Miglior traduzione/edizione di Ulisse

bonadext

Ananke
Il dilemma è semplice, ci sono tre edizioni con tre diverse traduzioni dell'Ulisse di Joyce. Escludendo quella dell'Einaudi tradotta da Celati che tutti sconsigliano, non so quale delle altre due prendere...

Meglio questa recente (sembra che sia più scorrevole):
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traduzione di Enrico Terrinoni e Carlo Bigazzi per Newton Compton (2012)

O questa classica (sembra che sia più ostica):
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traduzione di Giulio De Angelis (1960) per Mondadori
 
Sinceramente non ti so dare una risposta riguardo al libro in questione, ma ti dico soltanto che io ho un pessimo rapporto con le edizioni mammut, ricordo delle bestialità per quanto riguarda la traduzione (Ricordo un peccato mortale di traduzione riportato in un libro: Alessandro Dumas :W:W:W:W:W)
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Curiosità

Vai con De Angelis e sei tranquillo. Comunque neanche il Joyciano Terrinoni dicono abbia fatto un brutto lavoro, anzi.
Quella di Celati ha anche errori nei tempi dei verbi. Ma quale musicalità!
Non puoi tradurre con 10 dizionari accanto. O conosci la lingua di partenza o non incominci nemmeno. A me Celati non dice niente nemmeno come scrittore...
:boh:

Nei sette anni della sua gestazione questa nuova traduzione dell’Ulisse è diventata essa stessa una specie di leggenda. Interrotta molte volte per le cause più diverse, Celati l’ha ripresa in mano ogni volta caparbiamente, ricominciata, rifatta, migliorata. Ci sono stati problemi di salute che hanno messo a dura prova Celati e che, in certi momenti, lo hanno fatto disperare di poter portare a termine l’impresa. Ma forse il più alto rischio di interruzione definitiva del lavoro si è avuto quando Celati ha smarrito il suo computer portatile su un treno e lo ha poi inseguito tramite tutti gli uffici delle ferrovie internazionali, senza più riuscire a recuperarlo. Non aveva fatto alcun back-up e con quel computer spariva tutta la prima revisione di circa metà romanzo. Come in un gioco dell’oca, si tornava al punto di partenza, cioè alla prima stesura della traduzione fatta alcuni anni prima. Ma dopo un periodo di sconforto, incoraggiato dalla moglie, dagli amici e dalla casa editrice, Celati tornava al lavoro e ricostruiva pezzo per pezzo le soluzioni smarrite o, in molti casi, ne trovava altre forse migliori. Quasi come Dino Campana dopo che Ardengo Soffici gli aveva perso l’unico manoscritto dei Canti orfici. Inutile dire che adesso Celati ha imparato a salvare tutto quello che scrive e fa back-up anche delle liste della spesa.
Dunque la traduzione di Celati dell’Ulisse è stata più volte annunciata e molto attesa (il domenicale del Sole 24 Ore le ha già dedicato anticipazioni e articoli durante tutta la scorsa estate; Il Foglio ne ha fatto quasi un numero monografico dedicandogli otto pagine in un colpo solo). Ora finalmente il lettore può apprezzare il lavoro che Celati ha dedicato al capolavoro joyciano. Un lavoro eminentemente da scrittore, e non perché quella di Celati sia una traduzione infedele, ma perché rispetto alla pura trasposizione semantica privilegia il flusso sonoro, fondamentale per Joyce nonostante il suo famoso monologo sia “interiore”: l’oralità e addirittura la cantabilità, al di là della trama intellettuale che spesso ha fatto disperare i critici, fanno di questa lingua soprattutto una potente e suggestiva “macchina musicale”. E nessuno poteva rendere questi aspetti dell’Ulisse meglio di Celati, scrittore che proprio sulla musica e i flussi sonori ha composto, come una partitura jazz, tutti i suoi libri più importanti. Dunque la traduzione di Celati si inscrive perfettamente nella antica linea einaudiana di “scrittori tradotti da scrittori”: un’intuizione e una passione editoriale di Giulio Einaudi, che fin dagli anni Trenta si era speso perché dall’incontro di due scrittori e due lingue nascessero dei corto circuiti espressivi che andassero oltre la professionalità della traduzione.Per il lettore è l’occasione irripetibile di rileggere (o leggere) il capolavoro di Joyce in modo nuovo, assolutamente non punitivo ma divertente e gioioso. Probabilmente come Joyce avrebbe voluto che fosse letto.
 
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c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Questo invece è un articolo più esplicito...

«Stately, plump Buck Mulligan came from the stairhead, bearing a bowl of lather on which a mirror and a razor lay crossed» recita il famoso incipit dell'«Ulisse», il romanzo che James Joyce scrisse tra il 1914 e il 1921 a Trieste, Zurigo e Parigi. Nella traduzione di Giulio de Angelis del 1960 si leggeva: «Solenne e paffuto, Buck Mulligan comparve dall'alto delle scale portando un bacile di schiuma» mentre in quella più recente di Enrico Terrinoni abbiamo: «Statuario, il pingue Buck Mulligan spuntò in cima alle scale, con in mano una ciotola di schiuma». Nella sua nuova versione, Gianni Celati propone: «Imponente e grassoccio, Buck Mulligan stava sbucando dal caposcala con in mano una tazza piena di schiuma)».

Grassoccio? Sbucando? Caposcala? Una tazza piena? Brutti segnali che fanno temere una partenza col piede sbagliato... Grassoccio: (oltre a essere cacofonico) distrae dall'allusione shakespeariana al pingue Falstaff. Sbucando: l'uso del gerundio è opinabile, Joyce non usa “coming”, ma il passato “came”. Caposcala: si pensa subito al condominio, ma qui si tratta dell'ascesa dei gradini di un immaginario altare rappresentato dalla piazzola della Torre Martello dove Mulligan inscena un'irriverente parodia della messa. Quella che ha in mano non è una tazza piena, ma una “bowl”, una ciotola con l'occorrente per farsi la barba, ma anche calice e più avanti simbolo di malattia e morte.

Inoltrandosi nella lettura, ci si imbatte poi in svariate incomprensioni del testo, in alcuni casi non è chiaro al traduttore il soggetto della frase, sono errate talune citazioni, a volte non è corretta la toponomastica, e l'utilizzo di sinonimi, termini arcaici o desueti è a dir poco ossessivo.
È un miracolo che, nonostante Celati abbia fatto di tutto per rendere il testo di Joyce molto più oscuro di quanto non sia, alla fine l'autore dell'Ulisse esca comunque vincitore dallo scontro.
Delusione tra i joyciani, come Enrico Terrinoni che aveva dichiarato di aspettarsi da parte di un grande scrittore come Gianni Celati «che con la sua arte avrebbe fornito scelte creative e illuminanti per i lettori di Joyce». Anche a John McCourt, autore di “Gli anni di Bloom”, questa traduzione dell'Ulisse appare un'occasione mancata: «Abbiamo aspettato con grande entusiasmo l'uscita di questo lavoro, - ha dichiarato McCourt - nella speranza che un uomo di cultura del calibro di Celati avrebbe trovato il modo di trasmettere il complesso, sinfonico romanzo di Joyce ad un nuovo pubblico italiano. Invece, questa traduzione nasce già vecchia, già datata e rende più difficile e a volte incomprensibile il testo originale. Mentre la lingua di Joyce risulta ancor oggi fresca, vivace, divertente, mai banale, scritta in un inglese corrente, contemporaneo, l'italiano toscaneggiante di Celati appare invece da subito falso e stonato».
Certo, in alcuni episodi del romanzo Joyce si fa gioco degli stili letterari del passato, e in alcune pagine utilizza un linguaggio particolare, ma è un espediente occasionale per ottenere una più articolata sonorità del testo. Il “musicale” birignao dantesco della traduzione di Celati rende monocorde quello che è invece un testo polifonico. La scrittura dell'Ulisse fu molto influenzata dalla permanenza di Joyce nella cosmopolita e plurilinguistica Trieste d'inizio '900 e - dovendo proprio scegliere un bacino linguistico di riferimento - si doveva forse guardare più a quella sua “bella Trieste” che non alla Toscana dell'amico Francini Bruni (come ha dimostrato l'illuminate performance all'Orto Lapidario curata da Laura Pelaschiar e Maurizio Zacchigna in occasione del Bloomsday 2012).
«Mi sembra un passo indietro rispetto alla storica traduzione di de Angelis, che, pur non disponeva delle conoscenze che abbiamo oggi sull'opera di Joyce. Credo che Celati abbia fatto un grande errore – commenta John McCourt – a non utilizzare il materiale esplicativo uscito in questi anni. In un intervista al “Corriere della Sera” ha detto d'aver comprato una ventina di dizionari; avrebbe fatto meglio a comprare qualche guida annotata alla lettura in più, perché tradurre Joyce è soprattutto un paziente e umile lavoro di ricerca».
Qui, ad aver bisogno di vocabolari e dizionari di sinonimi è invece il lettore, che deve districarsi tra termini come: baito, sbiellarsi, sbiluciando, fruscoli, mòcchela, ambio, popone, mabrucca, gargagna, piola, far flanella, sguillar, entragne, balosa, baldente, polleggiare etc. La traduzione di Celati, priva di note esplicative, pone anche problemi di riconoscimento delle così dette “parole stampella” che hanno spesso più significati, e di cui Joyce ha disseminato il testo. Individuarle è importante per la comprensione del romanzo. Queste parole chiave, inopinatamente mascherate dai sinonimi di Celati, rischiano di diventare irriconoscibili, lasciando il lettore senza di punti di riferimento.
«Anziché tentare di rendersi invisibile, cosa che dovrebbe fare ogni traduttore, Celati si mette in mostra dovunque nel testo, - lamenta McCourt - ad esempio, quando Joyce cita autori famosi, come Yeats o d'Aquino, il traduttore dovrebbe ricorrere a traduzioni canoniche e, se la citazione fosse ripetuta più volte (come la poesia Who goes with Fergus di Yeats), dovrebbe usare sempre la stessa versione. Invece Celati cambia versione come cambia modo di tradurre varie parole e frasi ricorrenti. Nell'Ulisse il significato si trova proprio in questi echi, un aspetto importante che, mi pare, non ha riscontro nella nuova traduzione. A volte Celati sembra non aver capito l'originale (e ogni tanto può accadere), ma è grave che non abbia capito, nel profondo, Joyce. Quando afferma “Tutto il libro è fatto di parole per ridere, non ce n'è una seria”, dimostra di non aver colto che nell'Ulisse la comicità (che la traduzione di Terrinoni coglie bene) fa parte di un intento di Joyce molto più serio e ambizioso che, a prima vista, sembra essere sfuggito al traduttore».

L'Ulisse, scrive Celati nella sua prefazione, è «un lungo chiacchierare con se stessi» in compagnia del “canto continuo” dell'uomo qualunque Leopold Bloom. Peccato che non ci lasci condividere un commovente momento d'abbandono di questo anti-eroe quando, all'inizio dell'episodio “Sirene”, confessa di sentirsi triste e solo. Perché nella versione di Celati a sentirsi triste e sola è la Rosa di Castiglia, protagonista di un'opera lirica di M. W. Balfe.
 

bonadext

Ananke
Mi sa che prendo l'edizione "morbidosa" della Newton (minimammuth) :mrgreen: Anche perchè oggi ho provato a sfogliarla e sembra perfetta, ci sono le note al testo in fondo al libro, il formato è comodo, le pagine sono chiare e i caratteri non sono microscopici, l'introduzione spiega il lavoro svolto da Terrinoni in rapporto alla traduzione di De Angelis. Insomma ho voglia di leggere una traduzione moderna e più scorrevole della classica, e costa solo 3 euro (non capisco come fa a costar così poco! :OO)... poi ho la sensazione che con la traduzione di Terrinoni non sia una lettura così difficile come fanno credere (quasi) tutti :?? :)
 

grantortino

New member
Salve a tutti.
Mi chiamo Andrea.
So che sono passati parecchi anni dall'ultimo messaggio. Ma il vostro topic mi aveva incuriosito. Difatti su youtube io sto cercando di fare qualcosa di attinente, ovvero proporre delle letture commentate dell'Ulisse, confrontandone anche le traduzioni col testo originale. Sa se volete provare a dare un'occhiata al canale, basta cercare su youtube RITRATTO DI ULISSE.
Spero possa tornarvi utile o incontrare il vostro interesse.
Altrimenti, vi ringrazio comunque dell'attenzione.
Per ora un saluto.
 
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