Jelinek, Elfriede - La pianista

fernycip

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Da IBS: La ricerca spasmodica e frustrante della vita e di un'identità sessuale, fra autolesionismo e voyerismo, spingono una quarantenne insegnante di pianoforte negli squallidi peep-show della periferia viennese, nei cinema a luci rosse o tra le siepi del Prater, prima di rientrare a casa, sotto le lenzuola del letto che condivide con la tirannica madre. Al centro della narrazione il tormentato rapporto di forza tra le due che trasformerà in catastrofe sadomasochistica il tentativo della donna di legarsi a un suo allievo. "La pianista" è il romanzo più conosciuto di Elfriede Jelinek, premio Nobel per la letteratura nel 2004.

Mia opinione: romanzo che non lascia molto all'immaginazione. Decisamente scabroso. La protagonista è una 40enne insegnante di pianoforte succube della madre e malata di voyeurismo e masochismo. Una figura davvero inquietante, ma al tempo stesso interessante. Ho apprezzato molto lo humour nero spesso utilizzato dall'autrice. Personalmente un libro che consiglio, ma non adatto a tutti i palati.
Dal libro è stato tratto l'omonimo film del 2001 di Haneke.
 

elesupertramp

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Romanzo meraviglioso!
Un po' ostico e decisamente pruriginoso, ma la Jelinek possiede uno stile impeccabile ed una psicologia tale da entrare nell'intimo dei personaggi e conquistare il lettore.
Anche il film, con le strepitose Isabelle Huppert ed Annie Girardot, è assolutamente da vedere.
 

elisa

Motherator
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E' un libro molto particolare, molto "mitteleuropeo". E' un romanzo al femminile che esplora i rapporti ambigui e pericolosi tra madre e figlia, le aspettative, le sopraffazioni, l'incomunicabilità, la solitudine tra due esseri fragili. E in tutto questo il maschio o meglio quel giovane cui la protagonista voleva affidare il suo annullamento e forse il suo riscatto fa una ben misera figura. C'è nel libro un doloroso cammino verso la scoperta di sé piuttosto che un percorso di consapevolezza del proprio essere sottomessa, del proprio desiderio sadomaso, un bisogno di appoggiarsi a qualcuno che avrebbe potuto farle scoprire chi lei fosse forse emancipandola dalla mente e dalla presenza della madre. Una scrittrice innovativa e unica.
 

smemorina

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L'autrice è interessante e innovativa: ho apprezzato i suoi giri di parole, le sue metafore e la decisione di affrontare temi forti e scabrosi senza vergogna.
Però la novità si esaurisce in breve tempo e il tema scottante non sfocia da nessuna parte, anzi tende ad affogare.
Poco credibile lo sviluppo della storia, noiosi i due protagonisti totalmente immaturi e crudeli. Immotivati i loro comportamenti e il tutto è infinitamente lontano da me che nel giro di pochi giorni l'ho quasi dimenticato.
 

ayuthaya

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attenzione, possibili spoiler!

Si può restare toccati da un libro anche senza bisogno necessariamente di identificarsi o di immedesimarsi nel protagonista, o nella mente (contorta, su questo non c'è dubbio) del suo creatore. Se poi il libro in questione è La pianista di Elfriede Jelinek, per quanto "fuori dagli schemi" si possa essere, direi che è quasi impossibile: Erika Kohut, così come sua madre, con la quale forma un tutt'uno che è impossibile scindere, è un personaggio "estremo", così come estremo, eccessivo, osceno è questo romanzo. Per certi versi mi ricorda Roth ne Il teatro di Sabbath: solo un grande scrittore riesce a trasformare l'eccesso in un'opera d'arte e, se non consentiamo all'arte di trascendere la realtà, di prenderne il meglio e il peggio per dare vita a un capolavoro, chi altro potrebbe farlo?
Ma, tornando a Roth, a differenza de Il teatro di Sabbath, tutto centrato sulla "libidine" del protagonista, qui, a ben vedere, di spazio - non solo per la passione, ma anche per la sola "lussuria" - ce n'è molto poco... ed è questo ad avermi sorpreso e insieme conquistato. Diciamoci la verità, chiunque alle prese con la vicenda di una donna sessualmente repressa che si dà al voyerismo e al sadomasochismo, si aspetterebbe l'altra faccia della medaglia: il piacere della perversione che evidentemente deve provare, che la spinge e a suo modo la "giustifica". Invece no: di tutto questo non c'è traccia in questo romanzo, e questo fa sì che il tutto sia ancora più duro, più indigesto, più graffiante. “Erika non dà e non prende”. Direi persino che qui si parla di tutto fuorché di sesso, il che può sembrare un paradosso. Me ne sono accorta in modo palese in uno dei passaggi chiavi del romanzo, ovvero quello in cui Klemmer legge sconvolto la lettera che Erika gli ha scritto.
Cosa significa questa lettera per lei? è una richiesta d'aiuto? è il disvelamento di un'ossessione a lungo covata, è il perverso desiderio di essere sottomessa, dopo che lei stessa, per tutta la vita, si è sottomessa a sua madre e insieme hanno sottomesso il mondo? è un modo per annullare la propria volontà, o piuttosto per imporla per l'ennesima volta, incapace com'è di interpretare la vita se non come una guerra di potere, un dispiegamento di forze che porterà necessariamente alla capitolazione di qualcuno? La complessità, la problematicità che si nascondono in questa rivelazione che la donna fa di se stessa e della sua natura, è talmente profonda da non poter essere banalmente ridotta a una deviazione sessuale... Di questo in un certo senso me ne ero accorta fin dall'inizio, e la consapevolezza è andata crescendo pagina dopo pagina. Tutto nella vita di Erika sembra averla condotta a quella lettera: il rifiuto del mondo, alla cui mediocrità lei e la madre non si sono mai volute conformare, il rifiuto di se stessa, del proprio intrinseco valore - che non è dato da un illusorio senso di supremazia sugli altri, alimentato per tanto tempo dai sogni di gloria di sua madre - e quindi della propria naturale e sana femminilità. La conseguenza è dolorosa e inevitabile: Erika crede che sarà di nuovo se stessa sentendosi "oggetto" nelle mani di qualcuno.
Schiava e padrona, vittima e carnefice di se stessa: senza troppe "spiegazioni psicologiche", viene espresso chiaramente il concetto di sado-masochismo, quella forma di perversione per cui si cerca allo stesso tempo di dominare e di essere dominati. Di dominare sentendosi dominati. A questo proposito, il rapporto con la madre è emblematico: ci rinuncio a priori perché non ne verrei più fuori, tanto ci sarebbe da dire... ma questo è uno dei passaggi che mi ha colpito di più: “I suoi atti di obbedienza, ormai una semplice routine, necessitano di un crescendo! E una madre non può bastare”...
Erika non è una vittima in senso tradizionale, e la Jelinek non vuole farcela passare per tale, neanche quando, alla fine, la sua “fantasia” verrà coronata e si rivelerà tutta diversa da quello che aveva immaginato... forse perchè non era questo che voleva davvero? forse perchè il suo era davvero solo il disperato appello di una donna che vuole essere amata? Difficile dirlo, e non credo che alla fine sia tanto importante arrivare a capire le ragioni (o le colpe) della tragedia che si dispiega sotto i nostri occhi.
In questo senso la scrittrice è davvero superba e non salva nessuno: non la giovane Erika (era LEI, quindi? a questo punto direi proprio di sì), nè quello che è diventata da adulta, non il "libero" e cinico Klemmer, nè tanto meno la dispotica madre... Neppure il "mondo" - questa massa informe e volgare che tanto spaventa le due donne - si salva da questa condanna senza appello e senza misericordia. La Jelinek, non a caso premio Nobel, è maestra non solo nel dosare ironia e tragedia, nel reggere un romanzo intero senza concedersi una sola volta un semplice (e liberatorio) “dialogo diretto”, ma soprattutto nel riportarci questi stralci impietosi di mondo: la mamma che perde la pazienza e molla una sberla al figlio, il turco che non è nessuno persino quando va a puttane, gli amanti che bisticciano perché "i due sessi vogliono sempre qualcosa di fondamentalmente diverso"...
Un libro forte, a tratti molto pesante (lo devo ammettere) ma che è capace di dimostrare che un argomento che potrebbe eccitare la fantasia per la sua componente di scandalo, è in realtà una porta spalancata su un mondo che può fare paura.
 
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Zingaro di Macondo

The black sheep member
Ho trovato questo romanzo ambiguo da ogni punto di vista.

Vorrei capire, io per primo, dove inizia il voyeurismo (la pornografia se vogliamo) e dove, invece, l’introspezione?

In questo libro Erika è completamente nuda. La domanda è: ci piace vederla così, per riversare le nostre frustrazioni su una donna diventata oggetto di tutti (anche di sé stessa), oppure vogliamo vederla in ogni dove per capire, per davvero e dolorosamente, una mente anticonvenzionale?
Io, a dirla tutta, non so perché l’ho letto. Non so quale delle due versioni mi abbia trascinato in questo vortice, a tratti anche molto pesante. Pesante da ogni punto di vista.

L’ho trovato noioso e pieno di contenuti, mai volgare, ma formalmente pesante. Ripetitivo e profondo. Forse la Jelinek ha voluto descrivere il mondo del sesso estremo (e per estremo si intenda “psicologicamente” estremo) in modo altrettanto cupo. Una “liasoin” inscindibile tra forma e contenuto, che alla lunga, però, francamente, mi ha stancato.

Ho fatto fatica a finirlo e più volte mi sono trovato sul punto di interromperne la lettura.
Le ultime pagine le ho invece divorate in “trance voyeuristica”. Volevo semplicemente scoprire che cosa avrebbero fatto di preciso i due amanti, perversi e mai domi. L’ho letto, ahimè, come si leggerebbe un harmony eroticamente spinto.

Mai come in questo libro credo che un giudizio parzialmente negativo come il mio, sia dovuto alla difettosità del lettore. L’autrice, invece, ha fatto in pieno il proprio dovere, scandagliando il mondo del sesso e dell’arte come andrebbero scandagliate nelle loro forme, diciamolo pure, più perverse e frustranti.
Erika voleva essere maltrattata, su questo direi che non ci sono dubbi. Sul perché, invece, direi che una risposta non l’abbiamo, o, meglio ciascuno ha la propria. C’è una totale incomunicabilità tra uomo e donna, tra la madre e Erika e tra il mondo dell’arte e “gli altri”, coloro che l’arte “non la intendono”. E quando non c’è comunicazione, c’è poi frustrazione, frustrazione che sui tempi medi diventa gioco forza violenza e perversione.

Un libro non per tutti.
Non per me, ad esempio. In piena sincerità, sono conscio di non averlo saputo apprezzare fino in fondo.
Votato 3.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Per certi versi mi ricorda Roth ne Il teatro di Sabbath: solo un grande scrittore riesce a trasformare l'eccesso in un'opera d'arte e, se non consentiamo all'arte di trascendere la realtà, di prenderne il meglio e il peggio per dare vita a un capolavoro, chi altro potrebbe farlo?
Ma, tornando a Roth, a differenza de Il teatro di Sabbath,.

L'associazione era venuta in mente anche a me e credo sia calzante. Suggerisco di leggerlo insieme a tutti coloro che hanno partecipato a questo mini gdl, appena possibile.

I punti di contatto a livello contenutistico ci sono e credo possa essere un raffronto molto stimolante. Roth, formalmente, mi piace molto di più della Jelinek. Forse perchè è uomo e io sono uomo (non voglio essere ironico)

qui, a ben vedere, di spazio - non solo per la passione, ma anche per la sola "lussuria" - ce n'è molto poco... ed è questo ad avermi sorpreso e insieme conquistato. Diciamoci la verità, chiunque alle prese con la vicenda di una donna sessualmente repressa che si dà al voyerismo e al sadomasochismo, si aspetterebbe l'altra faccia della medaglia: il piacere della perversione che evidentemente deve provare, che la spinge e a suo modo la "giustifica". Invece no: di tutto questo non c'è traccia in questo romanzo, e questo fa sì che il tutto sia ancora più duro, più indigesto, più graffiante. “Erika non dà e non prende”. Direi persino che qui si parla di tutto fuorché di sesso, il che può sembrare un paradosso. Me ne sono accorta in modo palese in uno dei passaggi chiavi del romanzo, ovvero quello in cui Klemmer legge sconvolto la lettera che Erika gli ha scritto.
Cosa significa questa lettera per lei? è una richiesta d'aiuto? è il disvelamento di un'ossessione a lungo covata, è il perverso desiderio di essere sottomessa, dopo che lei stessa, per tutta la vita, si è sottomessa a sua madre e insieme hanno sottomesso il mondo? è un modo per annullare la propria volontà, o piuttosto per imporla per l'ennesima volta, incapace com'è di interpretare la vita se non come una guerra di potere, un dispiegamento di forze che porterà necessariamente alla capitolazione di qualcuno? La complessità, la problematicità che si nascondono in questa rivelazione che la donna fa di se stessa e della sua natura, è talmente profonda da non poter essere banalmente ridotta a una deviazione sessuale... Di questo in un certo senso me ne ero accorta fin dall'inizio, e la consapevolezza è andata crescendo pagina dopo pagina..

interessante. io parto, però, dalla prospettiva esattamente opposta e butto lì una provocazione: credo, invece, che questo libro sia un libro sulla perversione sessuale. Punto.

si parla di sesso, non di erotismo, non di voyeurismo e non c'è traccia di volgare pornografia, su questo siamo d'accordo.

ma il sesso (freudianamente parlando, ma non solo) cos'è se non proprio quella lista di situazioni "border line" che a proposito menzioni: richieste di aiuto, disvelamento delle ossessioni, desiderio di sottomissione, volontà di "sparire", guerra di potere, complessità...?



La conseguenza è dolorosa e inevitabile: Erika crede che sarà di nuovo se stessa sentendosi "oggetto" nelle mani di qualcuno.
Schiava e padrona, vittima e carnefice di se stessa: senza troppe "spiegazioni psicologiche", viene espresso chiaramente il concetto di sado-masochismo, quella forma di perversione per cui si cerca allo stesso tempo di dominare e di essere dominati. Di dominare sentendosi dominati.

Magnifico!

il suo era davvero solo il disperato appello di una donna che vuole essere amata? Difficile dirlo, e non credo che alla fine sia tanto importante arrivare a capire le ragioni (o le colpe) della tragedia che si dispiega sotto i nostri occhi.

concordo, credo che la risposta non ce l'abbiamo nè tu nè io nè la Jelinek nè Erika...

La Jelinek, non a caso premio Nobel, è maestra non solo nel dosare ironia e tragedia

mmmhh...mi citi un passo ironico? io non ne ho trovati...

nel reggere un romanzo intero senza concedersi una sola volta un semplice (e liberatorio) “dialogo diretto”

se lo avesse fatto, per quanto mi riguarda, ne avrei gioito.

Un libro forte, a tratti molto pesante (lo devo ammettere) ma che è capace di dimostrare che un argomento che potrebbe eccitare la fantasia per la sua componente di scandalo, è in realtà una porta spalancata su un mondo che può fare paura.

Conclusione bellissima e condivisibile.
 

ayuthaya

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Grazie! magari ogni recensione (scritta da chiunque) diventasse oggetto di un dibattito!!! ti rispondo appena possibile, sperando di rilanciare!
 

Ugly Betty

Scimmia ballerina
Inutile dire che le recensioni di Ayu sono sempre bellissime.
Questo libro, che ho gustato poco alla volta in una ventina di giorni, è uno dei libri da leggere prima di morire. Un capolavoro indiscusso. Un Nobel meritatissimo.
Non si può non rimanerne toccati. La bellezza di un romanzo sta, a mio avviso, anche nella sua capacità di farci riflettere. Leggere qualcosa solo per gustarne la bellezza estetica o per sentire una storia è abbastanza inutile. Beh, la Jelinek è riuscita a farmi porre numerosi interrogativi. Innanzitutto mi sono chiesta più volte dove volesse andare a parare raccontando una storia del genere e sono dell'idea che dietro a tutta la vicenda si nasconda un enorme bisogno di essere amata di Erika, che probabilmente si ricollega alle vicende personali della scrittrice. Ma è una mia ipotesi, magari errata. Inoltre, penso proprio che i tratti scandalosi di questo libro, che molti trovano eccessivi, non facciano altro che riflettere la nostra società. Come ha detto Ayu, "è in realtà una porta spalancata su un mondo che può fare paura.", da cui è inutile scappare, inutile restare disgustati. Erika, secondo me, non è tanto distante da noi. Sicuramente ha degli atteggiamenti dai quali io stessa mi trovo molto distante, ma questi nascono dalla debolezza insita in ognuno di noi, dalle proprie paure, dalle difficoltà a rapportarci col mondo che tutti, per un motivo o per un altro, in un contesto oppure in un altro, hanno. Erika ha bisogno di sentirti amata, di sentirsi realizzata, di sentirsi importante almeno per qualcuno. Come tutti noi.
 

ayuthaya

Moderator
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L'associazione era venuta in mente anche a me e credo sia calzante. Suggerisco di leggerlo insieme a tutti coloro che hanno partecipato a questo mini gdl, appena possibile.

I punti di contatto a livello contenutistico ci sono e credo possa essere un raffronto molto stimolante. Roth, formalmente, mi piace molto di più della Jelinek. Forse perchè è uomo e io sono uomo (non voglio essere ironico)

Capisco cosa intendi dire... a parte la normale distinzione autore uomo/autrice donna, che inevitabilmente si riversa sul modo di scrivere, Roth ha comunque una sensibilità molto "maschile" (il che non vuol dire che non possa essere apprezzato dalle donne: io con lui ho un rapporto di odio-amore...). In effetti si potrebbe affermare che sono entrambi molto forti e per questo molto diversi: rappresentano gli "estremi" delle due sensibilità e, come scrive la Jelinek, "i due sessi vogliono sempre qualcosa di diverso"...

interessante. io parto, però, dalla prospettiva esattamente opposta e butto lì una provocazione: credo, invece, che questo libro sia un libro sulla perversione sessuale. Punto.

paradossalmente, essendo due affermazioni diametralmente opposte, potrebbero essere vere entrambe. forse la vera e "pura" deviazione sessuale nasce da qualcosa che non è sesso, che lo diventa suo malgrado, non so se mi spiego... Il resto probabilmente non è vera deviazione ma... come dire? semplicemente un modo un po' "trasgressivo" di vivere la sessualità. In questo senso è molto più raro incontrare (e capire) coloro che sono oggetto di questa perversione che è una vera e propria malattia, capace di coinvolgere la totalità dell'esistenza, come nel caso di Erika...

mmmhh...mi citi un passo ironico? io non ne ho trovati...

vabbè, ok... forse l' "ironia" propriamente detta è un'altra cosa, ma non ho trovato traccia di commiserazione da parte della scrittrice nei confronti della propria creatura: il suo sguardo è limpido e disincantato, per questo anche i passaggi che potrebbero risultare più pesanti (come quando si azzuffa con la madre, o viene picchiata da Klemmer) in realtà lasciano posto a una linguaggio schietto, con sfumatuire ironiche (chessò... l'insistenza con cui si descrivono certui dettagli di per sè insignificanti e persino assurdi, come la madre che tagliuzza il vestito della figlia per vendetta).

se lo avesse fatto, per quanto mi riguarda, ne avrei gioito.

probabilmente anch'io. ma forse il libro, nel suo complesso, non avrebbe avuto la stessa forza.

PS la prossima volta commento direttamente il tuo commento, così vediamo se tiriamo fuori qualche altro spunto! :mrgreen:
 
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Kira990

New member
Bellissime le recensioni di Ayuthaya e di Zi garo di Macondo.
Io ho finito questo libro da alcuni giorni. Ci ragiono su parecchio ma veramente non mi esce nulla dalla testa. Un libro complesso, una lettura non facile sia per stile di scrittura che per i temi trattati, ma mai volgare. Personaggi così complessi che non saprei da che parte iniziare a commentare
Non avevo mai letto nulla prima di Elfriede Jelinek ma, al momento, non credo che leggerò altro di suo. A parte la mia personale fatica nel giungere alla fine del libro, ho la sensazione di essermi persa dei pezzi per strada. Spesso mi trovavo a dover rileggere delle parti perché non avevo capito che si era cambiato argomento... Nel complesso comunque non è stata una brutta lettura.
 
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