Libro riletto a molti anni di distanza dalla prima lettura. Una constatazione, certo banalissima, ma che posso affermare con cognizione di causa. Ogni libro sembra diverso se si legge in tempi diversi, anche perché, nel mio caso, in quest’ultima lettura ho avuto molto più tempo a disposizione e senz’altro l’ho letto più attentamente.
Naturalmente questo è un grande libro. Quello che viene definito “un classico”, un mattone di oltre 900 pagine. Dietro alla pazzia di Don Chisciotte, che crede alle favole dei cavalieri erranti, ed a quella del suo “alter ego” il fedele scudiero Sancho Panza c’è una grande, incommensurabile, scuola di vita.
Don Chisciotte, totalmente fuori dalla realtà e completamente disinteressato ai beni terreni, che non riesce a staccarsi dalle sue visioni fantastiche ma che quando parla di qualsiasi altro argomento è di una competenza ed equilibrio nei giudizi straordinari, e Sancho Panza che, pur rendendosi perfettamente conto della “pazzia” del suo cavaliere ed in possesso di una saggezza popolare al massimo grado, ed arguto come nessun altro, non riesce però a staccarsi dalla promessa che Don Chisciotte gli ha fatto di donargli, per i suoi servizi, il governatorato di un isola, pur essendo questa una follia ancor più grande.
Al di là delle avventure dei due, esilaranti in molti casi, vengono anche narrate storie “complementari”, che magari non hanno alcun riferimento con i fatti correnti, ma che completano questa opera che definirei “filosofica” al massimo grado . Dico filosofica magari non conoscendo il significato esatto di questo termine, ma comunque nel romanzo sono concentrati talmente tanti fatti esemplari, massime di proverbi e filosofia popolare che ritengo, in massima parte, ancora modernissimi, probabilmente perché la filosofia popolare si è sedimentata e sperimentata con la vita pratica nel trascorrere dei secoli, e già nel “500”questo romanzo dimostra che i nostri avi non avevano nulla da invidiarci per conoscenza del “vivere”.
Dico queste cose pur avendo affermato, in qualche altra circostanza, di non apprezzare particolarmente le parti “filosofiche” dei libri di narrativa, che di solito un po’ mi annoiano. Non in questo caso però, perché è una filosofia ancorata alla vita corrente e di immediata comprensione.
La qualità più notevole del libro resta comunque, a mio avviso, lo stile di scrittura. E’ una prosa lieve come una piuma, limpida come un cristallo, perfetta nei modi e nei tempi, con una continua sottile, finissima ironia che non può mancare tenuto conto dei fatti che descrive, ma che non travalica mai il buon gusto, ed anche il rispetto per ogni categoria di lettori che dovessero avvicinarsi alla lettura di questa opera, ed è sorretta come da invisibili fili di indistruttibile acciaio che ne garantiscono il successo nei secoli. Penso proprio che questa opera non potrebbe mai essere stata scritta meglio, e questa, probabilmente, è una qualità di tutti i grandi “classici”.
E’ chiaro che consiglio a tutti la lettura di questo “mattone”, il sacrificio sarà ampiamente, molto ampiamente, ripagato.
P.S. Sarà perché ho sempre sofferto un po’ di insonnia ma le riflessioni, nella seconda parte del libro, (apparentemente) banali di Sancho Panza sul “sonno” mi sono parse “mirabili”.