Vox populi, vox Dei

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Qualcuno mi disprezzerà per questo titolo; e farà bene. :mrgreen:

Fin qui abbiamo discusso le altezze della musica colta, le profondità dell'Opera o la immensità di Bach; tuttavia nessun utente, come nessun cittadino di ogni latitudine è esente dalle tradizioni popolari della terra ove ha contratto natali od asilo. Propongo dunque una antologia di motivi e canzonette regionali od oltre; uno specchio non aulico, ma pur sempre nostro.

La tradizione mia, cui appartengo e sempre apparterrò (anche senza più l'accento..)


Ma il siciliano, nella sua essenza, è fortemente altro da questo: alterna sconfinata dolcezza a disinibita allusione; sa essere carezzevole pur se rude, o crudamente ironico in parvenza di casta trasgressione.


(mi scuso per il pessimo video, ma non ho trovato versioni migliori della canzone).



Dio solo sa quante generazioni di uomini in erba l'hanno intonata..




Ma qualcosa devo anche alla tradizione che mi ospita



Ora, mi sa che per i primi servirà la traduzione :?
 

asiul

New member
Che bello questo thread :D

la mia tradizione mi porta a Roma, dove sono nata...anche se le mie origini sono di un'altra splendida isola.

Le mettiamo entrambe? ma sì,dai....:wink:

questa è la mia città:


"...damme 'na mano a faje di' de sì..." :)



quanta poesia in un dialetto...

'Nde 'sta serata piena de dorcezza
pare che nun esisteno dolori.
Un venticello come 'na carezza
smove le piante e fa' bacià li fiori.
Nina, si voi dormite,
sognate che ve bacio,
ch'io v'addorcisco er sogno
cantanno adacio, adacio.
L'odore de li fiori che se confonne,
cor canto mio se sperde fra le fronne.

Chissà che ber sorriso appassionato,
state facenno mo' ch'ariposate.
Chissà, luccica mia, che v'insognate?
Forse, che canta che v'ha innamorato.

Nina, si voi dormite,
sognate che ve bacio,
ch'io v'addorcisco er sogno
cantanno adacio, adacio.
L'odore de li fiori che se confonne,
cor canto mio se sperde fra le fronne.

Però, si co' 'sto canto, io v'ho svejato,
m'aricommanno che me perdonate.
L'amore nun se frena, o Nina, amate,
che a vole' bene, no, nun è peccato.

Nina, si voi dormite,
sognate che ve bacio,
ch'io v'addorcisco er sogno
cantanno adacio, adacio.
L'odore de li fiori che se confonne,
cor canto mio se sperde fra le fronne.

e l'altra terra...


l'inno "nazionale" sardo


un canto popolare...

direi che può bastare..per ora :wink:

PS ehm...per il titolo del 3D si può fare ancora qualcosa?:mrgreen:
 
E' un po' che volevo contribuire a quanto c'è in questa bella stanza dal titolo perfetto.
Infatti, la bellezza delle nostre tradizioni popolari nasce dal sincretismo religioso che le nostre terre hanno raccolto.
La mia tradizione è un po' vasta essendo vasto il mio percorso musicale identitario.
Tocca un po' le emigrazioni della mia famiglia che, fortunatamente, mi sono state tramandate.

Mio padre mi cantava:
La vitti a la fiumara chi lavava,
calavrisella mia cu l'occhi scuri.
E mentre appassiunata mi vardava
iu nci rubai lu megghiu muccaturi.


Io, che capivo nulla del suo dialetto, avevo imparato Calabrisella a memoria - così come l'inno italiano che mi fu imposto per poterlo cantare nelle feste all'ambasciata - divertendomi a storpiare le parole in uno spagnolo italianizzato. Era l'esorcismo di assimilazione che noi figli d'italiani usavamo per rivendicare una nuova identità.
(vi regalo una chicca---> qui)

Le domeniche mia nonna materna cantava VolaVola.
C'era una sorta di battaglia regionale in famiglia. Mia madre, che aveva dovuto lottare per sposare l'uomo che amava (un calabrese? ma non potevi trovartene uno dalle nostre parti?) fiera della sua abruzzesità mista a marchigianità rivendicò l'unità nazionale.
Non vi dico quando mia zia si presentò nel clan con il fidanzato libanese...

A scuola la maestra di musica ci insegnava le marce militari. Dovevamo conoscerle alla perfezione, in polifonia, in modo che ad ogni festa patria noi si fosse allineati davanti alla bandiera per cantarle. Dovevamo anche sfoggiare una coccarda celeste e bianca che chiamiamo "escarapela"; del dimenticarla avrei avuto una nota di demerito, alla veneranda età di 8 anni.

La mia insegnante di chitarra si era fissata con Balderrama (qui nella splendida versione della negra Sosa), una zamba popolare molto bella che comporta ancora le lamentele dei miei connazionali quando la intono. "Troppo triste ju'!"
Risolvo intonando subito dopo "La Bamba" e gli ignoranti si trastullano nella musica latina commerciale.

C'era anche mio cugino, musicista doc, che amava cantare Camuflage, ma a quei tempi il tango non era quella passione che oggi rappresenta, anche nel vecchio mondo. Capii molto dopo che "il pensiero triste che si balla" dava molto fastidio per le sue passioni contestatarie e la sua filosofia callejera. Ciechi...


Camouflage,
apariencias engañosas
que no dejan ver las cosas
como son en realidad.
Martingalas,
de tahúres de la vida
que escabullen la partida
con genial habilidad.
Camouflage,
emboscada traicionera
en donde cae cualquiera
con fatal ingenuidad.
Artimañas
que al nacer ya nacen muertas,
porque quedan descubiertas
con la luz de la verdad.



Arrivai in Italia e le contaminazioni divennero caos.
Notai che le danze e i canti popolari erano andati perduti. Le tarantelle e "i lacci" erano rimasti nelle regioni più remote della terra e qui si era in pieno oblio culturale.
Mi accanii, cantavo VolaVola alle feste di compleanno, e imparai una canzone per ogni regione italiana, persino "La bella la va'l fosso" con accento argentino.
I miei compagni si abituarono, qualcuno rese divertenti le canzoni, attualizzandole e la cosa mi piacque moltissimo.

Ora sono innamoratissima di gruppi popolari sconosciuti che mantengono una tradizione popolare stupenda com'è quella italiana.
Questo gruppo, di quattro bellissime donne, è quello che seguo con maggior entusiasmo, essendo loro sorella.
Vi regalo un loro brano:

 
Alto