Ho rimandato spesso la lettura di questo romanzo perché pensavo si trattasse di un libro pesante. Quando ho cominciato a leggerlo, invece, fin da subito mi sono dovuto ricredere, per via sia della scorrevolezza dello stile che della semplicità della storia. Il messaggio del romanzo, inoltre, è espresso in modo chiaro e forte, accennato già dalle prime pagine per poi diventare via via più martellante e angosciante: la vita è breve, il tempo fugge inarrestabile, ci sfugge dalle mani senza che ce ne accorgiamo, e non possiamo desertificarlo con la perenne attesa solitaria, assurda e vana di un evento improbabile che ci cambi la vita e il cui verificarsi è del tutto indipendente e scorrelato da ogni nostra minima azione ed influenza. Se non ci sforziamo di valorizzare il nostro tempo seminandolo con la vita e coltivandolo con le necessarie relazioni di cui si nutre, finiremo con l'essere soli, tristi, inutili a noi stessi e agli altri, vinti dal rimpianto di una vita sprecata, l'unica che ci è data. Giovanni Drogo, il protagonista del romanzo, è la vittima inconsapevole del tempo, così come della sua ingenuità, della sua inerzia e della sua incapacità di ribellarsi e prendere in mano la sua vita. Incaricato di prendere servizio presso la fortezza Bastiani, un decadente presidio militare sperduto fra il deserto e le montagne in un tratto di frontiera "morta", ormai privo di alcuna considerazione, Drogo dissolve la sua vita in questo luogo isolato, senza stabilire alcun legame saldo e lasciando al contempo appassire quelli già seminati nella sua vita in città, nella cieca e monotona ubbidienza dei doveri militari con l'insensata speranza che un attacco dei "tartari" da contrastare restituisca alla fortezza e ai suoi uomini la giusta importanza e una degna considerazione agli occhi degli altri, ripagandoli del tempo sprecato in esilio dal mondo e dalla vita. Ma quella che per molti è una pura e semplice illusione con cui dar senso alla loro temporanea permanenza alla fortezza da cui desiderano intimamente fuggire al più presto, diventa invece pericolosamente per Drogo una vera e propria ragione di vita, anche dopo aver capito di essere stato raggirato e lasciato al suo destino dai suoi superiori così come dai suoi colleghi ufficiali. Con il passare del tempo, infatti, diventa per Drogo sempre più difficile abbandonare le note e confortevoli abitudini della fortezza e riadattarsi ad una vita in città in cui si sente sempre più estraneo a tutto. L'illusione di un possibile attacco dei tartari da attendere e sventare rappresenta quindi un facile rifugio da una vita che Drogo è incapace di prendere in mano e affrontare... Ma intanto il tempo passa, e non si potrà tornare indietro... Fino a quando, all’improvviso, per citare una poesia di Montale, sarà:
"il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore da ubriaco.
[…]
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto."
Quel deserto considerato innocuo, immoto ed immobile, puro sfondo da cui invano si è atteso il cenno di vita di un attacco nemico, era in realtà esso stesso il nemico da fermare, e che celatamente ed irrimediabilmente ha compiuto alle spalle del protagonista l’avanzata nella sua vita lasciata così ad inaridirsi incontrollabilmente verso confini che si perdono nell’orizzonte del tempo.
Nonostante il messaggio del romanzo sia forte e penetrante nel suo vigoroso monito, devo però confessare con un certo rammarico che c'è qualcosa che mi ha lasciato insoddisfatto. Ho trovato il protagonista, Giovanni Drogo, privo di carattere e di personalità, sebbene credo che questo sia proprio un aspetto voluto dall'autore, creare cioè un personaggio cieco a se stesso e in balia del vento.
E la semplicità della narrazione che ho piacevolmente constatato fin dall'inizio, a lungo andare non mi ha conquistato, perché non l’ho trovata al servizio di intenti che andassero al di là di quello di trasmettere in modo chiaro e netto il messaggio del romanzo. In altre parole, la semplicità della scrittura non rappresenta ad esempio il riflesso di una trasposizione "linearizzata" di un groviglio di tormenti dell'animo, né funge da mezzo chiarificatore di una particolare complessità di pensiero, ma è unicamente un mezzo per comunicare a chiare lettere un ben preciso messaggio che per giunta è fin da subito svelato dal romanzo stesso.
O forse, più semplicemente, si tratta di ammettere che anch'io comincio ad avvertire che il tempo mi sta sfuggendo di mano, insieme alla terribile sensazione di essere sullo stesso binario del destino di Giovanni Drogo a cui non riuscirò mai a sfuggire, e che quindi non riesco a dire che mi sia piaciuto senza riserve un romanzo che mi ha posto dinanzi a queste sensazioni.