Protagonismo autoriale

Lark

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Ciao a tutti, leggendo le prime pagine del libro di Simona Vinci, La prima verità, mi sono imbattuto in una frase in particolare che mi ha colpito, e che riporto.

"Il corpo giusto per il lavoro che faceva, nel quale, contrariamente a quel che si pensa, non è solo la testa a contare, oppure l'anima, come credono quelli che confidano nell'esistenza di una cosa che porti quel nome", corsivo mio.

Non è la prima autrice con cui mi capita, un altro caso era stato con Alice Basso, in L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome, in cui, come con la Vinci, avevo avuto l'impressione di una prevaricazione dell'autore sull'opera - sulla vicenda, sui personaggi, su tutto - per, in assenza di definizione migliore, fare il figo. Se la Vinci avesse scritto qualcosa come "anche se lei non credeva in quelle cose", non mi avrebbe dato alcun problema. Ma così mi ha molto disturbato, e dopo averci pensato un po' - escludendo un'esagerata suscettibilità religiosa, sono ateo - sono arrivato alla conclusione che per me quel tipo di frase rappresenti un ammiccamento al lettore, molto fastidioso, in questo caso anche eccessivamente verboso. Una forma di protagonismo dell'autore, a scapito di tutto il resto.

Sono molto curioso di conoscere la vostra opinione, se vi va.
 
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