Buzzati, Dino - Il deserto dei tartari

mariangela rossi

New member
Non so se "fiabesca" sia il termine giusto. A me fa quest'impressione. Prendo alcune frasi dal primo capitolo:

“ Drogo pensava a come potesse essere la Fortezza Bastiani, ma non riusciva a immaginarla. Non sapeva neppure esattamente dove si trovasse, né quanta strada ci fosse da fare. Alcuni gli avevano detto una giornata di cavallo, altri meno, nessuno di coloro a cui aveva chiesto c’era in verità mai stato. […]
A un carrettiere Giovanni domandò quanto tempo ci fosse per arrivare alla Fortezza.
“La fortezza?” rispose l’uomo “quale fortezza?”
“La Fortezza Bastiani” disse Drogo.
“Da queste parti non ci sono fortezze” fece il carrettiere. “Non l’ho mai sentito dire.”
[…]
Guardateli, Giovanni Drogo e il suo cavallo, come sono piccoli sul fianco delle montagne che si fanno sempre più grandi e selvagge. […] Tutto il vallone era già zeppo di tenebre violette, solo le nude creste erbose, a incredibile altezza, erano illuminate dal sole quando Drogo si trovò improvvisamente davanti, nera e gigantesca contro il purissimo cielo della sera, una costruzione militaresca che sembrava antica e deserta. Giovanni si sentì battere il cuore poiché quella doveva essere la Fortezza, ma tutto, dalle mura al paesaggio, traspirava un’aria inospitale e sinistra.
Girò attorno senza trovare l’ingresso. Benché fosse già scuro nessuna finestra era accesa, né si scorgevano lumi di scolte sul ciglio dei muraglioni. Solo un pipistrello c’era, che oscillava contro una nube bianca. Finalmente Drogo provò a chiamare: “Ohilà!” gridò “C’è nessuno?”.
Dall’ombra accumulata ai piedi delle mura sorse allora un uomo, un tipo di vagabondo e di povero, con una barba grigia e un piccolo sacco in mano. Nella penombra però non si distingueva bene, solo il bianco dei suoi occhi dava riflessi. Drogo lo guardò con riconoscenza. “Di chi cerchi, signore?” domandò.
“La Fortezza cerco. E’ questa?”
“Non c’è più fortezza qui” fece lo sconosciuto con voce bonaria. “E’ tutto chiuso, saranno dieci anni che non c’è nessuno.” “E dov’è la Fortezza allora?” chiese Drogo, improvvisamente irritato contro quell’uomo.
“Che Fortezza? Forse quella?” e così dicendo lo sconosciuto tendeva un braccio, ad indicare qualcosa. In uno spiraglio delle vicine rupi, già ricoperte di buio, dietro una caotica scalinata di creste, a una lontananza incalcolabile, immerso ancora nel rosso sole del tramonto, come uscito da un incantesimo, Giovanni Drogo vide allora un nudo colle e sul ciglio di esso una striscia regolare e geometrica, di uno speciale colore giallastro: il profilo della Fortezza. Oh, quanto lontana ancora. Chissà quante ore di strada, e il suo cavallo era già sfinito. Drogo la fissava affascinato, si domandava che cosa ci potesse essere di desiderabile in quella solitaria bicocca, quasi inaccessibile, così separata dal mondo. Quali segreti nascondeva? Ma erano gli ultimi istanti. Già l’ultimo sole si staccava lentamente dal remoto colle e su per i gialli bastioni irrompevano le livide folate della notte sopraggiungente

Questo senso di indeterminatezza su tutto ciò che riguarda il forte, la sua apparente inaccessibilità, l'appello al lettore, il vagabondo che sorge dall'ombra, la stessa parola incantesimo sono tutte cose che mi fanno pensare a una favola.
Certo solo per quanto riguarda l'atmosfera. Il libro nell'insieme è serio, profondo, e affronta un grande tema.

Sai ho letto il libro molto tempo fa, certo rileggendo questi brevi e comunque introduttivi passaggi forse hai proprio ragione, potremmo parlare anche di atmosfera fiabesca...
 

Masetto

New member
Beh, magari è l'occasione buona per rileggerlo. Ma io ti consiglierei piuttosto qualche racconto :)
 

Mizar

Alfaheimr
Naturlich. Ma il fatto che molti, anche tra i critici, abbiano trovato il romanzo efficace e coinvolgente significa perlomeno che non è tanto male. Non ti pare?
Ma il romanzo non è una ciofeca :mrgreen:. Come hai giustamente scritto alcune 'parti' si salvano. E' nel complesso che non ingrana, non funziona (per me).


Qui il discorso si fa interessante secondo me; andiamo a toccare proprio i “gusti” e la cosa non è facile.
In questo romanzo Buzzati adotta uno stile semplice e sfrutta ampiamente i “ferri del mestiere” perché vuol creare un’atmosfera in certa misura “fiabesca”, come in molti dei suoi racconti.
Siamo sulla stessa linea; perfetto. Mi spiego così: secondo me quella atmosfera che felicemente è resa e rende nei racconti, qui non è intercettata, non si trova. Si nota che l'autore è a disagio (non so quanto consapevole) con il genere. Non lo riesce a gestire, sembra.

Tu dici che qui ha esagerato, che il suo gioco è troppo scoperto, “artificioso”. In parte sono d’accordo, tanto che non ho voglia di rileggerlo..
Esattamente...

Ci sono capitoli lenti, altri dove lo stile non ha alcun sussulto e a Buzzati pare importi solo della trama (la visita di Drogo alla sua vecchia fiamma). La prosa non è scintillante d’ironia come in Lolita, non c’è la “polifonia” dei Promessi Sposi, né la straordinaria inventiva di Gulliver. Insomma, non è un capolavoro.
Però la gran parte dei particolari, anche se non eccezionale, è comunque intonata all’atmosfera generale, e soprattutto ci sono delle parti assai belle. Quando Drogo e un altro ufficiale, emozionatissimi, scorgono nel deserto vaghi indizi della presenza del nemico mi pare che Buzzati riesca a renderci partecipi delle loro speranze ed illusioni, a far emergere dai soli fatti, con ironia potente e amara, tutta la loro fragilità umana, il loro nascondere dietro sogni di gloria la paura di affrontare la vita vera. O quando un altro ufficiale muore in una missione la cosa ci tocca, perché è stato capace, contrariamente a Drogo, di prendere risolutamente in mano il suo destino.
In genere la storia di Drogo scende in profondità nel cuore umano, perché svela quel malinconico e incessante lavorio con cui la nostra coscienza cerca di trovare un senso alla vita o, in questo caso, ammanta con dei pretesti le nostre incapacità. Così direi che questo romanzo, almeno alla prima lettura, emoziona, e fa riflettere.
D'accordo su tutto. Tranne per le parti in cui parli di profondità o di emozioni. Proprio perchè è ai miei occhi visibile l'architettura malamente mascherata (con relativo effetto banalizzante e camuffante) il tutto non mi coinvolge e non ritengo le sue riflessioni particolarmente profonde.

Veramente nel romanzo non c’è il nome della città. Non è detto che sia Praga. Nulla vieta che sia, per esempio, proprio una città della Boemia meridionale.
Attenzione. Nemmeno io ho parlato di Praga. La sua non banalità sta proprio in questo non liquet.

Né sono troppo convinto che scrivendo un romanzo così onirico Kafka avesse l’occhio a cose come “la differenza di retaggio del diritto romano tra Alta e Bassa Boemia”.
Invece pare che sia proprio così. Kafka era a conoscenza di tali problematiche.

Ma io volevo dire che non si può giudicare la scelta dell’ambientazione di un’opera da sola, perché è un elemento legato a tutto il resto: così facendo quasi tutte le “location” apparirebbero banali. Cappuccetto Rosso, come una miriade di altre fiabe, si svolge in un bosco: è un difetto questo? E’ l’insieme che va giudicato, il come l’autore riesce a rendere interessante quello scenario. Perciò ti ho chiesto di fare qualche esempio, di citare i difetti di costruzione del romanzo.
E’ banale ambientare una storia di solitudine ed alienazione in un deserto? No, se l’autore è riuscito a rendere questi sentimenti anche attraverso tale ambientazione.
Infatti a questo mi riferivo. Il difetto, se c'è, è in questo. Nella resa.
La scelta di una manniana montagna non appare banale, nè del bosco di Cappuccetto. Perchè v'è coerenza.
Il problema buzzatoso è che i personaggi paiono pezzi di collage posticciamente posti su uno sfondo appositamente messo lì. Lo stile sembra appositamente semplice o semplicistico. Il ritmo appositamente ... desertico. Il tutto pare un appositamente. Il tutto così, è un pò un romanzo costruito male.
Quando scrivi:
E’ banale ambientare una storia di solitudine ed alienazione in un deserto? No, se l’autore è riuscito a rendere questi sentimenti anche attraverso tale ambientazione
centri il probema: l'autore, per me, non riesce affatto a "rendere questi sentimenti".
 

Masetto

New member
Beh dai, vedo che tutto sommato non la pensiamo così diversamente :)

Proprio perchè è ai miei occhi visibile l'architettura malamente mascherata (con relativo effetto banalizzante e camuffante) il tutto non mi coinvolge e non ritengo le sue riflessioni particolarmente profonde.
Sì, se uno sente "artificiale" un'opera è normale che non gli piaccia.



Kafka era a conoscenza di tali problematiche.
D'accordo, ma non mi convince l'idea che Il Processo sia un libro che vuol parlare (anche) di storia del diritto. Al limite ne possiamo parlare nel topic relativo, qui siamo già OT :mrgreen:



Il problema buzzatoso è che i personaggi paiono pezzi di collage posticciamente posti su uno sfondo appositamente messo lì. Lo stile sembra appositamente semplice o semplicistico. Il ritmo appositamente ... desertico. Il tutto pare un appositamente.
Che dire... tu avverti maggiormente di tanti altri il "mestiere", l' "artificiosità" se vogliamo, che sta dietro il Deserto. Sicchè una frase come

" a una lontananza incalcolabile, immerso ancora nel rosso sole del tramonto, come uscito da un incantesimo, Giovanni Drogo vide allora un nudo colle e sul ciglio di esso una striscia regolare e geometrica, di uno speciale colore giallastro: il profilo della Fortezza. Oh, quanto lontana ancora. Chissà quante ore di strada, e il suo cavallo era già sfinito. Drogo la fissava affascinato, si domandava che cosa ci potesse essere di desiderabile in quella solitaria bicocca, quasi inaccessibile, così separata dal mondo "

non arriva a coinvolgerti; non ti lasci trasportare nel suo mondo "fatato". E' un po' come col castello di Neuschwanstein :) . Sei troppo "smaliziato" o troppo "freddo"? Troppo avanti o troppo indietro rispetto a questo libro? O è questione, semplicemente, di gusti?
Non so. Altro da aggiungere su quest'opera, al momento, non l'ho. Magari in futuro, se trovo o mi viene in mente qualcosa d'interessante :cool:
 

Mizar

Alfaheimr
D'accordo, ma non mi convince l'idea che Il Processo sia un libro che vuol parlare (anche) di storia del diritto.
Su questo sono infaticabilmete d'accordo. Parlavo della non-banalità rispetto a Buzzati.


Che dire... tu avverti maggiormente di tanti altri il "mestiere", l' "artificiosità" se vogliamo, che sta dietro il Deserto. Sicchè una frase come

" a una lontananza incalcolabile, immerso ancora nel rosso sole del tramonto, come uscito da un incantesimo, Giovanni Drogo vide allora un nudo colle e sul ciglio di esso una striscia regolare e geometrica, di uno speciale colore giallastro: il profilo della Fortezza. Oh, quanto lontana ancora. Chissà quante ore di strada, e il suo cavallo era già sfinito. Drogo la fissava affascinato, si domandava che cosa ci potesse essere di desiderabile in quella solitaria bicocca, quasi inaccessibile, così separata dal mondo "
non arriva a coinvolgerti;
No Masetto, no...
Se penso a quel ridicolo "come uscito da un incantesimo"; a quell'ammiccante "nudo colle" o "così separata dal mondo"; a quel falsamente infantile e bonariamente semplicistico "si domandava che cosa ci potesse essere di desiderabile ..." direi proprio che non ci siamo.Almno per i miei gusti.

non ti lasci trasportare nel suo mondo "fatato". E' un po' come col castello di Neuschwanstein :) . Sei troppo "smaliziato" o troppo "freddo"? Troppo avanti o troppo indietro rispetto a questo libro? O è questione, semplicemente, di gusti?
Non ne ho idea. So solo che se ne può fare a meno.

Un piacere parlare con te !
 

Masetto

New member
Su questo sono infaticabilmete d'accordo
“infaticabilmente d’accordo”… :? :? :? ... sei un novatore del linguaggio? :)



Se penso a quel ridicolo "come uscito da un incantesimo"; a quell'ammiccante "nudo colle" o "così separata dal mondo"; a quel falsamente infantile e bonariamente semplicistico "si domandava che cosa ci potesse essere di desiderabile ..." direi proprio che non ci siamo. Almeno per i miei gusti.
Per me sei troppo severo. come uscito da un incantesimo sarà magari scontato, ma non tanto da essere ridicolo secondo me. Dici bene che ci sono gli ammiccamenti, il “falso infantile”, il bonario, ma servono a creare l’atmosfera fiabesca. Io non trovo che Buzzati in questo passo abbia esagerato, ma che anzi sappia mantenere la misura, perché i tocchi di “favoloso” sono come bilanciati dalla semplicità della vicenda e del dettato e da notazioni più prosaiche (il colore grigiastro della fortezza, il cavallo sfinito), che gli impediscono di scivolare nel puro fantasy. Così, anche se quasi ogni frase, presa da sola, ha un che di artefatto, l’insieme a me pare piacevole, suggestivo. Come un quadro con tante sfumature delicate.
Buzzati qui gioca con la letteratura per cercare di avvincerci sottilmente. Senza cercare di ingannarci, perchè gioca a carte scoperte. Personalmente i mezzi che usa non mi infastidiscono troppo, so che non è vera e propria arte ma non mi sembrano nemmeno così bugiardi o stonati, e mi lascio cullare da

Chissà quante ore di strada, e il suo cavallo era già sfinito

Ma so di non averti convinto :) .
D’altra parte, anche nei Racconti Buzzati fa ampio uso di questi stratagemmi: perché lì invece glieli “perdoni”?



So solo che se ne può fare a meno.
Sì; ci mancherebbe altro :cool:
 

Mizar

Alfaheimr
“infaticabilmente d’accordo”… :? :? :? ... sei un novatore del linguaggio? :)




Per me sei troppo severo. come uscito da un incantesimo sarà magari scontato, ma non tanto da essere ridicolo secondo me. Dici bene che ci sono gli ammiccamenti, il “falso infantile”, il bonario, ma servono a creare l’atmosfera fiabesca. Io non trovo che Buzzati in questo passo abbia esagerato, ma che anzi sappia mantenere la misura, perché i tocchi di “favoloso” sono come bilanciati dalla semplicità della vicenda e del dettato e da notazioni più prosaiche (il colore grigiastro della fortezza, il cavallo sfinito), che gli impediscono di scivolare nel puro fantasy. Così, anche se quasi ogni frase, presa da sola, ha un che di artefatto, l’insieme a me pare piacevole, suggestivo. Come un quadro con tante sfumature delicate.
Buzzati qui gioca con la letteratura per cercare di avvincerci sottilmente. Senza cercare di ingannarci, perchè gioca a carte scoperte. Personalmente i mezzi che usa non mi infastidiscono troppo, so che non è vera e propria arte ma non mi sembrano nemmeno così bugiardi o stonati, e mi lascio cullare da

Chissà quante ore di strada, e il suo cavallo era già sfinito

Ma so di non averti convinto :) .
D’altra parte, anche nei Racconti Buzzati fa ampio uso di questi stratagemmi: perché lì invece glieli “perdoni”?
Prima di tutto nei racconti non è artificioso e 'falso' come nel deserto.
Di poi il racconto è genere diverso: le scelte stilistiche devono (o dovrebbero) essere altrettanto diverse. Non è consigliabile scrivere romanzi utilizzando tecniche da racconto (quindi tipiche di un opera in cui concetti ed idee sono veicolati e trasmessi inevitabilmente altri modi)
 

Apart

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Bellissimo libro. E' la descrizione impietosa dell'attesa, e della delusione, per qualcosa che sarebbe dovuto arrivare ma che non arriverà mai, se non troppo tardi, quando il tenente Giovanni Drogo sarà diventato ormai vecchio per affrontarla. E' un'attesa contestualizzata nel nulla: il luogo è inutile, il tempo è immobile. La morte, quando arriverà, sarà dunque consolazione e liberazione. Affascinanti alcune descrizioni che fa lo scrittore sul luogo e sul tempo.
 
Ultima modifica:

Masetto

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nei racconti non è artificioso e 'falso' come nel deserto.
Mah, dipende; a me pare che spesso lo sia. Penso per esempio a Racconto di Natale

Di poi il racconto è genere diverso: le scelte stilistiche devono (o dovrebbero) essere altrettanto diverse. Non è consigliabile scrivere romanzi utilizzando tecniche da racconto
Però ci sono anche tecniche buone sia per l'uno che per l'altro. Bisognerebbe vedere più nel dettaglio quali di esse Buzzati utilizza ed in che modi in entrambi i contesti. Ma anche qui, per proseguire il discorso, dovremmo spostarci di topic.
 

Mizar

Alfaheimr
Mah, dipende; a me pare che spesso lo sia. Penso per esempio a Racconto di Natale
Non l'ho letto ma ti credo sulla parola :mrgreen:

Però ci sono anche tecniche buone sia per l'uno che per l'altro.
Ma questo è ovvio. Io scrivvo piuttosto che non tutte - o non la maggior parte - delle 'tecniche' è utilizzabile indifferetemente. Nulla è indifferente nella scelta del genere.
 

mariangela rossi

New member
Mah, dipende; a me pare che spesso lo sia. Penso per esempio a Racconto di Natale
Non l'ho letto ma ti credo sulla parola :mrgreen:

Però ci sono anche tecniche buone sia per l'uno che per l'altro.
Ma questo è ovvio. Io scrivvo piuttosto che non tutte - o non la maggior parte - delle 'tecniche' è utilizzabile indifferetemente. Nulla è indifferente nella scelta del genere.

La bellezza e la fortuna di un romanzo non derivano, secondo me dall'utilizzo di una o di un'altra tecnica, l'arte, quando è vera, trascende lo stile, è immediatezza, spontaneità, dentro un romanzo di qualità trovi emozioni e sensazioni che ti entrano dentro, al di là della ferrea logica stilistica.
Se il romanzo di Buzzati non ti dà nessuna emozione è inutile spiegare perchè qualcuno, anzi più di uno, ci trova sentimenti profondi, per te saranno sempre ridicoli o ridicolizzabili.
 

Masetto

New member
La bellezza e la fortuna di un romanzo non derivano, secondo me, dall'utilizzo di una o di un'altra tecnica, l'arte, quando è vera, trascende lo stile, è immediatezza, spontaneità, dentro un romanzo di qualità trovi emozioni e sensazioni che ti entrano dentro, al di là della ferrea logica stilistica.
Non sono d'accordo; l'arte non è solo immediatezza e spontaneità, può nascere anche dall'uso sapiente dei mezzi stilistici, creando proprio grazie a questi emozioni e sensazioni. Baudelaire diceva addirittura che "l'ispirazione è la ricompensa dello sforzo quotidiano".



Se il romanzo di Buzzati non ti dà nessuna emozione è inutile spiegare perchè qualcuno, anzi più di uno, ci trova sentimenti profondi, per te saranno sempre ridicoli o ridicolizzabili.
Più che altro mi par di capire che il romanzo non arriva ad emozionarlo perchè non gli piace lo stile che adotta e questo fa come da "barriera" tra lui e le emozioni che Buzzati ha cercato di comunicare. Il che è perfettamente legittimo secondo me: lo stile è fondamentale in letteratura e se per un lettore quello non funziona, per lui non potrà mai funzionare l’intera opera.
Insomma non è solo una questione di emozioni che semplicemente arrivano o non arrivano, come ad uno piace il verde e ad un altro il rosso per solo gusto personale, ma di cosa l’autore ha fatto di originale per cercare di trasmettere queste emozioni: in una parola, del suo “stile”. E su quest'ultimo si può cercar di fare qualche considerazione oggettiva :)
 

Mizar

Alfaheimr
Non sono d'accordo; l'arte non è solo immediatezza e spontaneità, può nascere anche dall'uso sapiente dei mezzi stilistici, creando proprio grazie a questi emozioni e sensazioni. Baudelaire diceva addirittura che "l'ispirazione è la ricompensa dello sforzo quotidiano".
Più che altro mi par di capire che il romanzo non arriva ad emozionarlo perchè non gli piace lo stile che adotta e questo fa come da "barriera" tra lui e le emozioni che Buzzati ha cercato di comunicare. Il che è perfettamente legittimo secondo me: lo stile è fondamentale in letteratura e se per un lettore quello non funziona, per lui non potrà mai funzionare l’intera opera.
Insomma non è solo una questione di emozioni che semplicemente arrivano o non arrivano, come ad uno piace il verde e ad un altro il rosso per solo gusto personale, ma di cosa l’autore ha fatto di originale per cercare di trasmettere queste emozioni: in una parola, del suo “stile”. E su quest'ultimo si può cercar di fare qualche considerazione oggettiva :)
Ci siamo intesi (ancor meglio) nel momento in cui hai dato questa risposta a mariangela.
Inutile dire che sono d'accordo ed aggiungerei: non solo stile, anche 'forme'.
 

Maria Antonietta

DolceRivoluzionaria
L'ho letto perchè ero rimasta affascinata da "Il colombre" ma purtroppo l'ho letto nel periodo sbagliato, durante una vacanza stancante all'estero, non ho potuto gustarlo a fondo e mi è apparso solamente noioso. Da rileggere!
 

mariangela rossi

New member
Non sono d'accordo; l'arte non è solo immediatezza e spontaneità, può nascere anche dall'uso sapiente dei mezzi stilistici, creando proprio grazie a questi emozioni e sensazioni. Baudelaire diceva addirittura che "l'ispirazione è la ricompensa dello sforzo quotidiano".




Più che altro mi par di capire che il romanzo non arriva ad emozionarlo perchè non gli piace lo stile che adotta e questo fa come da "barriera" tra lui e le emozioni che Buzzati ha cercato di comunicare. Il che è perfettamente legittimo secondo me: lo stile è fondamentale in letteratura e se per un lettore quello non funziona, per lui non potrà mai funzionare l’intera opera.
Insomma non è solo una questione di emozioni che semplicemente arrivano o non arrivano, come ad uno piace il verde e ad un altro il rosso per solo gusto personale, ma di cosa l’autore ha fatto di originale per cercare di trasmettere queste emozioni: in una parola, del suo “stile”. E su quest'ultimo si può cercar di fare qualche considerazione oggettiva :)

L'arte è qualcosa di non ben definibile, sono stati scritti libri e libri sull'argomento, tuttavia come non è solo immediatezza e spontaneità, nel contempo non si riduce esclusivamente a forma e stile.
Si può essere perfetti da un punto di vista stilistico e del tutto inespressivi come contenuti, una forma o uno stile perfetto potrebbero facilmente scivolare nel manierismo, nell'affettazione di sentimenti e ambientazioni studiate con troppa abilità linguistica.
Se pensiamo a Petrarca, bravissimo poeta, pensiamo anche ad uno stile particolarmente studiato, a sentimenti amorosi a clichè, lontani dal sentire vero, il poeta abilissimo si beava del suo soffrire, del suo amore per Laura non corrisposto e le sue pene alimentavano una poesia che alla fine si svuotava di contenuti realistici e non raggiunse mai, così, apici espressivi come la poesia di Dante.
Non è la stessa cosa di farsi piacere un colore verde o un colore rosso...l'arte colpisce l'animo con immediatezza, le successive critiche allo stile ci aiutano solo ad approfondire meglio la lettura, a gustarla maggiormente non solo con il cuore , anche con la mente.
 

Masetto

New member
L'arte è qualcosa di non ben definibile, sono stati scritti libri e libri sull'argomento, tuttavia come non è solo immediatezza e spontaneità, nel contempo non si riduce esclusivamente a forma e stile.
Si può essere perfetti da un punto di vista stilistico e del tutto inespressivi come contenuti, una forma o uno stile perfetto potrebbero facilmente scivolare nel manierismo, nell'affettazione di sentimenti e ambientazioni studiate con troppa abilità linguistica.
E’ vero. Tuttavia a me pare che una definizione dell’arte abbastanza condivisa ci sia: “l’arte è una creazione originale della mente, efficace nel tramettere idee, sentimenti, sensazioni. E’ il modo che l’artista ha trovato per comunicare queste cose.”
Per “stile” io intendo questo “modo”, la forma che egli da’ alla sua opera.


Se pensiamo a Petrarca, bravissimo poeta, pensiamo anche ad uno stile particolarmente studiato, a sentimenti amorosi a clichè, lontani dal sentire vero, il poeta abilissimo si beava del suo soffrire, del suo amore per Laura non corrisposto e le sue pene alimentavano una poesia che alla fine si svuotava di contenuti realistici e non raggiunse mai, così, apici espressivi come la poesia di Dante.
Non sono troppo d’accordo, ma sarebbe un altro discorso ancora… :)


l'arte colpisce l'animo con immediatezza, le successive critiche allo stile ci aiutano solo ad approfondire meglio la lettura, a gustarla maggiormente non solo con il cuore , anche con la mente.
Anche qui non sono molto d’accordo. L’arte colpisce al cuore, sì, ma non di rado ci riesce proprio grazie agli accorgimenti stilistici dell’artista, alla sua abilità “tecnica”. Per questo lo stile è importantissimo.
Quando per esempio Pascoli nella poesia Arano

Al campo, dove roggio nel filare
qualche pampano brilla, e dalle fratte
sembra la nebbia mattinal fumare,
arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra paziente;
ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s'ode
il suo sottil tintinno come d'oro.


dipinge una comune scenetta agreste, tutto il fascino della lirica viene dalla scelta delle parole (Al campo invece de Nel campo per dare una sfumatura di indefinito alla scena, sottil tintinno che col suo stesso suono vuol ricordare il verso squillante del pettirosso,…) e dalla loro studiatissima collocazione (arano isolato ad inizio verso con subito dopo una forte pausa, i tre versi arano: a lente grida, uno le lente / vacche spinge; altri semina; un ribatte / le porche con sua marra paziente che con gli enjambement, gli accostamenti di vocali tra molte coppie di parole consecutive, la ripetizione della parola lente su cui cade anche un forte accento ritmico etc. fanno di tutto per rallentare la lettura ed accentuare quindi il senso di pace e tranquillità che la rappresentazione vuol dare).
Certo qualcosa di abbastanza interessante da dire uno deve comunque averlo, sennò, come dici tu, lo stile da solo non basta a fare arte.
 

mariangela rossi

New member
E’ vero. Tuttavia a me pare che una definizione dell’arte abbastanza condivisa ci sia: “l’arte è una creazione originale della mente, efficace nel tramettere idee, sentimenti, sensazioni. E’ il modo che l’artista ha trovato per comunicare queste cose.”
Per “stile” io intendo questo “modo”, la forma che egli da’ alla sua opera.



Non sono troppo d’accordo, ma sarebbe un altro discorso ancora… :)



Anche qui non sono molto d’accordo. L’arte colpisce al cuore, sì, ma non di rado ci riesce proprio grazie agli accorgimenti stilistici dell’artista, alla sua abilità “tecnica”. Per questo lo stile è importantissimo.
Quando per esempio Pascoli nella poesia Arano

Al campo, dove roggio nel filare
qualche pampano brilla, e dalle fratte
sembra la nebbia mattinal fumare,
arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra paziente;
ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s'ode
il suo sottil tintinno come d'oro.


dipinge una comune scenetta agreste, tutto il fascino della lirica viene dalla scelta delle parole (Al campo invece de Nel campo per dare una sfumatura di indefinito alla scena, sottil tintinno che col suo stesso suono vuol ricordare il verso squillante del pettirosso,…) e dalla loro studiatissima collocazione (arano isolato ad inizio verso con subito dopo una forte pausa, i tre versi arano: a lente grida, uno le lente / vacche spinge; altri semina; un ribatte / le porche con sua marra paziente che con gli enjambement, gli accostamenti di vocali tra molte coppie di parole consecutive, la ripetizione della parola lente su cui cade anche un forte accento ritmico etc. fanno di tutto per rallentare la lettura ed accentuare quindi il senso di pace e tranquillità che la rappresentazione vuol dare).
Certo qualcosa di abbastanza interessante da dire uno deve comunque averlo, sennò, come dici tu, lo stile da solo non basta a fare arte.
Scusami se insisto ma tutta la poetica, la prosa, nascono dall'uso mirabile della lingua, dallo stile che contraddistingue un autore dall'altro, certo che si fanno apprezzare i toni, gli accoppiamenti di colori, di sfumature, di assonanze, di metafore...l'arte nasce da questo muoversi sciolto e personalissimo all'interno del racconto poetico, potresti fare mille esempi...lo stesso Manzoni è un narratore di eccezione, usa introdurre i suoi personaggi con ambientazioni paesaggistiche che somigliano e si adattano al carattere della figura che solo dopo verrà descritta!
Quello che rifiuto è l'affettazione manieristica, il voler scrivere bene fine a se stesso...senza un vero contenuto emozionale, in fondo diciamo la stessa cosa...per fare arte vera occorre lo stile e il cuore!

PS faccio notare che, secondo me, quando un autore non piace, fosse anche Manzoni, lo si può affossare facilmente con la stessa tecnica con cui altri lo esaltano...
 

Masetto

New member
Quello che rifiuto è l'affettazione manieristica, il voler scrivere bene fine a se stesso...senza un vero contenuto emozionale, in fondo diciamo la stessa cosa...per fare arte vera occorre lo stile e il cuore!
Sì dai, siamo più d'accordo di quanto non sembrasse :)



faccio notare che, secondo me, quando un autore non piace, fosse anche Manzoni, lo si può affossare facilmente con la stessa tecnica con cui altri lo esaltano...
Quindi anche in critica letteraria tutto è relativo? Per me no... tu sei troppo pirandellizzata mi sa :mrgreen:
 

mariangela rossi

New member
Sì dai, siamo più d'accordo di quanto non sembrasse :)




Quindi anche in critica letteraria tutto è relativo? Per me no... tu sei troppo pirandellizzata mi sa :mrgreen:

La critica è soggetta alle emozioni di chi la scrive, è pur sempre fatta da uomini e dunque è relativa! Nella storia della letteratura ci sono autori che per anni sono stati adorati poi portati alla polvere, perchè legati a vicende politiche, a situazioni ambientali diverse...:mrgreen:
 
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