Marco Lazzarini - Il viaggio

Marco Lazzarini

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Salve a tutti,
sono Marco Lazzarini, un “autore” al suo primo libro (auto pubblicato).
Scritto sotto forma di diario, il libro racconta la storia di un piccolo gruppo di monaci costretto ad abbandonare l'isolato eremo (nel 1281). Uno di loro, spinto dal desiderio di recarsi in Terra Santa, intraprende un lungo viaggio attraverso il mondo degli uomini. Tra villaggi sconosciuti e casuali incontri, il frate seguirà l'invisibile ed imprevedibile via tracciata dal destino, o come direbbe il protagonista “dalla volontà di Dio”.

Constatato che per un“illustre sconosciuto” è più facile scrivere un libro piuttosto che trovare persone interessate a leggerlo, cercavo volenterosi a cui inviare in modo gratuito una copia (per comodità preferirei in formato elettronico ma la cosa non è vincolante).

Grazie
Marco
 

Marco Lazzarini

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Posto l'inizio in modo da potervi fare un'idea sullo stile

Eremo di Caprasiobe
Anno Domini 1281

La calda luce della candela illumina le mie nodose mani ed incuriosito ne osservo i dettagli come se le vedessi per la prima volta, poi mi lascio catturare dalle tremolanti ombre che sembrano danzare assieme ai fiocchi di neve che scivolano silenziosi oltre la finestra.
Dalla cella, alto come un uccello, osservo il meraviglioso creato dell'Iddio: sta albeggiando ma nella fievole nuova luce brillano ancora i fuochi lontani della pianura. Nel silenzio del giovane giorno mi giungono delicate le voci dei confratelli: alcuni pregano, alcuni lo hanno già fatto ed altri lo faranno. Con un soffio la luce gialla della candela muore dopo un breve sussulto e quella fredda del cielo subito mi avvolge. Richiudendo il libro delle preghiere ho particolare cura nel non rovinarne la copertina che, un tempo riccamente decorata, oggi si presenta come un modesto rettangolo di liso cuoio. Compagno della notte, lo lascio riposare nella nicchia assieme al piccolo ritratto di nostro Signore Gesù e alla piccola croce di legno scuro, tutti doni dei miei cari genitori.
Uscito dalla cella, giungo negli spazi comuni ove conosciuti odori mi accompagnano assieme all'eco dei miei passi. Prudentemente mi reggo al corrimano mentre attraverso la vecchia scala: tanti, troppi anni sono passati tra questi scalini. Per un istante mi fermo e penso ai numerosi alberi caduti sotto i colpi della scure per la loro costruzione e me ne dispiaccio.
Durante questo primo camminare non incontro nessuno al mio passaggio: intravedo solo attraverso i deformanti vetri le nere sagome dei corvi, oggi stranamente silenziosi ed immobili.
Un grande tavolo di legno ricamato da infinite arzigogolate venature mi accoglie in cucina. Sedutomi al suo fianco mi accorgo per la prima volta delle numerose incisioni abbandonate dagli intagliatori nelle pietre del pavimento. Ultime testimoni del duro lavoro degli uomini. Resistono solo all'ombra del pesante legno, tutt'intorno sono scomparse, cancellate dall'incessante calpestio dei frati nei secoli. Dopo aver fantasticato su chi fossero queste antiche genti, ringrazio il Signore Misericordioso per il cibo che ho innanzi ed inizio la colazione: latte caldo con ondeggianti pezzi di pane duro come i sassi.
La neve intanto, mai stanca, continua a cadere: è da tre giorni che si accumula pesantemente sui tetti.
E' mezzo dì quando, completate le mansioni giornaliere, iniziamo ad ispezionare i soffitti delle stanze, timorosi per il nuovo peso che grava su di essi. Purtroppo, come in un racconto di paese, l'ultima stanza controllata ci regala l'amara sorpresa: alcune travi sono pericolosamente incurvate e minacciano di cedere. Dobbiamo risolvere il prima possibile questo problema, non possiamo permetterci di compromettere le scorte di cibo custoditevi.
Con grande fatica svuotiamo la stanza e puntelliamo il soffitto con robusti pali in attesa di poter effettuare una riparazione definitiva e duratura nella bella stagione.
Esausti, terminiamo al calar del sole in tempo per il pasto serale.
Seduto assieme ai fratelli al grande tavolo della cucina, assaporo a piccoli sorsi la bollente zuppa di castagne ed orzo, quando il rumore di un tonfo rompe l'assoluto silenzio ed attrae la nostra attenzione. Non riuscendo a capirne la fonte, ogni uno di noi guarda in una direzione diversa e nel mentre immagina il cedimento del tetto in una qualche stanza. Poi però il suono si ripropone con ritmo costante, dipanando il mistero: qualcuno sta bussando al portone. Frate Antelmo si avvia, con noi al seguito, verso il portone. Chi mai può bussare alla nostra porta nel buio di una nevosa notte?
 
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