Mo Yan

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Mo Yan è uno scrittore molto lontano. I suoi romanzi sono ambientati nella Cina rurale, una Cina praticamente impossibile da raggiungere. Forse, in qualche modo, la si può raggiungere con i piedi, ma mai con la testa.

La Cina è due cose: anzitutto Pechino e poi tutto il resto. E Mo Yan decide di raccontarci quel gigantesco “tutto il resto” attraverso le sue opere godibilissime.


“Le rane” è un libro straordinario. Un libro che fa denuncia, nei modi e nei tempi giusti per evitare le censure di regime. E anche il “Paese dell’alcol” lo è. Entrambi sono romanzi estremi; il primo per il suo verismo quasi doloroso, il secondo per il suo senso allegorico fuori dal tempo. Un senso allegorico tanto estremo dal punto di vista contenutistico, quanto bilanciato nella forma. Nel “Paese dell’alcol” i comunisti mangiano i bambini. Ma non per modo di dire. Li cucinano e li preparano con salse deliziose,lo fanno per davvero. Ed è tutto normale, giusto, condivisibile.

Dunque Mo Yan è un dissidente? Forse. O forse no.

Io credo di si, ma è anche un furbetto che è riuscito ad eliminare dal suo vocabolario il fuoco degli arrabbiati. Si nasconde per non essere troppo inviso a quella comunità letteraria che, nel 2012 gli ha fatto dono del premio più ambito che ci sia. Ieri non era bene essere nemici della Cina. Il governo poteva aversene a male. Anche oggi non è bene essere nemici della Cina. La differenza è che potrebbero aversene a male finanzieri e ricconi di tutto il mondo.

Mi ha dato l’idea di essere un abile equilibrista. La Cina non è più quel paese autarchico e fortemente ideologizzato di qualche decennio fa. Un paese, magistralmente raccontato in “Le rane”, in cui la parola di Mao era legge soverchiante. Se Mao parlava, il cuore taceva. Le leggi del partito erano fatte per il bene supremo, quello della collettività. Di conseguenza i principi morali andavano eliminati. Se Mao diceva che i figli non si dovevano più fare, allora i neonati si potevano anche uccidere, in nome dello Stato e della Cina del futuro. Mao Tse Tung era Dio e quando Dio comanda, Abramo impugna il coltello senza esitazione alcuna.


La Cina era comunista, statalista, difensiva, chiusa, grezza, ignorante. Oggi è l’esatto contrario, anche se la bandiera è sempre la stessa. Valla a capire, la Cina. Un paese che ospita un abitante su quattro dell’intera popolazione mondiale. Tra i quali il 90% utilizza ancora il giogo e i buoi per arare. Ma si parla sempre del restante 5 o 10%. Persone fondamentaliste, arriviste e senza scrupoli. Pronti a conquistare il mondo attraverso il sacrificio di sé stessi e un’abnegazione al lavoro mai vista. Un’idea totalizzante, soverchiante, che uccide l’anima di ognuno. Perché lo Stato se ne frega dell’individuo.

In fondo l’Asia ha inventato il Buddismo, una religione in cui la speranza ultima del singolo è annegare nel mare magnum del tutto. Quella cinese è una filosofia profondamente diversa dalla nostra. E Mo Yan, l’equilibrista, può tornare utile per comprenderne qualcosa. Per captare qualche pezzetto di “cinesità”. Ma va letto tra le righe, perché è uno scrittore cittadino, è “uno di Pechino”, uno “di mondo”, che però ci racconta della Cina agraria, di cui nessuno parla.
 
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elisa

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ho modificato il titolo mettendo il nome così come lo leggiamo, lo facciamo solo per gli autori cinesi e coreani, altrimenti ci sono delle difficoltà nel catalogarli.
 
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