coperture, era troppo potente, di certo non sarebbe finito in prigione.
Ma quella telefonata aveva consegnato Prosperi nelle sue mani.
“Dottò, sono Diodato, il benzinaio, mi aveva detto che avrei potuto chiamare se mi veniva in mente qualcosa della sera del delitto. Ieri è venuto da me proprio l'autista dell'onorevole Prosperi e mi sono ricordato che era venuto con l'auto blu a fare benzina proprio quella sera insieme all'Onorevole. La prima volta quando mi ha interrogato mi ero confuso pensando fosse venuto il giorno prima, il martedì, ma un gesto che gli ho visto fare mi ha fatto tornare in mente che non poteva essere suc-cesso che la sera del delitto.”
Ascoltava in religioso silenzio le parole che avrebbero condannato Prosperi.
“Mentre aspettava il pieno ha tirato fuori la schedina del Superenalotto, ha acceso la radio e in diret-ta ha ascoltato i risultati. Così come aveva fatto quella sera. Era mercoledì, non martedì.”
“E perché non di sabato, che fanno un'altra estrazione?”
“Dottò, di sabato non era possibile, eravamo chiusi per turno”.
“Ma come fai a sapere che la data era quella e non un altro mercoledì?”
“Ho qui la matrice che ha gettato per terra quel cafone subito dopo, a matita c'ha pure scritto il suo nome.”
Era fatta, grazie al Superenalotto aveva la prova che mancava.


GIUDIZI


Giovaneholden

Un piccolo giallo, debitore sicuramente di atmosfere Gaddiane, che gira come un orologio. Il tema c’è, la correttezza grammatico sintattica pure, dunque pienamente apprezzabile. Si chiude con la certezza di aver trovato l’assassino, anche se probabilmente il delitto rimarrà impunito, essendo un onorevole. Altra fonte è sicuramente il film capolavoro di Elio Petri, Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Brillante.

Cristina67

Bel racconto, scritto con garbo e termini appropriati. Sarebbe un bel finale per un thriller di am-bientazione nostrana ancorato all’attualità. Il dejà vu è però un poco debole.

Ila78
Questo fa parte dei racconti che mi è piaciuto di meno, non ho colto il déjà vu e purtroppo al di là dell'attualità del tema non mi ha suscitato particolari emozioni.

Nerst
Ben scritto nella sua brevità. Mi è piaciuto come un semplice gesto può rivelarsi indicativo per qualsiasi questione o può riportarci alla mente le sensazioni del deja-vù. Ho trovato originale il fatto che legato al tema non ci sia stata la sensazione, ma un gesto illuminante.

Risus
La storia è bella, impostata bene... ma dov'è il deja-vù? deboluccio... e poi, la schedina col nome a matita?!?!? mah...

Bianca
Un racconto giallo, interessante e in alcuni tratti simpatico. L'ho trovato scorrevole, originale e con una buona adesione al tema.

Go daigo
L' idea del déjà-vu corre un pochino sul filo del rasoio. Devo dire che mi è sembrato tutto un po' troppo" cotto e mangiato", forse questo genere letterario non è adatto per un racconto breve, a meno che non si posseggano doti letterarie elevate.

Sopraesistito
Ok, l'ho capito. Ho capito dove sta il deja vu, la satira contemporanea... Gli elementi. Un racconto semplice, forse troppo, ma sicuramente calzante.
 
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GermanoDalcielo

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Il circolo​


Il posto era zeppo come un uovo: una grande piscina fumosa e gialla attorno alla quale un mucchio di esaltati stava allegramente ubriacandosi. Foglie di ortensia e notte facevano da plafond a quel surreale convivio, l’aria era satura di bassi mentre la voce di Nicolette attraversava le note di Sly.

«Fffhhh… dio ragazzi, questa sì che è… birra!» Arion tirò una sorsata tale che gli altri lo videro gonfiarsi per un attimo mentre allungava il grosso collo estasiato.
Era già la terza sera che si ritrovavano tutti lì, per bere fin quasi a scoppiare. Lee Max la notte prima aveva rischiato di restarci secco eppure era di nuovo in prima fila a servirsi e già sbronzo marcio.

«Andiamo via Lee, ti prego.» Arianta cercava di farlo smettere. L’odore dolciastro di alcool che sa-liva dalla piscina le stava provocando un attacco di nausea. Oppure no. C’era dell’altro. Non era l’odore a farla star male, ma l’impressione di aver già visto quello scenario, identico e allo stesso modo pervaso da qualcosa di tremendamente innaturale, sbagliato, falso. All’improvviso la visione ribaltata di tutto ciò che le stava davanti la investì come un treno in corsa, costringendola a chiudere gli occhi. «Perché?»

«Perché bevo, bambolina? Per lo stesso motivo per cui anche tu sei qui. Perché non sai resistere al gusto della… birraaaaa! Spostati adesso e piantala di rompermi, idiota!»

«Qui siamo tutti già dannati, cara» le rispose Arion ammiccando, anche lui brillo, aveva tuffato let-teralmente la testa nella piscina. «Questa roba ti prende al primo sorso, non puoi più farne a meno, ci torni e ci ritorni fino al giorno in cui non ne puoi più, il tuo corpo esplode e inizi a galleggiarci dentro, come un canotto sgonfio alla deriva. Forza bella, buttati con me!» Arianta si ritrasse. «Non dovevo venire qui. Io non sono come… come voi.»

«Ti sbagli signorina» la corresse Eobania, una montagna di ciccia malferma sotto un guscio di ruvida gaiezza. «Tu sei esattamente come noi, inutile che fai quella faccia. Quando inizierai a trincare sarà Lee a disperarsi per trascinarti via, credi a me.» Un coro di risate demenziali le fecero da con-trappunto. Arianta sentì che l’aria era di colpo cambiata: c’era qualcuno in alto, intento a osservare compiaciuto quel carnaio prima di decidersi ad agire. Eppure i suoi sensi erano attirati in direzione opposta, verso la lusinga di un mare profumato e invitante che sembrava prometterle una ricompensa migliore rispetto al rischio di assuefazione. Bevve. Oh sì, avevano ragione, maledettamente ra-gione… era bello. Bastarono pochi secondi per cancellare la paura, l’odore strano che emergeva dal buio, il respiro sottilmente ansioso oltre i petali dentati che spuntavano dal cuore della notte. Solo in un luogo così i suoi genitori – inspiegabilmente scomparsi due anni prima – potevano essersi di-menticati di lei. Quando quel triste sospetto terminò di affiorare nella sua testa fu tardi.

«Schifose. Guardale lì. Tra ieri e oggi hanno quasi prosciugato una Bud.» Fredo si fermò vicino alla sua splendida Frau Taiko presso la quale aveva sistemato la trappola. Le limacce adoravano la birra ed erano tutte là, immerse nell’alcool, ormai troppo intontite per accorgersi del pericolo che le so-vrastava. Vuotò il piattino sul prato – come faceva tutte le sere – e quando vide le sue piccole prede contorcersi disperatamente cominciò a calpestarle. Poi riempì di nuovo il piatto con della birra fresca e lo sistemò dov’era prima, a difesa del suo delizioso giardinetto: «Forza ragazze, il pub è di nuovo aperto».
Si ripulì con cura le suole sullo zerbino e rientrò in casa dove la biondina che aveva pescato al Liquid Kitty non la smetteva più di ballare e scolarsi batida, infischiandosene dei suoi approcci maldestri. Fredo aveva pazienza, alla fine sarebbe andata al tappeto anche lei.


GIUDIZI


Giovaneholden

Francamente questo racconto mi ha deluso assai, sembra non avere un suo svolgersi fluente, le parti sono rabberciate, non vedo l’aderenza al tema proposto. C’è un tentativo di ottenere un effet-to eclatante ma si perde per strada. Di certo la casualità di finire in lettura subito dopo Il sorriso di un sogno non gli ha giovato affatto. Insufficiente.

Cristina67

Scritto benissimo, con il finale a effetto. Perfetto.

Ila78

Molto carino e originale. L'autore/autrice ha trovato un modo sicuramente non banale di trattare il tema conduttore. Splendide le lumache ubriacone e sbronze di birra e non è nemmeno da tutti sa-pere che la birra è un'esca infallibile per catturarle. Bello.

Nerst

Che epilogo! Mi ha lasciata di stucco. Il racconto riprende quello che molti fanno per sbarazzarsi di animaletti che sembrerebbero innocui. Ma la loro visione fa venire i brividi. Mi è piaciuto oltre ogni limite.

Risus
Non ci siamo, non mi è proprio piaciuto... un poco noioso... Non ho capito dove si vuole andare a parare... e poi certi nomi propri!!!

Bianca
Questo racconto non mi è tanto piaciuto. L’ho trovato a tratti triste, fantasioso, originale, scorre-vole e con una buona adesione al tema .

Go daigo
Che fantasia! I nomi non proprio comuni dei personaggi mi avevano lasciato perplessa ma mai avrei immaginato un simile epilogo. Mi ha ricordato un pochino i film splatter stile Tarantino. :)
Mi è piaciuto tantissimo questo racconto perchè hai trasformato una storia apparentemente banale in qualcosa di inaspettato. Brava/o!

Sopraesistito

Mi è veramente piaciuto, mentre lo leggevo mi stavo dicendo "chiunque lo abbia letto mi sa che ha confuso la birra con l'eroina e non ha mai bevuto in vita sua", poi il finale mi ha completamente colto alla sprovvista, bella trovata. Non molto aderente al tema tuttavia e questo deve pesare sulla valutazione.
 
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GermanoDalcielo

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Il sorriso di un sogno


Eravamo nell’aprile dell’anno 1987 e io volevo a tutti i costi raggiungere la vetta dell’Everest, il mio sogno più grande, un sogno in parte legato all’infanzia, un sogno che in molti definivano il mio chiodo fisso; e di chiodi, potete star certi, ne ero ben attrezzato. Come anche di moschettoni, staffe e imbracatura; senza contare il mio adorato e inse-parabile zaino completo di reticella multiuso e tasche di varie misure, dove avevo infilato - si fa per dire - ogni cosa necessaria e indispensabile. Mi chiamo Rayan Kirst e il mio patrimonio genetico ha fatto sì che avessi non solo una pelle marmorea e un corpo molto resistente al freddo, ma anche un bel paio di occhi grigi e una capigliatura folta, liscia e bionda.
Scalare le montagne è sempre stata una delle mie passioni e forse l’unica, se si tralascia la passione per il pianoforte e per la fotografia in genere. Comunque; oramai erano già tre mesi che mi trovavo sul versante nord dell’Everest e devo dire che mi sono capitate un sacco di cose meravigliose, non dico incredibili perché sarebbe come dire che ho visto il fantomatico Yeti, l’uomo delle nevi. Però, in molti casi, ho avuto la netta sensazione di aver già visto quei luoghi. La cosa mi risultava infondata, giacché sull’Everest non ero mai salito prima di allora. Ma paesaggi, rocce, punte aguzze, addirittura qualche albero più giù verso la vallata; sembravano far parte della mia vita quotidiana. Sarà che abituato come sono alle scalate, ho sempre avuto modo di vedere panorami molto simili tra loro; eppure, non mi era ancora capitato e di solito ricordo alla perfezione ogni montagna, ogni suo antro segreto, ogni gioco di luce e om-bra che anfratti e neve collaborano a creare. Insomma, che dire?, la fatica e le intemperie mozzano il fiato e nonché l’aria si fa più rarefatta, ma non per questo resto senza respiro. Quando mi volto e vedo l’immenso, l’infinito davanti ai miei occhi; la neve carezzata dai tiepidi raggi solari, le vette che si innalzano contro l’orizzonte. Cosa posso chiedere di più? Il silenzio che mi invade l’anima, e se chiudo gli occhi e respiro appena, posso sentire il fresco e l’ululato del vento che percorre i meandri cavernosi delle rocce.
Ero vicino alla vetta più di quanto avessi mai potuto sperare, e ritenni necessario almeno un altro giorno prima che lo scopo della mia vita venisse compiuto. Trovai una parete di roccia piuttosto liscia, conficcai il dado e poi la staffa, rendendomi conto che più avanti sulla mia destra, stava uno spazio piuttosto largo ove poter fissare la tenda per la notte. In effetti il tramonto si avvicinava rapidamente, perciò decisi che per quel giorno poteva anche bastare. Rag-giunsi il punto di appoggio nel più breve tempo possibile e mi affrettai a montare la tenda. Cenai con gallette e fagioli e dormii per tutta la notte di un sonno profondo. All’alba mi svegliò un grido agghiacciante. Mi alzai di soprassalto e l’intenzione era quella di uscire dalla tenda, ma non feci in tempo a compiere il gesto che subito mi resi conto che c’era qualcosa che non quadrava. “Questa situazione l’ho già vissuta”, mi dissi. Ancora udivo il grido propagarsi in un’eco infinita tra versanti, vette e valli; ma era come se il grido non provenisse da fuori, non realmente almeno; era come se fosse dentro di me, come qualcosa che potessi udire soltanto io, eppure la sensazione di eco restava. Avevo i battiti del cuore appesantiti dallo spavento e dalla sorpresa, e credo avessi iniziato a sudare freddo. “Stai calmo”, mi ripetei all’infinito. Ma nella mia mente balzavano immagini di vette innevate da ghiacciai perenni soffusi di una deliziosa luce rosata. La luce dell’alba. Mi feci coraggio e abbassai lentamente la zip della tenda e vidi qualcosa che non avrei mai voluto vedere: le vette innevate rischiarate dall’alba prossima all’arrivo. Com’era possibile? Avevo davvero, già vissuto tutto questo? No. Impossibile! Non avevo mai tentato la scalata del monte più alto del mondo. Allora come si spiegava? Ricordavo alla perfezione il mio sussulto; e il grido che avevo udito mi era così familiare; la mia mano che si allungava nel tentativo di aprire la zip; e cosa ancora più incredibile: il panorama che avevo semplicemente previsto. No, no. Scossi la testa in un moto di sconforto e di incredulità. Probabilmente avevo fatto strani sogni quella notte e il grido era venuto da lì, non era stato reale. Dopotutto, il freddo e l’aria rarefatta potevano giocare brutti scherzi. Cercai di ricompormi e di darmi un contegno. Dovevo smetterla con certe fantasie, il mio sogno di arrivare in cima alla vetta era ormai alle porte, non potevo certo permettermi di perder tempo con simili quisquilie. Ecco, dunque, che mi ripresi in fretta e, chiusa e riposta la tenda nello zaino, ripresi la scalata verso la cima.
Per tutta la mattina ogni pietra, sasso, ammasso di neve o ghiaccio, mi riportavano alla memoria che quell’esperienza l’avevo già vissuta in una maniera o in un’altra. Erano avvisaglie? Chissà. Sorrisi tra me scuotendo la testa e nel tardo pomeriggio, con un ultimo sforzo, fui sulla vetta. Inspirai la brezza, il freddo non mi scuoteva più, il vento non poteva nulla di fronte all’infinito. Ce l’avevo fatta e nessuna meraviglia era paragonabile alla moltitudine di sensazioni che provavo. Intravidi il sole al tramonto, i suoi raggi che perforavano le stalattiti creando forme armoniose sulla neve ora candida ora rossastra. All’improvviso ebbi un sussulto così violento che per poco credetti di perdere i sensi. Per la prima volta, dall’inizio della scalata, non ebbi sensazione di “vissuto” e tutto era meravigliosamente nuovo ai miei occhi. Sorrisi e aggrottai le sopracciglia, quando notai un grande masso verticale parzialmente ricoperto di ghiaccio. Mi avvicinai e scostai con la mano la neve. 1959 - 1986. Due date scolpite nella dura pietra sulla vetta dell’Everest. Cosa potevano mai significare? Con entrambe le mani tolsi furiosamente tutta la neve che restava e tremando lessi quest’incisione:

Con il sogno mai realizzato di raggiungere la vetta, qui giace Rayan Kirst, il nostro amato Ray. L’Everest non di-menticherà mai il tuo sorriso e il tuo amore per lui”.

GIUDIZI

Giovaneholden

Decisamente uno dei migliori del lotto, anche se, essendo più lungo degli altri, ha potuto sviluppa-re meglio il tema. Oltre a un’ottima padronanza stilistica, un uso della lingua di buon livello, tra-smette echi inquietanti che vanno da Poe a King, a certa fantascienza fulminante, mi viene in mente un delizioso racconto di cui mi sfugge il titolo, dove il paradosso sta nel farti immedesimare nella sentinella aliena, per poi scoprire che aveva ucciso un umano. Eccellente.

Cristina67
Scenari naturali ben descritti, testo scorrevole, proprietà di linguaggio e conoscenze tecniche fanno di questo racconto un brano delizioso.

Ila78

Questo racconto mi è piaciuto, ho apprezzato soprattutto le descrizioni dei paesaggi Himalayani, volendo trovare il pelo nell'uovo si potrebbe dire che più che di déjà vu tratta di un’esperienza post mortem, ma ad ogni modo mi ha emozionata.

Nerst
Che bella immagine quella delle montagne capaci di unire le persone nell’ amore per lei. Il prota-gonista vive la passione sua e di chi non c’ è più in un misterioso fondersi di emozioni che lo por-tano a capitolare in chi non può più vivere quelle emozioni. Mi ha colpita e mi fa pensare che ma-gari se non riusciamo a vivere certe cose durante la nostra vita, magari non è detto che non pos-siamo farlo con quella degli altri.

Risus
Racconto per certi versi entusiasmante, per altri leggermente deludente; le descrizioni sono coin-volgenti e si leggono con piacere, il finale sorprendente ed azzeccato, bello anche il titolo... però mi è sembrato un po' troppo "monotematico" e un tantino ripetitivo. E anche l'impaginazione, alla lunga, stanca... peccato...

Bianca
Un racconto di avventura, interessante, a tratti avvincente, triste e commovente .L'ho trovato ori-ginale, molto scorrevole e con una buona adesione al tema.

Go daigo
Non sono un'esperta ma ritengo vi fosse qualche imprecisione nella punteggiatura,un eccesso ri-dondante che ha appesantito troppo la lettura. Finale inaspettato e trama ben costruita.

Sopraesistito
Questo era il racconto che sapevo sarebbe stato scritto, inevitabilmente. Questo mi ha rovinato il gusto della lettura perchè a metà già sapevo cosa avevo davanti. Il racconto è per altro premuto in un A4 trascurando una buona punteggiatura e dando luogo a un muro di testo che avrebbe potuto dividere Berlino. Comunque ben scritto e apprezzabile.
 
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GermanoDalcielo

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La caccia


Laura scoppia a ridere ed urta il bicchiere del vino. Una goccia scivola sull’esterno freddo del bicchie-re,scorre sullo stelo fino alla fiandra bianca della tovaglia, disegnando una lacrima scarlatta in mezzo al nitore del tavolo.
Un dejà vu.
Come se quest’ombra rossa lì l’avessi già vissuta, come questa risata, come questa cena densa di pro-messe. I dejà vu mi danno i brividi, infastidiscono la mia incrollabile certezza che l’uomo sia il fabbro del suo futuro e non giocattolo di un destino.
Laura si rabbuia di colpo e mi fissa interrogativa.”Scusa, solo un piccolo dejà vu, nulla di che”. Lei trema però mossa da una furia che non sospettavo potesse abitare un fisico tanto minuto, sotto una pelle così diafana.
_ Certo, un dejà vu. Perché chissà quante altre donne hai portato qui,in questo locale da puttanieri, chissà quante stupide hanno già riso alle tue battute. _ Il gelo si sparge intorno al tavolo. In effetti, ha pienamente ragione. Sono, senza false modestie, un bell’uomo, ricco, di potere e privo della benché minima volontà di impegno. Ed ho un difetto, sono pigro. Se il mio modello di seduzione funziona, lo reitero, non cambio un percorso consolidato, al massimo ne miglioro i dettagli.
Ora per uscire dall’impasse potrei scegliere diverse opzioni, una delle quali è la via del romanticismo sdolcinato, in cui potrei dirle:” no,non è vero,questa cena è un momento unico, vive nei miei sogni da una vita, ecco perché il dejà vu”. Soluzione pulita, un po’ banale ma decisamente efficace su una ra-gazza affamata di principi azzurri. Oppure c’è la strada scientifica, in cui potrei avventurarmi nello spiegarle che il dejà vu è un piccolo malfunzionamento neurale del nostro cervello, spesso mosso dallo stress…ma temo che non lo capirebbe.
Sorprendentemente, lascio scorrere gli eventi senza oppormi. E Laura con altrettanto sorprendente pre-vedibilità, si lancia nella più tradizionale crisi di nervi che abbia mai visto. Non so per quale ragione, ma non mi tocca per nulla. In effetti,non mi interessa essere qui, essere con lei, non so neppure perché ci sono arrivato. Ho perso il piacere di questa caccia.
Anche quando sento sulla pelle del viso e sullo sparato della camicia la sensazione umida del vino ad-dosso, penso solamente al peccato di aver sprecato dello splendido Biondi Santi 2004 per colorarmi di porpora. E mentre mi bagno, capisco. E’ vero,sono un uomo vuoto e concentrato su me stesso ,ma so-prattutto, non ne provo nessun senso di colpa. Solo che dovrei affrontare una iena come me, non l’ennesima bambolina romantica. Voglio una sfida vera, sento il bisogno dell’odore del sangue.
In un trionfo di teatralità, Laura in lacrime, indifferente alla mia assenza mentale, abbandona il tavolo,la cena e me.
Mi tampono una guancia, pulendomi. La lacrima rossa è ancora li,un po’ nascosta dalla base del calice ormai vuoto, sembra sorridermi.
Le sono riconoscente.


GIUDIZI



Giovaneholden
L’autore non riesce tanto ad aderire al tema, prova ne è che ogni tanto ci piazza la parolina magica per far effettivamente vedere che di quello si parla. La storia è abbastanza banale, anche se corretta stilisticamente. Un voto necessariamente sotto la sufficienza. Spero che non derivi da vita vissuta, sia che si tratti del lui che della lei. Deludente.

Cristina67
Racconto originale, introspettivo e dinamico. Il dejà vu non solo descritto ma anche propriamente spiegato.

Ila78
Originale e "appropriata" l'idea dello sciupafemmine che ha un déjà vu di tutte le serate sempre uguali con le innumerevoli donne che ha avuto e si fa "sgamare" più o meno di proposito, mi è piaciuto.

Nerst
La storia è un riconoscere del protagonista di una personale situazione che va pensata e cambiata. Il deja-vù che prova l’ uomo è dato dalle sue serate che, come fotocopie, sono tutte uguali l’una all’ altra e questo lo porta a dire stop. Bella visione di un uomo che riconosce la vuotezza di sé.

Risus
Storia bella ed originale, tema centrato in pieno, racconto appassionante. Linguaggio, lessico ri-cercato, fine, appropriato.

Bianca
Un racconto interessante e con un bel finale. L'ho trovato scorrevole, con una buona adesione al tema e originale.

Go daigo

Quand'è che Laura scopre l'anima da latin lover di lui? Non comprendo cosa abbia scatenato il suo scoppio d'ira, anche perchè lo stesso protagonista definisce poco prima quella cena come "densa di promesse". Trama confusa che non mi ha trasmesso nulla.

Sopraesistito

Se questo racconto fosse stato l'introduzione a un personaggio protagonista di un romanzo non avrei potuto chiedere di meglio. Come racconto? Non riesco a farmelo bastare. Il Dejà Vu pare a una prima lettura un pò forzato, ma alla fine le implicazioni sono ben giocate e fa da cardine alla vicenda.
 
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GermanoDalcielo

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Memoria di uno scatto​


Tornavo da Ararat, diretto a Yerevan. Mi trovavo da quelle parti perché l’agenzia Franco Rosso mi aveva commissionato un reportage sull’Armenia. Era la prima volta che vedevo quel paese. La giornata era stata un po’ fiacca. In più non ero stato molto bene al mattino. Ero giunto quasi ormai alla fine del viaggio. Avevo fatto degli scatti interessanti ma non c’era nessuna foto straordinaria. Nonostante ciò, sapevo di tornare a casa con un buon servizio che mi avrebbe dato da vivere almeno per qualche altro mese. Pensai che in quel poco tempo che mi rimaneva, prima del ritorno, potevo starmene tranquillo.
Sulla strada che portava a Yerevan, dissi alla guida di fermarsi: ai bordi c’era un piccolo mercato ortofrutticolo all’aperto che mi incuriosiva - sono sempre propenso a fermarmi quando c’è un mer-cato: si fanno delle belle foto in quelle situazioni -. Una donna anziana, usando un fazzoletto rosa con dei ricami, puliva delle mele, ordinate su degli scaffali in legno. Ricordo che la bellezza dei co-lori, unito all’ordine con cui erano disposti i frutti, mi colpì particolarmente. Decisi così di avvicinarmi con l’idea di farle qualche foto. Lei era bellissima, nonostante l’età: gli occhi scuri, la pelle chiara, indossava una giacca nera fatta a mano con il colletto. I segni del tempo si notavano sul suo viso, ma erano come addolciti da quell’espressività dolce e soave. Mi sorrise, e all’improvviso sentii mia madre chiamarmi per nome. Fui colpito dal dolce suono delle sue parole, ma più di tutto dal suo viso calmo da cui trapelava gioia. Soffiava un vento leggero, i capelli lunghi le ondeggiavano sul viso. Mi strinse piano la mano. Mi sentivo goffo e un po’ imbarazzato accanto a lei, ma ero fe¬lice. Con l’altra mano stringevo in tasca un fazzoletto caldo e soffice. Avevo al collo una compatta.
Al clacson di una macchina mi ridestai. La donna anziana era sempre lì, vicino alle mele. Ricambiai il sorriso. Quasi meccanicamente sollevai la macchina fotografica, la accesi e controllai rapidamente tempi e diaframmi. L’esposimetro stava sullo zero, la luce era perfetta. Dentro quel rettan¬golo regnava l’equilibrio. Fu questione di attimi, premetti il pulsante di scatto e come per magia la tendina si chiuse. Un istante dopo quell’armonia di forme e di colori era sparita. La stessa scena che poco prima stava dinanzi ai miei occhi, come immobile, non c’era più. Ma c’era il ricordo di mia madre; c’era l’emozione; c’era la trepidazione per il risultato che speravo di aver raggiunto.
Due anni dopo, nel 1996, la mia fotografia apparve sulla copertina di Life. Che gioia fu per me ot-tenere quel riconoscimento. Alcuni giornalisti lo definirono come lo scatto più bello di tutta la mia produzione fotografica. Forse esageravano. Quello scatto segnò comunque una svolta nella mia carriera professionale. A quella foto ne seguirono altre altrettanto belle. Eppure è quella, più di tutte, che ancora oggi mi piace ricordare.
Io non so come sia mia madre, non l’ho mai conosciuta. Eppure quel giorno la vidi. Il tempo aveva perso i suoi confini, non c’era più distinzione fra reale e irreale. Mia madre era lì con me e io lo sen-tivo. Lo sapevo. La magia di quel momento mi accompagna ancora oggi. E’ curioso pensare che al mio scatto più bello sia legata l’immagine di mia madre, vera o falsa che sia. Ogni tanto mi piace illudermi che ciò che accadde quel giorno sia successo per davvero. Ho la convinzione che dentro il volto di quella donna c’era qualcosa legato a mia madre.
Oggi, quando qualcuno mi chiede cosa mi passò per la mente quando feci quello scatto, gli rispondo sempre che quel giorno incontrai mia madre per la prima volta: alcuni non capiscono; altri rimangono in silenzio, colpiti dalle mie parole. Un giorno mia moglie mi disse che quando si è aperti a incontrare lo sguardo di un altro si trova ciò che a noi è più caro.


GIUDIZI


Giovaneholden

Indiscutibilmente il miglior racconto. Bella la storia, corretto dal punto di vista sintattico, aderente al tema proposto. Che sia nato un nuovo Carver?:) Riesce a tratteggiare in poche righe una situa-zione assai credibile, a farci sentire gli odori, i rumori, le atmosfere di quel luogo e contempora-neamente ci commuove. Affascinante.

Cristina67

Racconto con molto pathos, denso e commovente. L’idea è molto buona, purtroppo lo stile è ap-pesantito da qualche ripetizione.

Ila78
Questo racconto è il primo dei due che mi è piaciuto di più. Delicato ed emozionante, quasi si per-cepiscono le sensazioni e i profumi insieme al protagonista. Complimenti, veramente bello.

Nerst
Davvero commovente questa immagine di chi porta dentro di se i ricordi, anche se non li ha vissu-ti. Questo mi ha lasciato il racconto, l’ interrogativo che forse molte volte i ricordi li costruiamo per avere l’ illusione di averli vissuti nella realtà. In questo caso la ricerca della madre è associata alla ricerca in noi stessi di un qualcosa che sappiamo ci è mancato, anche se non l’ abbiamo mai conosciuto.

Risus
Bello, ben scritto, tema centrato in pieno. Emozionante, quasi perfetto.

Bianca
Un racconto interessante, molto dolce e in alcuni tratti commovente. L’ho trovato scorrevole, ori-ginale e con una buona adesione al tema.

Go daigo

Il tema dell'assenza della madre è una carta ad effetto da usare come jolly . In questo caso però lo sfondo che abbraccia il racconto mi ha coinvolto maggiormente perchè mentre leggevo la descri-zione della donna "delle mele" mi è tornata in mente una foto vista anni fa che mi aveva indotto a pensare al nonno che non ho mai conosciuto ma che, come un déjà-vu appunto, ritrovai in quell'immagine, proprio come avviene al protagonista con la madre.

Sopraesistito
Sembra un'intervista fatta a un fotografo di successo, oppure una nota autobiografica. In ogni caso non mi soddisfa del tutto sebbene non manchi affatto di emozioni, che ho apprezzato.
 
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GermanoDalcielo

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Sehnsucht


Chi ha vissuto un terremoto sulla propria pelle, chi è stato ostaggio di un paese in guerra, chi è fuggito di casa cercando un riparo che non c'era, non potrà mai ritornare lo stesso lui di prima.

Lei non sarebbe mai ridiventata la stessa vecchia persona dopo il 15 ottobre tra gli striscioni a Roma. Fossi in lei mi prometterei di non parlare mai più con chi è rimasto a casa, andato a una partita di football, disdegnato l'occasione per cambiare qualcosa. Anche con chi ha trovato altre parole per la mancata rivoluzione di se stesso - dietrofront - dall'uscio di casa per la stazione più vicina. Fossi in lei, soltanto mi incazzerei con il mondo. Ma lei, nonostante che sia dentro di me, non prometterà silenzio e non farà altro laddove il cemento va preso a calci come il cuore comanda!

Questo vi garantisco. All'incontro delle nostre giovani vite già mi domandavo come spiegarle il motivo per cui le avevo parlato su quell'autobus... Invisibile, è così che funziona nei sogni. Tutto scorre, sensa appigli. Un volto, colore, capelli, uno sguardo, scivola tutto, ma va benissimo così. Il tempo non conta più, serve a dimenticare, a spartire un prima, un dopo, un “ci rivedremo”, un “ci siamo già visti”, il tempo può nulla contro i vizi: il mio è quello di averla trovata, quella ragazza.

Mia sorellina non ama molti cartoni: non sa parlare ed è piccola; la mattina guardiamo sempre qualcosa, ma vuoi vedere che ci appassioniamo di Ariel la Sirenetta, e mi innamoro di lei, e dico alla sorellina che Sirenetta esiste ed è tra noi, e vuoi vedere che riscopro antichi ricordi, vorrà forse dire che l'amavo prima di quella mattina, sarà magari che avevo da sempre bisogno dei suoi capelli, l'irriverenza e l'oceano da rendere sempre più bello, non è forse vero che ci si può ricordare un ché di rimosso, ed è poi così brutto pensare che la sognerò sempre come la sognavo anche da piccolo?

Che motivo avevo per dimenticare quel sogno che potevo portare con me per tutta la vita, quale ragione avrò avuto per rimanere, una volta cresciuto, del tutto ignaro sul perché mi piacessero le rosse, così tanto, oh, quanto tempo speso da bambino in cerca delle minime possibilità scientifiche che esistano sirenette in grado di respirare sott'acqua, quante notti io stesso a dimorare nell'Atlantico a casa di Sirenetta, a raccontarle quanto sia meglio da loro piuttosto che in superficie, specialmente perché in superficie, svegliandomi, lei non c'era, non ci poteva essere, non ci sarebbe mai stata...

Ora, la mia sirenetta non si chiama Ariel, non ne ha mai risvegliato i sogni, ne crea di nuovi, mi rende muto come un pesce, e allora le porto la mia scrittura. Ma persino dal primissimo momento in cui le ho parlato su quell'autobus! Con un bigliettino, ragazzi! Avevo così tante scelte... E nulla era scritto, tutto era da scrivere, me lo ripeto tutte le volte, conosco l'empietà di una memoria meretrice.

Mi piace sognarla, e mai la potrò seguire, siamo fatti per non incontrarci, sono proteso a rivederla ancora, mi struggerebbe saperla definitivamente emigrata in America, vorrei piutosto mi sparisse dai sogni di notte, dai pensieri di giorno; dimenticarla è insopportabile; averla dimenticata sarà come non averla mai incontrata; quanti anni saranno passati da quando sognavo la Sirenetta?

Lei, fatta di pochi sogni, mi ricordo fossero pochi. Sono sempre pochi. Sono sempre troppo pochi.

Il tempo non conta più, serve a dimenticare, a spartire un prima, un dopo, un “ci rivedremo”, un “ci siamo già visti”, il tempo può nulla contro i vizi: il mio è quello di averla trovata, quella ragazza. Due volte! Impossibile da afferrare. Mi innamorassi ancora? Andrebbe in frantumi un mondo: piuttosto che ammettere una sirenetta diversa, mi dimenticherò che ci possono esistere eccome, queste sirenette, fatte di pochi sogni, e perderò la testa, e mi domanderò perché l'abbia fatto e che mai trovo sempre di speciale in ragazze rosse, giammai! come per dire che mai rivedrò il cartone della Disney! ora è mio - e non parlo la lingua dei pesci - e scrivo un terremoto, io, ostaggio delle sirene in fuga verso un mare in cui abitare non posso! Oh, solo sapessi perché, perché resto sempre uguale a come allora?! me lo ripeto tutte le volte, qualcosa si ripete identico. Ma vivo, ma l'amo! Ma chi?!


GIUDIZI


Giovaneholden

Devo dire che con un titolo così roboante, mi aspettavo decisamente di meglio. Il racconto gira a vuoto, non trova una sua via fluida, si spezzetta ad ogni riga per non approdare a nulla. Mi sembra il classico esempio della montagna che partorisce il topolino. Tanto rumore per nulla. Inconsistente.

Cristina67

Racconto romantico e toccante. Onirico eppure ancorato alla realtà.

Ila78

Anche questo racconto rientra in quelli che ho apprezzato meno, lo trovo un po' confuso e mi è ri-sultato poco chiaro a partire dal titolo, forse déjà vu in tedesco?? Non lo trovo scritto male ma non sono riuscita ad apprezzarlo in pieno.

Nerst
Ho dovuto rileggerlo per cercare di comprendere a pieno il racconto. Credo di aver colto i ricordi, o meglio i sogni, di una persona che, parlando come un poeta, cerca di creare ciò che vorrebbe vi-vere in un paese di cui non resta oramai nulla. La solitudine è quello che mi ha fatto provare il racconto, una solitudine che prova il protagonista, che per sfuggirle sogna e vive momenti irreali e conosce persone anch’ esse irreali. Il tema deja-vù credo sorga da queste immaginazioni.

Risus
Non mi ha detto niente, fin troppo poetico per i miei gusti, non nelle mie corde, sorry... e poi, chi dice "football" a Roma?!?

Bianca
Un racconto triste e malinconico. L'ho trovato originale, con una buona adesione al tema e scorre-vole.

Go daigo
Poca cura e attenzione nella scrittura del racconto. L'ho trovato confusionario, a tratti di difficile comprensione. Sarebbe potuta essere una gran bella storia.

Sopraesistito

Questo è il tipico racconto scritto "strano", ce n'è uno ad ogni concorso. Per capire se valeva la pena di leggere una pagina scritta in modo non convenzionale trovo il "dunque" della vicenda, se mi è possibile condensarlo in una frase allora il racconto non valeva la pena, se può essere solo parafrasato allora può andar bene. In questo caso lo posso solo parafrasare. Buona esperienza.
 
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GermanoDalcielo

Scrittore & Vulca-Mod
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Tra il letto e l'armadio


I colpi, i rombi, i tuoni della guerriglia. Fuori imperversava la sommossa, o qualcosa di simile.
Io me ne stavo nella mia camera, seduto sul pavimento, tra il letto e l'armadio, e tremavo con la testa tra le gambe, un po' come quando ero bambino.
Poco prima avevo aperto la finestra: fuori vi era una grande manifestazione, come quelle che vedevo quando avevo dieci anni, nel famoso '68, dall'alto della mia casa romana: erano fatte di giovani belli, quanto feroci. Erano fatte di voci, che troppo spesso si tramutavano in urla, e poi polvere.
E poi i colpi, i rombi, i tuoni. Di nuovo. No, quello non lo potevo vedere. Avevo chiuso la finestra ed ero corso, dopo quarantatré anni, nuovamente in camera mia, a tremare. Odiavo la violenza: la odiavo perché era parte della mia infanzia, il volto brutto dei miei dieci anni, la risata atroce dei miei giochi per le strade.
Ciò che mi spiazzava davvero non era ciò che stava accadendo là fuori: era il mio cuore la via più sconvolta. Avevo la strana sensazione di aver già vissuto quel momento.
Non parlo delle manifestazioni e delle violenze sotto casa; sono sicuro che quelle vi erano già state, tempo prima, e che queste, a modo loro, erano diverse. Parlo del mio tremare per terra, tra il letto e l'armadio, come un bambino di dieci anni, impaurito, che lotta con se stesso per non frignare di fronte al mondo. Anzi, io ero nuovamente quel bambino di dieci anni, così pauroso da chiudere gli occhi di fronte all'orrore e da tapparsi le orecchie per non sentire i botti che fanno i lacrimogeni sull'asfalto ferito della sua strada.
Avevo già vissuto tutto ciò, avevo già tremato in pomeriggi d'autunno sul freddo pavimento di marmo della camera dei miei genitori.
Ora loro non c'erano più, la loro camera era la mia camera, e i cinquantatré anni pendevano dal mio collo un poco rugoso e ispido per la barba grigia.
Perché di nuovo? Perché era come se rivivessi quell'età? Stessa scena: io che sto guardando la televisione, d'un tratto i rumori, vado alla finestra e vedo tutto quel caos, quel tumulto, tutta quell'aria mossa dalle persone, dagli scoppi, dalla spranghe.
Un déjà vu. Ecco che cosa era.
Mi riappropriai lentamente delle mie facoltà intellettive, liberandole dalla paura di quando ero bambino e dallo stupore di aver rivissuto una tale situazione. Mi riavvicinai alla finestra, guardai fuori: era proprio vero, non era cambiato nulla, era ancora tutto come quel tempo.
Così ritornai in camera, aprii l'armadio, presi un giubbotto col cappuccio, mi diressi nel mio studio, afferrai uno dei bastoni di mio padre, uno di quelli belli, nella teca di vetro lucidata ogni settimana; e poi dritto, verso la porta.
Respirai profondamente davanti a quella sagoma di legno nero che divideva il mio essere dal mondo esterno.
Girai con una mano il pomello gelido verso l'uscita, strinsi con l'altra il bastone di mio padre.
Scesi le scale di fretta, col fiatone, fino a tuffarmi nell'aria bianca del pomeriggio.
Arrivato in strada, mentre la sommossa imperversava intorno a me, mentre non capivo bene chi era contro chi, e, d'altronde, poco mi importava, mi buttai nell'impeto che non avevo potuto assaggiare a quell'età, tempo prima, e che ora non mi faceva più paura...
...che ora mi abbracciava semplicemente al suo petto, come un figlio, o un amico fraterno di ritorno da un lungo viaggio.


GIUDIZI


Giovaneholden
Anche questo racconto merita la sufficienza, il tema è ben svolto, i salti temporali tra memoria e realtà, sono chiari e netti, il tutto scorre piacevolmente. C’è tanto della nostra storia recente in poche pennellate. Ulteriore merito. Convincente.

Cristina67
Dejà vu e psicologia in stretto connubio. Finale a sorpresa.

Ila78
Il tema è sicuramente centrato alla perfezione, la scrittura è chiara e pulita, tuttavia lo trovo, come dire? Un po' "asettico" e primo di emozioni, almeno a me ne ha comunicate poche.

Nerst

Molto triste il deja-vù dell’uomo che ricorda come la violenza sia sempre stata presente nella sua vita, da bimbo, come da adulto, solo che adesso può partecipare di persona al disordine che prima subiva solo. Questo aspetto mi ha colpita, anche se non ho ben chiare le motivazioni dei disordini.
Comunque bello.

Risus

Idea del deja-vù resa molto bene, interessante il tema, originale ed attuale. Proprietà di scrittura, lessico azzeccato... complimenti!!!

Bianca
Un racconto interessante e triste, non mi è piaciuto tanto il finale. L'ho trovato originale, con una buona adesione al tema e scorrevole.

Godaigo
Racconto molto semplice, lineare. Il passaggio dallo stato di angoscia asfissiante a quello di rabbia feroce mi ha trasmesso una scarica di energia incredibile, si avverte la voglia di dimenticare il passato per rincorrere le proprie paure.

Sopraesistito
Bello, mi piace l'atmosfera, mi piace il finale con la sua "morale", per così dire. Questo racconto usa il deja vu in modo eccellente, violento. Mi piace molto, complimenti allo scrittore/trice.
 
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GermanoDalcielo

Scrittore & Vulca-Mod
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Questo l'abbinamento di racconti e firme autorali:

1)Memoria di uno scatto di Apart
2)Il sorriso di un sogno di ValentinaBellucci
3)Deja vu di Sharazad
4)La solita solfa di Ugly Betty
4)Una vincita mancata di Elisa
4)Sehnsucht di (Neige)
4)Tra il letto e l'armadio di Marcoguerini
4)Il circolo di Shoofly
4)La caccia di Alexyr
 
Stato
Chiusa ad ulteriori risposte.
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