Hansen, Dorte - Tornare a casa

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Quando un bambino nasce in un paesino di provincia dove di bellezza non c’è neanche l’ombra, è figlio di una ragazzina affetta da ritardo mentale e fin da piccolissimo viene messo in piedi su una cassa a spillare birra al bancone di una locanda, il fatto che da adolescente frequenti il liceo è piuttosto sorprendente; se poi diventa un professore universitario e decide di lasciarsi tutto alle spalle, l’evento è più unico che raro, e in paese c’è chi lo vive come un tradimento. Nel momento in cui, alla soglia dei cinquant’anni, l’uomo fugge da una vita accademica insoddisfacente e da un’ambigua convivenza a tre in un appartamento in cui non si diventa mai adulti per tornare a casa e prendersi cura dei nonni – Sönke, l’oste arroccato nella sua locanda semiabbandonata, ed Ella, che la vecchiaia ha reso capricciosa e imprevedibile –, due realtà apparentemente inconciliabili si scontrano, dando vita a una crepa profonda dalla quale tutto torna a galla. Il ritorno a Brinkebüll diventa così un’occasione per riscoprirsi e reinventarsi: ci sono conti da saldare, ruoli da invertire e tante tappe da rivisitare prima di muovere il primo passo verso il cambiamento. Il contrasto fra due mondi, il nostro passato e il nostro presente, le famiglie da cui proveniamo e quelle che ci siamo scelti, è la sostanza da cui germoglia questo romanzo meraviglioso, che racconta l’evoluzione di un paesino e i destini individuali dei suoi abitanti con dolcezza, ironia sottile e una vena di malinconia.
Caso letterario dell’anno in Germania, con oltre 400.000 copie vendute e il plauso unanime di pubblico e critica, Tornare a casa è un bestseller indimenticabile che ha incantato davvero tutti.

Brinkebull è un paesino della Frisia settentrionale, un luogo senza tempo, arroccato su se stesso come una bolla protettiva e soffocante, uno di quei luoghi sempre uguali che sembrano non dover cambiare mai. Tutto, a Brinkebull ha un suo posto, un ordine precostituito e immutabile dalla notte dei tempi; tutti hanno un ruolo, come figuranti nella commedia della vita: c'è l'ubriacone che vaga incessantemente sul motorino scassato, c'è la bottegaia che tratta la gente a simpatia e vuole che tutto venga fatto come dice lei, c'è il panettiere pasticcere e pure un po' artista costretto a vendere pane di segale e poco più. Poi ci sono i Feddersen. Lui, Sonke, è l'oste, un tutt'uno con la sua locanda, il punto di ritrovo e di vedetta dell'intero paese per generazioni; lei, Ella, è la moglie discreta e talvolta necessaria quando si tratta di cacciar via con mano delicata ma ferma gli ultimi ubriachi mentre spunta già l'alba; la loro figlia, Marret, è la matta del villaggio, quella che va in giro a tutte le ore annunciando la fine del mondo, quella che sparisce e sa come non farsi trovare, quella che custodisce gelosamente i suoi reperti perché non cadano nelle mani del mondo. Un giorno, non si sa bene come, Marret si ritrova incinta. Nove mesi dopo nasce Ingwer, inutile dire che saranno i suoi nonni, Sonke ed Ella, a fargli da genitori. Ingwer diventa ben presto un provetto spillatore di birra e un ragazzino intelligente che il maestro Stensen vuol mandare alle superiori. Il liceo… "Puah!", direbbe Sonke, eppure, nonostante la disapprovazione di un paese in cui l'istruzione non è poi tenuta in gran conto, Ingwer emerge, diventa professore universitario e si trasferisce a Kiel. Molti anni dopo, quando si ritroverà ad un bivio, cinquantenne, senza ben sapere cosa fare della sua vita, c'è bisogno che lui torni a Brinkebull ad assistere i nonni che lui chiama da sempre papà e mamma. Tra una fetta di pane imburrato e un massaggio al corpo del nonno, tra una gita al Mare del Nord e le lenzuola da cambiare con urgenza, Ingwer rivede la sua vita, la rivaluta ed è finalmente pronto a darle un'impronta diversa. Perché alle volte, bisogna tornare da dove si è partiti e guardarsi indietro, per capire davvero ciò che siamo e ciò che vogliamo diventare. Poi bisogna fare come Ingwer: trovare ed esercitare, a piccoli morsi, il coraggio di cambiarla davvero la propria vita.
Tornare a casa è un romanzo bellissimo in cui tutto, anche lo stile di scrittura, ricorda l'apatia di un paesino monotono e apparentemente sintonizzato perennemente su una frequenza disturbata. Ma se si fa attenzione, anche dai rantoli e dai fruscii si possono cogliere forti le voci dei singoli abitanti, con le manie, i vizi, i difetti, le gioie condivise e i dolori pianti in gruppo. Un paese è sempre fatto di un'entità univoca, unica, in cui ciascuno può trovare il suo posto, anche chi era scappato e quel posto l'aveva perso da tempo, anche un professore cinquantenne, scapolo e smarrito. Un libro da leggere, un omaggio ai piccoli paesi che accomunano il popolo. Ed è impossibile, leggendo, non pensare a Pavese che scriveva che "un paese ci vuole", sempre, anche per avere un luogo a cui tornare e in cui ritrovarsi.
 
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