Farewells di Tobi Cobini
Lo trovai inginocchiato sul tappeto nel salotto un venerdì al ritorno da scuola. Ci stava facendo scorrere sopra quello che sembrava essere un trenino arancione fatto con i lego, che si lasciava dietro dei solchi profondi tra i folti peli del tappeto.
Poggiai lo zaino a terra e mi tolsi il cappotto. Feci per avvicinarmi, chiedendomi chi fosse, quando lui si voltò bloccandomi con uno sguardo cattivo. All' improvviso cominciò a smontare furiosamente il trenino lanciandomi contro i pezzi di lego e urlando.
- Ma che caz..
Un ragazzo piombò in salotto sollevando di peso il bimbo e stringendoselo al petto, seguito dalla faccia sconvolta di mia madre.
- Ma che diavolo Tess, non mi piace che usi certe parole!
- Ma mamma, quello mi ha lanciato contro i lego!
Mentre mi massaggiavo la fronte nel punto in cui uno dei pezzi mi aveva colpito, mandai un misto di occhiate interrogative e incendiarie verso mia madre, che nel frattempo stava indicando il corridoio al ragazzo. Lo vidi scomparire dietro la porta di camera di mio fratello e mi tremarono le ginocchia così tanto che dovetti appoggiarmi al bracciolo del divano.
- Tess, mi dispiace. Avrei dovuto dirtelo prima, prepararti, ma non ce n'è stato il tempo.
Cinque anni prima mio padre e mio fratello Matt erano morti in un incidente stradale. Io e mia madre eravamo rimaste a prenderci cura l'una dell'altra finché mia madre non aveva conosciuto David. Uscivano insieme da circa un anno, era un tizio simpatico. Lo odiavo. Era un cardiologo, separato con due figli. Le sue cene a casa nostra da sporadiche erano diventate sempre più frequenti, finché non si erano attestate su due giorni fissi a settimana, quando non aveva il turno in ospedale; si fermava anche a dormire. Si dia il caso che molto spesso uno di questi giorni era il venerdì, perciò il sabato mattina me lo ritrovavo tra i piedi a colazione e dovevo rinunciare al nostro abituale muffin e cappuccino al bar, seguito da una passeggiata alla Starbooks. Mia madre mi aveva proposto di coinvolgere anche lui, ma io ero stata categorica, assolutamente no. Era una cosa nostra, lo facevo per Matt, perché era quello che facevamo tutti i sabato mattina, prima. Lui aveva cinque anni più di me, come tutti i ragazzi, era fissato con i videogiochi. La Starbooks, la grande libreria a tre piani in centro, aveva un reparto dedicato in cui si potevano provare, accanto al quale c'era quello di libri per bambini, il mio mondo. Mentre lui si metteva davanti ad una delle postazioni di prova, in una posizione strategica da cui mi poteva controllare, io vagavo tra le meraviglie negli scaffali di fronte.
Lo shock di vedere un altro ragazzo mettere piede nella camera di mio fratello era stato devastante. Quella porta da cinque anni si apriva solo per me. Mia madre non ce la faceva, avrebbe voluto chiuderla così com'era e gettare via la chiave, ma io ne avevo fatto il mio rifugio. Da cinque anni me ne occupavo io, la tenevo in ordine, la pulivo, ci facevo i compiti, ci strimpellavo la chitarra, ogni tanto ci restavo a dormire. La chitarra era di Matt. Aveva iniziato da poco a prendere lezioni prima che succedesse. Lo guardavo torcere le dita sul manico provando gli accordi, tirava fuori strani stridii e suoni stonati mentre io ridevo a crepapelle; si indispettiva e finivamo per prenderci a cuscinate.
No, non avrei permesso a nessun'altro di entrare in camera di Matt.
Mi raddrizzai e mi diressi decisa verso la stanza, quei due dovevano sloggiare. Guardai il ragazzo dritto negli occhi:
- Esci immediatamente di qui.
- Tess, per favore torna in salotto, fammi spiegare.
Mia madre mi tirò per un braccio cercando di trascinarmi indietro. Il bimbo era disteso sul letto e sembrava che stesse dormendo, mentre il ragazzo era seduto di fianco a lui e gli teneva una mano sulla spalla. Mi guardai intorno e quello che vidi mi fece infuriare ancora di più. A terra vicino alla scrivania c'era un valigia e uno zaino, e la seconda rete con materasso incassata sotto il letto di mio fratello era stata tirata fuori e preparata con lenzuola e coperte. Una seconda ondata di panico, rabbia, dolore mi invase. Non riuscivo a respirare e mi lasciai trascinare indietro da mia madre che mi riportò in salotto sul divano.
- Sono i figli di David. Ha avuto un'emergenza in ospedale. Lo terrà impegnato per tutto il fine settimana. I suoi figli sono da lui da qualche giorno perché la sua ex-moglie è all’estero per lavoro e torna Domenica. Non c'era nessun' altro che potesse occuparsene, così mi sono offerta di farli stare qui. Il piccolo si chiama Ben, ha sei anni e ha una forma di autismo, e l'altro è Jason, ha un anno più di te.
Forse ero solo un'egoista, ma anche se mi dispiaceva per quel bambino, non potevano stare nella camera di Matt.
- Tess per favore parla, dì qualcosa.
Alzai lo sguardo su mia madre.
- Possiamo mettere il secondo letto in salotto e l'altro ragazzo può dormire sul divano. O così o niente.
- Per me va bene.
Una voce alle mie spalle mi fece trasalire. Il ragazzo era in piedi con le mani in tasca e mi guardava dritto negli occhi con un' espressione strana, un misto tra serio e beffardo.
- No, non preoccuparti Jason. Starete in camera di Matt. Tess, per favore, cerca di capire... Tess.
Non potevo farcela a restare lì, mi alzai e andai in camera mia chiudendo la porta a chiave. Rimasi sdraiata sul letto per tutto il pomeriggio e non uscii nemmeno per cena, nonostante mia madre fosse venuta più volte a bussare e ad implorarmi di uscire o di permetterle almeno di passarmi un toast. Mi feci tartassare le orecchie dagli AC/DC fino a quando, a notte inoltrata, spensi il lettore mp3 e chiusi gli occhi.
La mattina dopo fui svegliata dalla musica e pensai di aver dimenticato l'mp3 acceso. Era un bellissimo assolo di chitarra, e mi chiesi se stessi ancora sognando perché non lo riconoscevo, come poteva arrivare dal mio lettore? Mentre riprendevo coscienza un nuovo orrore mi serrò lo stomaco. La musica proveniva da fuori la mia porta. La chitarra di Matt. Uscii dalla stanza come una furia e mi avventai nell'altra strappandogliela di mano.
- Non permetterti mai più di toccare la roba di mio fratello.
Gli avevo ringhiato contro a denti stretti, incenerendolo con lo sguardo perché, pur fuori di me dalla rabbia, mi ero accorta che il bimbo dormiva ancora. Stringeva tra le mani i lego che, evidentemente, erano stati rimontati a formare di nuovo quella specie di trenino.
- Buongiorno principessa. Vedo che siamo gentili anche la mattina presto.
Quella faccia di c.. bronzo mi stava pure prendendo in giro. Mi voltai dirigendomi di nuovo verso camera mia portandomi dietro la chitarra. L'adagiai delicatamente a terra contro la parete e andai in bagno.
L'immagine della mia faccia allo specchio era un disastro: cerchi neri intorno agli occhi, capelli arruffati, guance rosse. Oddio, mi aveva vista in pigiama! Fu tutto quello che riuscii a pensare. Mi feci una doccia, mi lavai i denti e mi asciugai i capelli. Accidenti, non avevo portato con me i vestiti e non potevo certo uscire in accappatoio, perciò non mi restava altra scelta che rimettermi il pigiama. Mentre uscivo dal bagno mi chiesi dove fosse mia madre, in camera sua il letto era fatto e non sentivo rumori in cucina. Passai a tutta velocità davanti alla porta aperta di camera di Matt e uscii fuori il balcone del salone. Era una bella giornata, l'aria frizzante, il cielo striato da qualche cirro qua e là. Anche lui era in pigiama, con i capelli spettinati e le braccia intorno alla chitarra di Matt e... due occhi di un azzurro intenso. Mi resi conto in quell'istante che quell'immagine non avrebbe lasciato i miei pensieri per un po'. Il guaio era che non ero del tutto sicura che fosse proprio una brutta immagine. La porta nell'ingresso che sbatteva mi riscosse e tornai dentro, mia madre stava entrando con le mani piene di buste della spesa.
- Non stare li imbambolata, aiutami.
- Dia a me.
- Oh, grazie Jason.
Mia madre era entrata con diverse buste della spesa e Jason (ancora in pigiama. Ahia!) era accorso a liberarla da alcuni sacchetti. Che ci faceva lui lì in piedi nel salone? Dalla porta lasciata aperta vidi che c'erano altre cose fuori dall'ingresso, così mi affrettai ad uscire per prenderle. Non appena mi voltai mi trovai di fronte il bambino. Era dritto in piedi in mezzo al portone e mi guardava fisso.
- Ehm, ciao. M-mi fai entrare per favore?
Continuava a guardarmi fisso senza accennare a muoversi. Ricordai quello che era successo il giorno prima e quello che aveva detto mia madre così ebbi paura di farmi avanti. Valutai che non poteva lanciarmi contro niente, ma poteva sempre mettersi ad urlare.
- Mi lasceresti entrare, per favore.
Provai di nuovo. Poi lo sguardo mi cadde sulle arance che erano in un sacchetto, dell'esatto colore dei suoi lego. Senza sapere bene perché, ne presi una e gliela porsi. Ecco, che mossa idiota, gli avevo appena dato qualcosa da lanciarmi contro. Inaspettatamente invece indietreggiò e corse via portandosi dietro l'arancia.
Dalla porta fece capolino suo fratello.
- Servono un paio di braccia muscolose?
Senza attendere risposta, raccolse alcune buste e una cassa d'acqua. Aveva arrotolato le maniche del pigiama fino a sopra il gomito e sui suoi avambracci si evidenziarono delle vene quando i muscoli si tesero. Mi aveva lasciato solo il sacchetto con le arance, così lo raccolsi ed lo seguii dentro chiudendomi il portone alle spalle.
- Ragazzi siete ancora in pigiama. Che ne dite di andare a fare colazione al bar?
- Io non posso mamma, mi dispiace, devo vedermi con Melanie tra... Oddio, tra mezz'ora!
Filai in camera mia a cambiarmi. Mi brontolava lo stomaco dalla fame e non avevo nessun appuntamento con Melanie. Le mandai un messaggio: 'tra mezz'ora da Starbooks'.
Non aspettai la risposta, mi vestii più velocemente di quanto avessi mai fatto in vita mia, promisi a mia madre di tornare per pranzo e uscii. Un'ora dopo ricevetti un messaggio da Melanie che diceva che si era appena svegliata e che mi avrebbe raggiunto il prima possibile. Merda!
Avevo preso un muffin e un succo ed ero entrata da Starbooks in esattamente ventotto minuti e qualche secondo. Dopo dieci minuti passati fuori ad aspettare Melanie o un suo messaggio, avevo provato a chiamarla e mi aveva risposto la segreteria, così ero entrata. Il resto del tempo l'avevo passato a provare diversi videogiochi nella postazione di Matt.
Non me la stavo cavando troppo bene. Il mio personaggio cadeva spesso nei burroni, schiacciato da incudini, preso a calci da omoni pieni di muscoli, trafitto da scimitarre o avvelenato da bava di zombie, mentre immagini di capelli scompigliati, maniche di pigiama arrotolate e la parola 'muscolose' mi vorticavano nella testa.
- Che hai fatto alla testa?
Oddio, mi legge nel pensiero? Melanie mi fissava con aria preoccupata e io le restituii uno sguardo sbigottito.
- Prooonto, Tess, ci sei?
Mi sventolò una mano davanti alla faccia. Poi indicò un punto sulla sua fronte. Ah, quello! Mi toccai la fronte a mia volta; si era fermato un piccolo bozzo violaceo dove il lego mi aveva colpito. Quel bambino aveva un certa forza nel lancio.
Le raccontai velocemente quello che era successo dal mio ritorno da scuola il giorno prima.
- Cavoli, Tess, quando me lo fai conoscere?
- Che? Vuoi conoscere il bambino?
- Ma no, scema, il fratello. Sembra.. interessante.
- E' solo un presuntuoso arrogante che non si fa gli affari suoi.
- Ah, sì. Da quello che mi hai detto sembra uno strafigo da paura. E poi è dolce.
- Dooolce? Mi spieghi come fai a dire questo dopo quello che ti ho detto? Ha invaso la stanza di Matt senza nessun riguardo, ha toccato la sua chitarra!
- Sì, però suona bene. E si prende cura del fratellino. E' dolce.
- Oh mamma, Melanie, hai un vero talento per stravolgere il senso di un discorso. Ma come fai?
- Se proprio vogliamo parlare di qualcosa di stravolto credo che dovresti...
Ma non seppi mai quello che avrei dovuto fare perché mi squillò il cellulare. Era mia madre: risposi, ascoltai e dopo dieci secondi riattaccai.
- Melanie, scusami tanto ma devo tornare a casa, subito. Ti chiamo più tardi.
Mi avviai di corsa verso casa. Ben era scomparso. L'avevano lasciato a giocare con il trenino sul tappeto mentre mamma era in cucina a preparare il pranzo e Jason faceva una doccia. Quando era uscito dal bagno aveva trovato il portone aperto e lui non c'era più. Jason si era precipitato fuori a cercarlo, ma qualcuno doveva restare a casa nel caso tornasse, così mi madre era rimasta lì. Quando arrivai era sconvolta e in preda al panico; non sapeva se chiamare il padre o la polizia. Cercai di calmarla dicendole che lo avremmo sicuramente trovato presto e uscii anch'io. Controllai prima all'interno del palazzo, ai piani superiori, sul terrazzo e giù nel parcheggio sotterraneo. Poi mi incamminai lungo il marciapiede guardando dentro a tutti i negozi e chiedendo alla gente per strada, ma nessuno sembrava averlo visto. Dopo poco più di mezz'ora passai davanti al parco e sentii gridare il suo nome. Seguii la voce e vidi Jason, il volto trasfigurato dalla paura.
- Ho guardato dappertutto nel parco. Non c'è.
- Siete mai stati in questa zona? C'è qualche posto che può conoscere?
Scosse la testa.
- Non l'aveva mai fatto prima, mai. Non era mai scappato. Era tranquillo stamattina, aveva mangiato l'arancia che gli hai dato. Non voleva..
- Un momento, arancia? Vieni con me.
Lo presi per un braccio e lo strattonai di corsa dietro di me. Ci addentrammo nel parco fino ad un muro di cespugli che separavano il prato dalla villa che ospitava un museo e alcuni uffici del comune. Mi infilai in uno stretto varco tra le siepi e girai intorno all'edificio. Sul retro c'erano due cilindri di cemento cavi, grandi e lunghi, posti uno di fianco all'altro come due alberi caduti. Io e Matt ci giocavamo quando eravamo piccoli e la mamma ci portava a trovare papà in ufficio, era uno dei curatori del museo.
I due cilindri erano arancioni.
(continua sotto)