Pasolini, Pier Paolo

sergio Rufo

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« Ho passato la vita a odiare i vecchi borghesi moralisti, e adesso, precocemente devo odiare anche i loro figli... La borghesia si schiera sulle barricate contro se stessa, i "figli di papà" si rivoltano contro i "papà". La meta degli studenti non è più la Rivoluzione ma la guerra civile. Sono dei borghesi rimasti tali e quali come i loro padri, hanno un senso legalitario della vita, sono profondamente conformisti. Per noi nati con l'idea della Rivoluzione sarebbe dignitoso rimanere attaccati a questo ideale"

Pasolini.
 
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sergio Rufo

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io immagino che Pasolini richiami l'attenzione di Julia e non solo.
Ma non esistano fraintendimenti! Pasolini e' l'uomo di sinistra che piu' " non di sinistra" sia mai esistito.
E' quasi vergognoso associare politicamEnte uno spirito critico di questa portata. Una sorta di eresia intellettuale tanto di moda oggi, il tempo delle etichette a tutti i costi.
E che costi!
Ad esempio per Pier Paolo e' un costo troppo alto: leggere Pasolini in senso POLITICO o anti-borghese par execellence e' come gustare un buon cioccolato perche' confezionato bene.
E' questione di gusto cosa sempre piu' rara oggi.

Il capovolgimento radicale del mondo e della societa' di oggi (ma la si puo' ancora chiamare cosi? ) ha determinato un deterioramento estremo di ogni arte: anche la critica non ne esce illesa e immune. Anzi! proprio la critica sociale politica dei costumi, delle abitudini, dei valori, dei desideri, dell'individuo, del popolo e di tutte quelle cose che caratterizzano il nostro " tempo" e' incorsa nel suo risultato finale: da una parte ha predeterminato quella schiera di teste da babbei che credono nel " progresso" occidentale e moderno perche' la critica positivista cosi' ha evangelizzato ( meglio: ha infinocchiato).
Dall'atra parte, come controaltare, ha prefigurato una schiera non meno babbea: quella di coloro che non solo sono identici a quelli di cui combattono le idee ma addirittura sono peggio: il loro idealismo politico - rivoluzionario fa proprio parte del gioco del grande sistema. Il potere per sussistere ha sempre bisogno di una " opposizione" da superare.
Cosi' vuole la commedia dialettica tra padrone e schiavo. ( Hegel, forse?)
E sono peggio perche' ignari di esserlo: sono ancora piu' infinocchiati. Diciamo che lo prendono nel culo ancora piu' volentieri.

Ecco perche un Pasolini ha tolto la maschera a tutti costoro. Perche' era uno spirito libero al quale non poteva sfuggire che " padrone e schiavo" erano oramai inesorabilmente invischiati in questa grande commedia: l'omologazione totale.
Il vero fascismo.

Risultato? detestato e polemizzato da tutti gli schieramenti-
Scomodo perche' profondamente cinico.

Un autore da leggere a tutti i costi.
 
Hai forse dimenticato, mio caro martire, chi ti ha iniziato alla sua lettura? O hai dimenticato le mie stravaganze letterarie e i miei ardui accostamenti ai classici? E' vero che l'età non viene da sola :D

La spinta libertaria dell'ultimo intellettuale italiano - que en paz descanse - mi ispira da sempre.
Non devo certo ricordarti che la quotidianità del nostro Pier Paolo era intrisa di quel senso "giovane" che molti di noi sembrano aver dimenticato.
Una gioventù di spirito figlia di quello spiccato senso critico così carente negli adulti di oggi.
Grandi spiriti quelli che rivoluzionano in autonomia.
Ecco il centralismo dell'intellettuale che è scomparso con lui, il grande esempio di lotta rivoluzionaria.
E ne hai la prova ogni giorno, al mio fianco.
O sei cieco, dunque?

Ho iniziato Caìn, del nostro grande maestro.
E' sempre una gioia.
 

sergio Rufo

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e dove lo hai preso Cain? :)
Non te lo dovevo portare IO ? ( con la lettura di Stirner mi e' preso la mania di scrivere IO in maiuscolo) :)
 
TU devi portarmi Caino, io sto leggendo Caìn. Devo confrontare le due traduzioni.

Riporto uno stralcio del bellissimo brano "I giovani infelici" di PPP tratto da Lettere Luterane.
(qui trovate l'intero pezzo, imperdibile ---> http://www.napoliassise.it/paginesparse/pasoliniigiovani%20infelici.pdf)

[...]Il lettore moderno ha vissuto infatti un’esperienza che gli rende finalmente, e tragicamente, comprensibile l’affermazione – che pareva così ciecamente irrazionale e crudele – del coro democratico dell’antica Atene: che i figli cioè devono pagare le colpe
dei padri. Infatti i figli che non si liberano delle colpe dei padri sono infelici: e non c’è segno più decisivo e imperdonabile
di colpevolezza che l’infelicità. Sarebbe troppo facile e, in senso storico e politico, immorale, che i figli fossero giustificati – in ciò che c’è in loro di brutto, repellente, disumano – dal fatto che i padri hanno sbagliato.
L’eredità paterna negativa li può giustificare per una metà, ma dell’altra metà sono responsabili loro stessi.
Non ci sono figli innocenti. Tieste è colpevole, ma anche i figli lo sono. Ed è giusto che siano puniti anche per quella metà di colpa altrui di cui non sono stati capaci di liberarsi.
Resta sempre tuttavia il problema di quale sia in realtà, tale «colpa» dei padri.
È questo che sostanzialmente, alla fine, qui importa. E tanto più importa in quanto, avendo provocato una così atroce condizione nei figli, e una conseguente così atroce punizione, si deve trattare di una colpa gravissima.
Forse la colpa più grave commessa dai padri in tutta la storia umana. E questi padri siamo noi. Cosa che
ci sembra incredibile.[...]"

Cosa dire?
Mi interessa molto quel colpa tra virgolette.
E anche quell'atroce punizione che i figli devono subire per poter espiarla.
 
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sergio Rufo

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che dire?
innanzitutto la lucida attenzione con la quale Pasolini distingue la colpa dei padri da quella dei figli. Quest'ultimi, dice, non sono giustificati totalmente perche' non si sono liberati dalle colpe dei padri stessi.
Sarebbe facile e comodo per loro sgravarsi dellla responsabilita'...
Ha ragione profondamente Pasolini. L'indivisduo, al di la' del contesto storico ed educativo, e' sempre responsabile della propria azione.
Perche' i giovani non si ribellano alle colpe dei padri? perche' in molti casi le accettano e le ingigantiscono? In summa: le fanno proprie?

Colpa tra virgolette? dai tu una tua interpretazione-
 
Quel virgolettato sta a significare la messa in discussione del termine. O l'attenzione verso altro significante: si scrive colpa ma si legge...
Io aggiungerei responsabilità.

Partiamo da questo stralcio, bellissimo:

"[...]Ebbene, non esito neanche un momento ad ammetterlo: ad accettare cioè personalmente tale colpa. Se io condanno i figli (a causa di una cessazione di amore verso di essi) e quindi presuppongo una loro punizione, non ho il minimo dubbio che tutto ciò accada per colpa mia. In quanto padre. In quanto uno dei padri. Uno dei padri che si son resi responsabili, prima, del fascismo, poi di un regime clerico-fascista, fintamente democratico, e, infine, hanno accettato la nuova forma del potere, il potere dei consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine.
La colpa dei padri che i figli devono pagare è dunque il "fascismo", sia nelle sue forme arcaiche, che nelle sue forme assolutamente nuove - nuove senza equivalenti possibili nel passato?
Mi è difficile ammettere che la "colpa" sia questa. Forse anche per ragioni private e soggettive. Io, personalmente, sono sempre stato antifascista, e non ho accettato mai neanche il nuovo potere di cui in realtà parlava Marx, profeticamente, nel Manifesto, credendo di parlare del capitalismo del suo tempo. Mi sembra che ci sia qualcosa di conformistico e troppo logico - cioè di non-storico - nell'identificare in questo la colpa.
Sento ormai intorno a me lo "scandalo dei pedanti" - seguito dal loro ricatto - a quanto sto per dire. Sento già i loro argomenti: è retrivo, reazionario, nemico del popolo chi non sa capire gli elementi sia pur drammatici di novità che ci sono nei figli, chi non sa capire che essi comunque sono vita. Ebbene, io penso, intanto, che anch'io ho diritto alla vita - perchè, pur essendo padre,
non per questo cesso di essere figlio. Inoltre per me la vita si può manifestare egregiamente, per esempio, nel coraggio di svelare ai nuovi figli, ciò che io veramente sento verso di loro. La vita consiste prima di tutto nell'imperterrito esercizio della ragione: non certo nei partiti presi, e tanto meno nel partito preso della vita, che è puro qualunquismo. Meglio essere nemici del popolo che nemici della realtà.[...]"

Qui troviamo l'espressione di una responsabilità grande a cui Pasolini mai si sottraeva. "Il coraggio di svelare ai nuovi figli..."
E' una responsabilità che non si esaurisce nel dire ma nel giocare un ruolo importante, nel coinvolgersi.
Questo è un punto focale per me, una sorta di "patto tra generazioni", che Pasolini rafforza con il nesso colpa-espiazione.

Infatti, il saggio così conclude:
"[...] Oggi tutto è cambiato: quando parliamo di padri e di figli, se per padri continuiamo sempre a intendere i padri borghesi, per figli intendiamo sia i figli borghesi che i figli proletari. Il quadro apocalittico, che io ho abbozzato qui sopra, dei figli, comprende borghesia e popolo.
Le due storie si sono dunque unite: ed è la prima volta che ciò succede nella storia dell'uomo.
Tale unificazione è avvenuta sotto il segno e per volontà della civiltà dei consumi: dello "sviluppo". Non si può dire che gli antifascisti in genere e in particolare i comunisti, si siano veramente opposti a una simile unificazione, il cui carattere è totalitario - per la prima volta veramente totalitario - anche se la sua repressività non è arcaicamente poliziesca (e se mai ricorre a una falsa permissività).
La colpa dei padri dunque non è solo la violenza del potere, il fascismo. Ma essa è anche: primo, la rimozione dalla coscienza, da parte di noi antifascisti, del vecchio fascismo, l'esserci comodamente liberati della nostra profonda intimità (Pannella) con esso (l'aver considerato i fascisti "i nostri fratelli cretini", come dice una frase di Sforza ricordata da Fortini); secondo, e soprattutto,
l'accettazione è tanto più colpevole quanto più inconsapevole è della violenza degradante e dei veri, immensi genocidi del nuovo fascismo.
Perchè tale complicità col vecchio fascismo e perchè tale accettazione del nuovo fascismo?
Perchè c'è - ed eccoci al punto - un'idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l'idea cioè che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante.
In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: nel credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese."

La riflessione politica - e non partitica, si badi bene - rimarca questa responsabilità. E' un saggio, questo, di grande lucidità che rende quella continuità di cui blatero da due giorni.
La nostra colpa di padri consisterebbe nel credere che i nostri figli possano aspirare ad un elevato status sociale che, al giorno d'oggi, equivale ai dettami della società dei consumi.
In altre parole, la "colpa" è quella di rinnegare la propria condizione per vederla innalzata nelle azioni dei figli.
E il patto generazionale si rompe.
 

sergio Rufo

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be', questo e' uno dei passi splendidi di Pasolini. Quello che piu' mi colpisce in esso e' la splendida fotografia che fa di quello che oggi giorno consiste la vera eredita' e il vero tramando del nostro tempo e non solo quello dei nostri padri: il tramando dell'omologazione del consumo, il vero pericolo, la vera dittatura moderna, la vera peste putrafescente.
E che critica feroce, elegante e raffinata a quelli che negli anni 50 hanno combattuto contro l'insorgere di tale " Unico pensiero": dov'erano gli antifascisti in senso storico e in senso milatante che non hanno compreso il nuovo dominio? anzi! non si sono opposti...Non si puo' dire , dice Pasolini, che gli antifascisti e i comunisti si siani veramente opposti...
Eccola la colpa generazionale, totalitaria:la colpa di quella genitura in senso metaforico che poco comprese l'omologazione borghese spacciata per progresso. Anzi vi si trasformo' in essa.
Ma il progresso e' cosa diversa dalla sviluppo. Il progresso presuppone un miglioramento di tutti; presuppone la produzione e la miglioria del necessario, del basilare, dell'indispensabile sia al ricco che al povero.
Lo sviluppo, e' altra cosa: e' produzione del futile, del banale, dell'inutile spacciato per benessere, per stauts symbol.
L'aspetto piu' velenoso della societa' totalitaria di oggi e' consistito in questo: non si e' aspettato il momento del consumo stesso in modo tale da equiparare due classi sociali tra loro. Che differenza c'e', in fondo, tra un figlio borghese e un figlio operaio che si recano a prendere l'ultimo modello del cellulare?
Nessuna.
Ma questo, magari, potrebbe noni avvenire se prima non si inculcasse nel secondo lo stesso " desiderio!:" L'omologazione totalitaria ( il conformismo ad una idea generalizzata) inizia proprio nello stesso momento che la si desidera e ci si rassegna ad essa come fosse l'unica possibile..
E il figlio operaio desidera in modo piu' grave di quello borghese: sembra paradossale ma e' proprio cosi'. Mentre il borghese e' da sempre abituaro a rapportarsi in certe cose, l'operaio si snatura da quello che sempre e' stato ( Ragazzi di vita) e anzi perdendo l'unica possibile sua difesa: il senso critico di una coscienza che gli permetterebbe di vedere che la storia, il desiderio, possono essere totalmente altro da quello che ci credono che sia l'unico modo.

C'e' bisogno di spiegare quale sia il veleno di oggi? c'e' ancora qualcuno in grado di vedere? o la narcosi e' totale..?
Ma qui, oggi, si perde tempo in ben altro. Mentre ti omologano da una parte, tu sei preoccupato dalla prima riformetta politica o dal fatto di come sia possibile che la tessera sanitaria sia rinnovabile ogni 5 anni..
ah! mi ricorda qualcuno!
 

sergio Rufo

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I capelloni.

La prima volta che ho visto i capelloni, è stato a Praga. Nella hall dell'albergo dove alloggiavo sono entrati due giovani stranieri, con i capelli lunghi fino alle spalle. Sono passati attraverso la hall, hanno raggiunto un angolo un po' appartato e si sono seduti a un tavolo. Sono rimasti lì seduti per una mezzoretta, osservati dai clienti, tra cui io; poi se ne sono andati. Sia passando attraverso la gente ammassata nella hall, sia stando seduti nel loro angolo appartato, i due non hanno detto parola (forse - benché non lo ricordi - si sono bisbigliati qualcosa tra loro: ma, suppongo, qualcosa di strettamente pratico, inespressivo).

Essi, infatti, in quella particolare situazione - che era del tutto pubblica, o sociale, e, starei per dire, ufficiale - non avevano affatto bisogno di parlare. Il loro silenzio era rigorosamente funzionale. E lo era semplicemente, perché la parola era superflua. I due, infatti, usavano per comunicare con gli astanti, con gli osservatori - coi loro fratelli di quel momento - un altro linguaggio che quello formato da parole.

Ciò che sostituiva il tradizionale linguaggio verbale, rendendolo superfluo - e trovando del resto immediata collocazione nell'ampio dominio dei «segni», nell'ambito cioè della semiologia - era il linguaggio dei loro capelli.

* * *

Si trattava di un unico segno - appunto la lunghezza dei loro capelli cadenti sulle spalle - in cui erano concentrati tutti i possibili segni di un linguaggio articolato. Qual era il senso del loro messaggio silenzioso ed esclusivamente fisico?

Era questo: «Noi siamo due Capelloni. Apparteniamo a una nuova categoria umana che sta facendo la comparsa nel mondo in questi giorni, che ha il suo centro in America e che, in provincia (come per esempio - anzi, soprattutto - qui a Praga) è ignorata. Noi siamo dunque per voi una Apparizione. Esercitiamo il nostro apostolato, già pieni di un sapere che ci colma e ci esaurisce totalmente. Non abbiamo nulla da aggiungere oralmente e razionalmente a ciò che fisicamente e ontologicamente dicono i nostri capelli. Il sapere che ci riempie, anche per tramite del nostro apostolato, apparterrà un giorno anche a voi. Per ora è una Novità, una grande Novità, che crea nel mondo, con lo scandalo, un'attesa: la quale non verrà tradita. I borghesi fanno bene a guardarci con odio e terrore, perché ciò in cui consiste la lunghezza dei nostri capelli li contesta in assoluto. Ma non ci prendano per della gente maleducata e selvaggia: noi siamo ben consapevoli della nostra responsabilità. Noi non vi guardiamo, stiamo sulle nostre. Fate così anche voi, e attendete gli Eventi».

Io fui destinatario di questa comunicazione, e fui anche subito in grado di decifrarla: quel linguaggio privo di lessico, di grammatica e di sintassi, poteva essere appreso immediatamente, anche perché, semiologicamente parlando, altro non era che una forma di quel «linguaggio della presenza fisica» che da sempre gli uomini sono in grado di usare.

Capii, e provai una immediata antipatia per quei due.

Poi dovetti rimangiarmi l'antipatia, e difendere i capelloni dagli attacchi della polizia e dei fascisti: fui naturalmente, per principio, dalla parte del Living Theatre, dei Beats ecc.: e il principio che mi faceva stare dalla loro parte era un principio rigorosamente democratico.

I capelloni diventarono abbastanza numerosi - come i primi cristiani: ma continuavano a essere misteriosamente silenziosi; i loro capelli lunghi erano il loro solo e vero linguaggio, e poco importava aggiungervi altro. Il loro parlare coincideva col loro essere. L'ineffabilità era l'ars retorica della loro protesta.

Cosa dicevano, col linguaggio inarticolato consistente nel segno monolitico dei capelli, i capelloni nel '66-67?

Dicevano questo: «La civiltà consumistica ci ha nauseati. Noi protestiamo in modo radicale. Creiamo un anticorpo a tale civiltà, attraverso il rifiuto. Tutto pareva andare per il meglio, eh? La nostra generazione doveva essere una generazione di integrati? Ed ecco invece come si mettono in realtà le cose. Noi opponiamo la follia a un destino di 'executives'. Creiamo nuovi valori religiosi nell'entropia borghese, proprio nel momento in cui stava diventando perfettamente laica ed edonistica. Lo facciamo con un clamore e una violenza rivoluzionaria (violenza di non-violenti!) perché la nostra critica verso la nostra società è totale e intransigente».

Non credo che, se interrogati secondo il sistema tradizionale del linguaggio verbale, essi sarebbero stati in grado di esprimere in modo cosi articolato l'assunto dei loro capelli: fatto sta che era questo che essi in sostanza esprimevano. Quanto a me, benché sospettassi fin da allora che il loro «sistema di segni» fosse prodotto di una sottocultura di protesta che si opponeva a una sottocultura di potere, e che la loro rivoluzione non marxista fosse sospetta, continuai per un pezzo a essere dalla loro parte, assumendoli almeno nell'elemento anarchico della mia ideologia.

Il linguaggio di quei capelli, anche se ineffabilmente, esprimeva «cose» di Sinistra. Magari della Nuova Sinistra, nata dentro l'universo borghese (in una dialettica creata forse artificialmente da quella Mente che regola, al di fuori della coscienza dei Poteri particolari e storici, il destino della Borghesia).

Venne il 1968. I capelloni furono assorbiti dal Movimento Studentesco; sventolarono con le bandiere rosse sulle barricate. Il loro linguaggio esprimeva sempre più «cose» di Sinistra. (Che Guevara era capellone ecc.)

Nel 1969 - con la strage di Milano, la Mafia, gli emissari dei colonnelli greci, la complicità dei Ministri, la trama nera, i provocatori - i capelloni si erano enormemente diffusi: benché non fossero ancora numericamente la maggioranza, lo erano però per il peso ideologico che essi avevano assunto. Ora i capelloni non erano più silenziosi: non delegavano al sistema segnico dei loro capelli la loro intera capacità comunicativa ed espressiva. Al contrario, la presenza fisica dei capelli era, in certo modo, declassata a funzione distintiva. Era tornato in funzione l'uso tradizionale del linguaggio verbale. E non dico verbale per puro caso. Anzi, lo sottolineo. Si è parlato tanto dal '68 al '70, tanto, che per un pezzo se ne potrà fare a meno: si è dato fondo alla verbalità, e il verbalismo è stata la nuova ars retorica della rivoluzione (gauchismo, malattia verbale del marxismo!).

Benché i capelli - riassorbiti nella furia verbale - non parlassero più autonomamente ai destinatari frastornati, io trovai tuttavia la forza di acuire le mie capacità decodificatrici, e, nel fracasso, cercai di prestare ascolto al discorso silenzioso, evidentemente non interrotto, di quei capelli sempre più lunghi.

Cosa dicevano, essi, ora? Dicevano: «Sì, è vero, diciamo cose di Sinistra; il nostro senso - benché puramente fiancheggiatore del senso dei messaggi verbali - è un senso di Sinistra... Ma... Ma...».

II discorso dei capelli lunghi si fermava qui: lo dovevo integrare da solo. Con quel «ma» essi volevano evidentemente dire due cose: 1) «La nostra ineffabilità si rivela sempre più di tipo irrazionalistico e pragmatico: la preminenza che noi silenziosamente attribuiamo all'azione è di carattere sottoculturale, e quindi sostanzialmente di destra.» 2) «Noi siamo stati adottati anche dai provocatori fascisti, che si mescolano ai rivoluzionari verbali (il verbalismo può portare però anche all'azione, soprattutto quando la mitizza): e costituiamo una maschera perfetta, non solo dal punto di vista fisico - il nostro disordinato fluire e ondeggiare tende a omologare tutte le facce - ma anche dal punto di vista culturale: infatti una sottocultura di Destra può benissimo essere confusa con una sottocultura di Sinistra.»

Insomma capii che il linguaggio dei capelli lunghi non esprimeva piú «cose» di Sinistra, ma esprimeva qualcosa di equivoco, Destra-Sinistra, che rendeva possibile la presenza dei provocatori.

Una diecina d'anni fa, pensavo, tra noi della generazione precedente, un provocatore era quasi inconcepibile (se non a patto che fosse un grandissimo attore): infatti la sua sottocultura si sarebbe distinta, anche fisicamente, dalla nostra cultura. L'avremmo conosciuto dagli occhi, dal naso, dai capelli! L'avremmo subito smascherato, e gli avremmo dato subito la lezione che meritava. Ora questo non è più possibile. Nessuno mai al mondo potrebbe distinguere dalla presenza fisica un rivoluzionario da un provocatore. Destra e Sinistra si sono fisicamente fuse.

Siamo arrivati al 1972.

Ero, questo settembre, nella cittadina di Isfahan, nel cuore della Persia. Paese sottosviluppato, come orrendamente si dice, ma, come altrettanto orrendamente si dice, in píeno decollo.

Sull'Isfahan di una diecina di anni fa - una delle più belle città del mondo, se non chissà, la più bella - è nata una Isfahan nuova, moderna e bruttissima. Ma per le sue strade, al lavoro, o a passeggio, verso sera, si vedono i ragazzi che si vedevano in Italia una diecina di anni fa: figli dignitosi e umili, con le loro belle nuche, le loro belle facce limpide sotto i fieri ciuffi innocenti. Ed ecco che una sera, camminando per la strada principale, vidi, tra tutti quei ragazzi antichi, bellissimi e pieni dell'antica dignità umana, due esseri mostruosi: non erano proprio dei capelloni, ma i loro capelli erano tagliati all'europea, lunghi di dietro, corti sulla fronte, resi stopposi dal tiraggio, appiccicati artificialmente intorno al viso con due laidi ciuffetti sopra le orecchie.

Che cosa dicevano questi loro capelli? Dicevano: «Noi non apparteniamo al numero di questi morti di fame, di questi poveracci sottosviluppati, rimasti indietro alle età barbariche! Noi siamo impiegati di banca, studenti, figli di gente arricchita che lavora nelle società petrolifere; conosciamo l'Europa, abbiamo letto. Noi siamo dei borghesi: ed ecco qui i nostri capelli lunghi che testimoniano la nostra modernità internazionale di privilegiati!»

Quei capelli lunghi alludevano dunque a «cose» di Destra.

Il ciclo si è compiuto. La sottocultura al potere ha assorbito la sottocultura all'opposizione e l'ha fatta propria: con diabolica abilità ne ha fatto pazientemente una moda, che, se non si può proprio dire fascista nel senso classico della parola, è però di una «estrema destra» reale.

* * *

Concludo amaramente. Le maschere ripugnanti che i giovani si mettono sulla faccia, rendendosi laidi come le vecchie puttane di una ingiusta iconografia, ricreano oggettivamente sulle loro fisionomie ciò che essi solo verbalmente hanno condannato per sempre. Sono saltate fuori le vecchie facce da preti, da giudici, da ufficiali, da anarchici fasulli, da impiegati buffoni, da Azzeccagarbugli, da Don Ferrante, da mercenari, da imbroglioni, da benpensanti teppisti. Cioè la condanna radicale e indiscriminata che essi hanno pronunciato contro i loro padri - che sono la storia in evoluzione e la cultura precedente - alzando contro di essi una barriera insormontabile, ha finito con l'isolarli, impedendo loro, coi loro padri, un rapporto dialettico. Ora, solo attraverso tale rapporto dialettico - sia pur drammatico ed estremizzato - essi avrebbero potuto avere reale coscienza storica di sé, e andare avanti, «superare» i padri. Invece l'isolamento in cui si sono chiusi - come in un mondo a parte, in un ghetto riservato alla gioventù - li ha tenuti fermi alla loro insopprimibile realtà storica: e ciò ha implicato - fatalmente - un regresso. Essi sono in realtà andati più indietro dei loro padri, risuscitando nella loro anima terrori e conformismi, e, nel loro aspetto fisico, convenzionalità e miserie che parevano superate per sempre.

Ora così i capelli lunghi dicono, nel loro inarticolato e ossesso linguaggio di segni non verbali, nella loro teppistica iconicità, le «cose» della televisione o delle réclames dei prodotti, dove è ormai assolutamente inconcepibile prevedere un giovane che non abbia i capelli lunghi: fatto che, oggi, sarebbe scandaloso per il potere.

Provo un immenso e sincero dispiacere nel dirlo (anzi, una vera e propria disperazione): ma ormai migliaia e centinaia di migliaia di facce di giovani italiani, assomigliano sempre più alla faccia di Merlino. La loro libertà di portare i capelli come vogliono, non è più difendibile, perché non è più libertà. È giunto il momento, piuttosto, di dire ai giovani che il loro modo di acconciarsi è orribile, perché servile e volgare. Anzi, è giunto il momento che essi stessi se ne accorgano, e si liberino da questa loro ansia colpevole di attenersi all'ordine degradante dell'orda.

Pasolini
 

sergio Rufo

New member
un paradosso.
Si vada a leggere l'ultima sezione di La gaia scienza di Nietzsche e la sua critica al mondo moderno che verra'.
Il mondo del consumo, dell'improvvisazione, della commedia ( uomini moderni come commedianti!!!), della schiavitu' del lavoro
E poi si leggano alcune pagine di Pasolini contro il consumismo e contro l'annientamento dell'individuo e della sua coscienza critica.
Sembrera' di leggere lo stesso autore.
Eppure uno era aristocratico, l'altro popolare.
Come si spiega?
Si spiega in un modo solo: la limpidezza e l'onesta' del pensiero.
Ed una profonda visione.
 

wiktor

Member
oggi vado a prendere gli scritti corsari
che ne pensi della riapertura dell indagini sulla morte del nostro pasolini, ci sono nuovi indizi (sono novità solo per noi)
 

sergio Rufo

New member
ennesima farsa all'italiana.
Non si sapra' mai la verita perche' non la si e' mai voluta sapere.
E' l'italia, paese unito da 150 anni.
Ma come diceva il buon De Roberto nel suo Vicere' una volta che fu fatta l'italia gli italiani ( e non solo i siciliani) incominciarono a farsi i fatti propri.
Giochi di potere.

Io, comunque, non ho idea di come sia morto Pasolini. Non mi pronuncio ne' in un verso ne' nell'altro. So solo che con lui e' morto forse il piu' grande intellettuale italiano degli ultimi cinquanta anni e forse qualcosa di piu'.

Scritti Corsari? Un libro da leggere, rileggere e mai mettere in libreria. Sempre a portata di mano, non si sa mai.
Sembra scritto ieri o forse stamattina.
 

wiktor

Member
tu non vuoi parlare di questo e ti capisco per quel poco che ho imparato a conoscerti.
ma ci sono grandi novità:in procura è finalmente arrivato il video girato da sergio citti e c è un nuovo testimone.
ma lo so che non ti va di parlarne e penso pure di aver fatto male a sollevare la questione.io stesso mi autocensuro da adesso.ma nel senso che non è interessante parlarne qui.
lo vedi lo dicevo hai sempre ragione:)
il tuo amico wiktor ( se tu me lo permetti)
 

Mizar

Alfaheimr
Concordo con quanti han già elogiato Pier Paoletto.

Ed ora, godete...






A tratti, si risica anche la commozione :mrgreen:
 

sergio Rufo

New member
wiktor, hai fatto benissimo invece a sollevare la questione, perche' dovresti autocensurarti?
Semplicemente ho detto che e' un aspetto talmente controverso ( la morte di Pasolini) che oramai in italia non si sapra' piu' la verita'.
Ma e' un costume italiano.
Hai fatto benissimo a parlarne.

Mizar , grazie mille del contributo.:)
 

wiktor

Member
i misteri in italia ce ne stanno tanti.che poi misteri sono solo per noi che non lo sappiamo.comunque è giusto che anche dopo 40 anni si sappia.e dicono che sia vicina...
 

lillo

Remember
Da "Le ceneri di Gramsci"

.......
Tu giovane, in quel maggio in cui l'errore
era ancora vita, in quel maggio italiano
che alla vita aggiungeva almeno ardore,

quanto meno sventato e impuramente sano
dei nostri padri - non padre, ma umile
fratello - gia' con la tua magra mano

delineavi l'ideale che illumina
(ma non per noi: tu morto, e noi
morti ugualmente, con te, nell'umido

giardino) questo silenzio. Non puoi,
lo vedi?, che riposare in questo sito
estraneo, ancora confinato.
........
Lo scandalo del contraddirmi, dell'essere
con te e contro te; con te nel cuore,
in luce, contro te nelle buie viscere;

del mio paterno stato traditore
- nel pensiero, in un'ombra di azione -
mi so ad esso attaccato nel calore

degli istinti, dell'estetica passione;
attratto da una vita proletaria
a te anteriore, e' per me religione

la sua allegria, non la millenaria
sua lotta: la sua natura, non la sua
coscienza: e' la forza originaria

dell'uomo, che nell'atto s'e'perduta,
a darle l'ebbrezza della nostalgia,
una luce poetica: ed altro piu'

io non so dirne, che non sia
giusto ma non sincero, astratto
amore, non accorante simpatia...

Come i poveri povero, mi attacco
come loro a umilianti speranze,
come loro per vivere mi batto

ogni giorno. Ma nella desolante
mia condizione di diseredato,
io possiedo: ed e' il piu' esaltante

dei possessi borghesi, lo stato
piu' assoluto. Ma come io possiedo la storia,
essa mi possiede; ne sono illuminato:

ma a che serve la luce?
......
[SIZE=+2]VI[/SIZE]
Me ne vado, ti lascio nella sera
che, benche' triste, cos� dolce scende
per noi viventi, con la luce cerea

che al quartiere in penombra si rapprende.
E lo sommuove. Lo fa piu' grande, vuoto,
intorno, e, piu' lontano, lo riaccende

di una vita smaniosa che del roco
rotolio dei tram, dei gridi umani,
dialettali, fa un concerto fioco

e assoluto. E senti come in quei lontani
esseri che, in vita, gridano, ridono,
in quei loro veicoli, in quei grami

caseggiati dove si consuma l'infido
ed espansivo dono dell'esistenza -
quella vita non e'che un brivido;

corporea, collettiva presenza;
senti il mancare di ogni religione
vera; non vita, ma sopravvivenza -

forse piu' lieta della vita - come
d'un popolo di animali, nel cui arcano
orgasmo non ci sia altra passione

che per l'operare quotidiano:
umile fervore cui da'un senso di festa
l'umile corruzione. Quanto piu' e' vano

- in questo vuoto della storia, in questa
ronzante pausa in cui la vita tace -
ogni ideale, meglio e' manifesta

la stupenda, adusta sensualita'
quasi alessandrina, che tutto minia
e impuramente accende, quando qua

nel mondo, qualcosa crolla, e si trascina
il mondo, nella penombra, rientrando
in vuote piazze, in scorate officine...

Gia' si accendono i lumi, costellando
Via Zabaglia, Via Franklin, l'intero
Testaccio, disadorno tra il suo grande

lurido monte, i lungoteveri, il nero
fondale, oltre il fiume, che Monteverde
ammassa o sfuma invisibile sul cielo.

Diademi di lumi che si perdono,
smaglianti, e freddi di tristezza
quasi marina... Manca poco alla cena;

brillano i rari autobus del quartiere,
con grappoli d'operai agli sportelli,
e gruppi di militari vanno, senza fretta,

verso il monte che cela in mezzo a sterri
fradici e mucchi secchi d'immondizia
nell'ombra, rintanate zoccolette

che aspettano irose sopra la sporcizia
afrodisiaca: e, non lontano, tra casette
abusive ai margini del monte, o in mezzo

a palazzi, quasi a mondi, dei ragazzi
leggeri come stracci giocano alla brezza
non piu' fredda, primaverile; ardenti

di sventatezza giovanile la romanesca
loro sera di maggio scuri adolescenti
fischiano pei marciapiedi, nella festa

vespertina; e scrosciano le saracinesche
dei garages di schianto, gioiosamente,
se il buio ha resa serena la sera,

e in mezzo ai platani di Piazza Testaccio
il vento che cade in tremiti di bufera,
e' ben dolce, benche' radendo i capellacci

e i tufi del Macello, vi si imbeva
di sangue marcio, e per ogni dove
agiti rifiuti e odore di miseria.

E' un brusio la vita, e questi persi
in essa, la perdono serenamente,
se il cuore ne hanno pieno: a godersi

eccoli, miseri, la sera: e potente
in essi, inermi, per essi, il mito
rinasce... Ma io, con il cuore cosciente

di chi soltanto nella storia ha vita,
potro' mai piu' con pura passione operare,
se so che la nostra storia e' finita?

Questa di pasolini, e' parte dell'elegia a Gramsci. Cosi' facendo ho esercitato un potere terribile, quello del lettore che frammenta un'opera, rubando le parti che piu' lo scuotono. Ma non chiedo perdono oggi a pier paolo.... lo chiesi un giorno di tanti anni fa di fronte alla sua bara, con il simbolo ormai vecchio del pugno alzato, per tutto quello che di lui non avevamo capito e per tutto quello che di lui continuiamo a non capire.
 
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