Achmatova, Anna Andreevna

Vladimir

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Il post di Olga mi ha dato lo spunto per approfondire un po' di più la figura di questa poetessa (o poeta come lei amava definirisi) piuttosto controversa. Anna Achmàtova, al secolo Anna Gòrenko , nacque a Bol'šoj Fontan presso Odessa nel 1889. Figlia di un ingegnere e di una pianista, fu una bambina precocissima: a cinque anni parlava già francese, a undici scrisse le sue prime poesie. Il padre, però, le proibì di firmare col suo vero cognome le sue composizioni, e allora Anna scelse il cognome della sua bisnonna materna, morta nel 1837.
A quindici anni comincia la sua tormentata storia d'amore con Nikolàj Gumiljòv (fondatore e teorico assieme a S.M. Gorodètskij del movimento acmeista), dal quale si separerà nel 1918.
Le sue prime raccolte La sera (1912) e Rosario (1914), improntate ad un forte individualismo, furono apprezzate fra gli altri dal critico Kuzmìn e ad Aleksandr Blok. La rivoluzione irruppe nella sua vita come un uragano e segnò un punto di rottura nella sua arte e nella sua vita; con la raccolta Stormo bianco (1917) il tono si fa ancora più raccolto e nei versi la molitvennost' tipica delle su stile, termine che può essere approssimativamente reso con "devozione", prende la forma di una vera e propria preghiera; sebbene non nomini neanche una volta Dio, da questa raccolta si capisce che la Achmatova è profondamente credente. Nel 1921 Gumiljòv viene fucilato per essere stato coinvolto in un complotto antisovietico, e da allora Anna venne ridotta al silenzio dalla censura e dall'intellighenzia comunista che non apprezzava il tono delle sue liriche.
Gli anni 30 furono i più duri: il figlio Lev Gumiljòv fu arrestato ripetutamente e da quest'esperienza drammatica la Achmatova farà nascere uno dei vertici della sua poesia Requiem. Allo scoppio della Grande Guerra Patriottica (1941-1945), la poetessa fu riabilitata dal regime, e fatta spesso intervenire alla radio di Leningrado per incoraggiare la popolazione a resistere al feroce blocco nazista (Leningrado verrà liberata nel 1944 dopo 900 giorni di assedio e 650.000 morti). Nel 1946 fu espulsa dall'Unione degli scrittori con l'accusa di estetismo e disimpegno politico, tuttavia fu riabilitata dopo tre anni e cominciò a pubblicare soprattutto articoli critici per varie riviste. Dopo la morte di Stalin, e grazie al nuovo clima instaurato da Chruščev, la Achmatova riuscirà a viviere il resto della sua vita in un clima più sereno, pubblicando nel 1962 Poema senza eroe, al quale lavorava già dal 42. Nel 1964 le fu concesso di espatriare per ricevare il premio "Etna-Taormina" e nel 1965 l'università di Oxford la insignirà della laurea honoris causa. Lo stesso anno pubblica La corsa del tempo. Il 5 maggio 1966 la poetessa si spegne nella sua casa di Domoedovo vicino a Mosca. Il 7 maggio Radio Mosca da la notizia della morte della "grande poetessa", sottilineando "il contributo enorme allo sviluppo dell'arte e del socialismo." Riposa a Kamorovo nei pressi di Pietroburgo.
Che dire della Achmatova? Personalmente non mi piace, la sua poesia non mi coinvolge, mi trasmette poco, ma è senz'altro un grandissima del XX secolo. L'inclinazione al dolore portata dall'amore senza speranza, alla tristezza, allo sconforto, all'autoannientamento permeano la produzione della poetessa sovietica. Questa tendenza all'umiliazione, alla piccolezza, alla mitezza dell'anima russa, affonda le sue radici nella prosa di Dostoevskij e di Tolstoj; tutto ciò, però, è limitato e mitigato dalla fluidità dei suoi versi che senz'altro ha appreso da Puškin. La Achmatova è stata la classica persona che è nata nel posto sbagliato, al momento sbagliato: non ha mai voluto abbandonare la sua Russia prerivouzionaria, e pertanto allo scoppio della rivoluzione si è chiusa in sé stessa, senza tentare di rapportarsi in qualche modo con la nuova Russia. Non si può dire che fosse né una dissidente, né un'ortodossa: non ha mai criticato apertamente il comunismo, ma non lo ha mai neanche lodato. La sua voce così intima, così introspettiva, negli anni 20 fu soffocata dalle urla dei futuristi, dall'imperversare dell'uragano rivoluzionario, e poi dal poetume di corte degli anni 30. L'unica critica che le si può muovere è il non aver mai osato artisticamente più di tanto. In un'epoca (gli anni 20) in cui i futuristi e gli immaginisti trasformavano la filosofia della poesia, creando un nuovo modo di esprimersi, completamente nuovo, lei rimaneva legata ai ritmi della tradizione della poesia del "Secolo d'oro", senza mai aver cercato di utilizzare le nuove forme di espressione. Probabilmente, se fosse nata all'inizio dell'Ottocento il suo destino sarebbe senz'altro stato più felice.
 
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shvets olga

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Dai post di Vladimir abbiamo la catena: poesia di Achmatova non piace---->approfondimento--->poesia di Achmatova non piace.
Penso spesso al ruolo di critici, biografi per percezione di un’ opera letteraria, in nostro caso della poesia di Achmatova ma possiamo mettere qualsiasi altro nome. Se poesia di un poeta non tocca l’anima, ci lascia indifferenti, i saggi e analisi critici, il profondimento sulla personalita del poeta, suo modo di vivere ci aiutano a prendere ad amare le sue poesia che prima non erano piaciuti o al contrario rovinano primo impressione ? Certo che buon saggio aiuta cogliere il senso di poesia, conoscere e capire il tempo e circostanze , in cui viveva o vive poeta. Ma passare da “ non piace” a “piace”? A me sucede spesso che analisi critici, introduzioni, dati di biografia rovinano il mio “amore”.
 

Vladimir

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Dai post di Vladimir abbiamo la catena: poesia di Achmatova non piace---->approfondimento--->poesia di Achmatova non piace.
Penso spesso al ruolo di critici, biografi per percezione di un’ opera letteraria, in nostro caso della poesia di Achmatova ma possiamo mettere qualsiasi altro nome. Se poesia di un poeta non tocca l’anima, ci lascia indifferenti, i saggi e analisi critici, il profondimento sulla personalita del poeta, suo modo di vivere ci aiutano a prendere ad amare le sue poesia che prima non erano piaciuti o al contrario rovinano primo impressione ? Certo che buon saggio aiuta cogliere il senso di poesia, conoscere e capire il tempo e circostanze , in cui viveva o vive poeta. Ma passare da “ non piace” a “piace”? A me sucede spesso che analisi critici, introduzioni, dati di biografia rovinano il mio “amore”.

La critica ci aiuta ad amare la posia? Per quel che mi riguarda la risposta è no. Nell'apprezzare una cosa intima come la poesia, c'è, oltre l'apprezzamento formale, stilistico, tematico, anche un lato irrazionale: insomma una lirica deve colpirmi. La critica può aiutare a capire l'importanza di un poeta, ma difficilmente aiuta ad amarlo.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
La poetessa parla così di Modigliani, con il quale ebbe una strana "amicizia amorosa":

Credo molto a coloro che lo descrivono diverso da come l'ho conosciuto. Ed ecco perché. In primo luogo, ho potuto conoscere solo una certa parte della sua (splendente) vita: perché ero un'estranea, semplicemente; ero, a mia volta, una donna di vent'anni che non capiva molto, una straniera. In secondo luogo, io stessa notai in lui un grande cambiamento, quando ci incontrammo nel 1911. In un qualche modo, era tutto incupito, dimagrito. Nel 1910 lo vidi pochissimo, non più che alcune volte. Nondimeno egli mi scrisse durante tutto l'inverno. Non mi disse che scriveva versi [...]. Probabilmente io e lui non si capiva una cosa fondamentale: tutto quello che avveniva, era per noi la preistoria della nostra vita: la sua molto breve, la mia molto lunga. Il respiro dell'arte non aveva ancora bruciato, trasformato queste due esistenze: e quella doveva essere l'ora lieve e luminosa che precede l'aurora. Ma il futuro che, com'è noto, getta la sua ombra molto prima di attuarsi, batteva alla finestra, si nascondeva dietro i lampioni, intersecava i sogni e spaventava, con la terribile Parigi baudelairiana che si nascondeva in qualche posto, lì accanto. E tutto il divino scintillava in Modigliani solo attraverso una tenebra. Era diverso, del tutto diverso da chiunque al mondo. La sua voce mi rimase in qualche modo per sempre nella memoria. Lo conobbi che era povero, non si sapeva come facesse a vivere; come artista non era riconosciuto da nessuno. Abitava allora (nel 1911) nell'Impasse Falguière. Era povero, così che al giardino del Lussemburgo sedevamo sempre sulle panchine, e non sulle sedie che venivano noleggiate. Egli non si lamentava per niente, né della sua reale miseria, né del fatto che non fosse riconosciuto. Solo una volta, nel 1911 , mi disse che l'inverno precedente era stato così brutto per lui, che non aveva potuto neppure pensare a ciò che gli era più caro. Mi parve circondato da un compatto anello di solitudine. Non ricordo che egli salutasse mai qualcuno, nel giardino del Lussemburgo o nel Quartiere latino dove più o meno si conoscevano tutti. Non sentivo da lui neppure il nome di un conoscente, o di un amico, o di un artista; e non ho sentito mai neppure una frase scherzosa. Non l'ho visto mai ubriaco, da lui non veniva odore di vino. Evidentemente si mise a bere in seguito, ma l'hashish in qualche modo figurava già nei suoi racconti. Non aveva neppure una palese amica della sua vita. Non mi raccontò mai delle storie di un precedente innamoramento (cosa che, ahimè, fanno tutti). Con me non parlava mai di cose terrestri. Era molto cortese, non per l'educazione ricevuta, ma per la profondità del suo spirito [...]. Le pareti del suo laboratorio erano ricoperte da ritratti di incredibile lunghezza (come mi sembra ora, dal pavimento al soffitto). Non ho mai visto le loro riproduzioni: si sono salvati? Egli chiamava la sua scultura «la chose»: ne fece una mostra, mi pare, agli lndépendants, nel 1911. Mi chiese di andarla a vedere, ma alla mostra non si avvicinò a me, perché non ero sola, ma con amici [...]. Mi portava a vedere le vieux Paris derrière le Panthéon, di notte, quando c'era la luna. Conosceva bene la città, ma una volta ci smarrimmo. Disse: «J'ai oublié qu'il y a une île au milieu (l'île St. Louis)». Fu lui a farmi conoscere la vera Parigi [...]. Quando c'era la pioggia (a Parigi piove spesso) Modigliani camminava con un enorme ombrello nero molto vecchio. Talvolta sedevamo sotto questo ombrello su una panchina del giardino del Lussemburgo, pioveva, una calda pioggia estiva, vicino sonnecchiava le vieux palais à l'italienne, e noi a due voci recitavamo Verlaine, che conoscevamo bene a memoria, ed eravamo felici di ricordare le stesse poesie [...]. Modigliani amava di notte errare per Parigi e spesso, ascoltando i suoi passi nel silenzio assonnato della via, mi avvicinavo alla finestra e, attraverso la gelosia, seguivo la sua ombra, che indugiava sotto le mie finestre.

Il brano è tratto da: Anna Achmatova, Le rose di Modigliani, Milano 1982, pp 19-27. Fu Giancarlo Vigorelli - editore di "L'Europa Letteraria" - a rendere nota la testimonianza di Anna Achmatova pubblicando I miei incontri con Modigliani, in "L'Europa Letteraria", 27, marzo 1964.
 
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