Gargioli, Claudio - Menù letterario tipico romano

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Prendete un cuoco insignito di "Tre gamberi" dalla guida Gambero Rosso 2014, Claudio Gargioli, un padre un po' geniale che ha avviato l'attività e un fratello tuttofare. Mescolateli con una figlia desiderosa di apprendere l'arte della cucina, un locale delizioso (Armando al Pantheon) indicato tra i migliori dieci ristoranti della capitale dall'inglese The Guardian, a pochi metri da una delle più belle piazze di Roma, un menù che varia dalla tipicità della cucina romana, cosiddetta del quinto quarto (trippa, coda alla vaccinara e altro), a delle vere e proprie chicche quali l'anatra alle prugne e la faraona ai funghi porcini e birra nera, estrapolate da una cucina "apiciana" di oltre duemila anni fa. Farcite con storie che raccontano di cibo, narrazioni familiari, personaggi famosi e curiosità. Cuocete a fuoco vivo. Il risultato è un'essenza squisita e autentica: una storia delicata - insieme gioiosa, commovente e ironica - che tocca il cuore e il palato e non se ne va più via.

Complice la quarantena e l'impossibilità di vedere gli amici e di raggiungere i miei bar e ristoranti del cuore, da giorni avevo voglia di leggere qualcosa che avesse a che fare con la cucina, con ricette buone, che sanno di famiglia e posti rassicuranti in cui ci si possa sentire a casa. Non volevo, quindi, il classico manuale di ricette, ordinato e impersonale… cercavo piuttosto qualcosa che unisse letteratura, cultura popolare e, appunto, buona cucina. Pochi giorni fa mi sono imbattuta in un video in cui Claudio Gargioli, chef e proprietario dello storico ristorante Armando al Panteon, preparava la sua Carbonara e, oltre ad una gran fame, la cosa mi ha fatto venire in mente proprio questo libro, Menù letterario tipico romano. L'ho recuperato e… mi sono ritrovata di colpo seduta ad un tavolo appartato in un'accogliente trattoria degli anni Sessanta, in una Roma bella, rilassata e godereccia, ad osservare un gruppo di avventori variopinti e tutti a loro modo peculiari che gustavano le prelibatezze di una cucina fatta di semplicità, sapori decisi, ricerca e tanta passione. Come fossi in un film di Alberto Sordi, mi sono ritrovata avvolta dagli effluvi di pentole fumanti, mezzi toscani e vino dei Castelli, ad osservare attori, scrittori, gente normale, che discuteva di vita davanti ad un buon piatto di pasta o ad un corposo secondo. Ho ascoltato i problemi, le confidenze, gli aneddoti che costellavano le interminabili partite a carte; ho osservato Armando e i suoi figli e nipoti trasmettere amicizia, affetto, dedizione attraverso i loro piatti. Ho ritrovato l'orgoglio giustamente campanilista che accomuna gli strenui difensori della buona cucina tipica di tutti i territori d'Italia; quell'orgoglio che nasce dalla sicurezza e dall'esperienza di chi ama studiare, ricercare, sperimentare e fare sempre e comunque le cose per bene, a regola d'arte. Quell'orgoglio che mia nonna mette nel raccontare le sue ricette, quelle antiche, quelle povere che sono state la base per la sopravvivenza, la nascita e il sostentamento di tante famiglie, di un intero Paese e di un'economia basata sul ricavare tanto dal poco che c'era. In queste pagine intense e un po' nostalgiche c'è la storia di una cucina, di una famiglia, di una terra; c'è la storia di sacrifici che si affianca, orgogliosa e fiera, a quelle di tanti cucinieri e imprenditori italiani che col duro lavoro si sono affermati e portano alto il nome della buona cucina regionale italiana. Tradizione e innovazione si mescolano qui all'amore per gli ingredienti, per i piatti, per le persone. Ed il quadro che ne esce è proprio quello rassicurante che cercavo, quello che sa di famiglia, di casa e di posti dove ritrovarsi.
 
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