Ho aspettato tanto a scrivere questa recensione perché ritengo che quest'opera meriterebbe un commento molto approfondito e ragionato, e purtroppo ora come ora non ho proprio il tempo per cercare di mettere insieme qualcosa di un minimo più sensato di "ho pianto come una bambina". Al tempo stesso, però, voglio anche cercare di abbozzare almeno qualche idea prima che le sensazioni più forti scivolino via.
Insomma, "Maus" è uno dei fumetti più conosciuti, letto e apprezzato anche da chi non conosce e non è interessato a conoscere il mondo dei fumetti, dunque io, che ho cominciato a leggere graphic novel giusto da un annetto, ero molto curiosa di leggere anche il capolavoro di Spiegelman. È curioso, ho iniziato questo fumetto dopo aver concluso "Max" (sì insomma, è un periodo di letture allegre e leggere, perfette per accompagnare lo spirito natalizio), dunque ero già in qualche modo "pronta" (si può mai essere pronti per l'olocausto?) a calarmi in atmosfere a dir poco strazianti. E se "Max" mi aveva sconvolta così tanto proprio per via della voce narrante - un bimbo di pochi anni - in "Maus" la botta è arrivata più lentamente. Perché "Maus" altro non è che un lungo viaggio all'interno dei ricordi del padre di Art, dove momenti di vita quotidiana nell'America degli anni sessanta si alternano a lunghe notti nel ghetto polacco prima, e ad Aushwitz poi. Il padre di Art è un sopravvissuto, ma non si può sopravvivere davvero a certi orrori. E così ci si trova lentamente catapultati fra le turbe di un uomo anziano e profondamente avido, severo, opprimente, e si arriva quasi a provare un moto di nervosismo nei suoi confronti. Quasi, perché poi, con una tranquillità sconcertante, si viene risucchiati nell'orrore della lotta per la sopravvvivenza, e non si può far altro che sentirsi profondamente colpevoli. Leggendo questo fumetto, mi è tornata in mente una Giornata della Memoria di una decina d'anni fa, credo frequentassi la prima superiore, quando la mia classe ha potuto incontrare Nedo Fiano: conoscevo naturalmente questa terribile pagina di storia, ma credo di aver veramente preso coscienza della portata reale di tutto questo orrore solo ascoltando la sua testimonianza. Nedo Fiano, come Vladek Spiegelman, non ha mai cercato di mitigare i toni, di smorzare l'orrore, né di cercare di suscitare pietà o di cercare tonalità drammatiche: ha portato la verità, la vita, in maniera diretta, asciutta e granitica. Ecco, "Maus" mi ha riportato a quel momento in cui, da ragazzina - sì, ero già abbastanza grandicella, ma ero molto immatura - ho compreso che la storia non è fatta di date e di pagine di libri da imparare bene, ma è fatta di corpi e di sangue, di morte, di dolore, di puzza, urla e terrore.
"Maus" è questa verità, semplice semplice, nuda e cruda, e forse no, forse ho detto una scemenza: non servono commenti approfonditi e ragionati, a volte è molto più istruttivo mettere da parte le date e le pagine da imparare a memoria e provare a caricarsi sulle spalle, anche solo per le poche ore di una lettura, una briciola dell'orrore.