qweedy
Well-known member
Tutto inizia con una frase. Un paragone che ferisce Giovanna nel profondo, in un’età in cui ogni parola può pesare come un macigno. “Sta facendo la faccia di Vittoria” dice il padre, pensando di non essere sentito dalla figlia. In un momento di cambiamento, Giovanna sta diventando estranea all’idea che di lei i genitori si sono costruiti, e così il padre si lascia andare a questa constatazione.
Cosa può fare allora Giannì (Giovanna) se non mettersi alla ricerca di quella zia Vittoria che non ha mai visto, così contestata e odiata, sorella del padre e da lui ripudiata? Giovanna vuole scoprire se è vero che il suo destino è la bruttezza - e quindi l'abiezione, l'amarezza e, ciò che è peggio di ogni altra cosa, la povertà - della zia Vittoria.
Questo romanzo è il racconto, doloroso e tratti disturbante, del passaggio di una ragazzina borghese dall'infanzia verso l'età adulta, in cui vede sgretolarsi tutte le sue certezze. L'immagine dei suoi genitori, amatissimi, e in particolare di suo padre, quasi idealizzato, si disgrega, e con essa tutto il mondo al quale Giovanna è appartenuta fino a quel momento: la Napoli del Vomero, il mondo borghese, fatto di studi, letture, discussioni colte, ateismo, ideali. Scopre una Napoli povera, sboccata e volgare, e scopre che gli adulti mentono, mentono tutti, soprattutto coloro che dicono di volerti bene.
Mi ha colpito la correlazione che l'autrice più volte sottolinea tra la meschinità d'animo e la bruttezza: quando i personaggi esprimono sentimenti sgradevoli, diventano meno belli anche fisicamente. Come se il viso, o il corpo, evidenziassero la malvagità d'animo.
Un filo collega i protagonisti di questo romanzo di formazione, un braccialetto che passa di polso in polso come simbolo di amore, tradimento, sfortuna, invidia… un oggetto che assorbe le peggiori vibrazioni dell’animo umano e sembra portare con sé solo sventura.
Posso dirlo? Non mi è piaciuto. I personaggi sono tutti negativi, respingenti, meschini e antipatici. Non si salva nessuno. Mi pare quasi che i protagonisti siano usciti dalla penna di Margaret Mazzantini, tutti così sgradevoli e ambigui.
Voto 2 (credo sia il voto più basso che io abbia mai dato a un libro)
«Perché mio padre aveva pronunciato quella frase, perché mia madre non l’aveva contraddetto con forza? Era stato un loro scontento dovuto ai brutti voti o un allarme che prescindeva dalla scuola, che durava chissà da quando? E lui, lui soprattutto, aveva pronunciato quelle brutte parole per un dispiacere momentaneo che gli avevo dato, o col suo sguardo acuto, di persona che sa e vede ogni cosa, aveva individuato da tempo i tratti di un mio guasto futuro, di un male che stava avanzando e che lo sconfortava e contro cui lui stesso non sapeva come comportarsi?»
Cosa può fare allora Giannì (Giovanna) se non mettersi alla ricerca di quella zia Vittoria che non ha mai visto, così contestata e odiata, sorella del padre e da lui ripudiata? Giovanna vuole scoprire se è vero che il suo destino è la bruttezza - e quindi l'abiezione, l'amarezza e, ciò che è peggio di ogni altra cosa, la povertà - della zia Vittoria.
Questo romanzo è il racconto, doloroso e tratti disturbante, del passaggio di una ragazzina borghese dall'infanzia verso l'età adulta, in cui vede sgretolarsi tutte le sue certezze. L'immagine dei suoi genitori, amatissimi, e in particolare di suo padre, quasi idealizzato, si disgrega, e con essa tutto il mondo al quale Giovanna è appartenuta fino a quel momento: la Napoli del Vomero, il mondo borghese, fatto di studi, letture, discussioni colte, ateismo, ideali. Scopre una Napoli povera, sboccata e volgare, e scopre che gli adulti mentono, mentono tutti, soprattutto coloro che dicono di volerti bene.
Mi ha colpito la correlazione che l'autrice più volte sottolinea tra la meschinità d'animo e la bruttezza: quando i personaggi esprimono sentimenti sgradevoli, diventano meno belli anche fisicamente. Come se il viso, o il corpo, evidenziassero la malvagità d'animo.
Un filo collega i protagonisti di questo romanzo di formazione, un braccialetto che passa di polso in polso come simbolo di amore, tradimento, sfortuna, invidia… un oggetto che assorbe le peggiori vibrazioni dell’animo umano e sembra portare con sé solo sventura.
Posso dirlo? Non mi è piaciuto. I personaggi sono tutti negativi, respingenti, meschini e antipatici. Non si salva nessuno. Mi pare quasi che i protagonisti siano usciti dalla penna di Margaret Mazzantini, tutti così sgradevoli e ambigui.
Voto 2 (credo sia il voto più basso che io abbia mai dato a un libro)
«Perché mio padre aveva pronunciato quella frase, perché mia madre non l’aveva contraddetto con forza? Era stato un loro scontento dovuto ai brutti voti o un allarme che prescindeva dalla scuola, che durava chissà da quando? E lui, lui soprattutto, aveva pronunciato quelle brutte parole per un dispiacere momentaneo che gli avevo dato, o col suo sguardo acuto, di persona che sa e vede ogni cosa, aveva individuato da tempo i tratti di un mio guasto futuro, di un male che stava avanzando e che lo sconfortava e contro cui lui stesso non sapeva come comportarsi?»
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