Remarque, Erich Maria - La notte di Lisbona

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Note sull'autore

Erich Maria Remarque nasce a Osnabrück nel 1898, prende parte alla prima guerra mondiale durante la quale viene ferito. Negli anni della gioventù tenta parecchie professioni ed è redattore di un giornale sportivo quando nel 1929 esce “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, il romanzo che gli da fama internazionale. Prosegue poi con successo sulla sua strada di denuncia della violenza, dall'una all'altra guerra, con “La via del ritorno”, 1931; “Tre camerati, 1938; “Ama il prossimo tuo”, 1941; “Arco di trionfo”, 1945; “L'obelisco nero”, 1956; “Il cielo non ha preferenze”, 1961. Poi nel '63, questo: “La notte di Lisbona”.
Nel 1933 i nazisti bruciano e mettono al bando il suo lavoro, mentre la propaganda di regime fa circolare la voce che Remarque (il cognome vero è in realtà Remark) discende da ebrei francesi e che il suo cognome è Kramer, cioè Remark al contrario. È esule in Svizzera dopo l'ostracismo nazista. Si trasferisce negli Stati Uniti nel 1939 con la sua prima moglie Ilsa Jeanne Zambona che sposa e dalla quale si separa ben due volte. Nel 1947 diventano cittadini americani. Nel 1948 torna in Svizzera. Ha una relazione con Marlene Dietrich e poi con Paulette Goddard che nel 1958 diventa la sua seconda moglie. Negli anni '60 poi, trascorre lunghi periodi nella sua villa di Porto Ronco, sul Lago Maggiore. Muore nel 1970 a 72 anni. È sepolto nel cimitero Ronco sopra Ascona dove giace anche Paulette Goddard.

“La notte di Lisbona”

INCIPIT
Guardavo attentamente la nave tutta illuminata che un po' distante dalla banchina era ancorata nel Tago. Benché fossi a Lisbona da una settimana, non mi ero ancora abituato alla luce spensierata della città. Nei paesi dai quali venivo, le città, di notte, erano nere come miniere di carbone, e un fanale nelle tenebre era più pericoloso della peste nel medioevo.

TRAMA
La trama è molto semplice. Un uomo in procinto di partire per l'America per sfuggire alle persecuzioni naziste, si rende conto che, dopo la morte della sua compagna, non gli importa più nulla di vivere o morire. Per cui decide di regalare il suo passaporto perfettamente valido a una coppia, di cui incontra per caso l'uomo che ne è alla disperata ricerca. Ma c'è una condizione: egli desidera poter raccontare la sua storia ed essere ascoltato fino in fondo, prima di cedere il passaporto.
Da qui, parte una narrazione fatta di molti flashback e molto dolore, che scorre via, come tutti i romanzi di Remarque, in modo "potentemente quieto", senza iperboli, senza enfasi, ma con rara efficacia espressiva.
Il romanzo si svolge quasi interamente come flashback nella storia narrata dal protagonista, una storia fatta di estreme sofferenze: tortura nel campo di concentramento nazista per essere un dissidente, fuga all'estero, vita da esule, ritorno in patria per incontrare di nuovo la moglie, ulteriore fuga... insomma, anni raccontati con l'amarezza del ricordo, il disincanto dell'uomo perseguitato, la sconfitta psicologica determinata dall'avversa fortuna. Storia narrata dal protagonista dicevo, ma non è proprio esattamente così: il protagonista del romanzo dovrebbe essere l'ascoltatore, in quanto figura “in action”, alla ricerca della salvezza. Perciò a questi gli viene in qualche modo rubato il ruolo (infatti è l'ascoltatore che parla in prima persona). O meglio ancora, e questo è il bello de “La notte di Lisbona”, entrambi, interlocutore e ascoltatore, tengono il lettore incollato alle pagine in quanto la curiosità di conoscere il destino di tutti e due è parimenti intenso. Ma un po' dopo l'incipit, quando l'ascoltatore si imbatte nell'uomo che diventerà il narratore della storia, egli diventa il protagonista passivo, diciamo così, che dovrà trascorrere la notte in giro per i locali notturni e ascoltare le vicende che hanno portato il narratore alla decisione di regalargli i due passaporti.

"La notte di Lisbona" è molto scorrevole, e la narrazione, pur intrisa di dolore, è comunque veloce, e cerca di evitare la tristezza a favore dell'azione.
L'idea antimilitarista, che ha reso celebre Erich Maria Remarque nel suo "Niente di nuovo sul fronte occidentale", qui riappare, a distanza di decenni, come un languido anelito alla serenità del singolo, alla pace non solo delle nazioni, ma principalmente dell'uomo, visto come persona esposta al destino feroce dell'intolleranza, del sopruso, della violenza.
È un romanzo accorato, questo, dotato di un forte senso di disagio, unito però alla speranza per il futuro, perché, se due vite sono state soffocate dalle prevaricazioni, altre due possono finalmente riabbracciare la speranza.
Questa lunga storia non vuole esprimere, né unicamente la condanna di una società degradata, né il lutto necessario per una possibile rinascita: l'impulso più importante che sta alla base della narrazione è quello del ricordo, della rimembranza di un passato di intenso dolore che, proprio per la sua natura intima, incentrata sul singolo uomo e non sulle grandi nazioni, riesce a essere la chiave di decifrazione di una grande tragedia, e al contempo l'unità fondamentale della memoria, di una memoria che, rimanendo nel singolo e diffondendosi nei singoli, riesce, da un lato, a mitigare il dolore del sopruso e dell'inganno di una società proditoria, dall'altro, a sventare progressivamente nel tempo la minaccia di una nuova era di violenza e dolore.

Mi sono goduto la lettura dall'inizio alla fine. Non c'è stato un momento in cui non ho desiderato continuare ad addentrarmi nel racconto sempre di più, fino a divorare il romanzo e alla fine, letta l'ultima pagina, ho appoggiato la mia prima edizione Medusa della Mondadori sulla pancia e guardando il soffitto ho pensato a lungo ai personaggi, alla loro vita, passata e futura e mi è venuto in mente un pensiero di Aldous Huxley:
... quanto più in alto si arrampica un uomo nella gerarchia politica, economica e religiosa, tanto più grandi sono le occasioni e le risorse che gli si offrono per l'esercizio del potere. Questo pensiero di Huxley, lasciatemi scriverlo, vale anche per quel potere ottenuto da una forza militare che in quel famoso decennio ne ha abusato a tal punto da instillare in un gruppo etnico in particolare un terrore d'altri tempi. Tutt'ora, nella mia condizione di lettore che non ha approfondito più di tanto l'argomento, mi chiedo: perché nessuna coalizione di stati è intervenuta prima? Come è possibile che al nazismo sia stato permesso sostenere la tesi che gli ebrei volevano conquistare il dominio del mondo e legittimare un trattamento come quello messo in atto? Ma questo è inoltrarsi in un altro discorso, quindi godetevi il romanzo che ne vale davvero la pena. Il migliore che ho letto quest'anno, probabilmente.

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I edizione italiana del romanzo. Collana Medusa (Arnoldo Mondadori Editore) volume 493 con traduzione dal tedesco di Ervinio Pocar.
 
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Monica

Active member
Una bella e completa recensione,lo leggerò con piacere :)
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Una bella e completa recensione,lo leggerò con piacere :)
Sei gentile Monica. Ma come scrivevo, era tanto che non provavo tale piacere dalla lettura di un romanzo. È così avvincente! Uno di quelli da cui non ti staccheresti più fino a che non l'hai finito. Prosa perfetta e storia, sebbene non originale, molto intrigante.
Mi viene in mente ora che quelle righe che ho scritto sulla memoria, quasi alla fine della recensione, è possibile che l'ultimo vincitore del Nobel, P. Modiano, che della memoria ha fatto il core dei suoi romanzi, abbia letto parecchio Remarque.
Dovremmo farlo anche noi. :wink:
 

Monica

Active member
Due giorni fa ho iniziato questo romanzo e non sono più riuscita a smettere finchè non ho letto l'ultima pagina.Si rimane incollati al libro,seguendo il lungo calvario del protagonista,anche conoscendo già,in qualche modo quale sarà la conclusione.Davvero bello,triste ,intenso.:) Non conoscevo Remarque ,cercherò di approfondire la sua conoscenza.
 

malafi

Well-known member
Dopo essere sempre rimasto lontano (volutamente) da romanzi di guerra (e dintorni), questo è il mio terzo di fila e credo proprio di avere buttato alle ortiche i miei primi 50 anni di letture.

Pur continuando a non amare il genere, quando ti imbatti in romanzieri come Remarque non puoi non rimanere affascinato. Un modo di scrivere sublime, ai limiti delle perfezione, con una rara capacità di farti immergere nel mood (scusate l'anglicismo :wink:) dell'epoca e dei suoi protagonisti.

Espediente narrativo non nuovo, ma sempre efficace quello di fare raccontare una vicenda da un personaggio di un libro ad un altro. Il narratore, dopo aver vissuto anni da fuggiasco ed aver visto la luce in fondo al tunnel (ma era il treno :mrgreen:) sente di dover fare partecipe qualcun altro della sua storia perchè non si perda, per lasciarne un'eredità. Una storia d'amore, una storia di odio, una storia di guerra.
E la sua storia (d'amore) finita male è il viatico per una nuova speranza per chi, al solo prezzo di starlo ad ascoltare per una notte in quel di Lisbona, riceverà biglietti e visti per emigrare/fuggire in America verso una nuova vita.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
L'autore racconta il viaggio del protagonista Schwarz nella sua fuga dalla Germania nazista attraverso l'Europa, fino a raggiungere la Spagna e il Portogallo, considerati porti di speranza. Lo spostamento forzato che porta il protagonista a lasciare il suo paese d'origine e a recarsi nella penisola iberica ci fa pensare che si tratti di una storia di esilio, più che di un racconto di viaggio. Schwarz descrive questa topografia dell'emigrazione come
un'odissea, un calvario o un Mar Rosso. Con questi riferimenti intertestuali Schwarz evoca e identifica la sua traiettoria con altre topografie di avventure e sofferenze: l'Odissea di Ulisse, il Calvario di Cristo o l'Esodo dall'Egitto. In questo immaginario, il Portogallo riceve, più volte, il soprannome di terra promessa. La topografia dell'Europa occupata è condizionata dalla guerra in quanto vengono ricordati non i paesaggi ma i luoghi attraverso i quali sono passati gli emigranti: i consolati, i caffè degli emigranti come il Cafe de la Rose a Parigi, il Cafe Greif a Zurigo, le carceri come Velodrome, Salle Lepine, Colombe, Petite Roquette e campi di prigionia, come La Vernet. Il protagonista e il suo interlocutore condividono i ricordi della topografia della fuga attraverso l'Europa, confrontano le carceri e i campi di prigionia. Al Louvre, davanti ai dipinti degli impressionisti francesi, Schwarz cerca il balsamo per affrontare l'esperienza di una guerra imminente e la conseguente persecuzione: "Ho passato molti pomeriggi lì, per calmarmi. Di fronte a quei paesaggi calmi e soleggiati era impossibile credere che gli stessi esseri capaci di creare tanta bellezza potessero avere l'intenzione di intraprendere una guerra omicida: un'illusione rilassante che ti faceva abbassare la pressione sanguigna per un'ora o due". Il narratore sottolinea poi l'importanza a quei tempi di avere un passaporto valido perché l'essere umano a quei tempi non era niente mentre un passaporto valido era tutto. Mi è piaciuta l'immagine di Lisbona associata alla luce e in contrasto con l'oscurità del resto dell'Europa: "Nonostante fossi a Lisbona da una settimana, non mi ero ancora abituato alla luce spensierata. Nei paesi da cui provenivo, di notte le città diventavano nere come il carbone; lì un lampione al buio era più pericoloso della peste nel Medioevo". La topografia della città è formata dal casinò, che rappresenta l'ultima speranza di ottenere i soldi per il biglietto del battello, dai bar frequentati da ufficiali nazisti, soldati inglesi ed emigranti e soprattutto dal molo, che simboleggia la fuga. Lisbona rappresenta, per lo sguardo dell'emigrante, un'arca in tempo di diluvio: "La nave si preparava al viaggio, come se fosse un'arca in tempo di diluvio". Questo romanzo mi ha fatto riflettere su come i luoghi che attraversiamo, la loro visione e il conseguente loro ricordo, siano condizionati dallo stato d'animo in cui ci troviamo in quel momento in cui li abbiamo vissuti, su cosa rappresentano in quel momento per noi. I luoghi diventano simboli. Scrittura poetica.
 
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