Full Metal Jacket presenta dei piani di lettura differenti, stratificati, che variano dall'analisi testuale del plot narrativo al dispiegarsi di un tessuto visivo significante. E' forse più interessante addentrarsi in una critica delle immagini perché è lì che il lavoro di Kubrick trova la sua più profonda ragion d'essere. Ai due blocchi narrativi del film, l'addestramento nella caserma e la guerra, corrispondono due precise scelte stilistiche. La parte della caserma è filmata seguendo un ordine geometrico, la macchina da presa disegna delle linee, i movimenti, quasi esclusivamente delle carrellate, rimandano ad un'idea di Logica. Tutto si svolge all'interno dell'inquadratura, il fuori campo viene "assimilato" come logico proseguimento della scena L'inquadratura risponde ad una vera e propria forza centripeta, tuffo si attrae secondo un disegno prestabilito, tutto si finalizza; in altre parole, ogni inquadratura afferma l'esistenza di un Ordine, non esiste perciò fuori campo che sia rovesciamento, incognita, alterità. Sia per il riscontro narrativo (la caserma, l'ordine, la disciplina), sia per la costruzione geometrica del blocco plastico, la prima parte del film tende verso il concetto di Assoluto. La seconda parte (la guerra) è contrassegnata da riprese girate con la macchina a mano, riprese esitanti, traballanti, che danno a volte un senso di incertezza, di precarietà. L'inquadratura, il più delle volte, mostra macerie, palazzi sventrati, scorci, frammenti. In altre parole, il Disordine. L'inquadratura viene sottoposta ad una forza centrifuga, la scena si relativizza in funzione del fuori campo: ciò che non si trova nell'inquadratura è una minaccia invisibile. Assistiamo ad una perdita delle coordinate spaziali, una perdita del centro. Dall'Assoluto passiamo così al Relativo. Potremmo aggiungere: dalla Teoria alla Pratica. Dove la Teoria è la volontà di "assolutizzare", di ricondurre tutto ad una logica, ad una disciplina; e dove la Pratica segna il passaggio all'agire storico. Il momento dello svolgimento dell'Azione coincide con il corto circuito della Logica. L'esito del discorso non è però una semplice riflessione sulla guerra; è un'analisi sulla Morte. La Morte, nella prima parte del film, è contemplata come un evento logico, un esito dell'azione di guerra; è una Morte "controllata", provocata, finalizzata. In altre parole, è uno strumento, ha un valore. Ma la prima parte del film è una simulazione della vita, della guerra, dell'azione, è quella ricerca dell'Assoluto di cui si è detto. Un Assoluto che presenta però dei limiti interni, dei paradossi, nella figura di Jocker e il quella di Palla di Lardo. Durante l'addestramento, Jocker entra sì nell'Ordine, ma non rinuncia alla propria ironia; e l'ironia è la capacità di relativizzare. Palla di Lardo mostra invece, con il suicidio, come la volontà di disciplina e di ordine si regga su un inconscio desiderio di distruzione; si veda a questo proposito l'eclatante comportamento del sergente prima che Palla di Lardo gli spari nel cesso, e come il suo insistere nel dare ordini a una recluta ormai impazzita nasconda un cupio dissolvi, un represso desiderio di morte. Abbiamo quindi un occhio che relativizza all'interno della logica dell'Assoluto e un impulso alla distruzione nel disegno dell'Ordine. Questi elementi, ad un livello figurativo, si intersecano a chiasmo, ovvero un desiderio di distruzione (e di autodistruzione) serpeggia nella prima parte, più che nella seconda; l'idea di relatività regge l'impalcatura visiva della parte della guerra. La Morte rimane sempre il referente a cui tutto si richiama. Non dimentichiamo che Jocker non impugna un'arma, ma una macchina fotografica; il suo compito è quello di fare un reportage, mostrare la Morte, classificarla come notizia, catalogarla in un ordine, coglierla come documento. Jocker non è quindi destinato all'Azione, ma alla Visione. Ma durante la seconda parte del film la Morte si nasconde ovunque, non è visibile, Jocker non riesce a fotografarla. Si veda la sequenza finale con il cecchino invisibile che rende pienamente la perdita del centro e il discorso sul fuori campo assoluto. La Morte, dunque, è tutto ciò che non rientra nell'inquadratura e che la relativizza, trasformandola in frammento di visione. In conclusione, si potrebbe inquadrare Full Metal Jacket come una riflessione sulla Morte come evento sfuggevole, come valore impossibile, come fuori campo insopprimibile.
Francesco Patrizi