Faulkner, William - Assalonne, Assalonne!

ayuthaya

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Mi trovo un po’ a disagio a recensire questo libro, soprattutto essendo la prima a farlo qui nel Forum. Due cose so di Faulkner: che è un autore difficile e che lo amo. Per questo non riesco a capacitarmi del perché abbia fatto così fatica a leggere questo romanzo... Sento che il suo valore letterario è immenso, eppure mi è pesato, mi è pesato tanto. Ho l’impressione di aver perso una grande occasione e questo mi dispiace.

Parlare di Faulkner in modo oggettivo è impossibile, ma proverò comunque a commentare questo libro senza darne un’idea sbagliata, lasciando la possibilità ad altri lettori non solo di riconoscerne il valore oggettivo (come ho fatto io) ma anche di goderne appieno.

Da dove iniziamo? Dal titolo? Dal titolo. Piuttosto bizzarro, con un nome ripetuto due volte e seguito da un punto esclamativo. Un grido, evidentemente, ma di chi? E a chi è rivolto? Avevo già notato che Faulkner ha una predilezione per i temi biblici; non certo per esaltare la religione tradizionale, quanto piuttosto per rovesciarla, per dissacrarla. Assalonne era uno dei figli del famoso re Davide e si scontra con suo padre a causa di sua sorella Tamar, violentata da un altro figlio di Davide e non vendicata a dovere. Assalonne, quindi, ripara l’oltraggio uccidendo il fratellastro e successivamente complotta contro suo padre per togliergli la corona, senza riuscirvi. Assalonne resterà ucciso da un generale di Davide, contro la volontà dello stesso sovrano, che di fronte al cadavere del figlio “fu scosso da un tremito, salì al piano di sopra della porta e pianse; diceva in lacrime: «Figlio mio! Assalonne figlio mio, figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio!»” (2 Samuele 19, 1)

I temi sono quindi molto forti, tutti interni al nucleo familiare stretto: il rapporto padre/figlio, fratello/sorella, fratello/fratello. Alla base del dramma, l’incesto; alla sua conclusione, la morte per uccisione. Se avessi ripassato la vicenda biblica (comunque poco nota) prima di iniziare questo romanzo, sarei forse incorsa in qualche spoiler, ma mi sento abbastanza tranquilla a riportarla qui, perché, come è facile intuire, Faulkner la complica, la deforma, la arricchisce di altri temi tipici della sua poetica: il confronto bianchi/neri, ad esempio, ma soprattutto il radicamento dell’americano del sud nella sua cultura, di cui il rapporto bianchi/neri costituisce un elemento imprescindibile.

A ben vedere la relazione dell’uomo del sud con la sua terra non è altro che una particolare manifestazione della relazione figlio/padre: il Sud, per le creature di Faulkner, è il padre che non sempre si riesce a comprendere, ad amare, da cui non sempre si riesce a farsi amare, il padre contro cui si tenta di ribellarsi, ma di cui non si può fare a meno, perché a lui si appartiene fin nelle proprie viscere. La guerra di secessione, che qui come in altri romanzi assume un ruolo storico centrale, rappresenta la crisi di tutto ciò in cui l’uomo del sud credeva, ma da questo strappo non ci si riprende, se non a costo della vita. In queste dinamiche parentali l’amore fra uomo/donna non trova spazio: il matrimonio è pretesto, errore, opportunismo, vendetta. Ma credo soprattutto che la relazione amorosa manchi in quanto non è basata sul sangue, e il sangue è tutto nell’America del sud alle soglie della guerra civile.

Tale dimensione collettiva e profondamente radicata è raccontata attraverso la tragedia di una sola famiglia, il cui capostipite è un uomo fosco, ambiguo: Thomas Supten. La sua figura è avvolta nel mistero, tanto più che il lettore apprende le vicende della sua vita attraverso racconti di seconda, a volte terza mano. L’oggettività dei fatti è annullata dal filtro dell’opinione altrui, spesso deformata da passioni molto intense quali l’odio e il disprezzo (come nel caso di Rosa Coldfield, che parla dell’uomo come di un mostro). Come se non bastasse, Faulkner si diverte come sempre a renderci le cose più complicate, alternando i narratori, svelando gli avvenimenti poco alla volta, mescolando ricordi, rimandi e anticipazioni che rendono la comprensione dei fatti una vera sfida.

Soggettività o meno, è indubbio che Thomas Supten sia una figura ambigua: innanzitutto è un uomo che viene dal nulla, senza passato, e un uomo che nasconde il suo passato è automaticamente un uomo che fa paura. Quest’uomo, con una tenacia e uno spirito di sacrificio non comuni, costruisce il proprio impero basato (da bravo sudista) sul possesso della terra. Poiché vi riesce, alla paura si unisce l’invidia, l’odio del resto della popolazione. Ma Supten non si lascia intimidire e prosegue dritto per la propria strada; qual è il suo scopo? Egli sembra animato da una vocazione più forte di qualsiasi pregiudizio altrui e di qualsiasi ostacolo, da una consapevolezza che assomiglia molto al risveglio di Adamo ed Eva dopo aver assaggiato il frutto proibito. Come i due progenitori si rendono conto della propria nudità e dell’esistenza del bene e del male solo dopo aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza, così Thomas Supten, senza però aver commesso alcuna colpa se non quella di esistere, perde la propria innocenza da fanciullo, quando capisce che il mondo è diviso in due parti nettamente distinte: non tanto i bianchi e i neri, quanto chi ha una dignità umana e chi non ce l’ha, e questa distinzione rende ancora più violento il contrasto insuperabile tra bianchi e neri. Questa presa di coscienza improvvisa e drammatica condizionerà il resto della sua esistenza ed egli, un mostro agli occhi degli uomini, ma sorprendentemente coerente verso se stesso, cercherà con tutte le proprie forze di vincere la sua battaglia contro il fato. Inutile dire che non vi riuscirà: Faulkner è profondamente classico e nei suoi racconti il fato vince sempre, questa volta ancora più crudele perché gioca la sua partita all’interno di una stessa famiglia.

Ecco, io mi fermo qui e spero che quel poco che ho scritto e quel molto che ho omesso non vi abbia confusi troppo, ma vi abbia fatto venire un minimo di desiderio di cimentarvi con un libro impegnativo, ma ricco di significati.
 
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Wilkinson

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Davvero un bel post !
Il libro è un capolavoro come quasi tutto quello che ha scritto Faulkner fino al 1942
 
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