Antropocene – L’impronta dell’uomo sulla natura

malafi

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In questi giorni – ancora per poco, fino al 5 gennaio ed è già una proroga – al Mast di Bologna c’è una ‘mostra’ dal nome Antropocene.
La mostra è incentrata sulla proiezione del documentario omonimo.

Anthropocene è il completamento, dopo Manufactured Landscapes (2006) e Watermark (2013), di una trilogia di documentari sull'impatto delle attività umane sul nostro pianeta. Un viaggio in sei continenti, narrato dalla voce di Alicia Vikander, per accostare i diversi modi nei quali l'uomo sta sfruttando le risorse terrestri e modificando la Terra come mai prima, più di quanto facciano i fenomeni naturali. La tesi dell'Anthropocene Working Group, che ha avviato i suoi studi nel 2009, è che gli ultimi 10.000 anni costituiscano un'era geologica vera e propria.
I canadesi Jennifer Baichwal, Nicholas de Pencier ed Edward Burtynsky hanno cominciato, nel 2005, all'inizio anche con il connazionale Peter Mettler, a investigare i paesaggi trasformati dalla mano dell'uomo per arrivare a una conclusione, che è anche il punto più alto e ambizioso dell'opera.
Un film con una tesi non nuova: ovvero che l'umanità sta sfruttando, più del dovuto, il pianeta, compromettendone lo stato e con conseguenze potenzialmente ancora più gravi, ma sviluppata in maniera organica e complessa con immagini spettacolari, che siano aeree o subacquee, dal forte impatto visivo e suono che sottolinea ed enfatizza. L'uomo ha superato i limiti e questo assunto esce da ogni immagine filmata in 43 luoghi di 20 diversi Paesi. In Kenya si accatastano le zanne sequestrate ai bracconieri di elefanti, che uccidono per ottenere l'avorio da commercializzare sui mercati asiatici, per essere bruciate.

Un gesto di enorme portata, che apre e chiude Anthropocene e vuole essere un segnale ai cacciatori. Intanto in un laboratorio di Hong Kong si continua a lavorare avorio per ottenere oggetti di vario tipo, che richiedono lavorazioni anche di anni, stavolta di provenienza legale: arriva dalla Siberia e dai ghiacci e dal permafrost che si sciolgono permettendo di recuperare i resti di antichi mammuth, una pratica ben descritta nel recente Genesis 2.0 dello svizzero Christian Frei. Sempre in Siberia è la città di Norilsk, che ospita le miniere di nichel e altri metalli più grandi del mondo ed è tra i luoghi più inquinati del pianeta.

Agli antipodi, il deserto cileno di Atamacama è punteggiato di vasche gialle o azzurre dove si tratta il litio, fondamentale per le batterie dei telefoni o delle auto elettriche. A Immerath, Germania, si sono abbattute case e una chiesa per allargare le miniere di carbone a cielo aperto.

Il viaggio prosegue tra foreste canadesi tagliate e città, da Lagos a Karachi, da Shanghai a Città del Messico, che si espandono inarrestabili, ma anche i fenomeni meteorologici sempre più estremi: l'innalzamento dei mari, le barriere erette in Cina e l'acqua alta a Venezia. Se documentari di questo tipo non sono nuovi (tra gli altri, lo stesso Mettler o l'austriaco Nikolaus Geyrhalter) e diversi filmmaker negli ultimi anni si stanno dedicando a questi temi, il lavoro del trio Baichwal, de Pencier e Burtynsky si fa apprezzare per lo spessore della ricerca e per il tono che non è di denuncia, ma finalizzato a creare consapevolezza.

Uno dei meriti degli autori è collegare tra loro fatti che possono sembrare slegati, ma senza forzature. Oltre alla cura formale nelle immagini e nel sonoro, da sottolineare il commento essenziale e senza enfasi.


La mostra è completata, anzi aperta, da una serie di gigantografie prese dal documentario con la possibilità, attraverso un’app da scaricare su cellulare o ipad a disposizione del pubblico, di vedere brevi spezzoni del documentario inquadrando le foto.

MIO COMMENTO
Il documentario è bellissimo. Parlano le immagini ed i rumori: la voce narrante è ridotta al minimo indispensabile.
E’ di fortissimo impatto, altro che Greta (che tra l’altro sta facendo la guerra al Global Warming di presunta origine antropica invece che all’inquinamento dilagante e dannosissimo di sicura origine antropica).
Se vuole smuovere le coscienze … lo fa.
Anche se poi siamo tutti ipocriti e benpensanti e non muoviamo un dito, forse nemmeno nei 30’ minuti successivi alla visione.
Per esempio io ora sono qui e sto usando il portatile con le batterie al litio, dopo aver visto che cos’è l’estrazione del litio.
Vabbè. Da vedere, comunque.
Faccio un solo appunto agli autori: nella sezione ‘cambiamenti climatici’ e subito dopo aver parlato dell’innalzamento del livello degli oceani (per altro ad una velocità largamente inefriori rispetto alle previsioni ma non fa fatto) ci piazzano scene dell’acqua alta a Venezia.
L’acqua alta a Venezia non c’entra NULLA, con i cambiamenti climatici. E’ lo stile ‘Report’ che mi urta.
Ecco, se sull’unica cosa di tutto il documentario dove avevo le cognizioni scientifiche sufficienti per avere una mia posizione, c’è la palese evidenza di una realtà ‘aggiustata’, sarà così anche il resto?
 
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