Proust, Marcel - La prigioniera

elisa

Motherator
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[FONT=&quot]'La prigioniera' è il quinto volume della 'Recherche' ed è quasi un'indagine sull'erotismo che spazza via gli stereotipi romantici e avvia una nuova concezione. Albertine e Marcel vivono insieme a Parigi, ma lui è vittima di una morbosa gelosia, e tiene Albertine quasi segregata in casa. La ragazza ha comunque una sua vita su cui Marcel cerca d'indagare. Il sospetto che lei ami le donne, le menzogne e le scenate di gelosia rendono la convivenza impossibile.(quarta di copertina)

Credo che sulla Recherche i critici abbiano dissezionato ogni parola ed affrontato ogni argomento. Nella "Prigioniera" la nota centrale è la gelosia e tutto il resto è il ballo proustiano di personaggi ed avvenimenti che sono il filo conduttore della sua opera. Li ritroviamo tutti, come in una serie tv, in una telenovela, dove i personaggi invecchiano i ricordi riportano in vita chi manca e si fa strada a quello che accadrà dopo. Il fascino di Proust oggi per me è questo, assistere su carta scritta e in modo raffinato e mirabile, direi ineguagliabile, a quello che è quasi una necessità per tutti noi, portarci lungo la vita, storie, personaggi, avvenimenti, vissuti da altri, possibilmente di rango e vip, storie che ci permettono confronti, invidie, gelosie, bassezze ed evasioni. Un approfondimento del nostro animo e mal-animo, ho trovato assolutamente unico tutto il trattato sulla menzogna.
Come i precedenti anche questo volume, pubblicato postumo da manoscritto, è un capolavoro. [/FONT]
 

isola74

Lonely member
Si ama solamente ciò in cui si persegue qualcosa d'inaccessibile, quel che non si possiede.


Il quinto volume dell'opera è una specie di saggio sulla gelosia, un continuo esercizio da parte dell'autore nel mettersi alla prova, nello spingersi oltre i suoi limiti di sopportazione, per poi fare marcia indietro, ai primi dubbi e paure.
Lo ammetto, in più di una pagina l'ho trovato molto antipatico, con questa smania di tenere legata a se Albertine, di volerla controllare a tutti i costi, sospettando mille menzogne e tradimenti e allo stesso tempo temendo di conoscerli. Il solito Marcellino che che non sa decidersi in pratica....
Mano mano che si prosegue nella lettura, però, (che è abbastanza agevole stavolta) si capisce che è lui il vero prigioniero, tant'è che non riesce mai a portare a termine i suoi proposit di troncare, mentre sarà lei alla fine che riuscirà a scappare.
La figura di Albertine invece è difficile da interpretare: è sincera? ne dubito....
Comunque, per amor di completezza va detto che , se pure il tema centrale del racconto è la gelosia e il rapposrto morboso tra i due, c'è, come sempre, tanto altro. Si resta quasi sempre chiusi in casa (tranne che per andare alla serata dei Verdurine) eppure Proust sa farci spaziare tra l'arte, la musica, la moda, il folclore.... è un maestro in questo, strepitoso!
 

velvet

Well-known member
Il fulcro di questo volume è il legame tra il protagonista ed Albertine. Un legame che con l'amore ha poco a che fare, Marcel vuole che Albertine sia sua ed è così che la rende prigioniera, della sua casa, dei suoi capricci da bambino viziato. Non riesce però ad imprigionarne lo spirito: vivace, giovane e spregiudicata, Albertine aguzza l'ingegno e da qui menzogne e tradimenti non mancano, e sono proprio queste bugie a solleticare la gelosia del giovane e a ravvivare il suo interesse, che altrimenti è rivolto solo ed esclusivamente a sè stesso. Pur essendo una bugiarda incallita, eun'abile calcolatrice, Albertine risulta sicuramente più simpatica di quel giovane viziato, pigro, indolente ed egocentrico che si rivela essere Marcel, in questo volume più che mai.
E la sua fuga mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo.
 

ayuthaya

Moderator
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Quinto volume della Recherche e, nel mio caso, il secondo dell'anno nel giro di pochi mesi... forse è stato troppo persino per una simil-proustiana (leggi: contorta e logorroica) come me! Non nascondo che ho faticato un po' con questo tomo... non perchè fosse meno interessante di altri (continuo a pensare che Proust o lo si ama o lo si odia, e io lo amo), ma appunto perchè non sono riuscita a conservare intatto il livello di attenzione e di coinvolgimento per, complessivamente, quasi mille pagine.

Detto questo, Proust è Proust: un cervellotico poeta, un cinico vivisezionatore dell'animo umano, un "malato" dotato di straordinaria sensibilità... E con La prigionera aggiungiamo un nuovo tassello alla sua contraddittoria natura: Marcel è un bugiardo e, quel che è peggio, un bugiardo cosciente. Sposo una felice definizione di elisa e ribadisco che La prigionera è non solo un trattato sulla gelosia (che già con Swann ne avevamo avuto un degno assaggio...), ma sulla menzogna in quanto tale. Mentire, secondo Proust, è connaturato all’uomo e, anzi, ciò che temiamo e "accusiamo" come indegno in una relazione sentimentale è ciò che, al contrario, accettiamo e alimentiamo nei rapporti con gli altri e persino con noi stessi. Ma succede che, in amore, la menzogna da “strategia di sopravvivenza” si trasforma in “strumento di dominio”, direi quasi di sopraffazione.
Tuttavia ciò che lascia più perplessi è che, come sottolinea Spilla, il Narratore, pur rendendosi conto di questi meccanismi malefici e pur riconoscendoli in se stesso, sembra non faccia nulla per contrastarli; si limita a prenderne atto, a sviscerarli con la sua consueta minuziosità, ma senza che questo comporti una diversità di condotta. Ciò che mi sorprende non è tanto “l’immoralità” del Narratore, che – folle di gelosia – persegue nel suo intento di castrare la libertà di Albertine per riuscire “possederla” pienamente (cosa che peraltro non riesce a fare, perchè sopravviverà sempre quello scarto di inconoscibilità e di inafferrabilità attraverso il quale le persone che si vorrebbe “imprigionare” ci sfuggono tuttavia)... non mi sorprende più di tanto perchè Proust è tutt’altro che un moralista, il suo intento è “scientifico”, mai etico. Piuttosto mi meraviglia che, esaminatore così attento dell’animo umano e persino di se stesso, il Narratore si ostini a chiamare “amore” il suo sentimento per Albertine, benchè lui stesso si renda conto e ammetta che non provi alcun “piacere” a stare in suo compagnia, anzi, il rapporto si trascina fra una sofferenza e l’altra e, nel mezzo, la banalità. Quando la gelosia del Marcel si acquieta, anzichè gioirne e godere della presenza pura di Albertine, ella ai suoi occhi perde ogni attrattiva, tanto più che –è sempre lui a riconoscerlo – privata della propria libertà la fanciulla ha perso anche la sua originaria freschezza, non è niente più che un “peso” per Marcel, che si vede sottratta, per colpa sua, la possibilità di conoscere e frequentare altre donne.

Tutto questo è terribilmente macchinoso e affascinante... a pensarci bene è molto proustiano, ma non si può fare a meno di chiedersi se è davvero questo il concetto che Proust aveva dell’amore. É vero, lo scrittore ha sempre sottolineato come l’amore (e non solo quello) sia un sentimento rivolto non a una persona reale quanto a un’immagine creata dalla nostra mente, nutrita dalle nostre illusioni e distrutta poi dalla realtà. Ma mai come ne La prigionera, di questo aspetto scopriamo il risvolto più triste e arido: possibile che a stimolare la coscienza di un individuo sia sempre solo un’illusione e mai il “valore” della realtà? Eppure Proust non è un artista che non si sappia far impressionare dalla bellezza del vissuto, della pura esistenza... L’amore vive certamente nella nostra coscienza più che nel mondo reale, così come è vero che qualsiasi sentimento, per quanto ambisca ad essere puro, contiene sempre una certa ambizione al possesso, ma perchè di questa sua doppia natura sembra che l’autore colga quella più negativa?
Sembra che facendo queste considerazioni io stia criticando Proust o questo aspetto del suo carattere (ammesso che in questo frangente realtà e finzione letteraria coincidano)... tutt’altro. Se vogliamo, sono persino ammirata dalla capacità di questo artista di dare voce a tutto ciò, di rendere in modo così sublime questo senso di castrazione, di lucido masochismo, di claustrofobia. Anche perchè, diciamolo, come Re Mida tutto ciò che Proust tocca lo trasforma in qualcosa di prezioso, quindi tanto vale lasciargli il privilegio di sondare anche questi aspetti più meschini e aridi della natura umana.

D’altra parte (è sempre lo stesso problema!) ogni volta che si tenta di “ingabbiare” uno dei capitoli della Recherche in un commento, non si fa altro che privilegiare un solo aspetto, a scapito della bellezza e della varietà della narrazione, che, a dispetto della pesantezza suggerita già dal titolo, anche in questo caso è sempre fresca, vivace, straordinariamente ricca. Basti pensare alla lunghissima digressione dedicata agli argot popolari (le celebri “frasi di Parigi”, come le definisce Raboni) o alle riflessioni sull’unicità degli artisti, sulla loro esistenza quasi “aliena”, grazie alla quale ci consentono vette e rivelazioni che altrimenti non sarebbero accessibili a noi comuni mortali... Proprio queste pagine (che ne La prigioniera vedono protagonista Vinteuil come All’ombra delle fanciulle in fiore celebrava il talento di Elstir) le ho trovate di una bellezza ineguagliabile e mi hanno confermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, la genialità di questo scrittore.
 
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