Gide, Andrè - L'immoralista

Dallolio

New member
Michel in seguito alla guarigione dalla tubercolosi sente dentro di sè una forza sempre crescente e sente non solo di essere guarito, ma di essere "oltrepassato" cioè di aver superato i limiti umani stessi.
Inizia a transvalutare tutti i valori umani, approdando a una sorta di superomismo di stampo Nietschiano, che gli fa provare disprezzo per i deboli e lo fa approdare ai comportamenti maggiormente condannati dalla sua società, cioè il furto e i rapporti nascosti con giovani ragazzi, trascurando tra l'altro sua moglie ammalata a sua volta di tubercolosi che muore da sola in una terribile emoraggia di sangue.
L'autore non ha saputo a mio avviso portare alle sue conseguenze un immoralismo come quello del personaggio, a meno che non volesse appunto sostenere come l'immoralismo stesso abbia come unica conclusione quello di comportamenti bassi e ignobili, senza alcuna forza creatrice niezschteanamente intesa; è comunque da un punto di vista della narrazione, un capolavoro.
Voto: 8/10
 

fernycip

New member
La vera natura di un uomo e le sovrastrutture imposte dalla società e dalla cultura: la costante lotta fra queste due componenti costituisce l'essenza di questo romanzo in parte autobiografico
 

Apart

New member
Stupendo, un libro che fa riflettere, che ti rimane dentro.

Bellissima la presa di coscienza del proprio corpo, in seguito alla malattia, che porta l'Io narrante a riconoscere i propri impulsi, alla necessità di appagarli. Fino ad allora il protagonista aveva vissuto come senza un corpo, conformemente all'educazione ricevuta, adeguandosi alla società.

La storia raccontata è un modo per far emergere il continuo dissidio interiore vissuto del protagonista: lasciarsi abbandonare all'istinto o rimanere solidali alla propria educazione, alla vita convenzionale?

Bello il ritorno in Africa: un tentativo, vano, di ritrovare quell'istinto messo da parte, quella felicità perduta. Ma non c'è vittoria ne dell'uno ne dell'altro, l'autore non sposa infatti nessuna delle cause. Racconta del dissidio, e lo fa attraverso una trama, in maniera pulita, coinvolgente, profonda.

Grande!
 

Apart

New member
Ognuno desidera assomigliare il meno possibile a se stesso; ognuno si costruisce un modello, poi lo imita; accetta addirittura un modello già scelto. Si dovrebbero cercare altre cose nell’uomo, io credo. Ma non si osa farlo. Non si osa voltare pagina. Quello che sentiamo in noi di diverso, è la parte più preziosa, quella che determina il valore di ciascuno, eppure si cerca di sopprimerla. Si ricorre all’imitazione, pretendendo così di amare la vita.

(Andrè Gide, L'immoralista)
 

francesca

Well-known member
Mio primo libro di Gide, non mi ha convinto del tutto e non riesco a capire bene perché.
Lo stile mi è piaciuto, asciutto, ben strutturato, di facile lettura.
Ma la storia e i suoi risvolti li ho trovati poco incisivi.
Michel, il protagonista racconta la sua vicenda, cerca di dare una spiegazione del suo degrado morale lento ma inesorabile in una specie di confessione fiume a tre amici.
Si capisce che la forza scatenante di questo suo declino morale è la guarigione da una malattia che lo ha reso attentissimo alla fisicità del suo essere, che lo ha portato ad ascoltare il suo corpo nelle sue minime pulsioni. Una guarigione che ha costruito minuto per minuto con forza di volontà e esercizio costante, assorbendo tutto il possibile dall’amore e dalle attenzioni della moglie, Marceline, quasi come un parassita.
Ma in questa confessione è più il non detto che il detto, è più ciò che viene lasciato all’immaginazione dell’ascoltatore/lettore di ciò che veramente viene confessato.
Ciò cos’è che veramente deve confessarci il protagonista? Che indulge in rapporti con giovani ragazzi?
Che forse segretamente sperava nella morte prematura del figlio per non essere costretto a rientrare nei ranghi di una vita ingessata nelle convenzioni che la società richiede ad un rispettabile marito e padre di famiglia? Che la stessa moglie nella sua bontà, nel suo amore incondizionato era diventata una sorta di palla al piede che gli impediva di spiccare il volo come vorrebbe? Che queste sue segrete pulsioni lo tormentano ma solo per i sensi di colpa e non perché realmente sia dispiaciuto di ciò che hanno provocato nelle persone che lo amano?
Tutto è sempre così abbozzato e contenuto, che alla fine della lettura mi è rimasta la sensazione di qualcosa di inespresso, tanto da chiedermi se questa sensazione sia veramente quello che l’autore voleva trasmettere al lettore oppure una mia incapacità di rimanere coinvolta fino in fondo nella lettura.
E’ palese il parallelo fra la decadenza fisica della moglie e la decadenza morale del protagonista, e alla fine Michel ammette di non saper cosa fare della sua vita: sembra chiedere aiuto agli amici per redimersi attraverso il rapporto recuperato con loro, ma l’abisso della possibilità di annientarsi moralmente come Marceline si è consumata fisicamente, lo attrae inesorabile.
Credo il libro non mi abbia convinto fino in fondo perché il tormento di Michel così come è presentato nella sua confessione è un po’ “datato” per i nostri tempi. Troppe “immoralità” sono ormai sdoganate a tal punto che il dibattersi di Michel può apparire un po’ fiacco, i dilemmi morali del nostro tempo sono così lontani da quelli di Michel che la sua presunta immoralità può risultare poco comprensibile; così come può risultare poco comprensibile anche il suo pudore nel raccontarla per noi lettori in un tempo in cui tutto viene urlato e gridato nelle pubbliche piazze dei social media a tal punto che niente sembra più scandalizzare nessuno.
Ma anche solo per questa sua funzione tipo “cartina tornasole” del tempo che scorre e cambia prospettive e domande etiche, il libro ha una sua forza indiscutibile nel proporre al lettore l’eterno dilemma fra le convenzioni imposte dal vivere sociale e le segrete pulsioni di ogni uomo.

Francesca
 

qweedy

Well-known member
Mi è piaciuto molto, e non me lo aspettavo.
Trasmette molto bene la fame di vita che il protagonista avverte dopo aver sfiorato la morte. E' assetato di emozioni forti, è concentrato su se stesso. Il moribondo Michel guarisce grazie alle cure amorevoli della moglie e, ottenuta la salvezza, matura un odio profondo verso ogni forma di malattia o deformazione fisica. E' alla ricerca di se stesso, non quello che genitori, maestri e regole gli avevano mostrato, ma cerca la propria essenza più profonda.

Per quanto riguarda l'attrazione per i ragazzini credo che nel 1902 probabilmente non esistevano le parole per esprimere questo desiderio. In questo è sicuramente datato.

Ora capisco perché Gide abbia vinto il Nobel.

Potersi liberare è niente; il difficile è saper essere liberi

"Da quel momento fu lui che io volli scoprire: l'essere autentico, il "vecchio uomo" in noi, quello che il Vangelo aveva rifiutato; quello che tutto intorno a me, libri, maestri, genitori e io stesso, ci eravamo sempre sforzati di sopprimere... Da quel momento provai disprezzo per l'altro essere, secondario, costruito, che l'istruzione aveva formato al di sopra. Dovevo scuotermi di dosso quelle sovrapposizioni"

"Nulla di più tragico, per chi ha creduto di morire, di una lunga convalescenza. Dopo il tocco dell'ala della morte, quello che sembrava importante non lo è più, lo sono altre cose che non sembravano tali, o che nemmeno si sapeva che esistessero. L'accumulo sul nostro spirito di tutte le conoscenze acquisite si squama come un cerone e in certi punti lascia vedere, a nudo, la carne stessa, l'essere autentico che si nascondeva."

"Ognuno cerca di somigliare il meno possibile a se stesso. Ognuno si propone un modello, poi lo imita; anzi, non sceglie nemmeno il modello che imita, accetta un modello convenzionale. Ci sono comunque, credo, altre cose da leggere, nell'uomo. Non si osa. Non si osa girare pagina. Le leggi dell'imitazioni, io le chiamo leggi della paura. Si ha paura di rimanere soli; e non ci si trova affatto. Questa agorafobia morale mi è odiosa; è la peggiore delle viltà. Eppure è sempre da soli che si inventa."
 
Ultima modifica:

Grantenca

Well-known member
E’ la storia, scritta in modo autobiografico, di uno studioso cresciuto all’ombra del padre, che, fino all’età di 25 anni ha conosciuto solo studi, successo nel lavoro, e stima degli studiosi, ma non ha mai veramente “vissuto”. Il padre si ammala gravemente, la madre era morta da circa dieci anni, e per attenuare le preoccupazioni del padre che si rammaricava di lasciarlo solo, si sposa con una bellissima ragazza, che conosceva fin dall’infanzia ma della quale non è innamorato. Questa è la premessa ma dopo c’è “il libro”.

Dopo aver vinto una grave malattia scopre la voglia di vivere, scopre anche la moglie, ha una solida posizione economica e gira il mondo tra Africa, Italia, Spagna, Francia. Si lascia trasportare dalle sue nuove scoperte, cerca la felicità che non fa rima con tranquillità e alla fine si accorge che questa sua continua ricerca di un qualcosa che nemmeno a lui appare chiaro non è indolore né per se né, soprattutto, per chi gli è vicino. Alla fine si potrebbe anche definire la ricerca di una filosofia di vita, argomento che non è mai stato per me di grande interesse.

Il libro, ambientato probabilmente tra la fine dell’ottocento e i primi anni del novecento, è comunque scritto molto bene e la fama dello scrittore è del tutto giustificata, ed io l’ho letto abbastanza celermente.
In tutto questo susseguirsi di avvenimenti e riflessioni, in questa frenesia e continua ricerca di emozioni ho intuito (posso però facilmente aver interpretato erroneamente qualche passo) qualche traccia di latente omosessualità. Argomento che a quei tempi era,molto probabilmente, difficilissimo da trattare.
 
Alto