Hardinge, Frances - L'albero delle bugie

Jessamine

Well-known member
TRAMA
Fin da quando era piccola Faith ha imparato a nascondere dietro le buone maniere la sua intelligenza acuta e ardente: nell'Inghilterra vittoriana questo è ciò che devono fare le brave signorine. Figlia del reverendo Sunderly, esperto studioso di fossili, Faith deve fingere di non essere attratta dai misteri della scienza, di non avere fame di conoscenza, di non sognare la libertà.

Tutto cambia dopo la morte del padre: frugando tra oggetti e documenti misteriosi, Faith scopre l'esistenza di un albero incredibile, che si nutre di bugie per dar vita a frutti magici capaci di rivelare segreti. È proprio grazie al potere oscuro di questo albero che Faith fa esplodere il coraggio e la rabbia covati per anni, alla ricerca della verità e del suo posto nel mondo.

Era quella Faith, la fanciulla brava e buona?

La ragazza nello specchio era capace di qualunque cosa. Ed era tutto fuorché brava e buona, lo si capiva al primo sguardo. "Non sono buona." Qualcosa nella mente di Faith riuscì a liberarsi, a volare via sbattendo ali nere nel cielo. "Una persona buona non sarebbe mai capace di provare quello che provo io. Sono cattiva e subdola e piena di rabbia. Non c'è salvezza per me."


COMMENTO

“Voglio aiutare l'evoluzione. [...]
Voglio essere un cattivo esempio”.


Un cattivo esempio, un bellissimo cattivo esempio, questo romanzo lo è davvero.
“L'albero delle bugie” è fatto di braci, che iniziando ad ardere piano, in maniera quasi impercettibile, ma sin dalla prima pagina fanno sentire il loro calore sulla pelle del lettore. E poi il leggerissimo calore si trasforma in un comodo tepore, e poi in canicola ottundente, e afa soffocante, fino a divampare come un incendio esplosivo nel quale è impossibile non scottarsi, almeno un po'.
L'idea di fondo è molto originale: in una grotta di una sperduta isola abitata da una manciata di persone pettegole e pronte a guardare il proprio vicino con sospetto, un famoso naturalista nasconde una misteriosa pianta che si nutre di menzogne: più la menzogna si espande e assume una corporeità concreta, più i tralci viscosi della pianta si fanno spessi e insinuanti, fino a concretizzarsi in un amarissimo frutto: un frutto capace di donare a chi avrà la forza di mangiarlo visioni colme di verità.
La cosa bella de “L'albero delle bugie” è che la scienza ha un ruolo di primo piano, sempre: non solo per il rigore con cui la giovane Faith, figlia del reverendo naturalista Erasmus Sunderly, si appresta a studiare la misteriosa pianta, ma perché tutto, anche quando sembra di inerpicarsi sui sentieri più erti del realismo magico, trova una sua spiegazione perfettamente coerente. O si inanella in una metafora tanto bella che non ha più alcun senso stare a porsi sciocche domande.
E' vero, la prima metà del romanzo è costituita da braci che ardono fin troppo lentamente, e forse una brezza dispettosa avrebbe giovato un po' al ritmo del racconto, ma la seconda parte ripaga totalmente dell'attesa (anche se, mi rendo conto, un lettore un po' più giovane potrebbe demoralizzarsi). Eppure la Hardinge riesce a mantenersi in un perfetto equilibrio fra il romanzo giallo, il fantasy e un romanzo di formazione, e lo fa dosando talmente bene gli elementi che è impossibile non ritrovarsi completamente invischiati nelle vicende di Faith e della sua famiglia. I misteri, in questo romanzo, sono molti, e il lettore, assieme a Faith, dovrà imparare mollare la presa su alcune certezze, per accettare che dietro il velo della menzogna la realtà può essere estremamente dolorosa.
Non sono una grandissima appassionata di romanzi gialli, ma ne ho letti molti, e la maggior parte di questi sono appunto romanzi per ragazzi: il mio problema con questi romanzi in particolare è che il mistero, spesso, non è abbastanza complesso. Si intravede fra le maglie la sagoma del colpevole, il meccanismo che regge il tutto, e questo mi dispiace sempre un po'. In questo caso, devo ammettere di essere rimasta piuttosto sorpresa: alcuni risvolti di trama, certo, erano piuttosto prevedibili (Paul Clay, la luce del sole e tutta quella parte, per intenderci), ma la struttura di fondo mi ha piacevolmente stupita. E mi ha stupita ancor di più il fatto che gli elementi per arrivare a comprendere il grande disegno dietro tutto erano quasi tutti alla portata del lettore.
Ma più di tutto questo, quello che ho amato del romanzo è la sete di cambiamento di Faith: Faith non è un personaggio facile, ha numerosi difetti, ed è difficile affezionarsi a lei, ma la sua genuinità scalda il cuore. Faith fa passi falsi e mosse stupide, la sua testardaggine nel non voler vedere la vera forma del viso di suo padre fa infuriare e al tempo stesso stringe il cuore, ma alla fine ci si ritrova a fare un tifo incondizionato per questa ragazzina coraggiosa. La sua maturazione, il suo riconoscere quali siano le dinamiche che hanno retto la sua famiglia, la sua comprensione di quale sia il posto nel mondo che da grande vorrà occupare, sono commoventi. Perché Faith è intelligente, e lo sa, ma è una donna, e dunque deve tacere. Deve fingere di non capire bene il significato di una parola, se vuole che un dottore si interessi di lei e abbia voglia di parlare con lei. Sa che le donne, nella sua società, sono solo ombre, pudichi angeli bianchi che frusciano accanto alle finestre e non potrebbero mai essere degne di considerazione, e impara ad usare questo punto cieco della società a suo favore, come un'arma. E questa è una cosa bellissima. Ma poi Faith fa qualcosa di più, e la sua arma diventa la leva che le darà la forza di mandare a quel paese il silenzio e la modestia. Perché Faith è intelligente, e lo sa, e lo vuole affermare. E lo afferma, lo grida ai quattro venti, con un coraggio e una tenacia commoventi.

“E' stata una donna a fare questo. E se è così, allora anche io posso farlo.”


Un'ode a tutti quei cattivi esempi che hanno aiutato l'evoluzione, e che continuano a farlo, incendiando altri cuori.
 
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