Si tratta di un saggio di filologia, che spiega e ripercorre la storia e la mitologia del famoso uccello di fuoco, noto per risuscitare, periodicamente, dalle proprie ceneri.
La Fenice, cioè quell'uccello fantastico che alberga nell'immaginario collettivo di svariati popoli e paesi, dall'Europa all'India, all'estremo Oriente, che molti ricordano per averlo incontrato durante le letture giovanili, se non già fin nell'infanzia, e nelle scuole, con riferimento allo studio della mitologia; la Fenice, per come la ricordo io, è appunto una creatura mitologica caratterizzata da un aspetto maestoso, regale, nobile, simile ad un'aquila, che aveva la prerogativa di rinascere dalle proprie ceneri, di risorgere a nuova vita, eterna e immortale. Come ogni creazione dell'immaginario umano, oltre alla fascinazione che provoca in alcuni e al suo palese significato allegorico, la Fenice ha una storia o, per meglio dire, gli umani che ne hanno sviluppato il mito hanno in seguito fatto ricorso alla sua iconografia e simbolismo per fini letterari, dottrinali, spirituali, rappresentativi e perfino scientifici, che ho cercato, mosso da curiosità filologica - ma anche per interesse artistico, siccome ne fui ispirato per un dipinto - di svelare ed approfondire leggendo alcuni saggi specialistici.
Nel seguito sintetizzo la prima parte del contenuto del suddetto saggio.
L'origine del mito
Dunque, l'origine del mito risale ad epoche molto antiche e penso che, in realtà, i reperti che sono pervenuti fino ai nostri giorni, ossia le testimonianze scritte di cui si dispone, non siano che trascrizioni in epoche successive di un mito risalente a prima della scrittura e la cui conoscenza fu all'inizio tramandata oralmente, per lo meno in occidente, che è appunto l'ambito di riferimento per questa trattazione (questa è, ovviamente, un'ipotesi). Ad ogni modo, per il mondo occidentale il mito della Fenice nacque nell'Egitto dei Faraoni e fu Plutarco, nel Tramonto degli oracoli, a citare un frammento di Esiodo (fr. 304) che costituisce la più antica testimonianza sul mito della Fenice in Occidente; sebbene non la voce più antica, però, è maggiormente significativo ed esaustivo sull' antica credenza un passo delle Storie di Erodoto, per la precisione in una sezione del II° libro in cui l'autore descrive gli animali egiziani.
Erodoto, che fu uno storico e non un poeta creatore di miti, e che pare abbia fatto riferimento alla Perigesis di Ecateo di Mileto (circa 500 a.C.), annoverò quelli che si riteneva fossero gli animali realmente viventi e conosciuti in Egitto, ove però ogni animale era considerato sacro. Cosicché, tra le specie a noi note come gatti, coccodrilli e ippopotami, compare "un altro uccello sacro: si chiama Fenice. Io, però, l'ho visto solo in pittura. Di rado compare tra di loro: come dicono gli abitanti di Eliopoli, ogni cinquecento anni." Erodoto prosegue poi descrivendo la creatura: "alcune delle sue piume sono dorate, altre rosse; nella sagoma e per la grandezza somiglia molto a un'aquila. Dicendo cose per me incredibili, raccontano che la fenice compia questa impresa: muovendo dall'Arabia, porta il padre tutto avvolto in mirra nel santuario di Helios, e lo seppellisce in quello stesso santuario. Lo porta così. In primo luogo modella un uovo di mirra tanto grande quanto gli è possibile portarlo; quindi prova a portarlo; dopo che ci è riuscito, svuota l'uovo e ci mette dentro il padre; con altra mirra ricopre la parte dell'uovo, si riproduce il peso di prima. Dopo aver avvolto il padre così, lo porta in Egitto nel santuario di Helios. Ecco l'impresa che questo uccello, a loro dire, compie.".
L'animale che Erodoto descrive, pur palesando molto scetticismo circa l'attendibilità delle sue fonti, corrisponde al Benu (bnw), uccello solare della tradizione faraonica, che è da molti considerato come un archetipo della fenice, il cui mito è perciò una rielaborazione greco-romana originatasi sulla base di fonti cosmologiche e religiose egiziane. Caratteristiche comuni tra i due "animali" sono la somiglianza con l'aquila, il ritorno periodico, la morte e rinascita, l'uovo di mirra.
Il Benu, nell'antica religione egizia, partecipa del mito della creazione elaborato nella città On-Heliopolis: nei testi delle piramidi fu ritenuto una delle forme assunte da Atum, ossia dal dio del sole Ra. Il Benu simboleggia il dio così come il Benben (entrambi i termini significano "splendere", "sorgere fulgidamente"), nome che viene attribuito ad una pietra conica custodita nel tempio di Eliopoli, simboleggia la collina che sorge dalle acque primordiali, la collina della creazione. Come Ra, anche il Benu è "autogenerato" e rappresenta l'anima, l'essenza di Ra, il "Ba di Ra", il principio della vita. Infatti nel Libro dei morti si annota il seguente discorso di un defunto: "La mia purezza è la purezza di questa grande fenice [Benu] che è in Eliopoli.".
E' possibile che, in virtù dell'associazione tra benu e Ra, l'uccello simboleggi inoltre la Stella del mattino e quella della sera, Venere, come risulta dall'apocrifo "L'Apocalisse greca di Baruc", composto in Egitto nel I° - II° secolo d.C.. Il Benu, dunque, cioè la Fenice, come simbolo e entità associata a Ra, al sole, alla Stella del mattino e della sera - perciò a Venere -, ma anche con il defunto, dal passo del Libro dei morti cui ci si riferiva poc'anzi. Ra, cioè il suo benu, dio della vita, che porta la vita nel regno dei morti. Il cadavere che parla, dal commentario, è il cadavere di Ra (oppure Osiride, dio dell'Aldilà) oppure quello del suo benu; benu che, seguendo altri testi, viene infatti mummificato come gli esseri umani.
Il benu egiziano presenta un ulteriore aspetto rilevante che consiste nella sua associazione simbolica col ciclo temporale, ossia con il rinnovamento periodico del mondo e della natura, che si manifestava, ad esempio, nella sua presenza nelle feste di Sed, ove il Re rinnovava il suo ufficio regale e sacerdotale, così come nella celebrazione del primo giorno dell'anno, coincidente con l'inondazione del Nilo.
Le Fenice-Benu egizia come simbolo dell'inondazione, la sua rappresentazione geroglifica, come indicato da un autore greco, Orapollo, nei suoi Geroglifici (V° secolo d.C.); il benu ricopre questi ruoli perché, al momento della creazione, esso spiccò il volo dalla collina primordiale, primo essere ad essere emerso dalle acque del caos.
Il benu egizio, che finora abbiamo considerato un archetipo della fenice del mondo classico, ha molti aspetti in comune con essa: la natura solare, la città di Eliopoli, il ciclo di morte e di resurrezione, la raffigurazione sulla sommità di un colle o un albero (la palma per la fenice, il salice per il benu), la connessione all'origine del mondo ed alla vita dopo la morte, nonché agli eventi periodici di rinnovamento o rinascita. La fenice cui ci si riferisce comunemente è però quella di origine classica greco-romana e i suoi sviluppi medievali e successivi. Non compare, nella credenza egizia, la morte nel fuoco e la rigenerazione periodica cui segue l'apparizione ad ogni preciso arco di tempo, che tipicamente consideriamo parte integrante del mito.
Pur con qualche variante, la fenice appare evidentemente come una evoluzione del benu egizio, da cui probabilmente deriva anche il nome greco phoȋnix (da benu, pronunciato *boin o *boine); pur con molte somiglianze i due uccelli del mito differiscono nell'aspetto, essendo quella greco-romana della più antica tradizione simile ad un airone con due lunghe penne dietro il capo.
La Fenice, cioè quell'uccello fantastico che alberga nell'immaginario collettivo di svariati popoli e paesi, dall'Europa all'India, all'estremo Oriente, che molti ricordano per averlo incontrato durante le letture giovanili, se non già fin nell'infanzia, e nelle scuole, con riferimento allo studio della mitologia; la Fenice, per come la ricordo io, è appunto una creatura mitologica caratterizzata da un aspetto maestoso, regale, nobile, simile ad un'aquila, che aveva la prerogativa di rinascere dalle proprie ceneri, di risorgere a nuova vita, eterna e immortale. Come ogni creazione dell'immaginario umano, oltre alla fascinazione che provoca in alcuni e al suo palese significato allegorico, la Fenice ha una storia o, per meglio dire, gli umani che ne hanno sviluppato il mito hanno in seguito fatto ricorso alla sua iconografia e simbolismo per fini letterari, dottrinali, spirituali, rappresentativi e perfino scientifici, che ho cercato, mosso da curiosità filologica - ma anche per interesse artistico, siccome ne fui ispirato per un dipinto - di svelare ed approfondire leggendo alcuni saggi specialistici.
Nel seguito sintetizzo la prima parte del contenuto del suddetto saggio.
L'origine del mito
Dunque, l'origine del mito risale ad epoche molto antiche e penso che, in realtà, i reperti che sono pervenuti fino ai nostri giorni, ossia le testimonianze scritte di cui si dispone, non siano che trascrizioni in epoche successive di un mito risalente a prima della scrittura e la cui conoscenza fu all'inizio tramandata oralmente, per lo meno in occidente, che è appunto l'ambito di riferimento per questa trattazione (questa è, ovviamente, un'ipotesi). Ad ogni modo, per il mondo occidentale il mito della Fenice nacque nell'Egitto dei Faraoni e fu Plutarco, nel Tramonto degli oracoli, a citare un frammento di Esiodo (fr. 304) che costituisce la più antica testimonianza sul mito della Fenice in Occidente; sebbene non la voce più antica, però, è maggiormente significativo ed esaustivo sull' antica credenza un passo delle Storie di Erodoto, per la precisione in una sezione del II° libro in cui l'autore descrive gli animali egiziani.
Erodoto, che fu uno storico e non un poeta creatore di miti, e che pare abbia fatto riferimento alla Perigesis di Ecateo di Mileto (circa 500 a.C.), annoverò quelli che si riteneva fossero gli animali realmente viventi e conosciuti in Egitto, ove però ogni animale era considerato sacro. Cosicché, tra le specie a noi note come gatti, coccodrilli e ippopotami, compare "un altro uccello sacro: si chiama Fenice. Io, però, l'ho visto solo in pittura. Di rado compare tra di loro: come dicono gli abitanti di Eliopoli, ogni cinquecento anni." Erodoto prosegue poi descrivendo la creatura: "alcune delle sue piume sono dorate, altre rosse; nella sagoma e per la grandezza somiglia molto a un'aquila. Dicendo cose per me incredibili, raccontano che la fenice compia questa impresa: muovendo dall'Arabia, porta il padre tutto avvolto in mirra nel santuario di Helios, e lo seppellisce in quello stesso santuario. Lo porta così. In primo luogo modella un uovo di mirra tanto grande quanto gli è possibile portarlo; quindi prova a portarlo; dopo che ci è riuscito, svuota l'uovo e ci mette dentro il padre; con altra mirra ricopre la parte dell'uovo, si riproduce il peso di prima. Dopo aver avvolto il padre così, lo porta in Egitto nel santuario di Helios. Ecco l'impresa che questo uccello, a loro dire, compie.".
L'animale che Erodoto descrive, pur palesando molto scetticismo circa l'attendibilità delle sue fonti, corrisponde al Benu (bnw), uccello solare della tradizione faraonica, che è da molti considerato come un archetipo della fenice, il cui mito è perciò una rielaborazione greco-romana originatasi sulla base di fonti cosmologiche e religiose egiziane. Caratteristiche comuni tra i due "animali" sono la somiglianza con l'aquila, il ritorno periodico, la morte e rinascita, l'uovo di mirra.
Il Benu, nell'antica religione egizia, partecipa del mito della creazione elaborato nella città On-Heliopolis: nei testi delle piramidi fu ritenuto una delle forme assunte da Atum, ossia dal dio del sole Ra. Il Benu simboleggia il dio così come il Benben (entrambi i termini significano "splendere", "sorgere fulgidamente"), nome che viene attribuito ad una pietra conica custodita nel tempio di Eliopoli, simboleggia la collina che sorge dalle acque primordiali, la collina della creazione. Come Ra, anche il Benu è "autogenerato" e rappresenta l'anima, l'essenza di Ra, il "Ba di Ra", il principio della vita. Infatti nel Libro dei morti si annota il seguente discorso di un defunto: "La mia purezza è la purezza di questa grande fenice [Benu] che è in Eliopoli.".
E' possibile che, in virtù dell'associazione tra benu e Ra, l'uccello simboleggi inoltre la Stella del mattino e quella della sera, Venere, come risulta dall'apocrifo "L'Apocalisse greca di Baruc", composto in Egitto nel I° - II° secolo d.C.. Il Benu, dunque, cioè la Fenice, come simbolo e entità associata a Ra, al sole, alla Stella del mattino e della sera - perciò a Venere -, ma anche con il defunto, dal passo del Libro dei morti cui ci si riferiva poc'anzi. Ra, cioè il suo benu, dio della vita, che porta la vita nel regno dei morti. Il cadavere che parla, dal commentario, è il cadavere di Ra (oppure Osiride, dio dell'Aldilà) oppure quello del suo benu; benu che, seguendo altri testi, viene infatti mummificato come gli esseri umani.
Il benu egiziano presenta un ulteriore aspetto rilevante che consiste nella sua associazione simbolica col ciclo temporale, ossia con il rinnovamento periodico del mondo e della natura, che si manifestava, ad esempio, nella sua presenza nelle feste di Sed, ove il Re rinnovava il suo ufficio regale e sacerdotale, così come nella celebrazione del primo giorno dell'anno, coincidente con l'inondazione del Nilo.
Le Fenice-Benu egizia come simbolo dell'inondazione, la sua rappresentazione geroglifica, come indicato da un autore greco, Orapollo, nei suoi Geroglifici (V° secolo d.C.); il benu ricopre questi ruoli perché, al momento della creazione, esso spiccò il volo dalla collina primordiale, primo essere ad essere emerso dalle acque del caos.
Il benu egizio, che finora abbiamo considerato un archetipo della fenice del mondo classico, ha molti aspetti in comune con essa: la natura solare, la città di Eliopoli, il ciclo di morte e di resurrezione, la raffigurazione sulla sommità di un colle o un albero (la palma per la fenice, il salice per il benu), la connessione all'origine del mondo ed alla vita dopo la morte, nonché agli eventi periodici di rinnovamento o rinascita. La fenice cui ci si riferisce comunemente è però quella di origine classica greco-romana e i suoi sviluppi medievali e successivi. Non compare, nella credenza egizia, la morte nel fuoco e la rigenerazione periodica cui segue l'apparizione ad ogni preciso arco di tempo, che tipicamente consideriamo parte integrante del mito.
Pur con qualche variante, la fenice appare evidentemente come una evoluzione del benu egizio, da cui probabilmente deriva anche il nome greco phoȋnix (da benu, pronunciato *boin o *boine); pur con molte somiglianze i due uccelli del mito differiscono nell'aspetto, essendo quella greco-romana della più antica tradizione simile ad un airone con due lunghe penne dietro il capo.
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