252° MG - Febbre di Jonathan Bazzi

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Domani io, Ondine e Qweedy cominceremo a leggere Febbre di Jonathan Bazzi, candidato al premio Strega 2020. Chiunque vorrà farci compagnia sarà il benvenuto. Questa la trama:

Jonathan ha 31 anni nel 2016, un giorno qualsiasi di gennaio gli viene la febbre e non va più via, una febbretta, costante, spossante, che lo ghiaccia quando esce, lo fa sudare di notte quasi nelle vene avesse acqua invece che sangue. Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, ha pronta grazie alla rete un’infinità di autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere all’ultimo stadio. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test all’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato. A partire dal d-day che ha cambiato la sua vita con una diagnosi definitiva, l’autore ci accompagna indietro nel tempo, all’origine della sua storia, nella periferia in cui è cresciuto, Rozzano – o Rozzangeles –, il Bronx del Sud (di Milano), la terra di origine dei rapper, di Fedez e di Mahmood, il paese dei tossici, degli operai, delle famiglie venute dal Sud per lavori da poveri, dei tamarri, dei delinquenti, della gente seguita dagli assistenti sociali, dove le case sono alveari e gli affitti sono bassi, dove si parla un pidgin di milanese, siciliano e napoletano. Dai cui confini nessuno esce mai, nessuno studia, al massimo si fanno figli, si spaccia, si fa qualche furto e nel peggiore dei casi si muore. Figlio di genitori ragazzini che presto si separano, allevato da due coppie di nonni, cerca la sua personale via di salvezza e di riscatto, dalla redestinazione della periferia, dalla balbuzie, da tutte le cose sbagliate che incarna (colto, emotivo, omosessuale, ironico) e che lo rendono diverso. Un libro spiazzante, sincero e brutale, che costringerà le nostre emozioni a un coming out nei confronti della storia eccezionale di un ragazzo come tanti. Un esordio letterario atteso e potente.

Jonathan Bazzi è nato a Milano nel 1985. Cresciuto a Rozzano, estrema periferia sud della città, è laureato in Filosofia. Appassionato di tradizione letteraria femminile e questioni di genere, ha collaborato con varie testate e magazine, tra cui Gay.it, Vice, The Vision, Il Fatto.it. Alla fine del 2016 ha deciso di parlare pubblicamente della sua sieropositività con un articolo (“Ho l’HIV e per proteggermi vi racconterò tutto”) diffuso in occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS.
 

Shoshin

Goccia di blu
Posso partecipare?

Ho iniziato anche io ad ascoltare questo libro attraverso il link pubblicato
da qweedy. Quello raccontato da Jonathan Bazzi,attraverso la voce narrante di Valentina Carnelutti
è un mondo che conosco,e il modo con cui questo giovane scrittore ne parla,concede al lettore molti spunti di riflessione.
Non pensavo che gli audiolibri sottolineassero anche con la musica i passaggi più importanti...Ed allora ecco che, colta alla sprovvista,sono rimasta davvero colpita di ritrovare tra le parole di Jonathan le altre parole di Jóhann Jóhannsson,con il suo meraviglioso Flight from the City...

Vorrei restare a far parte di questo gruppo di lettura...


 

Ondine

Logopedista nei sogni
Shoshin sono contenta che partecipi anche tu. :)
Io l'ho cominciato da poco, sto ascoltando i podcast e contemporaneamente leggo il libro.
Sto trovando una perfetta sincronia ritmica tra testo e voce narrante, mi piace il duetto.
Mi ha colpito molto, in positivo, la scrittura in versi, nel senso che l'autore va spesso a capo formulando frasi e periodi brevi, quasi in una forma diaristica.
Mi ha ricordato un po' la scrittura di David Foenkinos in "Charlotte", a primo impatto me lo ha ricordato molto.
Curiosa anche la scelta di dare come titolo ai capitoli la prima frase con cui si apre il capitolo, una ripetizione come a voler sottolineare una sensazione.
La lettura scorre avvolgendoti, immergendoti nel suo mondo, il modo di scrivere così semplice e così autentico mi porta a non volermi staccare.
Sento forte nell'autore il bisogno di parlare di sé, il racconto mi appare come un dialogo che si ha con un amico, è tanta la voglia di raccontarsi, una necessità quasi.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Il grande discrimine nell'ambito dei traumi è dato da quello che succede subito dopo il trauma. Se l'evento spesso è inevitabile, è la gestione di ciò che è accaduto che restituisce il senso il senso della nostra umanità, del modo in cui veniamo trattati e tratteremo noi stessi. Ma il mio ricordo si ferma lì, cristallizzato in una scena che non è solo una scena. E' un destino, un trailer.

Quanta verità.
 

qweedy

Well-known member
Shoshin sono contentissima che sei con noi!

Ho iniziato anch'io, mi piace molto lo stile di scrittura, questo ragazzo sa scrivere bene. Il libro è diviso in capitoli che si sviluppano su linee temporali diverse: Jonathan adulto alle prese con una febbre che non va via e Jonathan bambino con una situazione familiare difficile, che cresce in una Rozzano (Rozzangeles) che lui odia e di cui si vergogna.

Molto particolare la copertina, beige con la scritta in rosso Febbre, un viso stilizzato, una mano rossa che tiene in mano una specie di fiore che sfiora gli occhi che piangono lacrime rosse:
Febbre-Jonathan-Bazzi-Fandango-libri-1.jpg


Febbre di Jonathan Bazzi è stato votato come libro dell’anno dalla trasmissione Fahrenheit di RadioTre e ha vinto il premio Bagutta Opera Prima.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Benvenuta Shoshin!
Grazie Qweedy per aver descritto la copertina, sicuramente enigmatica ed emblematica. Io sono arrivata all'inizio del capitolo "Non gli credo", ma è davvero un piacere leggere questo libro. Concordo, Bazzi scrive divinamente, ciò che dice ci arriva subito, con forza, perché parla, scrive, pensa come noi. Incredibile la descrizione di Rozzano, ma anche il logorarsi del rapporto tra i genitori, le radici meridionali, il sostrato ambientale e, non ultima, l'ansia crescente per la febbricola, l'incertezza che spossa e disarma.

"Ho imparato da lei, chissà forse già allora, a incaricare il corpo di manifestare ciò che non si sa gestire razionalmente, a parole. Il corpo che inizia a parlare da solo, che, esondando, dice quel che non si può dire. Che fa vedere il rimosso, l’inascoltato. Che si ribella al regime eterno dei padri, dei mariti, dei nonni. È la tradizione delle isteriche, l’etichetta con cui il potere maschile ha marchiato il sentire delle non allineate."

Questa frase mi ha riportato direttamente alla mia terra ed in particolare ai riti delle tarantate: l'espressione del corpo, attraverso le crisi convulsive, del male della mente e del rifiuto, del dolore per qualcosa che non si accetta, a cui non ci si allinea. Un'immagine fortissima per me.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Quanti pensieri in cui mi riconosco, soprattutto quando dice:

Non mi piace parlare con chi non conosco: balbetto, anche se meno di un tempo. Esordire a parole con gli sconosciuti mi fa ancora paura. Lo evito il più possibile. Il ciao scusa mi esce facile più o meno con tutti, sul resto mi blocco. Scelgo le parole al momento, sulla base di quelle che riesco a pronunciare. Per questo ami cantare, mi ha detto una volta un'insegnante di Kundalini. E' il tuo quinto chakra, quello della gola. Hai bisogno di liberarlo. Non è carente: è sovreccitato, affollato.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Proseguo nella lettura, sono al punto in cui Jonathan sta per avere "finalmente" la diagnosi. Io la capisco la sua ansia, la sua impazienza: di ospedali ne ho visti e ne vedo tanti, per ironizzare di solito dico che sono io stessa un ospedale... Non è ipocondria, ma bisogno di sapere, per poi affrontare ciò che sarà, qualunque cosa sarà. Vedremo come si comporterà lui una volta appresa la notizia.
Per il momento mi fa strano ritrovare parole che sanno di Sud, lo spirito, i boccacci, persino una "via oleandri" - anch'io vivo in via oleandri - a mille e più chilometri di distanza. Il quartiere e il cortile descritto sembra proprio un paesino del Sud, se non fosse che siamo nell'interland milanese... anche il nonno burbero e orso sembra proprio uscito da una storia ambientata da noi negli anni Sessanta... Jonathan ci ha già lanciato una frecciatina in merito... vedremo, anzi, leggeremo.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Ho ascoltato i dieci podcast di "ad alta voce" e ho scoperto che l'audio lettura termina a metà libro.
Mi sembrava piuttosto strano che l'audiolibro fosse integrale ma ci speravo.
Il libro è troppo recente per essere pubblicato integralmente.
Vabbè, per fortuna che abbiamo il libro! :wink:
 

qweedy

Well-known member
Lui ha paura degli aghi

"I bambini che vivono in famiglie difficili – anche solo in senso comunicativo o psicologico – porteranno per sempre i segni di quel regime. La dedica ai bambini invisibili arriva da qui. Per me questo è anche un libro sulle gerarchie di genere, sui rapporti disfunzionali e abusanti che la famiglia tradizionale troppo spesso ospita e legittima».

La copertina mi ha colpito molto, non l'ho capita bene, ma è sicuramente molto particolare, disturbante, con le lacrime di sangue. Così la spiega l'autore:

È un’illustrazione di Elisa Seitzinger, una giovane e talentuosissima artista torinese amante dell’immaginario medievale (sante, martiri, animali fantastici). Esisteva già, non è stata creata apposta per il libro. L’ho vista la prima volta credo due o tre anni fa. Quando ho finito di scrivere il libro e abbiamo iniziato a pensare alle varie questioni legate alla pubblicazione ho avuto la fortuna (inusuale per un autore, soprattutto se esordiente) di poter partecipare al processo decisionale per la scelta della copertina. Ho proposto l’illustrazione di Elisa a Fandango e loro l’hanno accettata subito. All’inizio pensavo di averla scelta semplicemente perché mi piaceva e mi sentivo rappresentato da quest’immagine, poi ho capito che c’è un legame chiaro col movimento di fondo di Febbre. La mano offre uno sguardo, un punto di vista, porge una testimonianza: ecco quello che ho visto. O ancora meglio: ecco come ho visto le cose che ho visto».



P.S. Forse ora ho avuto un'intuizione sul significato della copertina, rileggendo la frase posta nell'incipit del libro, di Ingeborg Bachmann:
"Con la mia mano bruciata scrivo della natura del fuoco"

Quella mano rosso fuoco è inquietante. Ma deve raccontare qualcosa di potente, bruciante, devastante.
 
Ultima modifica:

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Stavo riflettendo che è singolare che, in questo più che in molti altri minigruppi, i nostri commenti siano tutti diversi, ciascuna di noi rileva qualcosa di più, di diverso, di altro nel romanzo. Tutti i commenti sono spunti validi, ma, pur concordando con tutti, non ce n'è uno che si ripeta. E forse questo puzle che man mano andiamo completando sta ad indicare proprio quante anime abbia questa storia, quanti dettagli ci susciti... perché è come dicevo all'inizio: questo è un romanzo in grado di parlare a noi, direttamente, toccando qualcosa nella nostra sensibilità personale che, giocoforza, è diversa per ciascuno.
 

qweedy

Well-known member
Stavo riflettendo che è singolare che, in questo più che in molti altri minigruppi, i nostri commenti siano tutti diversi, ciascuna di noi rileva qualcosa di più, di diverso, di altro nel romanzo. Tutti i commenti sono spunti validi, ma, pur concordando con tutti, non ce n'è uno che si ripeta. E forse questo puzle che man mano andiamo completando sta ad indicare proprio quante anime abbia questa storia, quanti dettagli ci susciti... perché è come dicevo all'inizio: questo è un romanzo in grado di parlare a noi, direttamente, toccando qualcosa nella nostra sensibilità personale che, giocoforza, è diversa per ciascuno.

Sagge parole, Estersable, è proprio così. Ognuno coglie qualcosa di sè. Io ero molto disturbata dalla copertina che non riuscivo a decifrare. Ora mi sento più tranquilla!

«Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto uno strumento ottico offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso.» Marcel Proust

Per quanto riguarda il romanzo, il bambino sensibile e affamato d'amore che cresce a Rozzangeles si mescola in ogni capitolo con l'adulto angosciato dal non sapere e poi quasi rasserenato dalla diagnosi, ma qui gli sbalzi temporali non mi disturbano affatto. In genere non li sopporto proprio, ma qui si amalgano perfettamente.

Jonathan Bazzi di se stesso dice: “Superstite di un’infanzia trascorsa all’ombra della torre Telecom nella Rozzano degli anni ’90, sono laureato in filosofia e vivo a Milano con Marius e due devon rex nati a san Valentino. Ho il culto di Simone Weil e Elsa Morante, amo gli incipit e l’imbarazzo della scelta”.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
La sensazione di base che ha l'autore di sentirsi "diverso" dagli altri, anche dai suoi familiari, ce l'ho anch'io e quindi comprendo molto bene il suo disagio.
Sicuramente scrivere questo libro per lui è stata una vera e propria liberazione e questa è una cosa che gli invidio molto.
Ha scritto questo libro per se stesso e forse anche per aiutare chi come lui deve affrontare una lotta quotidiana con un problema, e questo suo bisogno è stato più forte di tutto, più forte forse della paura di una possibile reazione dei suoi familiari nel leggere quello che lui ha scritto, penso non debba essere stato semplice per lui ma forse era necessario farlo, forse arrivi ad un certo punto che non ce la fai più a tenere dentro tutto il passato e che questo passato deve essere rielaborato in qualche modo e la scrittura in questo ti viene in aiuto.
Tante volte ho pensato anch'io di scrivere la mia autobiografia, senza pseudonimi e senza invenzioni, ma il senso di colpa mi blocca (e poi non sono brava a scrivere).
Forse scrittori che riescono a fare questo si sono liberati del senso di colpa, per questo li invidio.
Comunque, cambiando discorso, mi ha fatto piacere leggere i nomi delle autrici che lui considera sue maestre: Elsa Morante, Cristina Campo e Simone Weil (sono due autrici che vorrei approfondire e di cui ho in lista la biografia), Edith Stein, Hannah Arendt, Roberta De Monticelli e Laura Boella (queste ultime due autrici non so chi siano).
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
"Ma quando si dorme come si fa a stare attenti?"
Ah, caro Jonathan, il mio corpo l'ha trovata la soluzione: quando dormo, invece di rilassarsi, lui si contrae e controlla ciò che io non posso controllare. Così da vent'anni mi porto dietro una contrattura con annessi e connessi... e forse ben venga l'enuresi notturna al confronto!
E giù un'altra stilettata in una sola frase... incredibile, questo libro continua a parlarmi!
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Ragazze, volevo dirvi... sappiate che vi sto seguendo. Che splendidi commenti, anche molto personali come piacciono a me :wink:.
Ho deciso di non leggere il romanzo sia per la storia dello scoprirsi sieropositivo (mai come ora non è periodo per me di storie con sindromi da immunodeficenza, malattie, virus o altro :paura:), sia perché ho in ballo già un paio di libri ma credo di essermi persa un gran bel romanzo. Comunque è quasi come se lo stessi leggendo attraverso voi :ad:.
 

Shoshin

Goccia di blu
Stavo riflettendo che è singolare che, in questo più che in molti altri minigruppi, i nostri commenti siano tutti diversi, ciascuna di noi rileva qualcosa di più, di diverso, di altro nel romanzo. Tutti i commenti sono spunti validi, ma, pur concordando con tutti, non ce n'è uno che si ripeta. E forse questo puzle che man mano andiamo completando sta ad indicare proprio quante anime abbia questa storia, quanti dettagli ci susciti... perché è come dicevo all'inizio: questo è un romanzo in grado di parlare a noi, direttamente, toccando qualcosa nella nostra sensibilità personale che, giocoforza, è diversa per ciascuno.

Appena ho iniziato ad ascoltare. questo romanzo dalla voce di Valentina Carnelutti,mi sono ritrovata in un mondo che conosco
ed ho pensato ai volti e ai nomi di ragazzi e ragazze,uomini
e donne che hanno vissuto le stesse sensazioni di Jonathan,
in solitudine...
Devo essere sincera,mi sono commossa.
Sono parole di vita vera,anche se a volte per queste persone ,la vita finisce prima dei sogni.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Sono arrivata al capitolo "La mia prima liceo dura quattro mesi", oggi lo finisco.
Mamma mia quanto vorrei parlare con Jonathan, parlare con qualcuno che capisca il travaglio che rappresenta la scuola per chi balbetta, lo studiare a memoria per evitare interminabili pause, la scusa di andare in bagno per evitare di leggere o per essere interrogato e non perché non si è studiato, anzi, la lezione la sai in modo ossessivo, parola per parola, ma per evitare l'umiliazione, il senso di frustrazione di non riuscire a far uscire nulla, è un incubo che se non lo vivi non puoi capire.
Difficile per me commentare questo libro perché mi coinvolge ed inevitabilmente parlo di me, non riesco a concentrarmi solamente sulla sua storia.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Però a ottobre è nata Tecla, mia sorella.
E io mi sono innamorato.
Piccola, minuscola, Tegola, Tegolina, la bimba naso: con le parole io mi approprio delle cose, circondo di nomi nuovi le cose che voglio salvare. Aiuto mia madre, mi prendo cura di mia sorella - sorellastra?, sorella -, la cullo, di giorno, di sera, di notte. Le cambio il pannolino, crema Fissan, bagnetto, calzini, gocce di fisiologica nelle narici, latte in polvere, semolino, crema di riso, omogeneizzati alla carne, al pesce, alla frutta.
Oltre l'amore, c'è?
La devozione?


Che bello questo brano!
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Sono esattamente al tuo stesso punto, finito adesso questo capitolo.
La reazione iniziale di Jonathan, il rassicurare, prendere con "filosofia", affrontare di petto la capisco e la adotto anch'io, ma quel che viene dopo, il cercare per forza altro, il costruirsi una malattia altra, ulteriore, è una reazione che, pur comprensibile, non mi appartiene. L'adolescenza, i problemi di comunicazione, gli sfottò, sono poi una parte importantissima di ognuno, ma acquistano ancor più importanza in chi è più debole o ha avuto una vita familiare scombinata. Non è la prima volta che leggo di come situazioni di questo tipo vengano ignorate dai più, ma è una cosa che mi colpisce e mi lascia sempre sgomenta.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Però c'è da dire che a tratti avverto un'autoironia che trovo irresistibile, è appena percettibile.
 
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