Boll, Heinrich - Opinioni di un clown

Jessamine

Well-known member
Beh, devo dire che non mi aspettavo questo genere di libro, quando ho deciso di leggerlo.
Non so per quale strano motivo, davvero, ma mi aspettavo qualcosa di completamente diverso.
E la sorpresa è stata decisamente positiva.
Credo sia uno dei libri che più mi hanno emozionata negli ultimi sei mesi.
Qui c'è l'essenza del clown portata in prosa: Hans è un personaggio profondamente malinconico, addolorato, sensibile ad ogni elemento della vita, ma al tempo stesso riesce a portare in luce con un'ironia amara le sue più pungenti osservazioni. E' un attentissimo osservatore, della società e dell'animo umano, circondato dall'alone di arguta malinconia tipica di un clown.
Il suo profondo e incondizionato amore per Maria, la sua dedizione amara verso questa figura che nella sua mente viene quasi elevata ad icona, elemento ideale, quasi una donna angelicata (pur con connotati molto moderni), mi ha commossa nel profondo. Non so, forse tra me è Hans c'è una qualche affinità, mi sono riconosciuta in alcuni suoi aspetti, quindi in molti passaggi questo romanzo è stato un po' una stilettata.
Argutissima la polemica contro la società del tempo (l'ipocrisia cattolica, il clima del dopoguerra in una Germania che cerca di lasciarsi alle spalle l'esperienza del nazismo), un ritratto fedele e non mediato da maschere e pose sociali. Mi ha particolarmente colpito il momento in cui Hans ricorda di aver incontrato nel Comitato di sua madre il suo vecchio maestro, intento a parlare con un anziano rabbino, e a chiedere perdono per gli errori commessi durante la guerra. Eppure Hans ricorda benissimo che, fino a pochi giorni dalla fine della guerra, egli incitasse i ragazzini a sparare senza esitazione ad ogni ebreo. Mi ha colpito veramente molto una frase (purtroppo non posso citare testualmente, perché ho già restituito il libro alla biblioteca) in cui Hans/Boll afferma che è facile perdonare il generale, ma sono i particolari, gli sguardi, gli atteggiamenti ad essere impossibili da perdonare.
Ecco, trovo che questo romanzo sia una piccola perla, un perfetto intreccio di ironia e malinconia, qualcosa a cui mi è stato impossibile resistere.
In molti passaggi mi sono ritrovata con gli occhi lucidi, nella dolcezza con la quale il protagonista si trova a dover fare i conti col suo carattere, con una vita che non può fare a meno di colpirlo nel profondo, di segnarlo.
Un libro a mio parere straordinario, sotto ogni punto di vista, che sono certa non potrò fare a meno di rileggere.
 

bouvard

Well-known member
Leggendo un libro il lettore si aspetta, anzi pretende, di trovarvi idee, descrizioni, personaggi capaci di sorprenderlo. Ed anche quando concede all'Autore la possibilità di raccontare "sentimenti", situazioni a lui già note, pretende comunque che questi lo faccia con un proprio stile personale, o un linguaggio innovativo, o da un punto di vista del tutto inaspettato. La prima opportunità per l'Autore di sorprendere e depistare il lettore è il titolo del libro. Opinioni di un clown. Sentendo questo titolo si possono azzardare mille ipotesi su cosa si leggerà aprendo il libro, ma dubito che qualcuno abbia mai indovinato.
Il libro incastra una storia "personale" in più ampie e complesse vicende familiari e storiche. La storia personale è la storia dell'amore finito tra Hans, il clown, e Maria, con tutto il dolore che ne consegue, l'incapacità da parte di Hans di accettare questa fine, anzi la sua ferrea volontà a non accettarla. Volontà che si manifesta, ad esempio, negli elenchi ripetitivi, quasi ossessivi, che egli fa di tutte le cose che Maria non potrà più fare con il suo nuovo compagno a meno di commettere, cosa che la sua coscienza cattolica non gli permetterebbe mai di fare, "adulterio" nei suoi confronti.
Se nel raccontarci del suo amore finito, Hans è ripetitivo, nel descriverci la sua famiglia è, invece, spietato. D'altronde come non essere spietati con una donna come la madre, a cui si fa davvero fatica a dare questo nome. Infatti quale madre sarebbe mai capace di rimanere impassibile di fronte alla notizia della morte della giovanissima figlia? Quale madre riuscirebbe tranquillamente a guardare gli oggetti usati o appartenuti alla figlia morta senza avere neppure un pensiero per questa? Eppure la signora Schnier ci riesce.
Ma il carattere che più colpisce nella narrazione di Boll è la sua ironia, usata sia nella descrizione di una famiglia ricca in cui però i bambini non mangiano mai abbastanza ed hanno come sogno quello di mangiare in abbondanza non dolciumi o leccornie superflue, ma patate, sia per descrivere l'ipocrisia e la superficialità del mondo cattolico tedesco, ma ancor di più Boll usa l'ironia per raccontarci di quella sorte di "candeggio" che molti tedeschi hanno fatto alla fine della guerra per lavarsi di dosso le colpe di condiscendenza avute nei confronti del nazismo. La condanna di Boll è per la signora Schnier ed il signor Kalick, ma anche per tutti quei tedeschi che hanno pensato che bastasse cambiare "abito", come i serpenti che al cambio di stagione cambiano pelle, per liberarsi delle proprie responsabilità. Libro molto bello, capace di sorprendere e appagare il lettore.
 
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Grantenca

Well-known member
che dire di questo libro, che ho appena terminato, oltre a quanto già espresso nel "blog"? . Certo c'è una forte critica verso la società cattolica del tempo, ma soprattutto una spietata denuncia verso la ricca borghesia tedesca del dopoguerra che vuole dimenticare gli orrori del conflitto mondiale e che lo scrittore identifica con la sua famiglia. La totale assenza di rapporti umani con la madre, con il padre, e in un certo senso anche con il fratello. L'unico rapporto umano è con il ricordo della sorella scomparsa che le convenzioni e il perbenismo della famiglia hanno condannato ad una fine prematura. Il protagonista vive in un mondo tutto suo, con il pensiero libero da pregiudizi e non accetta alcun compromesso né morale né materiale. Il suo amore per Maria è totalizzante, quasi una vita in simbiosi ed egli all'atto della perdita dell'amata, che molto probabilmente non può accettare indefinitamente un rapporto con un uomo sempre ai confini delle convenzioni della società, al di là delle problematiche religiose, non riesce ad accettare il distacco. Si emargina sempre di più e accetta la più greve miseria materiale per non rinunciare alle sue convinzioni e al suo orgoglio, comportamento che dal suo punto di vista può apparire quasi eroico, ma che, a mio avviso, non esclude, tra le righe, una speranza, non si intravvede come, di riscatto. (altrimenti ci sarebbe il suicidio).
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Scusatemi se la mia non sarà una vera e propria recensione ma più un confronto tra me e il protagonista del romanzo, tanto per la trama e i commenti potete leggere quelle precedenti :wink:.

Malinconia, mal di testa, indolenza, odori per telefono, monogamia... condivido 3 su 5 di queste caratteristiche del protagonista, diciamo anche 3 e mezzo, visto che per gli odori ho naso, ma solo dal vivo, subito li capto e riconosco :wink:. Il mal di testa per fortuna ce l'ho di rado (anche se poi è sempre fortissimo).
I canti di chiesa li ricordo ancora dal catechismo e ogni tanto canticchio pure io quelli che preferivo, non mi sembra una cosa blasfema, pur non praticando più :boh: Chiesa di mattoni no, chiesa di persone sì - Acqua siamo noi... - Fratello sole, sorella luna...
Per chi è curioso come me posto il link per scoprire che gioco è il Mensch ärgere dich nicht (lo conosco ma non ci ho mai giocato)
Non t'arrabbiare - Wikipedia

-Io penso che i vivi sono morti e i morti sono vivi, ma non come lo intendono i cristiani e i cattolici.

- I cattolici mi rendono nervoso perché sono sleali
E i protestanti?
Quelli mi fanno star male con quel loro pasticciare intorno alla coscienza
E gli atei?
Quelli mi annoiano perché parlano sempre di Dio


-In ogni grande stazione arrivano ogni mattina migliaia di persone che lavorano in città e ne partono migliaia che lavorano fuori. Perchè tutta questa gente non si scambia semplicemente il posto di lavoro? L'ho sempre pensato anche io :SISI

-Talvolta non so bene se è vero quello che ho sentito in maniera tangibilmente realistica o quello che invece vivo veramente.
Questo mi succede spesso :paura: :mrgreen:.

-I momenti della vita non si possono ripetere e neppure si possono dividere con gli altri...Vi sono attimi che hanno il valore di un rituale e che racchiudono in sè il senso della ripetizione...Tanto diaboliche possono essere le conseguenze del sentimentalismo. Gli attimi bisognerebbe lasciarli così come si sono vissuti, mai tentare di ripeterli, di riviverli...
Io purtroppo -pur rendendomene conto- ci provo spesso, restandone poi ovviamente delusa...

-Per quanto strano possa sembrare, io voglio bene alla specie a cui io stesso appartengo: agli esseri umani
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Bonn, 1962. Hans Schnier torna nel suo appartamento dopo un viaggio di lavoro che rischia di segnare la fine della sua carriera: è salito sul palco ubriaco ed è scivolato durante un numero ed ora ha all’attivo un bel ginocchio gonfio, un’umiliazione cocente e un solo marco in tasca. Hans è un clown – “definizione ufficiale: attore comico, non iscritto nei registri di nessuna Chiesa” -; ha una forte tendenza alla malinconia ed al vittimismo ed è da sempre la pecora nera della sua precisissima e impeccabile famiglia perché non fa mai mistero delle proprie opinioni. Proprio di queste opinioni è, infatti, imperniato l’intero libro – che racconta una vicenda che si svolge in un arco temporale di poche ore, ma che è frutto di anni di rabbia repressa, ingiustizie, rancore, senso di colpa. Senso di colpa ed abbandono, soprattutto, sono i sentimenti dominanti nelle ore che passiamo nell’appartamento di Hans, tra telefonate deliranti, ricordi, accuse a tutto e tutti ma soprattutto alla Chiesa cattolica, alla famiglia, ai prelati, ai falsi amici, a Maria. Sì, a Maria, perché Maria ha lasciato Hans, e da quando lei non c’è più tutto va a rotoli e lui non ha più pace. E da qui le invettive contro la Chiesa che gliel’ha portata via, contro il matrimonio che è solo un pezzo di carta che non serve a nulla, contro quelli che con sermoni e “principi dell’ordine” l’hanno ingabbiata nelle loro regole e nelle convenzioni sociali e l’hanno convinta che lui non andava bene per lei.
Fra il rancore e l’amarezza, il bisogno di soldi e di affetto, Hans ripercorre in un delirio di pensieri e azioni la sua vita, la sua storia con Maria, il suo essere miscredente, gli attriti con la madre, il suo lavoro. Così facendo ci regala una descrizione approfondita ed una critica forte ed estremamente lucida di un Paese, la Germania, che si affanna rialzandosi, ricostruendosi un futuro negando aprioristicamente il passato, affondando l’anima in credo e valori con radici corrotte e marce che finiscono per essere solo una facciata, come un bel manifesto insozzato dai bisogni di un cane. Una lettura interessante e profonda, un libro da leggere e rileggere e, senza dubbio, su cui riflettere.
 
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