72° Poeticforum - Le poesie che amiamo

alessandra

Lunatic Mod
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Non mi sono dimenticata dei vari forum - poetic, artistic etc. - ma ho avuto veramente un mese difficile, oltretutto non avevo un PC a disposizione e con il telefono ho difficoltà.
Comunque, se qualcuno mi firma la giustificazione :mrgreen: riprendiamo...
Prima proposta?
 

Pathurnia

if you have to ask what jazz is you'll never know
Primavera dell’anima

Un grido nel sonno; per neri vicoli si abbatte il vento,
L’azzurro della primavera ammicca da rami che si spezzano,
Purpurea rugiada notturna, e si spengono intorno le stelle.
Verdognolo albeggia il fiume, argentei i vecchi viali
E le torri della città. Oh mite ebbrezza
Nella chiatta che scivola e le grida oscure del merlo
In giardini infantili. Già si dirada la rosea peluria.

Solenni mormorano le acque. Oh le umide ombre del prato,
L’animale che incede; Rami in fiore che inverdiscono
Agitano la fronte di cristallo; chiatta che ondeggia luccicante.
Piano risuona il sole tra le nubi di rosa sul colle.
Grande è la quiete dell’abetaia, le ombre serie sul fiume.

Purezza! Purezza! Dove sono gli orrendi sentieri della morte,
Del grigio silenzio di pietra, gli scogli della notte
E le ombre senza pace? Abisso raggiante di sole.

Sorella, quando ti trovai in solitaria radura
Del bosco ed era mezzogiorno e grande il silenzio dell’animale;
Bianchezza sotto quercia selvatica, e argenteo fioriva il duomo.
Morte possente e la fiamma che canta nel cuore.

Più cupe le acque circondano i bei giochi dei pesci.
Ora del lutto, sguardo silente del sole;
L’anima è uno straniero sulla terra. Sacra albeggia
Azzurrità sopra il bosco abbattuto e rintocca
A lungo una campana cupa nel villaggio; in pace estremo saluto.
Silenzioso fiorisce il mirto sopra le palpebre bianche del morto.

Piano risuonano le acque nel pomeriggio al declino
E verdeggia più cupa la sterpaglia alla riva, gioia nel roseo vento
Il canto lieve del fratello sul colle vespertino.

di Georg Trakl (Salisburgo, 3 febbraio 1887 – Cracovia, 3 novembre 1914)

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alessandra

Lunatic Mod
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Me ne sono di nuovo dimenticata... prima o poi uscirò dal letargo...

Per ora propongo questa ma chiedo a Pathurnia di proporne un'altra così non facciamo morire subito poesia e poeticforum...

Conosciutissima, brevissima ed efficace, la adoro...

Se non avessi visto

Se non avessi visto il sole
avrei sopportato l'ombra
ma la luce ha reso il mio deserto
ancora più selvaggio

Emily Dickinson
 

Shoshin

Goccia di blu
Tutti i soli, all’alba, dormono ancora un po’.
Confusi, indifferenti,
non si preoccupano del fuoco del giorno,
dei volti degli uomini,
della morte, delle guerre.
Tutti i soli, all’alba, sono come dei bambini,
che non sanno che fare del tempo.

Ismail Kadare (Gjirokastër, Albania, 1936)
 

Pathurnia

if you have to ask what jazz is you'll never know
Forse non sarebbe più necessario perché il piatto è già ricco, ma comunque melius abundare.:)

L'ARTE DI PERDERE.

L’arte di perdere non è difficile da imparare;
così tante cose sembrano pervase dall’intenzione
di essere perdute, che la loro perdita non è un disastro.

Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta il turbamento
delle chiavi perdute, dell’ora sprecata.

L’arte di perdere non è difficile da imparare.
Poi pratica lo smarrimento sempre più, perdi in fretta:
luoghi, e nomi, e destinazioni verso cui volevi viaggiare.

Nessuna di queste cose causerà disastri.
Ho perduto l’orologio di mia madre.

E guarda! L’ultima, o la penultima, delle mie tre amate case.

L’arte di perdere non è difficile da imparare.
Ho perso due città, proprio graziose.

E, ancor di più, ho perso alcuni dei reami che possedevo, due fiumi, un continente.

Mi mancano, ma non è stato un disastro.
Ho perso persino te (la voce scherzosa, un gesto che ho amato).

Questa è la prova. È evidente,

l’arte di perdere non è difficile da imparare,

benché possa sembrare un vero (scrivilo!) disastro.



Elizabeth Bishop (Worcester, 8 febbraio 1911 – Boston, 6 ottobre 1979)
 
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Shoshin

Goccia di blu
@Shoshin vuoi inserire anche tu una seconda proposta? Poi si inizia!
Molto volentieri.Prima stavo rileggendo questa poesia.



Trattieni l’azzurro,
cielo.
Trattieni le rocce,
terra.
Trattieni i flauti,
vento.
Trattenete le date,
direzioni.
Trattenete le elegie,
minareti.
Trattenete le ali,
uccelli.
Trattenete le ragazze,
sorgenti.
E tu, Mamma,
trattieni le ombre e le preghiere.
Chi ama canta
e non c’è canto
che non sia di libertà.

Faraj Bayrakdar







Specchi dell’assenza (Interlinea, 2017), a cura di Elena Chiti
 

alessandra

Lunatic Mod
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Benissimo, iniziamo con la prima poesia!


Primavera dell’anima

Un grido nel sonno; per neri vicoli si abbatte il vento,
L’azzurro della primavera ammicca da rami che si spezzano,
Purpurea rugiada notturna, e si spengono intorno le stelle.
Verdognolo albeggia il fiume, argentei i vecchi viali
E le torri della città. Oh mite ebbrezza
Nella chiatta che scivola e le grida oscure del merlo
In giardini infantili. Già si dirada la rosea peluria.

Solenni mormorano le acque. Oh le umide ombre del prato,
L’animale che incede; Rami in fiore che inverdiscono
Agitano la fronte di cristallo; chiatta che ondeggia luccicante.
Piano risuona il sole tra le nubi di rosa sul colle.
Grande è la quiete dell’abetaia, le ombre serie sul fiume.

Purezza! Purezza! Dove sono gli orrendi sentieri della morte,
Del grigio silenzio di pietra, gli scogli della notte
E le ombre senza pace? Abisso raggiante di sole.

Sorella, quando ti trovai in solitaria radura
Del bosco ed era mezzogiorno e grande il silenzio dell’animale;
Bianchezza sotto quercia selvatica, e argenteo fioriva il duomo.
Morte possente e la fiamma che canta nel cuore.

Più cupe le acque circondano i bei giochi dei pesci.
Ora del lutto, sguardo silente del sole;
L’anima è uno straniero sulla terra. Sacra albeggia
Azzurrità sopra il bosco abbattuto e rintocca
A lungo una campana cupa nel villaggio; in pace estremo saluto.
Silenzioso fiorisce il mirto sopra le palpebre bianche del morto.

Piano risuonano le acque nel pomeriggio al declino
E verdeggia più cupa la sterpaglia alla riva, gioia nel roseo vento
Il canto lieve del fratello sul colle vespertino.

di Georg Trakl (Salisburgo, 3 febbraio 1887 – Cracovia, 3 novembre 1914)
 

Pathurnia

if you have to ask what jazz is you'll never know
Eccoci qui. Devo confessare che non è stato facile entrare nel mondo di George Trackl, anche se sono io che l'ho proposto. Eh sì, i "maledetti" sono affascinanti ma avvicinarsi a loro è molto impegnativo, vengono messe in campo emozioni molto forti.
Intanto, ecco un'immagine del nostro poeta
Georg-Trakl.jpg


Sembra un ragazzino e in fondo lo è: ha vissuto solo ventisette anni. Ma prima di commentare la poesia, vorrei riportare qualche stralcio di un articolo che parla di lui.
<<La vita di Georg Trakl (1887–1914) è intessuta nel dolore. La sua breve esperienza è straziata dall’angoscia. La sua poesia, spezzata e brancicante ne risente ovunque. Egli, quest’alba di vita la vive fino in fondo, ne anticipa le catastrofi e descrive l’agonia della società che si sfalda e va in frantumi. “Io anticipo le catastrofi mondiali”. Cosi scrisse ad un amico poco prima di morire suicida all’età di ventisette anni.
Tra gli amanti delle catalogazioni non poteva mancare nel novero dei poeti maledetti Georg Trakl, la cui biografia si presta piuttosto bene ad una simile etichetta. perché l’essere definito “maledetto” all’interno di una delle più sacre forme del linguaggio, la poesia appunto, rappresenta quanto di più positivo possa esserci. È la maledizione più pura che esista.
Se si erige la propria esistenza sul contrasto, la dannazione e la maledizione di un poeta, come fatalità, assunzione del proprio ruolo, interpretazione più vera della propria natura, è da mettere sullo stesso piano della fede. Anzi è molto di più di una fede. Non teme la morte. La dissolve interiormente per poi esperirla quando il tempo è propizio. Trakl è un poeta maledettamente puro e divinamente eccelso. Si isola, contempla il baratro, erge la sua essenza nella solitudine, sfiora ripetutamente la follia, incarna la crisi esistenziale per eccellenza, sceglie una volta per tutte il dolore. Si erge oltre la vita.
L’amore per la sorella Grete. Il dramma della Grande Guerra
Georg Trakl fu dedito alle droghe (quasi esclusivamente alla cocaina) e scisso patologicamente tra passività e violenza repressa. Qua è necessario mettere subito al corrente il lettore del grande rischio che si può prendere se si interpreta riduttivamente la vita in rapporto alla sua opera. A discapito della sua tormentosa esistenza, gli eccessi e gli scandali, la poesia di Trakl è per alcuni tratti sublime e raggiunge vette che nel panorama del Novecento si sono viste poche volte.
È bene far notare, prima di passare alla poetica di Trakl, l’aspetto più importante della sua biografia, che non ha mai finito di destare scalpore, cioè il rapporto incestuosamente ambiguo che intercorse tra il poeta e la sua sorella Grete, più piccola di lui di cinque anni. Un rapporto vissuto sicuramente nella consapevolezza della colpa ma anche eretto in un contesto di straordinaria purezza del sentimento. A darne prova è non solo l’incredibile fatto che segnò la fine di entrambi, ma i versi magnifici che il poeta dedica alla sorella. Grete sarà per Georg l’unica vera musa. La sua ombra aleggia in quasi tutte le poesie di Trakl. Stupefacente il linguaggio poetico che Trakl utilizza per richiamarsi al ricordo, al viso, alle parole di Grete.
Scansiamo per sempre pregiudizi facili e conclusioni dallo sfondo perverso e depravato. Georg era realmente innamorato della sorella Grete. C’è dunque un sentimento indicibile che matura e che in Trakl emergerà fin dalla tenera età. Le poesie ne sono una conferma inequivocabile. Il loro sarà un rapporto impossibile, ossessivo, che raggiungerà il culmine in una progressione sempre più morbosa e intensa fino a diventare insostenibile per Georg, che mostrerà i primi segni di instabilità e inquietudine già prima dei vent’anni. Dopo un anno trascorso insieme a Vienna, il loro rapporto, in quanto proibito, raggiungerà momenti drammatici, una vera e propria tragedia che si traduce nella partenza della sorella. Grete si sposa qualche anno dopo.
Per Georg è un colpo tremendo. Tuttavia questo legame, mai del tutto spezzato ha già segnato per sempre le vite dei protagonisti, facendoli precipitare in quel vortice tormentoso al quale solo la morte può porre fine. La loro resterà comunque una delle relazioni più atroci, scandalose e belle mai apparse in tutto il Novecento.
I poeti più grandi, quelli la cui “maledizione” è il sigillo del divino, non riescono a sopportare l’imprigionamento materiale del loro spirito, le vicissitudini puerili e inutili della quotidianità, lo stallo della condizione umana sensibile e limitata. No; Trakl non riusciva a dar freno al suo impeto e la sua scintilla divina ha lacerato pezzo per pezzo la sua vita.
In seguito allo scarso rendimento come studente, dopo l’ennesimo rifiuto delle sue poesie da parte dell’editore Langen di Monaco e una lunga serie di contrastanti peregrinazioni interiori ed esteriori fatte di cadute e risalite, e di fughe e rientri a Vienna, allo scoppio della Grande Guerra, fu richiamato al fronte nel reparto di pronto soccorso. Assistette di persona alla carneficina disumana del conflitto bellico. Sotto i suoi occhi vide passare decine di feriti che di lì a poco sarebbero spirati, dilaniati dalle lesioni e dalle mutilazioni.
(.....)
Il poeta vestito da soldato, inerme e stordito, per carenza di farmaci e medicinali non può fare nulla dinnanzi a tanto sfacelo. Tenta di ammazzarsi al culmine della disperazione, ma viene salvato da alcuni commilitoni. Si aprono così le porte dell’ospedale militare psichiatrico di Cracovia, dove scrive le sue ultime poesie.
Il 3 novembre del 1914, a soli ventisette anni, riesce a portare a termine il suicido. A stroncarlo è un’overdose di cocaina. Nelle sue labbra brucia ancora il nome di Grete. A sobbarcarsi questo suo dolore disumano adesso è proprio la sorella, che quasi impazzisce alla notizia della morte di Georg. Ella vede andare in frantumi il suo matrimonio e finisce sul lastrico. Non c’è più la voce e il viso di Georg a consolarla e a renderle meno tragica la vita. Passa tre anni terrificanti a tentare di riesumare il ricordo del fratello, invano, prima di spararsi un colpo di pistola in testa e porre fine anch’essa alla sua esistenza.

Ombreggiata dal sonnecchiare del fogliame
dal cupo oro di girasoli sfioriti
le tue palpebre sono grevi di papavero
e sognano lievi sulla mia fonte


Profumo di reseda. I muri imbruniscono spogli.
Il sonno della sorella è pesante. Il vento notturno scava
nella sua chioma, che lo splendore lunare irrora
È da simili tormenti che la poesia prende forma, si edifica, si plasma ed emerge. Senza questi tormenti il seme poetico non potrebbe attecchire. Non saprei dire se questa tesi è vera, ma la maledizione e di Trakl è stata sicuramente propedeutica alla magnificenza della sua poesia.
Un suo caro amico, Karl Kraus, uno dei pochi che riuscì a cogliere davvero il suo genio poetico, una volta disse una cosa del genere: “non ho mai capito come potesse vivere. La sua follia lottava con eventi divini”.
In questa frase si coglie un aspetto essenziale che riguarda il proverbiale accostamento tra follia e scintilla divina che coglie il poeta. Un interscambio perenne tra componente folle e componente divina, come se l’una fosse condizione necessaria per l’altra e viceversa. Trakl viveva in quella striscia sottile che si sbriciola ad ogni passo e che ti mostra ora le vette paradisiache, ora il baratro più cupo>>

(https://filosofiaecultura.it/recens...-unimmensa-poesia-capace-di-fondare-un-mondo/)
**
Dopo questa premessa la poesia che ho proposto assume molteplici significati.
Innanzitutto, è densa di immagini e metafore: è un modo di far poesia molto descrittivo, in cui il famoso "correlativo oggettivo" viene usato per sottolineare i cambiamenti nell'animo del poeta, ma la sensibilità al mondo e alla sua dilaniante bellezza è autentica. Nelle prime strofe sembra quasi di cogliere serenità e stupore per l'incanto del creato, contrapposto alle ombre senza pace e agli orrendi sentieri della morte. Ma le ombre senza pace incombono. Il contrasto è bruciante e visioni di pace e "azzurrità" si alternano a gridi disperati. La campana suona per un defunto. Il contrasto tra vita e morte diventa quasi un desiderio di dissolversi. L'intensità è altissima, il conflitto è lacerante, l'anima è uno straniero sulla terra ma nel roseo vento c'è gioia.
Ultimo verso: il canto lieve del fratello sul colle vespertino: a quel canto noi affidiamo la speranza (o forse la certezza) che in quel grande alternarsi di estasi e tormento ci sia stata davvero un po' di felicità, pur sapendo (come ho letto non ricordo dove) che..

per splendere bisogna bruciare.
 
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alessandra

Lunatic Mod
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Questa poesia, per me dapprincipio particolarmente ostica, mi è sembrata quasi prendere improvvisamente vita alla luce della descrizione della sua personalità e della sua vita travagliata, riportata da Pathurnia nel post precedente, che mi ha molto colpito. Il risvegliarsi della natura, la quiete del paesaggio sembra dargli fastidio, perché non si accorda con il suo stato d'animo cupo; il poeta sembra invocare i "sentieri della morte", come a presagire con sollievo la sua fine tragica. Non ho molto da aggiungere a quanto è già stato detto, solo che sono contenta di aver fatto la conoscenza di questo poeta.
 

alessandra

Lunatic Mod
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La prossima poesia

Se non avessi visto

Se non avessi visto il sole
avrei sopportato l'ombra
ma la luce ha reso il mio deserto
ancora più selvaggio

Emily Dickinson
 

Pathurnia

if you have to ask what jazz is you'll never know
Questa poesia, per me dapprincipio particolarmente ostica, mi è sembrata quasi prendere improvvisamente vita alla luce della descrizione della sua personalità e della sua vita travagliata, riportata da Pathurnia nel post precedente, che mi ha molto colpito. Il risvegliarsi della natura, la quiete del paesaggio sembra dargli fastidio, perché non si accorda con il suo stato d'animo cupo; il poeta sembra invocare i "sentieri della morte", come a presagire con sollievo la sua fine tragica. Non ho molto da aggiungere a quanto è già stato detto, solo che sono contenta di aver fatto la conoscenza di questo poeta.
Grazie @alessandra, anch'io ho qualche difficoltà con gli autori non-contemporanei e perciò scrivere in questo angolo del forum mi aiuta a conoscerli per poi poterli proporre. Quindi ci guadagno.
Ma se vedo anche che è cosa buona e giusta, e soprattutto gradita, allora sono più contenta.:)
 

Pathurnia

if you have to ask what jazz is you'll never know
La prossima poesia

Se non avessi visto

Se non avessi visto il sole
avrei sopportato l'ombra
ma la luce ha reso il mio deserto
ancora più selvaggio

Emily Dickinson
Se tu non avessi
visto i fiori, Emily
avresti sopportato il mondo?

Non piangere la visione
che ti ha aperta ai colori

anche il ricordo nutre
Emily
ed anche la disperazione
è pane.

Pathurnia (scritto piccolo piccolo)
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Ecco la prossima...

Tutti i soli, all’alba, dormono ancora un po’.
Confusi, indifferenti,
non si preoccupano del fuoco del giorno,
dei volti degli uomini,
della morte, delle guerre.
Tutti i soli, all’alba, sono come dei bambini,
che non sanno che fare del tempo.

Ismail Kadare (Gjirokastër, Albania, 1936)
 

Pathurnia

if you have to ask what jazz is you'll never know
Incredibile: prima ancora di andare su per vedere chi ha proposto questa poesia, ho pensato: sembra una vignetta di Magnasciutti. E infatti l'ha postata Shoshin.
Adesso non so questo cosa voglia dire, che Kadare e Magnasciutti , o addirittura Magnasciutti Kadare e Shoshin siano la stessa persona... ;)
Al di là dello scherzo c'è del vero, ed è la delicatezza un po'surreale che accomuna questa poesia e le vignette che Shoshin ci offre.
Nella poesia trovo l'incanto del modo di guardare il mondo, proprio di molti bambini, unito alla conoscenza del male che appartiene gli adulti. Però mi piace che la parte finale, riprendendo il primo verso, chiuda il cerchio ristabilendo l'atmosfera ovattata di una favola-sogno soffusa di voluta ingenuità.☀️
 
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