Faulkner, William - Santuario

bouvard

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Questo era il sesto libro di Faulkner che leggevo, perciò sarei dovuta esser preparata al suo stile, invece ogni volta che apro ed inizio a leggere un suo libro - finora l'unica eccezione è stata Una rosa per Emily - per quanto sia preparata e sappia a cosa vado incontro, provo sempre una disarmante, ma ormai divenuta abituale, sensazione di spaesamento, quello stesso spaesamento che si proverebbe qualora si fosse costretti a percorre un tortuoso e sconosciuto sentiero di montagna in una giornata di nebbia fitta. L'autore che dovrebbe fungere da nostra guida non ci da alcun aiuto, alcuna indicazione, anzi procede spedito davanti a noi, senza soffermarsi a guardare se lo stiamo seguendo, o se scoraggiati non ci siamo fermati dietro qualche curva ad aspettare che la nebbia si sollevi un po'. Di fronte a tanta "indifferenza" dell'autore, non poche volte, mi sono chiesta tra l'arrabbiato ed il rassegnato "Chi me lo fa fare ad impelagarmi ogni volta in queste letture, quando ci sono tanti libri più facili da leggere?". Eh già, chi ce lo fa fare a leggere i libri di Faulkner con quello stile che definire ostico è già fargli un complimento? Forse il fatto che quando si arriva alla fine del sentiero (libro) e la nebbia scompare si resta meravigliati da ciò che abbiamo raggiunto, si riesce finalmente a cogliere tutta la storia, i sottintesi, le sfumature, e si resta, ogni volta, affascinati da ciò che Faulkner è riuscito a dipanarci sotto gli occhi, mentre noi, poveri lettori, arrancavamo affannati dietro di lui: storie mai banali, o scontate, descrizioni poetiche e forti. Quello stesso stile non ci sembra più solo qualcosa di ostico, riuscendo a coglierne finalmente tutto il valore, ed apprezzarne l'arricchimento che ci lascia. Infatti quando si finisce un libro di Faulkner si è sempre ansiosi di leggerne un altro, la faticaccia che abbiamo fatto non ci sembra più neppure tale, almeno fino a quando non apriamo un altro suo libro e ci ritroviamo su quel sentiero ...
Santuario è una storia forte, violenta, che fa arrabbiare per i personaggi negativi (se ne salvano davvero pochi) per il perbenismo ipocrita, per la morale convenzionale, per il senso di ingiustizia e di impotenza che comunica. A volte sembra tanto eccessivo come libro da aver voglia di chiuderlo e scaraventarlo lontano, perché non sembra una storia plausibile, poi però ci si rende conto che la realtà è talvolta ancora più assurda ed inverosimile.
Si dice che Faulkner abbia scritto questo libro solo per motivi economici, per riuscire a ristrutturare la sua casa, potrebbe anche essere, comunque sia a guadagnarci è stata senz'altro la Letteratura.
 

ayuthaya

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Provo sempre una grandissima difficoltà a parlare di questo autore, che ammiro sopra ogni cosa per la sua capacità quasi sovrumana di trasformare in capolavoro tutto ciò che tocca o, per meglio dire, scrive. Tanto più questo discorso vale per un romanzo che, a detta dello stesso autore (ma per questo rimando a una recensione di grandissimo interesse, la quale “svela” il vero significato dell’introduzione ironica e quasi mistificatoria dello stesso Faulkner*), è stato “concepito unicamente allo scopo di far soldi”.

Come al solito, il primo segno di riconoscimento del leggere questo autore è la sensazione di non capirci assolutamente nulla! Vuoi per un motivo, vuoi per un altro, sembra che il massimo divertimento di Faulkner consista nel prendere in giro i suoi lettori, nel deriderne le capacità intellettive… e io ormai quasi rido con lui, perché riconosco in questo disagio arrecato, in questa deliberata scelta di rendere tutto “difficile” il vizio irrinunciabile di un amico, che gli perdono riconoscendolo anche il suo più incontestabile pregio.
Già, perché non dimentichiamoci che, per quanto io ci scherzi su, la “difficoltà” delle opere faulkneriane non è mai fine a se stessa; al contrario, è la chiave di lettura con cui accedere alla comprensione dell’opera stessa.

Nel caso di Santuario la difficoltà è duplice, una dovuta allo stile, l’altra ai contenuti. Nel primo caso, consiste nel dover apprendere gli eventi in due tempi. Prima ci vengono descritti i fatti nudi e crudi, ma in questo modo non siamo in grado di coglierne la dinamica perché molti passaggi vengono elusi: esistono dei vuoti cronologici infinitesimali che interrompono la fluidità del racconto e conducono a repentini cambi di scena e di prospettiva. Ma non solo. È il modo stesso, estremamente realistico, in cui i fatti vengono narrati a impedirne la comprensione… proviamo a immaginare: se ci trovassimo all’improvviso ad assistere a una scena senza che nessuno ci fornisse un antefatto, o una qualche descrizione dei rapporti fra i vari personaggi, cosa comprenderemmo? Poco o niente. Assisteremmo quasi cinematograficamente allo svolgersi di eventi di cui coglieremmo la realtà, ma non il senso.
Parlavo di due tempi e il secondo è questo: dopo essere accaduti, a volte molto dopo essere accaduti, alcuni fatti ci vengono raccontati e allora sì che qualche vuoto viene colmato (per fortuna!). Ad esempio “la donna”, compagna di Goodwin, racconta a Horace quello che è successo la famigerata notte in cui Temple Drake ha fatto “irruzione” nella Casa del Francese; più avanti la stessa Temple racconterà all’avvocato quello che le è accaduto, e la fine di Red, all’inizio solo intuita, la apprendiamo assistendo al dialogo fra miss Reba e le sue amiche. Ma – e questo è il punto – anche questo secondo approccio ai fatti è corrotto, perché è parziale. La donna racconta la sua verità, così come fa Temple, e il dialogo fra miss Reba e le sue amiche ci permette di cogliere solo spezzoni di verità. Il senso profondo delle cose continua a sfuggirci.

C’è poi una difficoltà di un altro tipo. Per quanto tutti i romanzi di Faulkner che ho letto finora non abbiano mai trattato argomenti facili (e qui parlo di contenuti, non di stile) Santuario per il momento li supera tutti. Come scrive Enrico Macioci in una recensione** che ho apprezzato molto e da cui “rubo” alcuno passaggi “la storia ruota intorno a un episodio orrendo, talmente orrendo che non può venire raccontato; infatti lo si tace. L’episodio orrendo emana le sue radiazioni fin dalle prime pagine, quando non è ancora accaduto, e inquina le ultime, quando non è comunque esplicitato; in mezzo scorre denso il fiume della vicenda, torpida straziante, ipnotica, maledetta.
Santuario è un romanzo che fa davvero male, in cui non si salva niente e nessuno. Non si salva nessun personaggio: non i veri “criminali” come Popeye, né gli “innocenti” (?) come Goodwin, Tommy e la donna, non chi è animato da buoni propositi ma è troppo debole per farcela, come il “puro” Horace, né tanto meno chi è meschino e viscido come Sartoris o ipocrita come Narcissa. Non si salva Temple Drake, la vittima, e non si salva la folla inferocita. Non si salva la giustizia umana e neppure quella divina. “La giustizia umana fallisce perché prima ha fallito la giustizia divina. (…) Fallisce la borghesia, sciocca e superficiale; fallisce la comunità campagnola, schiava di riti ancestrali e della legge del più forte; fallisce la città che non può salvare i propri figli traviati e fallisce la natura che non conosce innocenza, solo un’estraneità leopardiana con in più una smorfia cattiva e intenzionale, la smorfia di Popeye che si accende una sigaretta dopo l’altra strofinando il fiammifero sull’unghia.

Per raccontare il male in questo modo che sa di "tragedia assoluta" (ancora Macioci), e farlo tenendoci sbigottiti e sospesi nella bellezza cruda di una narrazione senza pari, ci vuole un talento straordinario… ci vuole la penna di Faulkner, davanti a cui, ancora una volta, non posso che inchinarmi.

*http://omardimonopoli.blogspot.com/2008/03/santuario-faulkner-visto-da-tommaso.html?m=1
**http://www.unacasasullalbero.com/santuario/
 
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