Prosa e racconti brevi

bouvard

Well-known member
Se…


Avevo dieci anni quando sentii parlare per la prima volta di Silvia. I miei genitori alla fine di quell’anno scolastico mi avevano mandato a trascorrere le lunghe vacanze estive in campagna dai nonni. Per essere precisi dai nonni e da un’infinità di altri parenti, visto che come scoprii ben presto in quel paesino a parte i cani, i gatti e le galline gli altri erano tutti miei parenti.
Ogni mattina appena mettevo i piedi fuori dal letto mia nonna attaccava con il suo ritornello dei non, “non fare rumore” “non far andare il pallone nel giardino dei vicini”, “non gridare”. Non mi sgridava se entravo in casa con le scarpe sporche o se lasciavo i vestiti sparsi dappertutto e persino se non mi lavavo i denti tutti i giorni non ne faceva una questione di Stato come mia madre, ma su Silvia non sentiva ragioni. Non dovevo assolutamente darle fastidio altrimenti… Non ho mai saputo cosa si nascondesse dietro quell’altrimenti, ma bastava il tono con cui lo diceva a farmi capire che sarebbe stato meglio per me non scoprirlo.
Di questa famosa Silvia per settimane seppi solo che era la nostra vicina di casa, perché nonostante gli appostamenti dietro tendine e cespugli non mi riuscii di vederla. Perciò me l’immaginai con gli occhiali rotondi da gufo e il colorito cadaverico della mia maestra di matematica e visto che all’epoca non difettavo di fantasia le avevo aggiunto anche degli artigli al posto delle mani e una verruca sulla guancia, su colore dei capelli invece non ero riuscito a decidermi.
Ancora oggi se ripenso a quando finalmente la vidi mi rivedo impalato in mezzo al giardino a bocca aperta come un povero idiota. Non solo Silvia non somigliava alla mia maestra, ma non aveva neppure gli artigli e la verruca, i capelli invece erano castani e le arrivavano fin sopra le spalle. Era proprio bella, ma la sua faccia triste mi convinse anche più delle minacce di mia nonna a non disturbarla.

***

Tre anni prima

-Mamma posso andare da Michela? La loro gatta ha fatto i gattini e Michela ha promesso di darmene uno appena sarà cresciuto un po’. Lo chiamerò Asterisco, Michela invece il suo lo chiamerà Virgola. Lo farò dormire su un cuscino in camera mia, ma se proverà a salire sul mio letto lo sgriderò, giocheremo insieme con le bambole, ma non dovrà toccare i libri…
A Silvia piaceva sentir parlare la figlia mente puliva i vetri, la sua voce allegra riusciva a renderle piacevole persino quel lavoro che odiava. Ma guardando l’orologio le labbra le si arricciarono in una smorfia infastidita, aveva ancora una pila di vestiti del marito da stirare e doveva anche passare dal suocero a controllare che avesse preso tutte le sue medicine e lasciargli qualcosa di pronto da riscaldarsi per la cena e poi doveva pensare anche alla loro di cena e poi… Le sue giornate sarebbero dovute durare almeno un altro paio d’ore perché non dovesse più ammazzarsi come un asino come invece le toccava fare.
-Mi dispiace tesoro, ma oggi non posso accompagnarti da Michela, ci andrai domani te lo prometto – le dispiaceva sempre quando non poteva accontentarla.
-Ma mamma posso andarci da sola, ho nove anni! Ti prometto che starò attenta per strada, ormai so come si fa, prima di attraversare guardo a destra e a sinistra e solo se non arriva nessuno passo – e guardò la madre con quegli occhioni a cui non si riusciva mai a dire di no.
A Silvia non piaceva mandarla in giro per strada da sola. Benedetta aveva dimostrato tante volte di essere una bambina fin troppo giudiziosa per la sua età, ma lei aveva paura lo stesso. Suo marito spesso la prendeva in giro per quel suo carattere apprensivo da mamma-chioccia e lei allora si sforzava di non esserlo e per un po’ le riusciva anche, ma poi ci ricascava sempre. Gli occhioni intanto continuavano a guardarla supplichevoli. Forse aveva ragione suo marito, in fondo la strada da fare era davvero breve e in quel paesino ci si conosceva tutti ed ognuno guidava piano.

****

Voleva tenere la sua bambina fra le braccia come faceva sempre quando era piccola per farla addormentare, e aspettare che lei lentamente aprisse gli occhi ancora insonnoliti. Era sicura che se tutta quella gente l’avesse lasciata sola con la sua bambina Benedetta si sarebbe risvegliata. Perché erano venuti? “Andate via tutti, lasciatemi sola con lei” la sua mente continuava a gridarlo, ma nessuno l’ascoltava.
Qualcuno la prese per un braccio. Dove volevano portarla? Non voleva andare da nessuna parte, voleva stare solo con la sua bambina, carezzarle il viso e i capelli e aspettare che si svegliasse, ormai non ci sarebbe voluto ancora molto. Si ritrovò seduta su una panca in chiesa, con quell’odore opprimente dei ceri accesi a darle la nausea. E poi tutti quei fiori e quella litania continua ad infastidirla. Perché nessuno capiva che Benedetta avrebbe avuto paura se non sentiva la sua voce? “State zitti tutti”.
Finalmente tornarono a casa. La gente prese a muoversi intorno a lei in punta di piedi come in un assurdo balletto e le loro parole non la smettevano di ronzarle intorno come mosche fastidiose. Tutti avevano qualcosa da chiederle bisbigliando “Hai fame?” “Vuoi dormire?”. Vedeva le loro labbra muoversi ma non si sforzava neppure di afferrare le loro parole e quelle scivolavano via senza lasciare traccia come le gocce di pioggia sui vetri di una finestra. Scomparivano silenziosamente come se non fossero mai state dette.
“Se non l’avesse lasciata uscire da sola non sarebbe successo…” era distesa sul divano con gli occhi chiusi ma aveva sentito chiaramente quelle parole appena sussurrate. Quelle non erano riuscite a scivolarle addosso come le altre, le avevano invece squarciato la mente con la stessa violenza di un fulmine che frantuma in mille pezzi il nero della notte e le si erano ficcate nelle carni come schegge di vetro appuntite.
Quel “Se…” si era incuneato sempre più a fondo nei suoi pensieri, come un granello di sabbia troppo fine per essere trattenuto dalle maglie di un setaccio. E quel granello da solo era riuscito a fermare una rotellina di un ingranaggio. Una sola rotellina, eppure adesso tutto l’ingranaggio era in scacco e non riusciva a ripartire. Davide contro Golia. La mente di Silvia ormai era una trottola impazzita che girava a vuoto sempre intorno allo stesso punto. Aveva cercato di ignorare quel granello in modo che la rotellina potesse fare quello scatto in avanti che le avrebbe permesso di superarlo e ripartire. Ma non ci riusciva e ad ogni attimo quel granello diventava sempre più grande, sempre più grande, sempre più grande. Un macigno. Ormai non lasciava più spazio per altri pensieri.
-E’ solo colpa mia… lo pensano tutti… non me lo dicono, ma lo pensano… tutti lo pensano… se lo sussurrano fra loro… ma io li sento lo stesso… è solo colpa mia… di nessun altro… solo mia… io l’ho lasciata uscire da sola… è solo colpa mia… hanno ragione è solo colpa mia… mia…mia…
“Se…”…
”Se…”
“Se…”

***

Quindici anni dopo

Fu una lunga e forzata convalescenza dopo un incidente a riportarmi in quel piccolo paesino dopo quindici anni, mio nonno non c’era più e neppure qualcun altro di tutti quei parenti, forse qualche gatto e qualche cane era ancora quello di quindici anni prima, le galline di sicuro non erano le stesse. E mia nonna non aveva più bisogno di raccomandarmi ogni mattina di non disturbare Silvia.
In quanto a Silvia seppi subito che non si era mai ripresa e abitava sempre nella casa affianco. La mattina quando mi svegliavo la trovavo in piedi sul balcone e quando uscivo per la mia passeggiata pomeridiana ero sicuro di trovarla seduta sulla panchina nel loro giardino. Un giorno provai a farle un cenno di saluto con la mano. Mi rispose uno sguardo che attraversò il mio corpo come se fossi fatto d’aria.
Per settimane le avevo visto fare solo il tragitto dal portone alla panchina, ma una mattina me la ritrovai inaspettatamente vicino al cancelletto d’ingresso che dava sulla strada. Ma questa sorpresa fu niente in confronto a quella di non sentirmi più attraversato dal suo sguardo. Uno strano luccichio negli occhi mi fece capire che quel giorno per Silvia il mondo esisteva. Il suo viso sembrava addirittura sereno, come se avesse finalmente fatto pace con i suoi pensieri e trovato quello che aveva sempre cercato. Dopo esserle passato davanti per un attimo tornai a girarmi per guardarla, aveva ancora quel luccichio negli occhi, ma io proseguì per la mia strada.

***

“Se solo avesse fatto capire in qualche modo le sue intenzioni forse si sarebbe potuto aiutarla, ma così invece…” le parole di mia nonna mentre bevevo il te quel pomeriggio mi colpirono come uno schiaffo in piena faccia. “Se solo avesse fatto capire in qualche modo…”, ma Silvia lo aveva fatto capire. A modo suo.
Quella mattina non aveva fatto pace con i suoi pensieri, aveva solo deciso di attraversare i binari nonostante il passaggio a livello abbassato e nonostante il fischio forte del treno, come aveva fatto la sua Benedetta tanti anni prima per la fretta di andare a vedere quei gattini.
Un pensiero improvviso dopo tanto tempo era riuscito a frantumare quel minuscolo granello di sabbia che inceppava la sua mente e l’ingranaggio, finalmente libero da ogni ostacolo, aveva iniziato a girare velocemente in una corsa folle.
Non doveva più aspettare la sua bambina, sarebbe andata da lei. Benedetta l’aveva chiamata, finalmente l’aveva perdonata.

Non c’erano più “Se…”.
 

bonadext

Ananke
Se…


Avevo dieci anni quando sentii parlare per la prima volta di Silvia. I miei genitori alla fine di quell’anno scolastico mi avevano mandato a trascorrere le lunghe vacanze estive in campagna dai nonni. Per essere precisi dai nonni e da un’infinità di altri parenti, visto che come scoprii ben presto in quel paesino a parte i cani, i gatti e le galline gli altri erano tutti miei parenti.
Ogni mattina appena mettevo i piedi fuori dal letto mia nonna attaccava con il suo ritornello dei non, “non fare rumore” “non far andare il pallone nel giardino dei vicini”, “non gridare”. Non mi sgridava se entravo in casa con le scarpe sporche o se lasciavo i vestiti sparsi dappertutto e persino se non mi lavavo i denti tutti i giorni non ne faceva una questione di Stato come mia madre, ma su Silvia non sentiva ragioni. Non dovevo assolutamente darle fastidio altrimenti… Non ho mai saputo cosa si nascondesse dietro quell’altrimenti, ma bastava il tono con cui lo diceva a farmi capire che sarebbe stato meglio per me non scoprirlo.
Di questa famosa Silvia per settimane seppi solo che era la nostra vicina di casa, perché nonostante gli appostamenti dietro tendine e cespugli non mi riuscii di vederla. Perciò me l’immaginai con gli occhiali rotondi da gufo e il colorito cadaverico della mia maestra di matematica e visto che all’epoca non difettavo di fantasia le avevo aggiunto anche degli artigli al posto delle mani e una verruca sulla guancia, su colore dei capelli invece non ero riuscito a decidermi.
Ancora oggi se ripenso a quando finalmente la vidi mi rivedo impalato in mezzo al giardino a bocca aperta come un povero idiota. Non solo Silvia non somigliava alla mia maestra, ma non aveva neppure gli artigli e la verruca, i capelli invece erano castani e le arrivavano fin sopra le spalle. Era proprio bella, ma la sua faccia triste mi convinse anche più delle minacce di mia nonna a non disturbarla.

***

Tre anni prima

-Mamma posso andare da Michela? La loro gatta ha fatto i gattini e Michela ha promesso di darmene uno appena sarà cresciuto un po’. Lo chiamerò Asterisco, Michela invece il suo lo chiamerà Virgola. Lo farò dormire su un cuscino in camera mia, ma se proverà a salire sul mio letto lo sgriderò, giocheremo insieme con le bambole, ma non dovrà toccare i libri…
A Silvia piaceva sentir parlare la figlia mente puliva i vetri, la sua voce allegra riusciva a renderle piacevole persino quel lavoro che odiava. Ma guardando l’orologio le labbra le si arricciarono in una smorfia infastidita, aveva ancora una pila di vestiti del marito da stirare e doveva anche passare dal suocero a controllare che avesse preso tutte le sue medicine e lasciargli qualcosa di pronto da riscaldarsi per la cena e poi doveva pensare anche alla loro di cena e poi… Le sue giornate sarebbero dovute durare almeno un altro paio d’ore perché non dovesse più ammazzarsi come un asino come invece le toccava fare.
-Mi dispiace tesoro, ma oggi non posso accompagnarti da Michela, ci andrai domani te lo prometto – le dispiaceva sempre quando non poteva accontentarla.
-Ma mamma posso andarci da sola, ho nove anni! Ti prometto che starò attenta per strada, ormai so come si fa, prima di attraversare guardo a destra e a sinistra e solo se non arriva nessuno passo – e guardò la madre con quegli occhioni a cui non si riusciva mai a dire di no.
A Silvia non piaceva mandarla in giro per strada da sola. Benedetta aveva dimostrato tante volte di essere una bambina fin troppo giudiziosa per la sua età, ma lei aveva paura lo stesso. Suo marito spesso la prendeva in giro per quel suo carattere apprensivo da mamma-chioccia e lei allora si sforzava di non esserlo e per un po’ le riusciva anche, ma poi ci ricascava sempre. Gli occhioni intanto continuavano a guardarla supplichevoli. Forse aveva ragione suo marito, in fondo la strada da fare era davvero breve e in quel paesino ci si conosceva tutti ed ognuno guidava piano.

****

Voleva tenere la sua bambina fra le braccia come faceva sempre quando era piccola per farla addormentare, e aspettare che lei lentamente aprisse gli occhi ancora insonnoliti. Era sicura che se tutta quella gente l’avesse lasciata sola con la sua bambina Benedetta si sarebbe risvegliata. Perché erano venuti? “Andate via tutti, lasciatemi sola con lei” la sua mente continuava a gridarlo, ma nessuno l’ascoltava.
Qualcuno la prese per un braccio. Dove volevano portarla? Non voleva andare da nessuna parte, voleva stare solo con la sua bambina, carezzarle il viso e i capelli e aspettare che si svegliasse, ormai non ci sarebbe voluto ancora molto. Si ritrovò seduta su una panca in chiesa, con quell’odore opprimente dei ceri accesi a darle la nausea. E poi tutti quei fiori e quella litania continua ad infastidirla. Perché nessuno capiva che Benedetta avrebbe avuto paura se non sentiva la sua voce? “State zitti tutti”.
Finalmente tornarono a casa. La gente prese a muoversi intorno a lei in punta di piedi come in un assurdo balletto e le loro parole non la smettevano di ronzarle intorno come mosche fastidiose. Tutti avevano qualcosa da chiederle bisbigliando “Hai fame?” “Vuoi dormire?”. Vedeva le loro labbra muoversi ma non si sforzava neppure di afferrare le loro parole e quelle scivolavano via senza lasciare traccia come le gocce di pioggia sui vetri di una finestra. Scomparivano silenziosamente come se non fossero mai state dette.
“Se non l’avesse lasciata uscire da sola non sarebbe successo…” era distesa sul divano con gli occhi chiusi ma aveva sentito chiaramente quelle parole appena sussurrate. Quelle non erano riuscite a scivolarle addosso come le altre, le avevano invece squarciato la mente con la stessa violenza di un fulmine che frantuma in mille pezzi il nero della notte e le si erano ficcate nelle carni come schegge di vetro appuntite.
Quel “Se…” si era incuneato sempre più a fondo nei suoi pensieri, come un granello di sabbia troppo fine per essere trattenuto dalle maglie di un setaccio. E quel granello da solo era riuscito a fermare una rotellina di un ingranaggio. Una sola rotellina, eppure adesso tutto l’ingranaggio era in scacco e non riusciva a ripartire. Davide contro Golia. La mente di Silvia ormai era una trottola impazzita che girava a vuoto sempre intorno allo stesso punto. Aveva cercato di ignorare quel granello in modo che la rotellina potesse fare quello scatto in avanti che le avrebbe permesso di superarlo e ripartire. Ma non ci riusciva e ad ogni attimo quel granello diventava sempre più grande, sempre più grande, sempre più grande. Un macigno. Ormai non lasciava più spazio per altri pensieri.
-E’ solo colpa mia… lo pensano tutti… non me lo dicono, ma lo pensano… tutti lo pensano… se lo sussurrano fra loro… ma io li sento lo stesso… è solo colpa mia… di nessun altro… solo mia… io l’ho lasciata uscire da sola… è solo colpa mia… hanno ragione è solo colpa mia… mia…mia…
“Se…”…
”Se…”
“Se…”

***

Quindici anni dopo

Fu una lunga e forzata convalescenza dopo un incidente a riportarmi in quel piccolo paesino dopo quindici anni, mio nonno non c’era più e neppure qualcun altro di tutti quei parenti, forse qualche gatto e qualche cane era ancora quello di quindici anni prima, le galline di sicuro non erano le stesse. E mia nonna non aveva più bisogno di raccomandarmi ogni mattina di non disturbare Silvia.
In quanto a Silvia seppi subito che non si era mai ripresa e abitava sempre nella casa affianco. La mattina quando mi svegliavo la trovavo in piedi sul balcone e quando uscivo per la mia passeggiata pomeridiana ero sicuro di trovarla seduta sulla panchina nel loro giardino. Un giorno provai a farle un cenno di saluto con la mano. Mi rispose uno sguardo che attraversò il mio corpo come se fossi fatto d’aria.
Per settimane le avevo visto fare solo il tragitto dal portone alla panchina, ma una mattina me la ritrovai inaspettatamente vicino al cancelletto d’ingresso che dava sulla strada. Ma questa sorpresa fu niente in confronto a quella di non sentirmi più attraversato dal suo sguardo. Uno strano luccichio negli occhi mi fece capire che quel giorno per Silvia il mondo esisteva. Il suo viso sembrava addirittura sereno, come se avesse finalmente fatto pace con i suoi pensieri e trovato quello che aveva sempre cercato. Dopo esserle passato davanti per un attimo tornai a girarmi per guardarla, aveva ancora quel luccichio negli occhi, ma io proseguì per la mia strada.

***

“Se solo avesse fatto capire in qualche modo le sue intenzioni forse si sarebbe potuto aiutarla, ma così invece…” le parole di mia nonna mentre bevevo il te quel pomeriggio mi colpirono come uno schiaffo in piena faccia. “Se solo avesse fatto capire in qualche modo…”, ma Silvia lo aveva fatto capire. A modo suo.
Quella mattina non aveva fatto pace con i suoi pensieri, aveva solo deciso di attraversare i binari nonostante il passaggio a livello abbassato e nonostante il fischio forte del treno, come aveva fatto la sua Benedetta tanti anni prima per la fretta di andare a vedere quei gattini.
Un pensiero improvviso dopo tanto tempo era riuscito a frantumare quel minuscolo granello di sabbia che inceppava la sua mente e l’ingranaggio, finalmente libero da ogni ostacolo, aveva iniziato a girare velocemente in una corsa folle.
Non doveva più aspettare la sua bambina, sarebbe andata da lei. Benedetta l’aveva chiamata, finalmente l’aveva perdonata.

Non c’erano più “Se…”.
Bravissima bou! :ad: Molto bello questo racconto drammatico e sei migliorata molto rispetto al tuo ultimo racconto, adesso ti sei permessa anche di fare i "passaggi temporali" con maestria! Sarà mica merito delle galline?! :mrgreen: :YY
 

HOTWIRELESS

d'ya think i'm stupid?
Se…


Avevo dieci anni quando sentii parlare per la prima volta di Silvia. I miei genitori alla fine di quell’anno scolastico mi avevano mandato a trascorrere le lunghe vacanze estive in campagna dai nonni. Per essere precisi dai nonni e da un’infinità di altri parenti, visto che come scoprii ben presto in quel paesino a parte i cani, i gatti e le galline gli altri erano tutti miei parenti.
Ogni mattina appena mettevo i piedi fuori dal letto mia nonna attaccava con il suo ritornello dei non, “non fare rumore” “non far andare il pallone nel giardino dei vicini”, “non gridare”. Non mi sgridava se entravo in casa con le scarpe sporche o se lasciavo i vestiti sparsi dappertutto e persino se non mi lavavo i denti tutti i giorni non ne faceva una questione di Stato come mia madre, ma su Silvia non sentiva ragioni. Non dovevo assolutamente darle fastidio altrimenti… Non ho mai saputo cosa si nascondesse dietro quell’altrimenti, ma bastava il tono con cui lo diceva a farmi capire che sarebbe stato meglio per me non scoprirlo.
Di questa famosa Silvia per settimane seppi solo che era la nostra vicina di casa, perché nonostante gli appostamenti dietro tendine e cespugli non mi riuscii di vederla. Perciò me l’immaginai con gli occhiali rotondi da gufo e il colorito cadaverico della mia maestra di matematica e visto che all’epoca non difettavo di fantasia le avevo aggiunto anche degli artigli al posto delle mani e una verruca sulla guancia, su colore dei capelli invece non ero riuscito a decidermi.
Ancora oggi se ripenso a quando finalmente la vidi mi rivedo impalato in mezzo al giardino a bocca aperta come un povero idiota. Non solo Silvia non somigliava alla mia maestra, ma non aveva neppure gli artigli e la verruca, i capelli invece erano castani e le arrivavano fin sopra le spalle. Era proprio bella, ma la sua faccia triste mi convinse anche più delle minacce di mia nonna a non disturbarla.

***

Tre anni prima

-Mamma posso andare da Michela? La loro gatta ha fatto i gattini e Michela ha promesso di darmene uno appena sarà cresciuto un po’. Lo chiamerò Asterisco, Michela invece il suo lo chiamerà Virgola. Lo farò dormire su un cuscino in camera mia, ma se proverà a salire sul mio letto lo sgriderò, giocheremo insieme con le bambole, ma non dovrà toccare i libri…
A Silvia piaceva sentir parlare la figlia mente puliva i vetri, la sua voce allegra riusciva a renderle piacevole persino quel lavoro che odiava. Ma guardando l’orologio le labbra le si arricciarono in una smorfia infastidita, aveva ancora una pila di vestiti del marito da stirare e doveva anche passare dal suocero a controllare che avesse preso tutte le sue medicine e lasciargli qualcosa di pronto da riscaldarsi per la cena e poi doveva pensare anche alla loro di cena e poi… Le sue giornate sarebbero dovute durare almeno un altro paio d’ore perché non dovesse più ammazzarsi come un asino come invece le toccava fare.
-Mi dispiace tesoro, ma oggi non posso accompagnarti da Michela, ci andrai domani te lo prometto – le dispiaceva sempre quando non poteva accontentarla.
-Ma mamma posso andarci da sola, ho nove anni! Ti prometto che starò attenta per strada, ormai so come si fa, prima di attraversare guardo a destra e a sinistra e solo se non arriva nessuno passo – e guardò la madre con quegli occhioni a cui non si riusciva mai a dire di no.
A Silvia non piaceva mandarla in giro per strada da sola. Benedetta aveva dimostrato tante volte di essere una bambina fin troppo giudiziosa per la sua età, ma lei aveva paura lo stesso. Suo marito spesso la prendeva in giro per quel suo carattere apprensivo da mamma-chioccia e lei allora si sforzava di non esserlo e per un po’ le riusciva anche, ma poi ci ricascava sempre. Gli occhioni intanto continuavano a guardarla supplichevoli. Forse aveva ragione suo marito, in fondo la strada da fare era davvero breve e in quel paesino ci si conosceva tutti ed ognuno guidava piano.

****

Voleva tenere la sua bambina fra le braccia come faceva sempre quando era piccola per farla addormentare, e aspettare che lei lentamente aprisse gli occhi ancora insonnoliti. Era sicura che se tutta quella gente l’avesse lasciata sola con la sua bambina Benedetta si sarebbe risvegliata. Perché erano venuti? “Andate via tutti, lasciatemi sola con lei” la sua mente continuava a gridarlo, ma nessuno l’ascoltava.
Qualcuno la prese per un braccio. Dove volevano portarla? Non voleva andare da nessuna parte, voleva stare solo con la sua bambina, carezzarle il viso e i capelli e aspettare che si svegliasse, ormai non ci sarebbe voluto ancora molto. Si ritrovò seduta su una panca in chiesa, con quell’odore opprimente dei ceri accesi a darle la nausea. E poi tutti quei fiori e quella litania continua ad infastidirla. Perché nessuno capiva che Benedetta avrebbe avuto paura se non sentiva la sua voce? “State zitti tutti”.
Finalmente tornarono a casa. La gente prese a muoversi intorno a lei in punta di piedi come in un assurdo balletto e le loro parole non la smettevano di ronzarle intorno come mosche fastidiose. Tutti avevano qualcosa da chiederle bisbigliando “Hai fame?” “Vuoi dormire?”. Vedeva le loro labbra muoversi ma non si sforzava neppure di afferrare le loro parole e quelle scivolavano via senza lasciare traccia come le gocce di pioggia sui vetri di una finestra. Scomparivano silenziosamente come se non fossero mai state dette.
“Se non l’avesse lasciata uscire da sola non sarebbe successo…” era distesa sul divano con gli occhi chiusi ma aveva sentito chiaramente quelle parole appena sussurrate. Quelle non erano riuscite a scivolarle addosso come le altre, le avevano invece squarciato la mente con la stessa violenza di un fulmine che frantuma in mille pezzi il nero della notte e le si erano ficcate nelle carni come schegge di vetro appuntite.
Quel “Se…” si era incuneato sempre più a fondo nei suoi pensieri, come un granello di sabbia troppo fine per essere trattenuto dalle maglie di un setaccio. E quel granello da solo era riuscito a fermare una rotellina di un ingranaggio. Una sola rotellina, eppure adesso tutto l’ingranaggio era in scacco e non riusciva a ripartire. Davide contro Golia. La mente di Silvia ormai era una trottola impazzita che girava a vuoto sempre intorno allo stesso punto. Aveva cercato di ignorare quel granello in modo che la rotellina potesse fare quello scatto in avanti che le avrebbe permesso di superarlo e ripartire. Ma non ci riusciva e ad ogni attimo quel granello diventava sempre più grande, sempre più grande, sempre più grande. Un macigno. Ormai non lasciava più spazio per altri pensieri.
-E’ solo colpa mia… lo pensano tutti… non me lo dicono, ma lo pensano… tutti lo pensano… se lo sussurrano fra loro… ma io li sento lo stesso… è solo colpa mia… di nessun altro… solo mia… io l’ho lasciata uscire da sola… è solo colpa mia… hanno ragione è solo colpa mia… mia…mia…
“Se…”…
”Se…”
“Se…”

***

Quindici anni dopo

Fu una lunga e forzata convalescenza dopo un incidente a riportarmi in quel piccolo paesino dopo quindici anni, mio nonno non c’era più e neppure qualcun altro di tutti quei parenti, forse qualche gatto e qualche cane era ancora quello di quindici anni prima, le galline di sicuro non erano le stesse. E mia nonna non aveva più bisogno di raccomandarmi ogni mattina di non disturbare Silvia.
In quanto a Silvia seppi subito che non si era mai ripresa e abitava sempre nella casa affianco. La mattina quando mi svegliavo la trovavo in piedi sul balcone e quando uscivo per la mia passeggiata pomeridiana ero sicuro di trovarla seduta sulla panchina nel loro giardino. Un giorno provai a farle un cenno di saluto con la mano. Mi rispose uno sguardo che attraversò il mio corpo come se fossi fatto d’aria.
Per settimane le avevo visto fare solo il tragitto dal portone alla panchina, ma una mattina me la ritrovai inaspettatamente vicino al cancelletto d’ingresso che dava sulla strada. Ma questa sorpresa fu niente in confronto a quella di non sentirmi più attraversato dal suo sguardo. Uno strano luccichio negli occhi mi fece capire che quel giorno per Silvia il mondo esisteva. Il suo viso sembrava addirittura sereno, come se avesse finalmente fatto pace con i suoi pensieri e trovato quello che aveva sempre cercato. Dopo esserle passato davanti per un attimo tornai a girarmi per guardarla, aveva ancora quel luccichio negli occhi, ma io proseguì per la mia strada.

***

“Se solo avesse fatto capire in qualche modo le sue intenzioni forse si sarebbe potuto aiutarla, ma così invece…” le parole di mia nonna mentre bevevo il te quel pomeriggio mi colpirono come uno schiaffo in piena faccia. “Se solo avesse fatto capire in qualche modo…”, ma Silvia lo aveva fatto capire. A modo suo.
Quella mattina non aveva fatto pace con i suoi pensieri, aveva solo deciso di attraversare i binari nonostante il passaggio a livello abbassato e nonostante il fischio forte del treno, come aveva fatto la sua Benedetta tanti anni prima per la fretta di andare a vedere quei gattini.
Un pensiero improvviso dopo tanto tempo era riuscito a frantumare quel minuscolo granello di sabbia che inceppava la sua mente e l’ingranaggio, finalmente libero da ogni ostacolo, aveva iniziato a girare velocemente in una corsa folle.
Non doveva più aspettare la sua bambina, sarebbe andata da lei. Benedetta l’aveva chiamata, finalmente l’aveva perdonata.

Non c’erano più “Se…”.

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Zingaro di Macondo

The black sheep member
L’idea di fondo, Bouvard, è molto buona, credo che se lasci correre la fantasia, puoi avere ottimi spunti. La forma segue un filone di “decostruzione” linguistica che a me piace molto, ma penso che per te sia più adatto un modo “normale”. E’ molto difficile essere attraenti con la strada che hai intrapreso.

Sono scritte molto meglio le tue recensioni, ad esempio. Il mio consiglio è quello di tornare ad una scrittura lineare, semplice. Se scrivi senza fronzoli, senza tentare di stupire, vai da dio.

In molti punti ho fatto fatica, alcune frasi stonano e anche se è evidente la scelta stilistica, il mio consiglio è quello di tentare una via più netta, pulita. Se scrivi i tuoi racconti seguendo i modi che utilizzi per le tue recensioni, credo che tu possa migliorare parecchio.

Così come ho trovato che Mal debba migliorare nei contenuti, (il suo racconto era un po’ retorico) ma che scriva benissimo, qui la sensazione è che siamo di fronte a pregi e difetti rovesciati: ottime idee, ma forma da migliorare. E, nel tuo caso, non credo sia impresa impossibile.
 

bouvard

Well-known member
Ringrazio Bona (ultimamente quel ragazzo mi preoccupa non poco per il suo "buonismo" :? che sia innamorato? oppure è già in clima natalizio? :? :mrgreen: ), Hot e Grantenca per i loro complimenti e Zingaro per i suoi appunti (preferisco non chiamarle critiche) che mi trovano d'accordo più di quanto lui possa immaginare. Sono consapevole di NON scrivere bene, ma a mia parziale discolpa va detto che con le pessime basi di partenza che ho avuto (scuole elementari e medie) quanto di buono sono riuscita a raggiungere nello scrivere lo devo solo al mio leggere, leggere, leggere e leggere...
Non scrivo per stupire gli altri (è l'unica cosa di quello che hai scritto su cui non sono d'accordo) ma scrivo per me stessa , per acquisire un po' di fiducia...ma questo è un altro discorso.
Beh adesso devo solo convincere Malafi a fare una società, io metto le idee lui scrive e dividiamo i guadagni del nostro futuro bestseller!! :mrgreen:
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Ringrazio Bona (ultimamente quel ragazzo mi preoccupa non poco per il suo "buonismo" :? che sia innamorato? oppure è già in clima natalizio? :? :mrgreen: ), Hot e Grantenca per i loro complimenti e Zingaro per i suoi appunti (preferisco non chiamarle critiche) che mi trovano d'accordo più di quanto lui possa immaginare. Sono consapevole di NON scrivere bene, ma a mia parziale discolpa va detto che con le pessime basi di partenza che ho avuto (scuole elementari e medie) quanto di buono sono riuscita a raggiungere nello scrivere lo devo solo al mio leggere, leggere, leggere e leggere...
Non scrivo per stupire gli altri (è l'unica cosa di quello che hai scritto su cui non sono d'accordo) ma scrivo per me stessa , per acquisire un po' di fiducia...ma questo è un altro discorso.
Beh adesso devo solo convincere Malafi a fare una società, io metto le idee lui scrive e dividiamo i guadagni del nostro futuro bestseller!! :mrgreen:

Non ho detto che scrivi male, tutt'altro. Lo stile che adotti per le tue recensioni è notevole, secondo la mia opinione dovresti mantenere quello anche nei racconti.

Anche il mio post era elogiativo, ma ho criticato anche ciò che secondo me andrebbe migliorato.

Il racconto è bello.
 

bonadext

Ananke
Ringrazio Bona (ultimamente quel ragazzo mi preoccupa non poco per il suo "buonismo" :? che sia innamorato? oppure è già in clima natalizio? :? :mrgreen: ), Hot e Grantenca per i loro complimenti e Zingaro per i suoi appunti (preferisco non chiamarle critiche) che mi trovano d'accordo più di quanto lui possa immaginare. Sono consapevole di NON scrivere bene, ma a mia parziale discolpa va detto che con le pessime basi di partenza che ho avuto (scuole elementari e medie) quanto di buono sono riuscita a raggiungere nello scrivere lo devo solo al mio leggere, leggere, leggere e leggere...
Non scrivo per stupire gli altri (è l'unica cosa di quello che hai scritto su cui non sono d'accordo) ma scrivo per me stessa , per acquisire un po' di fiducia...ma questo è un altro discorso.
Beh adesso devo solo convincere Malafi a fare una società, io metto le idee lui scrive e dividiamo i guadagni del nostro futuro bestseller!! :mrgreen:

Mi hai stupito con questo racconto, ormai ero abituato a leggerti sempre troppo lineare e austera, così va molto meglio :wink: e già che sono in clima natalizio ti assegno il "Premio Forumlibri dell'anno 2016" per il miglior racconto!!! :ad: :YY :mrgreen:
 

malafi

Well-known member
Mi hai stupito con questo racconto, ormai ero abituato a leggerti sempre troppo lineare e austera, così va molto meglio :wink: e già che sono in clima natalizio ti assegno il "Premio Forumlibri dell'anno 2016" per il miglior racconto!!! :ad: :YY :mrgreen:

Sai che ho pensato anche io che avrebbe potuto partecipare con questo racconto al concorso con buone possiblità? Tra l'altro era proprio in tema. Bouvard, come mai non hai partecipato?

Però Bona, come fai a dire miglior racconto del 2016 se il mio non l'hai nemmeno letto? :mrgreen:

A parte che il mio - come ho autodenunciato - era una bozza da sgrossare e dunque certo non poteva/voleva competere con quello di Bou nè con gli altri del concorso, però la risposta che mi hai dato (non lo leggevi perchè il tema non ti interessava) ha vinto anche lei un premio 2016: quello della scortesia:??
 

bonadext

Ananke
Sai che ho pensato anche io che avrebbe potuto partecipare con questo racconto al concorso con buone possiblità? Tra l'altro era proprio in tema. Bouvard, come mai non hai partecipato?

Però Bona, come fai a dire miglior racconto del 2016 se il mio non l'hai nemmeno letto? :mrgreen:

A parte che il mio - come ho autodenunciato - era una bozza da sgrossare e dunque certo non poteva/voleva competere con quello di Bou nè con gli altri del concorso, però la risposta che mi hai dato (non lo leggevi perchè il tema non ti interessava) ha vinto anche lei un premio 2016: quello della scortesia:??

Ommioddio!!!!!!!!!! Te la sei proprio legata al dito :OO :paura: :mrgreen: Non l'ho letto non per farti una scortesia, semplicemente non mi va di leggere un racconto sui clandestini quando già se ne parla fin troppo nei media :wink:
 

bouvard

Well-known member
Sai che ho pensato anche io che avrebbe potuto partecipare con questo racconto al concorso con buone possiblità? Tra l'altro era proprio in tema. Bouvard, come mai non hai partecipato?

Il racconto è in tema con il concorso perché avevo iniziato a scriverlo per partecipare cosa che poi non ho fatto semplicemente perché non l'ho finito in tempo. Ho perso tempo dietro altre due idee che mi erano venute prima, una su Van Gogh ed un'altra in cui avevo immaginato che tutti noi del forum, Admin compreso :mrgreen:, eravamo solo delle "invenzioni" di un pazzo chiuso in un manicomio, quindi noi non esisteremmo realmente ma solo nella sua testa e lui deciderebbe cosa scriviamo, ad esempio un giorno ha deciso che Ayu doveva avere un secondo figlio ecc. :mrgreen: insomma noi saremmo solo delle marionette nelle sue mani. L'idea mi piaceva, ma poi pensai che qualche utente poteva offendersi e lasciai perdere. L'idea di Silvia mi è venuta solo troppo tardi :boh:
 
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bonadext

Ananke
un'altra in cui avevo immaginato che tutti noi del forum, Admin compreso :mrgreen:, eravamo solo delle "invenzioni" di un pazzo chiuso in un manicomio, quindi noi non esisteremmo realmente ma solo nella sua testa e lui deciderebbe cosa scriviamo, ad esempio un giorno ha deciso che Ayu doveva avere un secondo figlio ecc. :mrgreen: insomma noi saremmo solo delle marionette nelle sue mani. L'idea mi piaceva, ma poi pensai che qualche utente poteva offendersi e lasciai perdere.
Sei un genio! :ad: :ad: :ad:
 

maclaus

New member
Il tuo racconto mi è piaciuto molto, Bouvard.
Complimenti...probabilmente lo avrei votato se tu avessi partecipato al concorso:)
 

Marzati

Utente stonato
Per me è un genio!!
Non esagerate con i complimenti, che già di mio tendo alla megalomania:mrgreen:
Comunque grazie mille veramente, sia a te che ad Hot (a cui mi dimenticai di rispondere). Purtroppo c'è una grande differenza fra il Marzati che sul forum trova una compagnia eccezionale che gli permette di crescere e migliorare costantemente, e il Marzati che nella realtà non può/riesce ad esprimersi come vorrebbe. Ma basta divagare, non vorrei essere linciato dai mod:mrgreen::MUCCA
 

bouvard

Well-known member
Quando il diavolo ci mette lo zampino...forse...

Luigi aveva circa trent’anni e due begli occhi verdi. Nonostante la sua altezza si fosse beffardamente fermata ad appena due centimetri da un dignitoso metro e settanta lui si ostinava a considerarsi alto. Era uno di quei giovanotti a cui il peso della famiglia, per la precisione una moglie e tre figli, non aveva mai tolto il buon’umore e non aveva reso la lingua meno pronta.

Salvatore aveva quasi cinquant’anni e non pensava mai alla sua altezza, avendo da pensare già ai suoi tre figli avuti da due donne diverse. La sua prima moglie infatti di natura troppo delicata lo aveva lasciato ben presto solo, o meglio lo aveva lasciato da solo a campare i due figli che era riuscita a dargli. E a quel punto Salvatore aveva deciso di dividere quella fatica con qualcun altro anche a costo di mettersi sulle spalle altre due bocche da sfamare.

Luigi e Salvatore tutte le mattine andavano insieme a piedi in paese a lavorare. E ogni mattina alle quattro Luigi puntuale come un orologio svizzero passando davanti casa di Salvatore lo chiamava a bassa voce e questi già pronto e in attesa di quel richiamo dietro l’uscio prontamente usciva.

Una mattina però stranamente Salvatore non uscì e a Luigi toccò chiamarlo una seconda volta. In tanti mesi non era mai successo. Fatto ancora più strano l’uscio non si aprì neppure dopo la seconda chiamata. Luigi non stette a farsi troppe domande, quella non era proprio l’ora più adatta per affaticare inutilmente il cervello, sicuramente Salvatore non stava bene e quel giorno non andava al lavoro.

Così rassegnato a doversi fare tutta la strada da solo si rimise in cammino. Cominciava appena ad albeggiare e quel buio appena ammorbidito lo spinse a sprofondare completamente nei suoi pensieri, forse pensava alla moglie rimasta al caldo sotto le coperte, o forse alla pesante giornata di lavoro che l’aspettava. Qualunque fossero i suoi pensieri però vennero all’improvviso interrotti da un rumore alla sua sinistra.

Clop, clop, clop…

Era un rumore di piedi ferrati, di zoccoli. Istintivamente Luigi si voltò a guardare il basso muro di cinta del cimitero che si allungava a pochi metri da lui su un leggero terrapieno. Vide così spuntare dal muro qualcosa di appuntito. Sembravano delle corna. Ma il cielo non era abbastanza chiaro perché riuscisse a distinguerle bene, invece sul il rumore degli zoccoli non c’erano dubbi.

A quell’ora nessun cristiano degno di questo nome sarebbe andato a disturbare i morti nel loro sonno, perciò un sudore freddo cominciò a scendere lungo la schiena di Luigi. Non sapere chi ci fosse nel cimitero lo spaventava anche più di saperlo. Cercava di aguzzare lo sguardo quanto più possibile per distinguere se fossero davvero delle corna quelle che vedeva, ma non ne veniva a capo, era troppo buio.

Impaurito dall’incertezza stava per scattare in una rapida corsa quando un pensiero improvviso lo bloccò.

“Salvatore questa mattina si è alzato prima per farmi uno scherzo! E’ sicuramente lui nascosto nel cimitero, sta aspettando di vedermi correre per farsi una risata alle mie spalle. Ed io ci stavo cascando come un allocco!”

Rincuorato da questo pensiero che aveva spazzato via dalla sua mente diavoli e fantasmi, Luigi continuò a camminare con il suo solito passo, senza perdere però di vista quelle due corna. In fondo non si poteva mai sapere. E intanto contava i metri che gli mancavano per giungere alla curva che lo avrebbe nascosto consentendogli così di correre a perdifiato…

Un centinaio di metri dietro di lui intanto stava arrivando Salvatore. Aveva aspettato il solito richiamo dietro l’uscio, ma non aveva sentito niente. Sicuramente Luigi stava male e quella mattina non andava al lavoro. Dopo aver aspettato un po’ alla fine si rassegnò a farsi la strada da solo, in fondo lo aveva già fatto tante volte prima che Luigi iniziasse a lavorare con lui.

Anche Salvatore camminava immerso nei suoi pensieri. Chissà forse anche lui pensava alla moglie rimasta sotto le coperte, o forse pensava alla pecora che aveva lasciato nella stalla in procinto di figliare. Molto probabilmente quando sarebbe tornato alla sera avrebbe trovato l’agnellino già nato. All’improvviso però un rumore interruppe la solitudine dei suoi pensieri.

Clop, clop, clop…

Salvatore si girò a guardare sorpreso il muro di cinta del cimitero da dove proveniva il rumore. Ed ecco spuntare da sopra il muro due cose appuntite. Prima una, poi un’altra. Sembravano delle corna. Era mai possibile? Intanto gli zoccoli si muovevano nella sua stessa direzione.

In vita sua Salvatore aveva sentito raccontare tante storie di fantasmi e di diavoli, ma a lui non era mai capitato di vederne. Se lavori tutto il giorno nelle costruzioni e arrivato a casa hai l’orto e la stalla a cui badare non hai tempo per incontrare fantasmi o diavoli. Eppure il rumore degli zoccoli era chiaro e quelle due punte continuavano a muoversi lungo il muro di cinta…E se fosse toccato proprio a lui questa volta vedere…

“Luigi stamattina ha deciso di farmi uno scherzo! Ecco perché non mi ha chiamato ed io come uno scemo ci stavo cascando, se mi fossi messo a correre non avrebbe smesso di prendermi in giro per il resto della vita”

Così dicendo Salvatore continuò a camminare con il suo solito passo, senza perdere però di vista quelle due cose appuntite sopra il muro e contando mentalmente i metri che gli mancavano per quella curva dietro la quale poteva mettersi a correre a perdifiato…

La mattina dopo Luigi chiamò Salvatore come al solito e Salvatore uscì immediatamente. E così Luigi pensò – “Stamattina è uscito subito, quindi ieri mi ha davvero voluto fare uno scherzo”. Mentre Salvatore pensava “Stamattina mi ha chiamato, quindi ieri mi ha davvero voluto fare uno scherzo”. Con questi pensieri i due uomini fecero la strada insieme, ognuno aspettando che fosse l’altro a dire per primo qualcosa sul giorno prima. Nessuno dei due voleva infatti dare all’altro la soddisfazione di parlarne per primo per non dargli l’illusione di averlo beffato.

Mentre i due così rimuginavano si imbatterono con sorpresa in un loro compaesano - “Giovà che ci fai tu qui a quest’ora?” dissero i due all’uomo che non aveva alcuna ragione per trovarsi su quella strada a quell’ora.

E quello allargando le braccia - “Lasciate stare, sono due giorni che mi è scappato l’asino dalla stalla e non riesco a trovarlo da nessuna parte. Mi hanno detto di averlo visto da queste parti”

Luigi e Salvatore capirono immediatamente che le corna che avevano creduto di vedere la mattina prima altro non erano che le orecchie dell’asino e gli zoccoli erano quelli dell’animale e non di un diavolo in cerca di anime. Perciò trattenendo a stento le risate per l’inutile paura e per l’ancora più inutile corsa della mattina prima dissero -
“Se vuoi trovarlo vai al cimitero, ieri pascolava fra le tombe”

Appena l’uomo si allontanò ringraziandoli Luigi e Salvatore iniziarono a dirsi “Ma allora anche tu avevi sentito strani rumori ieri mattina e non mi hai detto niente!” e l’altro “Pensavo fossi tu che volevi farmi uno scherzo” e ancora “L’ho pensato anch’io!”. E così i due uomini giunsero in paese ridendo e da allora anche a distanza di anni quando gli capitava di passare insieme davanti al cimitero sul loro viso compariva un sorriso divertito e li sentivi dire “Ti ricordi di quella volta che…”

Se avete pensato che questo fosse uno dei miei soliti racconti con finale a sorpresa devo deludervi, perché questa storia non è frutto della mia fantasia, ma è un fatto realmente accaduto una quarantina d’anni fa e il giovane dai begli occhi verdi è mio padre a cui mi sono solo concessa la libertà di cambiare il nome. Raccontata a voce da lui la storiella è molto più divertente, ma le mie scarse capacità “scribacchine” non mi hanno permesso di fare meglio di così.
 
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Grantenca

Well-known member
Se avete pensato che questo fosse uno dei miei soliti racconti con finale a sorpresa devo deludervi, perché questa storia non è frutto della mia fantasia, ma è un fatto realmente accaduto una quarantina d’anni fa e il giovane dai begli occhi verdi è mio padre a cui mi sono solo concessa la libertà di cambiare il nome. Raccontata a voce da lui la storiella è molto più divertente, ma le mie scarse capacità “scribacchine” non mi hanno permesso di fare meglio di così.

C'è una storia vera, di paese, che ha qualche analogia con la tua, se riesco a "inquadrarla" proverò a pubblicarla.
 

bouvard

Well-known member
C'è una storia vera, di paese, che ha qualche analogia con la tua, se riesco a "inquadrarla" proverò a pubblicarla.

Speriamo di non doverti pregare troppo per scriverla :wink: anche se non ti concedi facilmente hai una penna che si fa leggere molto volentieri :ad: ... e poi almeno avrei qualcosa da raccontare anch'io a mio padre quando mi racconterà per l'ennesima volta la sua storiella :mrgreen:
 
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