Prosa e racconti brevi

Grantenca

Well-known member
Fatti di provincia

Di mestiere Gualtiero faceva il venditore ambulante. Aveva una bancarella di scarpe e vendeva in tutti i mercati della zona. Gli affari andavano bene perché era molto bravo nel suo lavoro. E’ vero che la moglie lo aiutava in tutto e per tutto, ma il “cervello” dell’impresa era lui, che conosceva perfettamente la sua merce e sapeva comprare al prezzo giusto, ma soprattutto conosceva i gusti della sua clientela, agricoltori, operai, impiegati, piccoli artigiani, ed era consapevole che erano sempre le donne che decidevano quando era ora di acquistare un paio di scarpe.

Con i suoi modi accattivanti, la facilità di parola, l’aspetto rassicurante , si poteva permettere con “le” clienti anche qualche battuta, sempre nei limiti della più assoluta correttezza, e la sua clientela andava sempre aumentando. Non discendeva, Gualtiero, da una famiglia di commercianti, da giovane aveva fatto anche l’operaio a giornata in agricoltura, ma quando aveva sposato l’idea della bancarella aveva ben presto capito che “i soldi” non si fanno lavorando, ma “commerciando”. Sacrifici bisognava comunque farne, sopportare il freddo d’inverno e l’afa d’estate soprattutto, nessuno in verità ti regala nulla, ma era pur sempre meglio che rompersi la schiena in campagna dalla mattina alla sera, per cosa poi ? Per un misero salario! Almeno qui vedeva giornalmente i frutti del suo lavoro e la sua famiglia (due figli, un maschio di 16 anni e la bambina di undici oltre alla moglie) viveva più che dignitosamente .

Certo i primi anni di matrimonio con l’acquisto a rate della casa, non nuova, ma estremamente funzionale alle loro esigenze, erano stati difficili anche dal punto di vista finanziario, ma ora avendo saldato tutti i debiti si ritrovava proprietario della propria abitazione, del furgone necessario per la sua attività e anche di una bella auto, un 1100 acquistato di seconda mano ma che sembrava nuovo. A 36 anni Gualtiero era ancora un bell’uomo. Alto , snello , scuro di carnagione con dei bei capelli neri mossi e sempre ben curati (andava dal barbiere ogni 2 settimane) , una eleganza innata. Egli teneva molto al suo aspetto. Per una questione caratteriale innanzitutto (anche quando lavorava in campagna si distingueva dagli altri) ma anche perché era ben consapevole che il suo aspetto lo aiutava nel lavoro, e , a dir le cose come vanno dette, non disdegnava, all’occasione, qualche avventuretta “piccante”. Dopo tanti sacrifici, pensava, aveva pur diritto a qualche momento di svago!..Tanto più che la moglie…..dopo aver fatto due figli e sgobbando dalla mattina alla sera (oltre la lavoro doveva governare la casa e i figli) solo in viso ricordava l’ormai “antica” bellezza. Le rotondità nei punti giusti che da giovane tanto lo avevano infiammato da costringerlo in tutta fretta al matrimonio (sistema empirico ma indubbiamente efficace per “testare” la fecondità della coppia) le rotondità, dicevo, si erano estese per tutto il corpo ed ora aveva l’aspetto di un armadietto, con due robuste gambe. Non che ella avesse come si suol dire, fette di prosciutto davanti agli occhi. Conosceva perfettamente i “vizietti” del marito, ma sopportava, (come molte donne in quei tempi – erano i primi anni 60 -) per tenere unita la famiglia. Oltretutto era certa, conoscendo bene il marito e il suo attaccamento al denaro e ai figli, che egli non si sarebbe spinto in situazioni troppo “complicate”.

Gualtiero, a quel tempo, si poteva ragionevolmente definire “un uomo realizzato” , tanto più che da qualche anno si era iscritto al “Circolo dei signori” un club privato dove la “crema” del paese (medici, avvocati, professionisti, piccoli industriali, funzionari e amministratori pubblici) si ritrovava per trascorrere qualche ora di svago, ma più che altro per “giocare”, anche d’azzardo in qualche caso. Non che queste personalità lo considerassero un loro “pari”, questo no, (egli era ben consapevole della sua istruzione elementare), ma qualche volta lo invitavano alla partita a carte, e di ciò era tanto orgoglioso da riferirlo anche alla moglie.

Al circolo aveva legato soprattutto con Giovanni, un suo coetaneo (avevano fatto le elementari assieme e poi si erano persi di vista) impiegato d’ordine del comune, uno “scarabucin” (scribacchino) come veniva etichettata questa categoria di lavoratori nel dialetto locale. Di statura medio bassa, sul robusto, aveva una faccia rotonda sempre un po’ arrossata, con radi capelli biondi pettinati all’indietro. Non si poteva certamente definire “bello” ma il suo aspetto ispirava simpatia. Certo con il suo modesto stipendio non avrebbe potuto permettersi l’iscrizione al circolo, ma la moglie era una bravissima sarta, in grado di eseguire qualsiasi lavoro, e alla fine del mese guadagnava almeno quanto il marito, e per di più, non avevano figli. Li aveva avvicinati la comune passione per il gioco del biliardo “a stecca” nel quale Gualtiero era un vero virtuoso. Polso fermo, colpo d’occhio, fantasia era un piacere vederlo giocare. Anche Giovanni conosceva bene il gioco pur non raggiungendo il livello dell’amico. Piano piano erano entrati in grande confidenza e spesso uscivano assieme o per andare al cinema, o alla partita la domenica pomeriggio e , più che altro, qualche sera a ballare, rigorosamente fuori paese, e non certo per amore del “liscio”. A Gualtiero piaceva la compagnia di Giovanni nelle loro “scorribande”; è vero che lui ci metteva la macchina senza mai nulla pretendere dall’amico, ma quando trovavano compagnia era quasi naturale che il meglio toccasse sempre a lui e, cosa importante, Giovanni era una persona molto discreta che non raccontava nulla in giro di quel che vedeva; una tomba, veramente.

Il meglio però lo esprimevano quando giocavano a biliardo in coppia. Oltre al buon livello di gioco c’era l’aspetto folcloristico dei loro commenti salaci e impietosi ad ogni errore del compagno che divertiva gli spettatori. Se uno non li conosceva avrebbe pensato che, dopo la partita, si sarebbero sfidati a duello. Era soprattutto Gualtiero ad investire il compagno di feroci “complimenti” e Giovanni sopportava, per almeno due buoni motivi. Il primo perché era certo che i commenti del compagno erano fatti senza alcun malanimo, anzi sapeva che tante volte li faceva, in particolari momenti della partita, per deconcentrare gli avversari. Il secondo, più importante, era che giocando in coppia con Gualtiero almeno7-8 volte su dieci si vinceva e, siccome si giocavano qualche soldino, le vincite erano vitali per le sue sempre esauste casse, poiché egli aveva anche una grande passione per il gioco delle carte, ma ben poca fortuna.

Una sera decisero di andare al cinema, perché c’era in programmazione un film di cui tutti parlavano con ammirazione. La sala era gremita e non trovarono due posti adiacenti. Trovarono due posti uno dietro l’altro su due file diverse. La logica avrebbe suggerito che il posto davanti fosse occupato da Giovanni, molto più basso di statura, ma non ci fu verso; nonostante le insistenze dell’amico Gualtiero pretese di occuparlo lui perché aveva visto che sulla destra della poltroncina libera il posto era occupato da una bellissima signora, e Giovanni, più remissivo, dovette cedere. Dovete sapere che Gualtiero era un esperto della “strusciatina”. Col tempo aveva affinato la sua tecnica. Guardava rigorosamente in avanti senza mai girarsi verso “la vittima” e poi, col gomito e col ginocchio, si avvicinava, piano piano, nello spazio dell’altra. Se sentiva terreno sfavorevole, sempre lentamente, e sempre guardando fisso davanti a sé si ritirava nei propri appartamenti senza più riprovarci, per dare l’impressione che il suo fosse stato un movimento involontario. E bisogna dire che qualche volta, avendo trovato qualche anima in pena sola e disperata qualcosa aveva raccolto!
Il film iniziò e, dopo circa una mezzora, nel buio assoluto, greve di fumo, si sentì il rumore , inconfondibile, di due sonori schiaffi! E Gualtiero sentì infiammarsi (si potrebbe dire incendiarsi) la guancia destra; ma non mosse un muscolo, continuò a guardare in avanti anche se non vedeva nulla. La gente vicina si girò un attimo, ma pochissimi ebbero la percezione esatta di quello che era veramente successo, molti altri non videro nulla, e poi la visione del film ebbe il sopravvento e tutto si quietò. All’intervallo, quando si accesero le luci, Gualtiero si alzò e, senza mai girarsi dalla parte destra, usci dalla sinistra della fila e lasciò la sala. Quando vide l’amico uscire anche Giovanni lo seguì e i due si ritrovarono in strada.
Ma tu conosci quella “matta”? disse Gualtiero – no, mai vista, sicuro che non è una del posto, rispose Giovanni. Mi raccomando, disse Gualtiero, non dire niente a nessuno di quello che è successo. Tranquillo, rispose l’amico, neanche a mia moglie.
E naturalmente il giorno dopo, in paese, non si parlava d’altro. Gualtiero ebbe qualche serio dubbio sul silenzio dell’amico, ma, a dire il vero, quella sera, in sala, c’era molta gente che lo conosceva.

Esposto al pubblico ludibrio! Uno come lui, da tutti conosciuto e stimato, che si era costruito una posizione invidiabile nel tempo con il suo lavoro, la sua intelligenza, la sua onestà! E poi per cosa ? E’ vero, senz’altro il suo comportamento non era stato irreprensibile, ma c’era bisogno di una reazione così? Veramente esagerata! Dovette anche delle spiegazioni alla moglie e le disse che la signora aveva certamente mal interpretato un suo movimento involontario. La moglie gli credette (o almeno fece finta) ma comunque non ritornò più sull’argomento. A Gualtiero era invece caduto il mondo addosso, non si dava pace. Non aveva più avuto il coraggio di presentarsi al circolo, e anche sul lavoro le ore che prima trascorrevano veloci erano diventate un calvario. Specialmente il giorno di mercato al suo paese aveva notato che le clienti cercavano prima la moglie di lui, e solo quando era occupata lo prendevano in considerazione. Anche negli altri mercati (pur se il “fatto” probabilmente non aveva varcato i confini comunali) aveva perso la sua sicurezza la, sua “verve”. Con le clienti si limitava a parlare di scarpe e di prezzi e aveva il terrore di parlare di qualsiasi cosa d’altro per paura di essere frainteso. Addirittura, la notte, faticava a prendere sonno, lui che, normalmente, non faceva a tempo ad appoggiare la testa sul cuscino che già era addormentato.

Dite che forse esagerava? Probabilmente sì, ma in questi casi la vittima purtroppo non si rende conto che nella memoria degli altri, dopo qualche considerazione, risate e battute iniziali, il fatto poi sfuma velocemente, coperto dai problemi e abitudini della vita di tutti i giorni. L’unica a trarre qualche vantaggio da questa situazione era la moglie, che non aveva mai visto il marito tanto spesso in casa la sera, neanche i primi anni di matrimonio.

Ma il tempo, si sa, è una grande medicina, che spesso riesce , non dico a far dimenticare, ma almeno ad attenuare dispiaceri per motivi ben più seri e profondi di quelli che riguardavano Gualtiero. Dopo tre-quattro settimane, anche per le insistenze di Giovanni (cui mancavano i guadagni del biliardo), Gualtiero ritornò qualche sera al circolo, dove mai nessuno, in verità, accennò all’accaduto (almeno in sua presenza). E piano piano Gualtiero ritornò alla normalità, anche a dormire regolarmente, pur se la spensieratezza e sicurezza che aveva prima del fatto non erano ancora ritornate completamente.

Dopo circa sei mesi dall’accaduto notò che al circolo tutti erano estremamente gentili con lui. Quando lo salutavano o discorrevano erano sempre sorridenti e disponibili, anche il barista, che non brillava per cordialità, quando gli serviva il caffè o il bicchierino era sempre di ottimo umore . Gualtiero che non era uno stupido o uno sprovveduto, quando si accorse di questo cambiamento nei suoi confronti ebbe la certezza che tutti lo stessero prendendo in giro. E così interrogò Giovanni, che invece con lui si comportava normalmente.

Ti ricordi, disse Giovanni, quel lunedì della fiera dell’anno scorso quando siamo andati al cinema? Gualtiero si sentì improvvisamente investito da vampe di calore, da brividi di freddo, gli apparvero davanti agli occhi fantasmi che pensava di aver definitivamente scacciato… cos’altro ancora?... S-sì rispose… Bene, quei due ceffoni te li ho rifilati io. E’ una settimana che vado raccontandolo al circolo. Ora è giusto che anche tu lo sappia, gli disse sorridendo.

Gualtiero, alla rivelazione dell’amico, rimase “basito”, di sasso; e non riuscì a spiccicar parola.
 

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d'ya think i'm stupid?
Fatti di provincia

Di mestiere Gualtiero faceva il venditore ambulante. Aveva una bancarella di scarpe e vendeva in tutti i mercati della zona. Gli affari andavano bene perché era molto bravo nel suo lavoro. E’ vero che la moglie lo aiutava in tutto e per tutto, ma il “cervello” dell’impresa era lui, che conosceva perfettamente la sua merce e sapeva comprare al prezzo giusto, ma soprattutto conosceva i gusti della sua clientela, agricoltori, operai, impiegati, piccoli artigiani, ed era consapevole che erano sempre le donne che decidevano quando era ora di acquistare un paio di scarpe.

Con i suoi modi accattivanti, la facilità di parola, l’aspetto rassicurante , si poteva permettere con “le” clienti anche qualche battuta, sempre nei limiti della più assoluta correttezza, e la sua clientela andava sempre aumentando. Non discendeva, Gualtiero, da una famiglia di commercianti, da giovane aveva fatto anche l’operaio a giornata in agricoltura, ma quando aveva sposato l’idea della bancarella aveva ben presto capito che “i soldi” non si fanno lavorando, ma “commerciando”. Sacrifici bisognava comunque farne, sopportare il freddo d’inverno e l’afa d’estate soprattutto, nessuno in verità ti regala nulla, ma era pur sempre meglio che rompersi la schiena in campagna dalla mattina alla sera, per cosa poi ? Per un misero salario! Almeno qui vedeva giornalmente i frutti del suo lavoro e la sua famiglia (due figli, un maschio di 16 anni e la bambina di undici oltre alla moglie) viveva più che dignitosamente .

Certo i primi anni di matrimonio con l’acquisto a rate della casa, non nuova, ma estremamente funzionale alle loro esigenze, erano stati difficili anche dal punto di vista finanziario, ma ora avendo saldato tutti i debiti si ritrovava proprietario della propria abitazione, del furgone necessario per la sua attività e anche di una bella auto, un 1100 acquistato di seconda mano ma che sembrava nuovo. A 36 anni Gualtiero era ancora un bell’uomo. Alto , snello , scuro di carnagione con dei bei capelli neri mossi e sempre ben curati (andava dal barbiere ogni 2 settimane) , una eleganza innata. Egli teneva molto al suo aspetto. Per una questione caratteriale innanzitutto (anche quando lavorava in campagna si distingueva dagli altri) ma anche perché era ben consapevole che il suo aspetto lo aiutava nel lavoro, e , a dir le cose come vanno dette, non disdegnava, all’occasione, qualche avventuretta “piccante”. Dopo tanti sacrifici, pensava, aveva pur diritto a qualche momento di svago!..Tanto più che la moglie…..dopo aver fatto due figli e sgobbando dalla mattina alla sera (oltre la lavoro doveva governare la casa e i figli) solo in viso ricordava l’ormai “antica” bellezza. Le rotondità nei punti giusti che da giovane tanto lo avevano infiammato da costringerlo in tutta fretta al matrimonio (sistema empirico ma indubbiamente efficace per “testare” la fecondità della coppia) le rotondità, dicevo, si erano estese per tutto il corpo ed ora aveva l’aspetto di un armadietto, con due robuste gambe. Non che ella avesse come si suol dire, fette di prosciutto davanti agli occhi. Conosceva perfettamente i “vizietti” del marito, ma sopportava, (come molte donne in quei tempi – erano i primi anni 60 -) per tenere unita la famiglia. Oltretutto era certa, conoscendo bene il marito e il suo attaccamento al denaro e ai figli, che egli non si sarebbe spinto in situazioni troppo “complicate”.

Gualtiero, a quel tempo, si poteva ragionevolmente definire “un uomo realizzato” , tanto più che da qualche anno si era iscritto al “Circolo dei signori” un club privato dove la “crema” del paese (medici, avvocati, professionisti, piccoli industriali, funzionari e amministratori pubblici) si ritrovava per trascorrere qualche ora di svago, ma più che altro per “giocare”, anche d’azzardo in qualche caso. Non che queste personalità lo considerassero un loro “pari”, questo no, (egli era ben consapevole della sua istruzione elementare), ma qualche volta lo invitavano alla partita a carte, e di ciò era tanto orgoglioso da riferirlo anche alla moglie.

Al circolo aveva legato soprattutto con Giovanni, un suo coetaneo (avevano fatto le elementari assieme e poi si erano persi di vista) impiegato d’ordine del comune, uno “scarabucin” (scribacchino) come veniva etichettata questa categoria di lavoratori nel dialetto locale. Di statura medio bassa, sul robusto, aveva una faccia rotonda sempre un po’ arrossata, con radi capelli biondi pettinati all’indietro. Non si poteva certamente definire “bello” ma il suo aspetto ispirava simpatia. Certo con il suo modesto stipendio non avrebbe potuto permettersi l’iscrizione al circolo, ma la moglie era una bravissima sarta, in grado di eseguire qualsiasi lavoro, e alla fine del mese guadagnava almeno quanto il marito, e per di più, non avevano figli. Li aveva avvicinati la comune passione per il gioco del biliardo “a stecca” nel quale Gualtiero era un vero virtuoso. Polso fermo, colpo d’occhio, fantasia era un piacere vederlo giocare. Anche Giovanni conosceva bene il gioco pur non raggiungendo il livello dell’amico. Piano piano erano entrati in grande confidenza e spesso uscivano assieme o per andare al cinema, o alla partita la domenica pomeriggio e , più che altro, qualche sera a ballare, rigorosamente fuori paese, e non certo per amore del “liscio”. A Gualtiero piaceva la compagnia di Giovanni nelle loro “scorribande”; è vero che lui ci metteva la macchina senza mai nulla pretendere dall’amico, ma quando trovavano compagnia era quasi naturale che il meglio toccasse sempre a lui e, cosa importante, Giovanni era una persona molto discreta che non raccontava nulla in giro di quel che vedeva; una tomba, veramente.

Il meglio però lo esprimevano quando giocavano a biliardo in coppia. Oltre al buon livello di gioco c’era l’aspetto folcloristico dei loro commenti salaci e impietosi ad ogni errore del compagno che divertiva gli spettatori. Se uno non li conosceva avrebbe pensato che, dopo la partita, si sarebbero sfidati a duello. Era soprattutto Gualtiero ad investire il compagno di feroci “complimenti” e Giovanni sopportava, per almeno due buoni motivi. Il primo perché era certo che i commenti del compagno erano fatti senza alcun malanimo, anzi sapeva che tante volte li faceva, in particolari momenti della partita, per deconcentrare gli avversari. Il secondo, più importante, era che giocando in coppia con Gualtiero almeno7-8 volte su dieci si vinceva e, siccome si giocavano qualche soldino, le vincite erano vitali per le sue sempre esauste casse, poiché egli aveva anche una grande passione per il gioco delle carte, ma ben poca fortuna.

Una sera decisero di andare al cinema, perché c’era in programmazione un film di cui tutti parlavano con ammirazione. La sala era gremita e non trovarono due posti adiacenti. Trovarono due posti uno dietro l’altro su due file diverse. La logica avrebbe suggerito che il posto davanti fosse occupato da Giovanni, molto più basso di statura, ma non ci fu verso; nonostante le insistenze dell’amico Gualtiero pretese di occuparlo lui perché aveva visto che sulla destra della poltroncina libera il posto era occupato da una bellissima signora, e Giovanni, più remissivo, dovette cedere. Dovete sapere che Gualtiero era un esperto della “strusciatina”. Col tempo aveva affinato la sua tecnica. Guardava rigorosamente in avanti senza mai girarsi verso “la vittima” e poi, col gomito e col ginocchio, si avvicinava, piano piano, nello spazio dell’altra. Se sentiva terreno sfavorevole, sempre lentamente, e sempre guardando fisso davanti a sé si ritirava nei propri appartamenti senza più riprovarci, per dare l’impressione che il suo fosse stato un movimento involontario. E bisogna dire che qualche volta, avendo trovato qualche anima in pena sola e disperata qualcosa aveva raccolto!
Il film iniziò e, dopo circa una mezzora, nel buio assoluto, greve di fumo, si sentì il rumore , inconfondibile, di due sonori schiaffi! E Gualtiero sentì infiammarsi (si potrebbe dire incendiarsi) la guancia destra; ma non mosse un muscolo, continuò a guardare in avanti anche se non vedeva nulla. La gente vicina si girò un attimo, ma pochissimi ebbero la percezione esatta di quello che era veramente successo, molti altri non videro nulla, e poi la visione del film ebbe il sopravvento e tutto si quietò. All’intervallo, quando si accesero le luci, Gualtiero si alzò e, senza mai girarsi dalla parte destra, usci dalla sinistra della fila e lasciò la sala. Quando vide l’amico uscire anche Giovanni lo seguì e i due si ritrovarono in strada.
Ma tu conosci quella “matta”? disse Gualtiero – no, mai vista, sicuro che non è una del posto, rispose Giovanni. Mi raccomando, disse Gualtiero, non dire niente a nessuno di quello che è successo. Tranquillo, rispose l’amico, neanche a mia moglie.
E naturalmente il giorno dopo, in paese, non si parlava d’altro. Gualtiero ebbe qualche serio dubbio sul silenzio dell’amico, ma, a dire il vero, quella sera, in sala, c’era molta gente che lo conosceva.

Esposto al pubblico ludibrio! Uno come lui, da tutti conosciuto e stimato, che si era costruito una posizione invidiabile nel tempo con il suo lavoro, la sua intelligenza, la sua onestà! E poi per cosa ? E’ vero, senz’altro il suo comportamento non era stato irreprensibile, ma c’era bisogno di una reazione così? Veramente esagerata! Dovette anche delle spiegazioni alla moglie e le disse che la signora aveva certamente mal interpretato un suo movimento involontario. La moglie gli credette (o almeno fece finta) ma comunque non ritornò più sull’argomento. A Gualtiero era invece caduto il mondo addosso, non si dava pace. Non aveva più avuto il coraggio di presentarsi al circolo, e anche sul lavoro le ore che prima trascorrevano veloci erano diventate un calvario. Specialmente il giorno di mercato al suo paese aveva notato che le clienti cercavano prima la moglie di lui, e solo quando era occupata lo prendevano in considerazione. Anche negli altri mercati (pur se il “fatto” probabilmente non aveva varcato i confini comunali) aveva perso la sua sicurezza la, sua “verve”. Con le clienti si limitava a parlare di scarpe e di prezzi e aveva il terrore di parlare di qualsiasi cosa d’altro per paura di essere frainteso. Addirittura, la notte, faticava a prendere sonno, lui che, normalmente, non faceva a tempo ad appoggiare la testa sul cuscino che già era addormentato.

Dite che forse esagerava? Probabilmente sì, ma in questi casi la vittima purtroppo non si rende conto che nella memoria degli altri, dopo qualche considerazione, risate e battute iniziali, il fatto poi sfuma velocemente, coperto dai problemi e abitudini della vita di tutti i giorni. L’unica a trarre qualche vantaggio da questa situazione era la moglie, che non aveva mai visto il marito tanto spesso in casa la sera, neanche i primi anni di matrimonio.

Ma il tempo, si sa, è una grande medicina, che spesso riesce , non dico a far dimenticare, ma almeno ad attenuare dispiaceri per motivi ben più seri e profondi di quelli che riguardavano Gualtiero. Dopo tre-quattro settimane, anche per le insistenze di Giovanni (cui mancavano i guadagni del biliardo), Gualtiero ritornò qualche sera al circolo, dove mai nessuno, in verità, accennò all’accaduto (almeno in sua presenza). E piano piano Gualtiero ritornò alla normalità, anche a dormire regolarmente, pur se la spensieratezza e sicurezza che aveva prima del fatto non erano ancora ritornate completamente.

Dopo circa sei mesi dall’accaduto notò che al circolo tutti erano estremamente gentili con lui. Quando lo salutavano o discorrevano erano sempre sorridenti e disponibili, anche il barista, che non brillava per cordialità, quando gli serviva il caffè o il bicchierino era sempre di ottimo umore . Gualtiero che non era uno stupido o uno sprovveduto, quando si accorse di questo cambiamento nei suoi confronti ebbe la certezza che tutti lo stessero prendendo in giro. E così interrogò Giovanni, che invece con lui si comportava normalmente.

Ti ricordi, disse Giovanni, quel lunedì della fiera dell’anno scorso quando siamo andati al cinema? Gualtiero si sentì improvvisamente investito da vampe di calore, da brividi di freddo, gli apparvero davanti agli occhi fantasmi che pensava di aver definitivamente scacciato… cos’altro ancora?... S-sì rispose… Bene, quei due ceffoni te li ho rifilati io. E’ una settimana che vado raccontandolo al circolo. Ora è giusto che anche tu lo sappia, gli disse sorridendo.

Gualtiero, alla rivelazione dell’amico, rimase “basito”, di sasso; e non riuscì a spiccicar parola.

sei un grande.
mi son detto "solo un'occhiatina..."
e l'ho bevuta tutta d'un fiato.
uno stile naturale, che prende
col fascino degli scrittori "dei miei tempi".
cosa dire? BRAVO

:SISI
 

Grantenca

Well-known member
sei un grande.
mi son detto "solo un'occhiatina..."
e l'ho bevuta tutta d'un fiato.
uno stile naturale, che prende
col fascino degli scrittori "dei miei tempi".
cosa dire? BRAVO

:SISI

Ti ringrazio molto, i complimenti disinteressati, come mi sembra di aver già detto, fanno piacere sotto qualsiasi latitudine e a qualsiasi età...anzi penso anche che allunghino la vita! Però forse hai un po' esagerato... Ho solamente descritto una fatto che, nella sostanza, è veramente accaduto.
 

HOTWIRELESS

d'ya think i'm stupid?
Ti ringrazio molto, i complimenti disinteressati, come mi sembra di aver già detto, fanno piacere sotto qualsiasi latitudine e a qualsiasi età...anzi penso anche che allunghino la vita! Però forse hai un po' esagerato... Ho solamente descritto una fatto che, nella sostanza, è veramente accaduto.

il solito modesto ... accaduto o no, una mera descrizione avrebbe richiesto due tre righe.
:wink:
tutto il resto sono considerazioni sui pensieri e comportamenti dei personaggi, che pur deducibili in parte dai fatti, si basano sull'esperienza nella conoscenza della mentalità umana, della psicologia dei singoli tipi, ma anche calata nelle tradizioni locali e dei tempi in causa.
per il resto, periodi come l'ultimo che qui sotto riporto, riferentisi ad un incontro a quattr'occhi, sono totalmente immaginati, sempre che tu non sia Giovanni o Gualtiero.
:BLABLA
i ricordi, disse Giovanni, quel lunedì della fiera dell’anno scorso quando siamo andati al cinema? Gualtiero si sentì improvvisamente investito da vampe di calore, da brividi di freddo, gli apparvero davanti agli occhi fantasmi che pensava di aver definitivamente scacciato… cos’altro ancora?... S-sì rispose… Bene, quei due ceffoni te li ho rifilati io. E’ una settimana che vado raccontandolo al circolo. Ora è giusto che anche tu lo sappia, gli disse sorridendo.

Gualtiero, alla rivelazione dell’amico, rimase “basito”, di sasso; e non riuscì a spiccicar parola.


:ad:
 

HOTWIRELESS

d'ya think i'm stupid?
ps
ah, ho già detto che lo stesso penso dell'amica Bou?
In lei distinguo, rispetto a Grant (Gary ? :? ) , un certo gusto a romanzare maggiormente le vicende ma in maniera velata, facendosene accorgere poco. una tendenza al giallo, una ricerca sotterranea di un velo di mistero, un possibile zampino del diavolo, ...
:mrgreen:

:wink:
 

Orazio

Member
Cala la notte,
su di noi,sulle nostre vite,
logore,
su teneri momenti,lontani.

Si spegne la fiamma,
che il bimbo osservava
perduto ogni frammento
d'umana coscienza

solo la cenere resta.
 

Orazio

Member
Cosa è rimasto del giorno?
Delle corse affannate e lunghe risate,
del fumo dai camini,
delle note portate dal vento,
di estati accese,
di mari d'oro e d'argento,
delle battaglie perdute e di quelle vinte,
dei dibattiti sull'infinito e sul tempo,
delle tue mani nelle mie,
delle parole sussurrate e di quelle mai dette,
degli errori taciuti e dei grandi dispiaceri,
delle frasi incompiute
ora che la notte si fa fredda,
e la nostra tenera coperta è svanita nelle incertezze,
nelle distanze,
nella cieca cupa ragione,
che non vide mai il chiarore del mattino.

 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
La mia carriera di assassino.


Nonostante mia madre risolvesse sempre tutto un giorno il mio cane Ben smise di correre.

Mi portò in giardino e mi fece vedere Ben disteso dentro una cassetta di legno. Duro, di un duro che non dimenticherò mai. E freddo, di un freddo che non aveva nulla a che vedere con il contrario del caldo. Ricordo una gran confusione in testa, e il fatto che mia madre fosse disperata e il fatto che Ben non sembrasse intenzionato a tornare a correre mi precipitarono in uno sconosciuto vuoto universale. Mi arrabbiai con mia madre, perché se ne stava lì a piangere senza fare niente. Credevo che Ben fosse rotto o qualcosa del genere e mia madre mi confermò che in effetti era come rotto, ma rotto per sempre, il che equivaleva a dire morto.

Mi spiegò che quando uno muore è come se si rompesse per sempre.

« Anche tu un giorno ti romperai per sempre? ». Le chiesi.

In cuor mio ero convinto che una cosa del genere non fosse possibile e invece mia madre non aveva nessuna risposta da darmi e Ben era rotto e con tutta probabilità anche lei, prima o poi, si sarebbe rotta. Nessuno mi aveva preparato a quella follia e sentivo il sale delle lacrime in bocca, lacrime che venivano da chissà dove.
Corsi fuori lungo i campi immersi nella rugiada del primo mattino. Faceva freddo, anche se era estate.
Mi fermai solo quando quell'uomo si parò davanti a me.

« Non ti preoccupare ». Mi disse con tono sereno.

E smisi di preoccuparmi, perché i suoi occhi erano freddi e tranquilli, al contrario di quelli di mia madre che erano come palle perse nel vuoto. Ero proprio arrabbiato con lei. Ascoltai quell'uomo che mi portò dietro una siepe dicendo di avere i rimedi ai mali del mondo. Finito il rimedio disse che mia madre era cattiva, non aveva aggiustato Ben. Tutte le donne erano cattive, bisognava stare con gli uomini per il resto dei giorni.

Mia madre meritava di morire. Tutte le donne lo meritavano. Avevo capito che piangevano e non risolvevano mai niente, non meritavano il mio amore.
 
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Grantenca

Well-known member
La mia carriera di assassino.


Mia madre risolveva sempre tutto, ma un giorno il mio cane Ben smise di correre.

Mi portò in giardino e mi fece vedere Ben disteso dentro una cassetta di legno. Duro, di un duro che non dimenticherò mai. E freddo, di un freddo che non aveva nulla a che vedere con il contrario del caldo. Ricordo una gran confusione in testa, e il fatto che mia madre fosse disperata e il fatto che Ben non sembrasse intenzionato a tornare a correre mi precipitarono in uno sconosciuto vuoto universale. Mi arrabbiai con mia madre, perché se ne stava lì a piangere senza fare niente. Credevo che Ben fosse rotto o qualcosa del genere e mia madre mi confermò che in effetti era come rotto, ma rotto per sempre, il che equivaleva a dire morto.

Mi spiegò che quando uno muore è come se si rompesse per sempre.

« Anche tu un giorno ti romperai per sempre? ». Le chiesi.
In cuor mio ero convinto che una cosa del genere non fosse possibile e invece mia madre non aveva nessuna risposta da darmi e Ben era rotto e con tutta probabilità anche lei, prima o poi, si sarebbe rotta. Nessuno mi aveva preparato a quella follia e sentivo il sale delle lacrime in bocca, lacrime che venivano da chissà dove.
Corsi fuori lungo i campi immersi nella rugiada del primo mattino e faceva freddo, anche se era estate.
Mi fermai solo quando quell'uomo si parò davanti a me.

« Non ti preoccupare ». Mi disse con tono sereno.

E smisi di preoccuparmi, perché i suoi occhi erano freddi e tranquilli, al contrario di quelli di mia madre che erano come palle perse nel vuoto. Ero proprio arrabbiato con lei. Ascoltai quell'uomo che mi portò dietro una siepe e disse di avere i rimedi ai mali del mondo. Finito il rimedio disse che mia madre era cattiva, non aveva aggiustato Ben. Tutte le donne erano cattive, bisognava stare con gli uomini per il resto dei giorni.

Mia madre meritava di morire. Tutte le donne lo meritavano. Avevo capito che piangevano e non risolvevano mai niente, non meritavano il mio amore.

molto BELLO, hai fatto progressi enormi, stai trovando la tua strada!
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
molto BELLO, hai fatto progressi enormi, stai trovando la tua strada!


Grazie D., sei molto gentile.

Non so se ho trovato la mia strada, ma di certo l'ho capita. Che è già qualcosa. Quando mi metto a scrivere escono in automatico deliri, scorticamenti e tristezze. Non so se è quello che davvero vorrei raccontare, ma so che è quello che mi viene naturale.

Ritenkiù.
 

HOTWIRELESS

d'ya think i'm stupid?
La mia carriera di assassino.


Nonostante mia madre risolvesse sempre tutto un giorno il mio cane Ben smise di correre.

Mi portò in giardino e mi fece vedere Ben disteso dentro una cassetta di legno. Duro, di un duro che non dimenticherò mai. E freddo, di un freddo che non aveva nulla a che vedere con il contrario del caldo. Ricordo una gran confusione in testa, e il fatto che mia madre fosse disperata e il fatto che Ben non sembrasse intenzionato a tornare a correre mi precipitarono in uno sconosciuto vuoto universale. Mi arrabbiai con mia madre, perché se ne stava lì a piangere senza fare niente. Credevo che Ben fosse rotto o qualcosa del genere e mia madre mi confermò che in effetti era come rotto, ma rotto per sempre, il che equivaleva a dire morto.

Mi spiegò che quando uno muore è come se si rompesse per sempre.

« Anche tu un giorno ti romperai per sempre? ». Le chiesi.

In cuor mio ero convinto che una cosa del genere non fosse possibile e invece mia madre non aveva nessuna risposta da darmi e Ben era rotto e con tutta probabilità anche lei, prima o poi, si sarebbe rotta. Nessuno mi aveva preparato a quella follia e sentivo il sale delle lacrime in bocca, lacrime che venivano da chissà dove.
Corsi fuori lungo i campi immersi nella rugiada del primo mattino. Faceva freddo, anche se era estate.
Mi fermai solo quando quell'uomo si parò davanti a me.

« Non ti preoccupare ». Mi disse con tono sereno.

E smisi di preoccuparmi, perché i suoi occhi erano freddi e tranquilli, al contrario di quelli di mia madre che erano come palle perse nel vuoto. Ero proprio arrabbiato con lei. Ascoltai quell'uomo che mi portò dietro una siepe dicendo di avere i rimedi ai mali del mondo. Finito il rimedio disse che mia madre era cattiva, non aveva aggiustato Ben. Tutte le donne erano cattive, bisognava stare con gli uomini per il resto dei giorni.

Mia madre meritava di morire. Tutte le donne lo meritavano. Avevo capito che piangevano e non risolvevano mai niente, non meritavano il mio amore.

bravo Zig :ad:
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Ziggy se ricordo bene è un passaggio del tuo romanzo. L'hai rieditato?


Grazie vekkio Mal. Ti ringrazio perché se lo hai ricordato significa che mi hai letto con molta attenzione. Io non ricordo nemmeno i passaggi dei romanzi che ho amato di più.

Si, è un passaggio.

Ho rieditato completamente il romanzo sulla base di alcuni consigli di una scrittrice abbastanza famosa. Mi ha dato qualche suggerimento sul senso da dare alla storia e ora pare funzioni di più.

Forse qualcosa si muove, ma lo dico sottovoce...
 

Orazio

Member
Hai presente quando pensi "è un mondo di merda"
poi arriva un pensiero,una persona che prova a farti tirare un sospiro di sollievo..che infondo la puoi tirare giù tanta merda.
ecco meglio non pensarci a quel pensiero,a quella persona e restare concentrato sul pensiero a cui sei arrivato nel tempo.
 
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