Durastanti, Claudia - La straniera

estersable88

dreamer member
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“La storia di una famiglia somiglia più a una cartina topografica che a un romanzo, e una biografia è la somma di tutte le ere geologiche che hai attraversato”. Come si racconta una vita se non esplorandone i luoghi simbolici e geografici, ricostruendo una mappa di sé e del mondo vissuto? Tra la Basilicata e Brooklyn, da Roma a Londra, dall’infanzia al futuro, il nuovo libro dell’autrice di Cleopatra va in prigione è un’avventura che unisce vecchie e nuove migrazioni. Figlia di due genitori sordi che al senso di isolamento oppongono un rapporto passionale e iroso, emigrata in un paesino lucano da New York ancora bambina per farvi ritorno periodicamente, la protagonista della Straniera vive un’infanzia febbrile, fragile eppure capace, come una pianta ostinata, di generare radici ovunque. La bambina divenuta adulta non smette di disegnare ancora nuove rotte migratorie: per studio, per emancipazione, per irrimediabile amore. Per intenzione o per destino, perlustra la memoria e ne asseconda gli smottamenti e le oscurità.
Non solo memoir, non solo romanzo, in questo libro dalla definizione mobile come un paesaggio e con un linguaggio così ampio da contenere la geografia e il tempo, Claudia Durastanti indaga il sentirsi sempre stranieri e ubiqui.
La straniera è il racconto di un’educazione sentimentale contemporanea, disorientata da un passato magnetico e incontenibile, dalla cognizione della diversità fisica e di distinzioni sociali irriducibili, e dimostra che la storia di una famiglia, delle sue voci e delle sue traiettorie, è prima di tutto una storia del corpo e delle parole, in cui, a un certo punto, misurare la distanza da casa diventa impossibile.

Avevo aspettative alte su La straniera di Claudia Durastanti… ammetto, però, che mi aspettavo qualcosa di molto diverso, forse di più convenzionale. Ho trovato, invece, un romanzo/memoir/autobiografia/racconto di vita/riflessione/flusso di coscienza assolutamente sui generis e fuori dagli schemi narrativi cui siamo abituati. In questo libro Claudia Durastanti racconta la sua vita fino ad oggi, ma racconta soprattutto le sue radici, o forse dovremmo dire l'assenza di radici che l'ha portata oggi a sentirsi "straniera" e "ubiqua" – come scritto nella quarta di copertina – in ogni luogo in cui si ferma. Nata da genitori che più anticonvenzionali non si può, Claudia passa da Brooklyn alla Val d'Agri senza mai trovare una dimensione standard che la facesse andar bene per gli altri. Era, come sua madre prima di lei, una diversa, una persona troppo intelligente e libera per il provincialismo tutto italiano. Di fronte ad una società che la voleva uniformata al vivere comune, Claudia si è sempre ribellata, ha sempre mantenuto salda la sua individualità. È chiaro, questo ha contribuito fortemente a che fosse additata come forestiera, immigrata al contrario, ribelle, anticonformista, ma di sicuro Claudia così facendo non si è mai sentita straniera a se stessa.
Un libro tutt'altro che semplice, che alterna parti coinvolgenti (soprattutto quelle relative ai genitori, all'infanzia di Claudia, al trasferimento in Basilicata) a passi meno coinvolgenti. Ciò che mi sento di premiare è, in questo caso, soprattutto la scrittura: un'impronta personalissima, uno stile spigoloso, disarmonico, acuto sono forse la vera traccia di unicità di questo libro che per il resto può piacere o non piacere… dipende dalla sensibilità e dal vissuto di ognuno. Si tratta, in fin dei conti, sempre di storie di vita, di persone, di caratteri… tutto molto soggettivo, dunque.
 

alessandra

Lunatic Mod
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Sì, anticonvenzionale è la parola giusta per definire questo libro, una sorta di autobiografia - anche se, immagino, non completamente aderente alla realtà, ma non per questo meno vera - ben lontana dalle autobiografie classiche, viva e straniante, disarmante nella sua cruda franchezza, ironica ma di un'ironia quasi sotterranea, diversa da quella di qualsiasi altro scrittore. Dopo un inizio, a parer mio, folgorante in cui l'autrice racconta il momento in cui i genitori si sono conosciuti dal punto di vista prima della madre e poi del padre, a un certo punto ho avuto la sensazione di perdermi e mi sono chiesta cosa stessi leggendo, domanda alla quale tuttora non so rispondere e questo è uno degli aspetti che più mi affascinano del libro. Claudia, nata e cresciuta in una famiglia disfunzionale, con una madre e un padre che vivono la propria disabilità con rabbia e disagio reagendo spesso alla vita con violenza, cresce con un disturbo borderline di cui parla solo en passant, come se lo desse per scontato, con frasi buttate lì del tipo " al mio XXX tentativo di suicidio..." e sviluppa una straordinaria intelligenza che le permette di vivere, nei limiti del possibile, in maniera libera dai condizionamenti sociali, mostrando senza imbarazzo gli aspetti più scomodi della sua vita e quelli più complessi e spigolosi della sua personalità. Scrive con la massima naturalezza frasi come "non riesco a pensare a nessun episodio della mia vita in famiglia senza ridere" , dopo aver raccontato episodi di violenza e follia. E il grande fascino di questo libro, secondo me, è l'incomparabile e disturbante miscela di distacco e calore. Al termine della lettura ho sentito un vago desiderio di cercare Claudia, di dirle qualcosa senza sapere cosa, e forse di abbracciarla, ma con cautela, non avendo idea di come reagirebbe. Quello che farò certamente è leggere "Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra", apprezzato anche più di questo da alcuni esperti. Per me un libro indimenticabile, non nel contenuto che certamente scorderò, ma nelle sensazioni. Da leggere, ma non per tutti.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Questo romanzo non è un memoriale, il cui principio è la catarsi, il carico psicanalitico che ha nella risoluzione dei conti con i propri genitori, ma è la storia della famiglia dell’autrice e di se stessa al presente in cui c’è il desiderio di divertirsi con la forma, il cercare di mescolare cos’è il vero e cos’è il falso, cercando un approccio formale cioè cercando di dare una forma alla proprio esistenza guardando i fatti da una certa distanza, non c’è la volontà di psicanalizzare. Tutto comincia dal racconto dell’incontro dei genitori dell’autrice, che danno entrambi due versioni discordanti: la madre racconta di aver salvato un ragazzo che voleva buttarsi da Ponte Sisto, passano la notte insieme, e il padre racconta di aver salvato una ragazza da un’aggressione alla stazione Trastevere, versioni discordanti ma per entrambi ognuno aveva salvato l’altro. Per capire questo messaggio bisogna premettere che i genitori dell’autrice, che poi hanno divorziato, sono entrambi sordi e la loro relazione è caratterizzata da qualcosa di più intimo e profondo dell’amore. La parte dedicata ai suoi genitori è quella che mi ha suscitato maggiore interesse, il loro modo modo di vivere la loro disabilità con grande libertà ed incoscienza.
Il titolo è dedicato alla madre:
Capire perché abbia rinunciato a imporre la sua lingua privata non è difficile per me, che ho avuto paura di parlare ad alta voce per tanto tempo: la lingua dei segni è teatrale e visibile, ti espone in continuazione. Ti rende subito disabile. In assenza di gesti, puoi sembrare solo una ragazza un po’ timida e distratta. Leggendo le labbra degli altri per decifrare cosa stavano dicendo fino a consumarsi gli occhi e i nervi, parlando con la sua voce alta e forte e dagli accenti irregolari, sembrava solo un’immigrata sgrammaticata, una straniera.
Mi è piaciuto anche il fatto che la narrazione non segua una sequenza cronologica.
 
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