Sebald, W. G. - Gli emigrati

bouvard

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Gli emigrati paga lo scotto di averlo letto dopo aver letto Austerlitz. Infatti mentre lo leggevo non riuscivo a non fare un confronto con l’altro libro. Cosa sbagliata e soprattutto scorretta. Ogni libro è infatti una storia a sé, ha la sua trama, il suo messaggio, le sue peculiarità, è solo quel libro, non è qualcosa in più o in meno di un altro libro dello stesso autore. In Austerlitz, scritto dopo, c’è molto di questo libro, ma negli Emigrati non c’è, e non ci dev’essere niente in meno di Austerlitz. Perché quello che non c’è semplicemente non c’era ancora nella crescita di Sebald, perciò non è “mancanza” è solo preparazione a Austerlitz. Gli emigrati è un libro sull’oblio e sulla mancanza di memoria. Sull’impossibilità da una parte di dimenticare (da parte ebrea) e sulla incapacità dall’altra parte di ricordare (da parte tedesca). Ho trovato nelle accuse di Sebald ai tedeschi una ripresa, ed un’ulteriore rafforzamento di quelle che anni prima erano state le accuse di H. Boll. I tedeschi infatti per questi due autori sono stati abili, dopo la guerra, nel gettare un colpo di spugna sulle loro responsabilità, nel dimenticare i propri atti o comunque gli atti che non avevano ostacolato, e a rifarsi velocemente un’innocenza, o come dice Sebald in questo libro “una verginità”. Ma può capitare che qualcuno quelle responsabilità se le assuma, anche se all’epoca dei fatti era a malapena nato. Le storie di questi quattro emigrati infatti si incrociano con la storia del quinto, quello che non riesce più a vivere fra quella gente “smemorata”. E allora ecco che “l’emigrato tedesco” dà voce agli emigrati ebrei perché non vengano dimenticati.
 

ayuthaya

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Non posso commentare questo libro, il mio primo di Sebald, senza fare riferimento alla felice intuizione di Bouvard, che vede nella difficoltà da parte degli ebrei di “cancellare” il proprio passato il contraltare della “facilità” con cui i tedeschi, all’indomani della seconda guerra mondiale, hanno fatto altrettanto. Non si può che partire da qui per comprendere quest’opera: se un’intera generazione tedesca è riuscita a voltare pagina quasi come se niente fosse, altrettanto non sono riusciti a fare gli emigrati protagonisti di questo libro, e nemmeno lo stesso Sebald, che, dopo averli conosciuti uno per uno (in circostanze e a profondità diverse, ma in modo da lasciare comunque il segno), sente nascere dentro di sè il “dovere morale” di ricostruire quella stessa vita che ognuno di essi aveva cercato di far sprofondare nell’oblio, senza peraltro riuscirvi.
In quest’opera, che si compone di “memoria” e di “memorie”, vi è un continuo oscillare fra il tentativo di dimenticare e quello di ricordare, fra ciò che coscientemente l’uomo cerca di fare (voltare pagina, ricominciare da zero, dimenticare l’orrore e la paura) e ciò che inevitabilmente e indelebilmente gli si imprime dentro, come un marchio o una condanna. Forse è vero che restiamo “prigionieri” del nostro passato – non solo quello che ci riguarda individualmente, ma anche quello della nostra famiglia, della nostra terra – fino a quando non impariamo ad accoglierlo dentro noi stessi, per quanto brutto, per quanto doloroso.
E allora sembra quasi che ciò che non sono riusciti a fare i protagonisti delle storie raccontate da Sebald, decida di farlo egli stesso per loro: come dono, e come monito per noi. In un’epoca, come quella attuale, in cui tutto muta talmente rapidamente che il “passato” quasi non esiste più (o se non altro assume un significato molto diverso da quello che aveva per i nostri avi) , credo che questo libro e questo messaggio, anche al di là della tragedia dell’Olocausto, che pure è imprescindibile per la sua comprensione, siano di fondamentale importanza.
Il modo in cui le storie vengono narrate l’ho trovato di grande sensibilità e delicatezza. Racconto dopo racconto, il livello di “approfondimento” (che trova riscontro nella lunghezza sempre maggiore) cresce e si ha l’impressione di percorrere una spirale che scende in profondità, senza mai arrivare a pronunciare alcuna sentenza. La sola memoria basta: è quella che deve sopravvivere, a volte alla vita stessa.
 
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elisa

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Gli emigrati fuggono dal proprio destino ma non riescono a trovare nulla che li possa far sentire a casa nel luogo dove si sono rifugiati. Sfuggono ma non da sé e allora l'estremo gesto diventa significativo e liberatorio, questo sì. Quattro storie raccontate tra realtà e immaginazione, non in modo lineare ma sempre con lo stile di Sebald con le sue digressioni e le foto che alternano i paragrafi, dando alla realtà una complessità che forse è reale o forse è solo nella rilettura che diventa reale.
 
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