Steinbeck, John - La luna è tramontata

malafi

Well-known member
L'insopprimibile anelito alla libertà, la volontà di un popolo pacifico e fiero di non lasciarsi asservire dal nemico. È questo il tema de "La luna è tramontata", uno dei libri più amati di Steinbeck, scritto nel 1942, durante una delle fasi più cupe della Seconda guerra mondiale. Traendo spunto da un episodio della resistenza norvegese contro l'invasione nazista, questo romanzo è la storia di gente semplice, abituata a fare i conti con sentimenti umili ed eterni: l'amore, l'odio, il senso della responsabilità e della dignità. Un'opera limpida e priva di retorica che trascende la cronaca per rendere omaggio al coraggio di un pugno di uomini normali destinati dalle circostanze a diventare eroi per proteggere le proprie tradizioni democratiche.

Romanzo minore di Steinbeck, prova ne sia che non era ancora stato recensito.
Molto diverso da altri letti, non tanto per il tema (lui è stato anche uno scrittore di guerra) quanto per il pathos.
Pathos che non c'è, a differenza di tanti altri suoi romanzi.
E' una cronaca lenta, distaccata e senza tempo, dove le cose sembrano accadere per una fatalità, per un destino segnato che non poteva non indirizzarsi in quella direzione.

Eppure l'ho trovato bellissimo.
Quasi surreale in alcune sue parti, tanto le cose accadono in modo stanco ....
La sua bellezza sta proprio nell'aver saputo rappresentare molto bene questo sentimento generato nel popolo di questa cittadina dall'occupazione tedesca. Un'occupazione gentile, almeno all'inizio: on pare neppure di essere in guerra, ma di essere su un fronte lontanissimo all'estremo più lontano dove le cose accadono per inerzia.
E l'atteggiamento dei cittadini passa dall'iniziale sbigottimento ad una graduale ribellione, fatta anche di fatti di sangue, ma raccontata come si parlasse d'altro. Sempre in modo distaccato.

Sono però convinto che sia un gradino sotto ad altri romanzi di Steinbeck e che possa non piacere, anche se per me vale 4/5
 

Spilla

Well-known member
Spoiler? Boh...

Solo una recensione?! Per questo libro?? :paura:

Io l'ho trovato magnifico. Il riferimento esplicito a Socrate per rappresentare chi è, intimamente, libero, e non può sottostare ad un pensiero unico ed uniforme, il confronto privo di livore tra il sindaco "rappresentante" della comunità e il colonnello "obbediente" all'autorità (indistinguibili nel comune ragionare e apprezzare l'essere umano) è altissima Letteratura.
Leggetelo, se ancora non l'avete fatto!
 

qweedy

Well-known member
Non sarà l'opera più rappresentativa di Steinbeck, ma questo racconto pubblicato nel 1942 mi è piaciuto moltissimo. E' un inno al bisogno di libertà universale, anche a costo della vita, è più un messaggio morale che politico. Straordinarie nella loro semplicità le due figure principali, il sindaco Orden e il Colonnello Lanser. Entrambi rispettano un personale codice d’onore: il sindaco consapevole di essere il riferimento dei propri concittadini, il colonnello dibattuto tra l'assurdità degli ordini ricevuti e la propria coscienza/intelligenza, entrambi consapevoli di dover fare fino in fondo la propria parte.

Un piccolo paese viene occupato dagli oppressori con un vero e proprio blitz e con l’aiuto di un traditore, quello che tutti i cittadini fino ad allora consideravano un autentico benefattore. Colti di sorpresa, provano un generale disorientamento, una sorta di annichilimento della volontà e, soprattutto, della propria identità, ma poi la dignità di essere uomini ancora liberi emerge e ha inizio una guerriglia non solo bellica in senso stretto, ma anche psicologica nei confronti degli invasori che poco a poco si scoprono non macchine da guerra, ma uomini, con le loro debolezze e le loro paure.
Non ci sono nè buoni nè cattivi, anche i vincitori si trasformano in vinti e non sono altro che pedine in un gioco più grande di loro, da cattivi diventano poveri diavoli.

Pensato inizialmente come un'opera di propaganda americana, mette in evidenza gli effetti dell'invasione di un esercito straniero in un paese a cui non è stata nemmeno dichiarata guerra. Da sottolineare le stroncature che ricevette dai giornalisti ebraici, che ritennero che Steinbeck avesse ritratto gli aggressori in modo fin troppo benevolo.

Il titolo del libro proviene dal Macbeth di Shakespeare, quando Banquo chiede al figlio, Fliance, com'è la notte, questi risponde: «The moon is down; I have not heard the clock»
 

ayuthaya

Moderator
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Ho letto alcuni commenti talmente negativi su questo libro, paragonato ad altri capolavori di Steinbeck, che sebbene non sia una che si fa intimorire, non sapevo davvero cosa aspettarmi... tanto più che ho preso questo libro totalmente “a caso”, ovvero affidandomi solo al nome dell’autore che ho ritenuto sufficiente garanzia.
Fortuna che poi ho letto anche i vostri commenti... e così ho iniziato, molto più a cuor leggero, la lettura di questo racconto sull’occupazione di una cittadina presumibilmente scandinava da parte di un esercito, presumibilmente quello nazista. Uso tale avverbio perché in realtà non ci è fornito alcun dettaglio storico o geografico da cui dedurre una corrispondenza certa, se non quel continuo riferimento al “Capo” che altri non può essere che il Fuhrer.
Il primo capitolo, quasi a rincuorarmi e insieme rimproverarmi delle mie perplessità, l’ho trovato strepitoso. Un’atmosfera talmente sospesa da sembrare surreale e la percezione chiara di una sottile ironia che grava come una nebbia: ironia nei confronti degli invasori, talmente ingenui da credere di aver vinto un popolo come si vincerebbe una partita in un gioco in scatola; verso il traditore, candidamente convinto che tutto si sarebbe svolto nel migliore dei modi, in perfetta “docilità”, e che per questo lui stesso, totalmente al sicuro, dovesse meritarsi la sua “ricompensa”; ironia palpabile anche nei confronti del sindaco, il quale sembra più preoccupato di mostrarsi ospitale che non di essere stato sconfitto, e i cui dubbi sulla certezza di un’effettiva capitolazione sono talmente timidi da non ispirare molta fiducia…
Il primo confronto fra i rispettivi “capi” dei due fronti, il colonnello e il sindaco, l’ho trovato geniale nella sua limpidezza. Quello che salta agli occhi è che i due personaggi parlano un linguaggio completamente diverso e che per questo motivo non riescono a capirsi: nonostante le apparenze, nessuno dei due è stupido né ingenuo, anzi (ne avremo la conferma proseguendo la lettura), ma l’uno e l’altro sembrano esterrefatti di fronte alla mancanza di comprensione del proprio interlocutore. Da una parte il linguaggio della dittatura, della gerarchia, della cieca obbedienza ("ma voi siete l'autorità"); dall’altro il linguaggio della democrazia, per la quale il sindaco non è un “capo” ma un rappresentante del popolo, che a differenza del grande “Capo” non ha poteri sui suoi “sottoposti” se non quelli che – il popolo, non i “sottoposti” – gli ha conferito pro tempore ("il mio popolo non ama che altri pensi per lui"). Da qui una profonda incomunicabilità.
Eppure una cosa accomuna questi due personaggi, che ho trovato ugualmente affascinanti: l’esperienza. Ed è stata l’esperienza a insegnar loro che la realtà è diversa da quella che, soprattutto l’invasore, presunto “vincitore”, si aspetterebbe: vani sono i sogni di gloria del giovane sottotenente Prackle, idealista e romantico; vano il disperato tentativo di Tonder di pretendere umano affetto da colei la cui umanità è stata schiacciata; vana è la cieca fiducia nella disciplina militare del capitano Loft...
Tutto questo il colonnello lo sa bene, solo lui “sapeva che cosa sia realmente la guerra”, ma altrettanto bene sa che non può fare altro che obbedire alle sue stupide leggi, per le quali a un attentato seguirà una repressione, e a questa repressione un altro attentato, e così via, in una spirale sempre più devastante. “E avvenne che il conquistatore fu assediato (...), che i conquistatori finirono con l’avere paura dei conquistati e i loro nervi erano sempre più tesi, e di notte sparavano contro le ombre.

In fin dei conti questo breve e toccante romanzo racconta la lenta ma inarrestabile (ri)presa del controllo della realtà sull’irrealtà delle ideologie e dell’illusione di una “guerra giocattolo” in nome delle quali tanti giovani hanno perso, prima ancora della vita, l’occasione di vivere.
 
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alessandra

Lunatic Mod
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In questo libro l'autore, in pochissime pagine, riesce a raccontare gli aspetti più ridicoli - nonostante l'ovvia atrocità - della guerra e a sottolineare efficacemente la sua inutilità. Per me conferma il suo genio, sebbene mi troviate d'accordo sul fatto che non ci sia il pathos di Furore o de Al Dio sconosciuto, che pure in certi punti mi ha annoiato (non uccidetemi:mrgreen:). Qui, nonostante l'argomento apparentemente ostico, non mi sono annoiata nemmeno per un attimo: è tutto così semplice, essenziale, ridotto all'osso, e così ovvio, oltre che reale e surreale insieme. Le persone, soldati compresi, vengono qui mostrate ciascuna con le proprie singolarità, che naturalmente non smettono di esistere perché si è in guerra: i due ragazzi, sognatori ognuno a suo modo, dapprincipio illusi che la popolazione - inizialmente silenziosa dopo la "conquista" - avrebbe portato in trionfo i vincitori e che in quella città avrebbero potuto avere un futuro felice; il capitano Loft, freddo e arrivista soldato in carriera, che crede ciecamente non tanto nella causa, quanto nella guerra in sé e nella propria posizione; il maggiore Hunter, che disegna i suoi progetti in continuazione come fossero una missione, comunque vadano le cose, o forse in essi si rifugia mostrando un'apparente indifferenza.
E, infine, il sindaco e il colonnello Lanser, voci apparentemente opposte - in realtà il colonnello Lanser ne ha visto tante, e in cuor suo sa che la situazione porterà solo morte e sofferenza ma, legato indissolubilmente alla sua posizione, non può comportarsi diversamente - che si esprimono con dialoghi talvolta tanto surreali da essere divertenti, perché, come già avete sottolineato, non si capiscono.
Questo libro è un inno alla libertà, alla pace, permeato da un apparente distacco ma in realtà si percepisce il fuoco che cova sotto la cenere.
Ancora una volta, lodi a Steinbeck :)
 

estersable88

dreamer member
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Questo è uno dei rari casi in cui non ho voglia di dire molto su un libro: non voglio sminuirne con le mie parole la bellezza e la perfezione. Dirò solo, quindi, che "La luna è tramontata" è una delle cose più belle che io abbia mai letto: è breve, ma folgorante, scuote l'anima dall'interno, è un inno alla libertà nella sua essenza più vera.
Sono stati scritti fior di romanzi sulla guerra, pagine e pagine, milioni di parole per analizzarla, raccontarla, spiegarla… ma per capirla veramente basta un libricino di 160 pagine, la storia di un paesino conquistato e dei suoi invasori che ne sono diventati vittime, una vicenda senza luogo e senza tempo che non può lasciare indifferenti. Cosa ci insegna? Che nessuno può mai considerarsi vinto finché non si arrende, sì, ma soprattutto che la guerra vera non è tra le idee, ma tra la gente: riguarda gli uomini, non le strategie militari; si combatte nella quotidianità, non nei piani ad ampio raggio e di lungo periodo.
Un libro meraviglioso che consiglio a tutti.
 

Grantenca

Well-known member
Improvvisa occupazione di un piccolo centro di un paese neutrale da parte di una potenza conquistatrice.
L’occupazione è ”soft” , non c’è quasi resistenza, al di fuori dell’uccisione di sei giovani difensori, grazie anche all’opera di un “delatore” ben inserito nella cittadina che ha ben pensato di “spianare” la strada ai conquistatori. Più che un libro d’azione è un libro di dialoghi. Quello degli occupanti col comandante Lanser, militare di lunga data, che non si fa nessuna illusione sui problemi militari e morali di una occupazione ma che, seppur utopisticamente, cerca una collaborazione con le autorità locali per evitare inutili spargimenti di sangue e una convivenza più facile per tutti. Ci sono i suoi sottoposti tra i quali un capitano ambiziosissimo e due giovani ufficiali che ben presto faticano a sopportare la vita in posto dove tutto gli è ostile. Dall'altra parte c’è il sindaco del posto Orden, con i suoi familiari e domestici e con il medico del posto, il suo vecchio amico dott. Winter , che pensa soprattutto a salvare la vita dei suoi concittadini e pur si rende conto che non può, in alcun modo, collaborare con il nemico. Ci sono dialoghi bellissimi e quello che più mi ha colpito è quello del colonnello Lanser con il suo giovane ufficiale Prackle, in cui gli spiega cosa effettivamente significa essere un “militare”. Che dire di questo lungo racconto? E’ scritto bene, non si può negare, basti pensare a chi lo ha scritto. Ha anche significati profondi e, negli anni di guerra in cui è stato pubblicato, ha avuto senza dubbio la sua importanza. La mia sensazione però è che un libro come questo avrebbe potuto scriverlo anche un altro buon autore. Voglio dire che non ho trovato, in queste pagine, lo Steinbeck non dico di “Furore” opera inarrivabile, per me, nel suo contesto, ma anche di altri capolavori “americani” di questo scrittore (cito gli ultimi letti: La valle dell’Eden, Al Dio sconosciuto, uomini e topi e, soprattutto, “l’inverno del nostro scontento”). E’ un bel libro, non dico di no, e mi sembra abbia avuto anche un grande successo. Ma il vero Steinbeck per me è un' altra cosa.
 
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