Leggendo questo romanzo, l'impressione che ho avuto subito è stata quella di ritrovarmi catapultato improvvisamente all'interno di un altro mondo, di un intero universo che seppur limitato in poche decadi del Cinquecento, si presenta così denso con il suo caleidoscopio di persone, incontri, situazioni, eventi, credenze, riflessioni, pratiche, tumulti, ribellioni e tanto altro, da apparire di un'immensità sconfinata e inafferrabile.
Non c'è qualcosa nel libro che ti prepara a ciò che viene mostrato; non c'è tempo per soffermarsi su tutto ciò che passa tra le pagine in un tale fiume in piena impegnato a lambire i più disparati meandri della storia individuale e collettiva di quel tempo.
Una naturale conseguenza di questo tipo di scrittura è che può disorientare, lasciare frastornati, e questo avviene soprattutto all'inizio, dove manca quasi del tutto un punto attrattore attorno a cui gravita il racconto, allo stesso modo in cui in uno spazio infinito non si può definire un centro, in cui ogni origine non è altro che un punto arbitrario al suo interno. Così nella prima parte ci si ritrova immersi in un'epoca di smarrimento, fra storie di progresso, di oscurantismo, di dispute religiose, di guerre, di epidemie. Bisogna aspettare di arrivare quasi a metà libro per riappropriarsi del protagonista, Zenone, che fino ad allora non era stato altro che una fugace comparsa qua e là tra una storia e l'altra. Questa iniziale mancanza di un vero protagonista attraverso cui percepire e conoscere le vicende consente da una parte di dipingere il quadro storico di riferimento con ampie pennellate che possano subito tracciare schizzi delle forme e dei colori principali in una grandissima tela così da renderne subito una visione d'insieme; dall'altra parte assume anche un significato simbolico: all'inizio del libro, infatti, Zenone spiega a suo cugino che non può fermarsi dal suo viaggio né tornare indietro nel paese di origine, perché qualcuno lo sta attendendo. E questo qualcuno altro non è che se stesso. Il casuale apparire e l'altrettanto improvviso scomparire di Zenone nella prima parte, quindi, riflette forse proprio questo suo continuo perdersi e ricercarsi. E infatti quando poi lo ritroviamo nella seconda parte del romanzo, Zenone è già adulto, ha compiuto il suo viaggio, è giunto al culmine del suo pensiero e delle sue arti, e lo rivediamo stabilizzarsi proprio nella sua terra natia. Da questo momento, il protagonista che fino ad allora aveva vissuto in giro per il mondo si ferma, si inquadra all'interno di consuetudini e instaura un legame profondo e sincero con il priore del convento.
In questa parte del romanzo, per quanto anche noi lettori ritroviamo un po' di stabilità come quella provata dal protagonista, lo stile del romanzo rimane essenzialmente lo stesso, se non per il fatto che ora ogni cosa emerge da una direzione privilegiata, quella stabilita della "linea di universo" di Zenone. Dopo una permanenza relativamente lunga nella sua città, il rinnovato desiderio di salpare ancora verso altri orizzonti sembra portare verso un ulteriore vortice di sconvolgimenti narrativi, ma Zenone ritorna improvvisamente sui suoi passi, invertendo la sua rotta per dirigersi nuovamente alla base, in cui si chiude il cerchio della sua vita. Probabilmente in quel momento si rende definitivamente conto che alla sua età non ha più senso continuare a correre dei rischi per un viaggio che forse non potrà aggiungere più nulla alla grande mole di esperienze accumulate durante una vita passata in giro per il mondo. In fondo, la prima fase di quella che gli alchimisti chiamano la Grande Opera, l'Opera al nero, lui l'ha già realizzata, giungendo col pensiero a quella dissoluzione di forme in un tutto unitario e senza tempo che si pone come preludio per una nuova e più superiore consapevolezza sé, della vita e del mondo. Ma forse la sua visione troppo meccanicistica della vita non gli consentirà mai di assurgere a quel "trionfo coniugato dello spirito e dei sensi che caratterizza l'Opera al rosso" e così, alla fine, non gli resta altro che accettare la sua condizione e realizzare la sua opera al nero anche materialmente, dissolvendo il suo corpo nel nero del suo stesso sangue, liberandone lo spirito che forse in un'altra dimensione potrà portare a compimento le successive fasi della sua Grande Opera.
"L'opera al nero" è in definitiva un romanzo complesso, non sempre facile da seguire, soprattutto per chi come me non conosce a fondo il periodo in cui è ambientato. Il lavoro di ricostruzione storica che c'è dietro questo libro è impressionante e impareggiabile. Se questo da un lato può attrarre, d'altra parte personalmente mi ha fatto sentire spesso non all'altezza di una lettura di questo tipo, dal momento che il più delle volte non sono riuscito a cogliere i riferimenti o ad immedesimarmi nei personaggi spesso solo accennati. Il romanzo comunque non rimane semplicemente un affresco isolato nella cornice di un mondo lontano nel tempo; al contrario, in tutta la notevole sfilata degli eventi e delle espressioni umane dell'epoca si possono rintracciare diversi elementi che si attualizzano facilmente ai giorni nostri e che probabilmente sono così intrinseci alla natura umana da caratterizzarla in ogni epoca e in ogni luogo, tra i quali forse i più significativi sono proprio le riflessioni di Zenone, i suoi dubbi, le sue ambizioni, insieme ai pensieri profondi e a volte insoliti del priore con cui si confida.
Per concludere, devo ammettere che questo non è il genere di libro con cui mi trovo a mio agio, e che sicuramente avrei potuto apprezzarlo maggiormente con una conoscenza più approfondita del periodo trattato, ma la possibilità di leggerlo in un gruppo di lettura qui sul forum e il conseguente confronto reciproco mi ha aiutato ad approcciarmi con maggiore coraggio e fiducia ad un romanzo di una tale portata.