Bazzi, Jonathan - Febbre

Eve

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“Prendere nota: la mente è più pericolosa di tutto quello che la circonda, i problemi veri sono quelli che lei – artigiana, falegname, burattinaia – si costruisce da sola. Teatro delle ombre. Ogni cosa che viene dall'esterno è risolvibile, la si può scansare, attraversare. Ma se è la mente stessa a diventare ostile, dove te ne vai? Cosa affronti, dove ti sposti? Energie in eccesso: liberarle, condividerle, mandarle nel mondo. Altrimenti ti si ritorcono contro”

“Ma è vero: per ogni malato la sua condizione è un evento assoluto. L'enigma che dovrebbe fermare il corso del tempo, la vita degli altri. La malattia recinta, scinde, confina chi ne è portatore in una sfera a parte – egoista, impaurita -, lo riporta nell'io-me primordiale che non vede altro che se stesso”

E' il 2016. Jonathan ha poco più di 30 anni, vive a Milano con il suo compagno e lavora come istruttore di yoga. Una mattina d'inverno gli viene la febbre, e non va più via. I capitoli si alternano poi tra il presente e il passato. Un presente che grava esclusivamente intorno alla nuova diagnosi: desiderata, temuta, discussa; un passato trascorso nel quartiere popolare di Rozzano, dove un Jonathan bambino e adolescente ha vissuto come un pesce fuori dall'acqua, in un contesto familiare e sociale fatto di precarietà e marginalità.

Un libro toccante ma non affettato. Duro ma senza eccessi teatrali di drammaticità. Vero, profondo, sincero. Molto bella anche la scrittura a periodi brevi, come a dare corso libero a pensieri e sentimenti.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Questo libro è un’opera prima, e si sente.
Si sente si, perché questo è un libro di sensazioni che hanno urgenza di essere tradotte in parole, parole scritte con urgenza, d’impulso, istantanee di vita vissuta cercando di non soccombere ad un destino che sembra segnato ed ecco allora che questo ragazzo cresce e sopravvive grazie alla voglia di distinguersi, di essere tutto altrimenti meglio niente, di prendere il massimo dei voti sottoponendo il suo corpo e la sua voce a sforzi innaturali, di volere essere ammirato che tradotto significa amato.
Non è presunzione la sua, non è narcisismo, è semplicemente bisogno di essere accettato.
Questa sua difficoltà la comprendo perché anch’io, come lui, ho riversato in passato sulla scuola la mia possibilità di valere, per me stessa, per i miei, e in parte posso dire di avercela fatta ma non sono stata brava quanto Jonathan, i miei risultati, nonostante la balbuzie, non sono stati così eclatanti, il mio fisico non è stato forte come il suo nel sopportare un ritmo di studio così ossessivo.
Mi è dispiaciuto leggere delle sue esperienze sentimentali perché sono state per lui esperienze vuote, che lo facevano dopo sentire ancora più solo, non avevano un senso.
Io ad esempio in questo sono il contrario di Jonathan, preferisco stare da sola piuttosto che imbattermi in legami senza un coinvolgimento emotivo ma il bello di leggere questa autobiografia è stato anche il leggere un modo di vivere le relazioni diverso dal mio, dalle esperienze degli altri, seppur diverse dalle proprie, si impara sempre qualcosa, e comunque alla fine Jonathan l’amore vero l’ha trovato e l’amore ti può salvare, certo però che ti devi prima voler bene.
Questo messaggio mi ha lasciato questo libro, bisogna volersi bene.
Quando si ha un disagio psicologico bisogna tornare al corpo perché mente e corpo sono un tutt’uno.
A questo proposito mi piace il fatto che Jonathan abbia trovato nello yoga il proprio ricongiungimento tra mente e spirito, e questo lo si può trovare in mille modi diversi, per lui è lo yoga, per qualcun altro può essere una qualsiasi cosa con cui trasformare pensieri intrusivi, che poi diventano emozioni represse, in energia fisica.
Trovare una procedura, un qualche accenno di metodo. Scoprire e frequentare per un po’ tecniche e ritmi che insegnino una struttura, che funzionino per noi come dei tutori.
Cornici, sponde, bordi: madri e padri impersonali – facciamo insieme le cose, ditemi come si prosegue – coi quali ripetere l’esecuzione dei gesti fondamentali, per imparare modi un po’ più leggeri di stare al mondo, senza gli eccessi del bambino che ha dovuto trovare la misura da solo.
Mettere i cardini alla gabbia toracica – poter scegliere l’ampiezza dell’apertura – e del fil di ferro dentro il corpo d’argilla, per non collassare ogni volta sul primo che passa.
Sprezzatura la chiamava Cristina Campo.
Con lieve cuore, con lieve mani – la vita prendere, la vita lasciare.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Sono una lettrice. Di più, sono una blogger. Nel recensire i libri, da tempo ormai ho (o dovrei aver) imparato a non far debordare le emozioni personali. Stavolta, però, non ci riesco, non posso farlo, non posso recensire questo libro. Perché? Perché prima che lettrice, blogger, consigliera all'occorrenza, sono una persona, sono Rossella… e questo libro ha parlato direttamente a me. No, non è retorica e ve lo dimostro.
"L’HIV è una mia caratteristica reale, incontrovertibile. Una delle tante. Un metro e settantanove, occhi marroni, capelli (pochi) castani, molti peli sul corpo, piede numero 43, balbuzie, ernia inguinale – forse sparita da sola (i medici dicevano: impossibile, bisogna operare) –, canino inferiore sinistro spinto in avanti dal dente del giudizio (mi storta la bocca), setto nasale un po’ sporgente da un lato, miope, lievemente intollerante all’alcol (quando bevo più di un bicchiere mi riempio di macchie), sieropositivo.
E allora?
Condizione corporea, oggettiva. Non decisa, scelta, voluta: il virus in realtà non dice niente di me, non dice niente di chi ce l’ha. Sempre lo stesso, uguale per tutti. Semmai conta il modo in cui chi ce l’ha assume su di sé la sua diagnosi, lo stile con cui sceglie o riesce ad attraversarla. Ci avete mai pensato? Ve ne frega davvero qualcosa?
Ho deciso di essere un sieropositivo che si lascia individuare, che racconta più che lasciarvi immaginare.
La precisione è l’arma di cui mi sono munito.
La compagnia degli altri, la soluzione che ho scelto."
Prendete questa citazione, sostituite Hiv con Cecità, sieropositivo con non vedente, le caratteristiche fisiche di Jonathan con le mie e il risultato sarò io: stesso pensiero - la cecità non mi definisce, è solo una delle caratteristiche che mi compongono –, stessa arma – la precisione – stesso atteggiamento – rassicurare gli altri e affrontare tutto di petto -, stessa soluzione – la compagnia degli altri. Raccontare invece che glissare, parlare, informare invece che suscitare pietismo e compassione. E no, nessun eroismo, ma semplice normalità.
In Febbre Jonathan Bazzi racconta la sua storia, in modo diretto, catartico, liberatorio. Ci racconta di quella febbricola che da gennaio 2016 ha cambiato prima le sue giornate, poi la sua vita; ci racconta dell'ansia prima della diagnosi, della serenità una volta ottenuto il responso, del successivo crollo mentale e quindi fisico, della ripresa data dalla nuova consapevolezza di sé. Ma non solo, Jonathan Bazzi ci racconta la sua vita, il luogo dov'è cresciuto, i problemi familiari, il Sud che non è Sud, ricostruito nell'interland milanese (e anche qui per me sono state stilettate continue), poi la scuola, l'adolescenza, le esperienze sessuali, il bisogno di primeggiare per essere qualcosa, per essere degno di attenzione, per essere amato… Non si diventa ciò che si è così, da un momento all'altro. Lo si diventa giorno dopo giorno, fallimento dopo fallimento, vittoria dopo vittoria. L'importante, però, è sapersi accettare, prendersi le misure, liberarsi dall'oppressione del giudizio altrui ed imparare ad amarsi.
Impossibile non essere toccati dal linguaggio diretto, dalla schiettezza, dalla sincerità di Jonathan che, davvero, sembra parlare proprio a chi lo legge. Impossibile non ritrovare qualcosa di sé in queste pagine, fosse anche un dettaglio, una parola, un'esperienza…
L'ho scritto all'inizio, non posso recensire questo libro con obiettività… posso solo consigliarvelo, spassionatamente. E mi scuserà, Jonathan, se sono stata tanto presuntuosamente autoreferenziale, ma io ci ho ritrovato una parte consistente di me… e voi?
 

velvet

Well-known member
Ho letto questo libro senza informarmi prima bene, non sapevo cosa aspettarmi esattamente, e quello che ho trovato mi è piaciuto molto. Un libro scritto con l'urgenza di raccontare e raccontarsi, sembrerebbe quasi un processo catartico. Comunque mi hanno colpito i suoi racconti di infanzia e gioventù, è quasi mio coetaneo e lo sfondo (tv, programmi, libri, giochi, canzoni) che ha accompagnato la sua crescita ha accompagnato anche la mia, pur essendo esperienze molto diverse. I personaggi che popolano la sua storia sembrano quasi personaggi del mito, incarnano perfettamente pregi e difetti umani (soprattutto difetti in realtà). Lo stile semplice, senza fronzoli, fatto di periodi brevi anche quando si addentra in riflessioni accompagna perfettamente la storia. Lo consiglio.
 
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Grantenca

Well-known member
E’ un libro che racconto la vita di un omosessuale su due piani contemporaneamente. Dalla primissima infanzia fino alla maggior età e da quella data fino ai tempi attuali (credo arrivi fino al 2016). Ho iniziato la lettura non propriamente interessato ma, mano a mano che scorrevano i capitoli sono stato sempre molto più coinvolto nella lettura. Ha me ha interessato forse di più il primo piano, anche se il secondo non è da sottovalutare.
E’ un immergersi in problematiche che, dico la verità, non mi hanno mai interessato.
La percezione che avevo nell’età adolescenziale dell’omosessualità (il protagonista di questa storia dovrebbe essere nato a fine anni settanta o inizio anni ottanta e quindi di almeno una generazione successiva alla mia) oltre a non entrare nel mio raggio di interessi, non era di contrarietà o disprezzo, questo no, certamente, ma quasi di compassione. In qui tempi gli omosessuali non erano molto visibili, tranne quei pochi casi in cui i tratti somatici e i comportamenti non fossero estremamente visibili, si tendeva a nascondere questo tratto del carattere.
Nella mia adolescenza o prima giovinezza un bacio a una ragazza non dico che fosse come quello di Paolo a Francesca ma comunque un piccolo angolo di paradiso lo schiudeva. Ecco, pensavo che gli omosessuali non potessero godere di simili momenti, dal momento che nella mia ignoranza credevo che potessero innamorarsi solo di maschi eterosessuali, (essendo loro femmine) ma non immaginavo che si potessero innamorare tra di loro, e per questo un po’ li compiangevo, li consideravo sfortunati e con una vita davanti molto complicata.
Per quanto riguarda la vita molto complicata non mi sbagliavo. Figlio di una coppia giovanissima dell’hinterland milanese non matura per il matrimonio, fin dai primissimi anni manifestò la sua indole, preferendo i giochi e le compagnie femminili ai giochi tipicamente maschili e di forza, in un ambiente modestissimo dal punto di vista culturale. I continui litigi (anche con botte) in famiglia a cui doveva assistere, nonché, lavorando i genitori, venire cresciuto dalle nonne in altre famiglie in cui i problemi non mancavano di certo, qualche segno glielo anno lasciato. Bagnava il letto fino ai sette anni e soprattutto, la croce della sua esistenza, era balbuziente.
Da parte sua ha però sempre amato moltissimo la sua persona, il suo carattere tendente a primeggiare, la sua diversità di cui, man mano che cresceva si rendeva sempre più conto. Una cosa ho intravisto tra le righe. La famiglia è sempre stato l’unico approdo sicuro della sua esistenza. La madre, che lo ha partorito a diciotto anni, pur con tutti i suoi sbagli nella vita affettiva, la sua modestia culturale, il gran tempo dedicato al lavoro per sopravvivere, non lo ha mai abbandonato, anche nella totale assenza del padre, presente solo ai compleanni con dei regali che servivano solo a tranquillizzare la sua la coscienza. Anche le famiglie delle nonne, pur con tutti i loro limiti, lo hanno sempre circondato di amore.
E questo mi conduce ad una riflessione. La famiglia tradizionale nel dopoguerra, ma anche vent’anni dopo, è stato il vero artefice del miracolo economico e del benessere nazionale degli anni 70’ 80’. Il ruolo di gran lunga più importante è stato quello della donna, che, in quegli anni, ha sempre lavorato almeno il doppio dell’uomo, oltretutto sopportandone, molto spesso, le prevaricazioni. E’ vero in quegli anni qualche governo ha fatto anche riforme importanti, ma la forza dell’Italia è sempre stata la solidità della famiglia, che ha consentito la realizzazione di traguardi a prima vista irraggiungibili. E nella famiglia la protagonista principale è stata, di gran lunga, la donna.

Un ‘altra cosa che un po’ mi ha meravigliato è stato il gran numero di rapporti occasionali. Credevo che questo fosse una prerogativa degli etero, evidentemente mi sbagliavo. Il secondo piano è il racconto della malattia quando scopre di avere l’HIV. Una mazzata terribile con conseguente depressione, forse ancor più terribile. Per fortuna la scienza attualmente riesce a consentire un ottimo controllo dell’infezione consentendo agli ammalati una vita quasi del tutto normale.

Concludo dicendo che ho imparato da questo testo molte cose che ignoravo e che il libro è scritto molto bene. E’ un autore che vorrei leggere, per dargli il giusto valore, in un opera non così coinvolgente.
 
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