Singer, Isaac B. - Satana a Goraj

ayuthaya

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Satana a Goraj, che mi ha attirato fra le altre opere dello stesso autore per il titolo curioso, è il secondo romanzo che leggo del premio Nobel polacco e conferma la mia decisa preferenza per il fratello meno famoso. Non che Isaac Singer non scriva bene, anzi: il suo stile è semplice e scorrevole, le frasi sono brevi e i capitoli pure, perciò il messaggio arriva diretto e chiaro. Eppure non so... questa estrema semplicità, che beninteso non è povertà di linguaggio, l'ho sentita un limite per il mio personale apprezzamento. Se penso ai romanzi di Israel che ho letto (La famiglia Karnowski e I fratelli Ashkenazi) mi hanno trasmesso molto di più: li ho trovati più complessi e problematici, mi hanno coinvolto profondamente e trascinato via con loro.

Detto ciò, l'opera prima di Isaac Singer è un libro che comunque vale la pena leggere, se non altro perché tratta un argomento molto interessante.
Nel 1648, a Goraj, cittadina a sud di Lublino abitata principalmente di ebrei, avviene una terribile carneficina ad opera dell'atamano ucraino Chmel'nitskij, in seguito alla quale della vivace cittadina non sembra restare più nulla. Col passare degli anni, tuttavia, Goraj si ripopola, anche se alcuni dei personaggi una volta influenti non sono più gli stessi. Diciotto anni dopo il triste evento, in tutta la Polonia si diffonde la notizia che per gli Ebrei la fine dell'Esilio è imminente: un uomo chiamato Shabbatay Tzevi si era rivelato come il Messia, e presto una «nuvola sarebbe apparsa e li avrebbe portati tutti in Terra Santa».

Satana a Goraj è la storia di un'isteria collettiva, di un'esaltazione religiosa e mistica che porterà conseguenze devastanti.
Questo libro è interessante sotto molteplici punti di vista e, per quanto mi riguarda, soprattutto da quello umano e psicologico. Nella storia (non solo del popolo ebraico) si sono succeduti diversi profeti e inviati di Dio; nel caso degli Ebrei, il Messia è una figura che trae origine dalle Sacre Scritture e per questo indubbia: i cristiani stessi non sono altro che figli di Abramo i quali hanno visto in Gesù Cristo il Messia promesso da Jahvè.
Per questo non sorprende che, in un clima particolarmente fertile alle suggestioni come poteva essere quello successivo a un evento disastroso, si fosse diffusa la voce di un nuovo inviato divino. È interessante che noi lettori non facciamo mai la conoscenza diretta del sedicente Messia e nemmeno ci vengono riportate le sue gesta in modo oggettivo (cosa che potrebbe fare l'autore per mezzo di un narratore super partes); la nostra posizione equivale a quella dei personaggi del libro: tutto ciò che sappiamo di lui è ciò che ci viene raccontato dai suoi adepti. La sua fama è basata tutta sul "sentito dire" e cresce man mano che crescono gli effetti psicologici sulla popolazione. Ancora più interessante è che, una volta presa piede in pochi abitanti la convinzione che Shabbatay Tzevi sia il vero Messia, e che quindi la fine delle sofferenze degli Ebrei sia prossima, le conseguenze "concrete" siano le più disparate: si passa da una linea di condotta improntata alla sobrietà e alla mortificazione del corpo, rappresentata da Reb Itche Mates, per giungere al suo opposto, un'esaltazione irrefrenabile dei sensi che non si ferma nemmeno di fronte alla legge stessa: in un clima apocalittico come quello che gli abitanti di Goraj sono convinti di vivere, tutto è permesso.
E che succederà quando il Messia da tutti acclamato si dimostrerà un traditore? E che succederà quando lo scoccare della fatidica ora passerà senza che nulla sia accaduto? L'incertezza è solo momentanea: l'isteria che già da tempo ha preso piede nella coscienza collettiva ha azzerato qualsiasi razionalità e per diverso tempo si va avanti come se nulla fosse, autoconvincendosi che persino di fronte all'evidenza ci una spiegazione plausibile... è più facile arrampicarsi sugli specchi che ammettere la propria sconfitta e di conseguenza la propria follia con tutte le sue conseguenze, a volte irreparabili.
Ma se ho parlato di aspetti "umani e psicologici", sottintendevo che questi non fossero gli unici, e infatti grandissimo spazio viene dato alla componente puramente soprannaturale: come spiegare altrimenti prima le "visioni" e poi la "possessione" di Rechele? È un aspetto talmente controverso, trasversale a più religioni, che preferisco non affrontarlo; è comunque da notare che Singer non si pronuncia in nessun senso: non ci induce a credere che queste manifestazioni soprannaturali siano fasulle, anzi, limitandosi a registrarle come un dato di fatto, sembra suggerirne l'autenticità o almeno la possibilità.

Un libro particolare che si fa leggere con grande facilità, per cui lo consiglio sicuramente a chi come me è appassionato di letteratura ebraica.
 
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