"Con Lo scherzo, il "tono" di Kundera è già nato splendidamente: quel dono di unire la rabbia e il gioco, l'odio e la tenerezza, la solidità e il capriccio, la disperazione e la melodia, il nichilismo e il sogno ... Quello che non finisce di avvincerci è la fluidità:
il dono supremo del narratore. Questa fluidità nasce da una totale dedizione ed effusione del corpo, della mente e dell'anima: incanta e conquista il Tempo, il Tempo della narrazione e del mondo, dove si installa come signore; e di lì, dal cuore stesso del tempo, si rivolge ad ognuno di noi, come diceva Tolstoj, per contagiarci, come se ciascuno di noi fosse il più fraterno dei complici".
Ho letto questo libro circa un anno fa, e se nei primi capitoli avevo l'impressione di trovarmi di fronte a un Kundera ancora acerbo (terminato nel 1965, fu il primo romanzo in assoluto per lo scrittore ceco), rispetto a quello già conosciuto nell'Insostenibile leggerezza dell'essere o ne La vita è altrove, mi sono accorto pagina dopo pagina che già si intravedeva in quest'opera ciò che l'autore ricercherà nella sua arte: la leggerezza della forma unita alle inestinguibili domande che circondano l'esistenza.
L'intreccio costituito dalle vicende dei quattro personaggi principali (su cui spicca la figura di Ludvik e il suo architettato disegno di vendetta) svela la loro essenza risolvendosi in un finale capace di stagliarsi da uno sfondo tragico illuminandosi di tinte ironiche come nella migliore tradizione romanzesca.
Un romanzo capace di tuffarsi nell'umorismo anche laddove la situazione storica non lo permetterebbe e che non esita a mettere in dubbio le ragioni stesse dell'esistenza umana nel mondo contemporaneo.
Per me il voto non può che essere 5/5
il dono supremo del narratore. Questa fluidità nasce da una totale dedizione ed effusione del corpo, della mente e dell'anima: incanta e conquista il Tempo, il Tempo della narrazione e del mondo, dove si installa come signore; e di lì, dal cuore stesso del tempo, si rivolge ad ognuno di noi, come diceva Tolstoj, per contagiarci, come se ciascuno di noi fosse il più fraterno dei complici".
Ho letto questo libro circa un anno fa, e se nei primi capitoli avevo l'impressione di trovarmi di fronte a un Kundera ancora acerbo (terminato nel 1965, fu il primo romanzo in assoluto per lo scrittore ceco), rispetto a quello già conosciuto nell'Insostenibile leggerezza dell'essere o ne La vita è altrove, mi sono accorto pagina dopo pagina che già si intravedeva in quest'opera ciò che l'autore ricercherà nella sua arte: la leggerezza della forma unita alle inestinguibili domande che circondano l'esistenza.
L'intreccio costituito dalle vicende dei quattro personaggi principali (su cui spicca la figura di Ludvik e il suo architettato disegno di vendetta) svela la loro essenza risolvendosi in un finale capace di stagliarsi da uno sfondo tragico illuminandosi di tinte ironiche come nella migliore tradizione romanzesca.
Un romanzo capace di tuffarsi nell'umorismo anche laddove la situazione storica non lo permetterebbe e che non esita a mettere in dubbio le ragioni stesse dell'esistenza umana nel mondo contemporaneo.
Per me il voto non può che essere 5/5