Roth, Philip - Pastorale Americana

Grantenca

Well-known member
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Il Nobel glielo daranno quando sarà morto. Vedrete. Io speravo lo vincesse alcuni decenni fa per la roba che ha scritto alcuni decenni fa.
Se volete uno scrittore ebreo americano, oggi, nel 2017, leggete Nathan Englander (o, ripeto, i primi lavori di Roth oppure, ancora, il grande Saul Bellow).

Se questo mio intervento circa Pastorale Americana vi sembra troppo negativo, sappiate che gli ho dato un bel 4/5.

Non so se sia ebreo ma io, come scrittore americano, consiglierei RICHARD YATES (assumendomi le relative responsabilità).
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Non so se sia ebreo ma io, come scrittore americano, consiglierei RICHARD YATES (assumendomi le relative responsabilità).
Beh, hai detto niente! Yates è uno dei grandi. È un peccato che abbia venduto poco all'inizio e che quindi sia rimasto meno conosciuto rispetto ad altri nomi.
Dovrebbero aver fatto anche un film tratto da qualche suo romanzo. Ma non ne sono sicuro...
Se ricordo bene c'è un suo racconto anche su "New York stories", quella raccolta uscita non molto tempo fa con racconti di Soldati, Englander, la nostra Fallaci, Capote, John Cheever e altri.
 

Grantenca

Well-known member
Beh, hai detto niente! Yates è uno dei grandi. È un peccato che abbia venduto poco all'inizio e che quindi sia rimasto meno conosciuto rispetto ad altri nomi.
Dovrebbero aver fatto anche un film tratto da qualche suo romanzo. Ma non ne sono sicuro...
Se ricordo bene c'è un suo racconto anche su "New York stories", quella raccolta uscita non molto tempo fa con racconti di Soldati, Englander, la nostra Fallaci, Capote, John Cheever e altri.

Si, il film dovrebbe essere "Revolutionary Road" con Di Caprio.
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Sono a meta'. I commenti li faro' a fine lettura. Piccola curiosita': Miss New Jersey 1949, aspirante Miss America, nel romanzo e' alta 158 cm. Che bei tempi😁
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Spoiler

Leggere questo libro dopo Il teatro di Sabbath è strano. Non che non si riconosca la mano dell'autore, anzi. Però si tratta di due personaggi, almeno in apparenza, diametralmente opposti: quanto l'uno è osceno, scandaloso e irriverente, l'altro è l'esempio della "brava persona" e del politically correct. Credo si debba essere un grande scrittore per far parlare entrambi in modo convincente. Qui, forse di conseguenza, oltretutto mancano quasi completamente il linguaggio osceno e le scene spinte: cosa, penso, anomala per Roth, sebbene di suo abbia letto poco.
Romanzo complesso ed estremamente profondo, che scava, scava, scava.
Scava - attraverso un narratore neutrale - nell'animo apparentemente semplice dello Svedese, un uomo che sembra avere tutto: successo nel lavoro e nello sport, bellezza, soldi, una moglie affettuosa e bellissima. In realtà, il classico figlio maggiore estremamente condizionato dalla personalità dominatrice del padre, altro personaggio vivo e interessante del libro.
Scava, seppur indirettamente, nell'animo di Dawn, moglie dello Svedese che, fino alla catastrofe, sembra avere tutto. Dopo la tragedia verrà fuori il suo vero sentire, la sua irrequietezza e scontentezza rispetto a tutto ciò che fino a quel momento fingeva - o si era autoconvinta - di amare.
E poi vede, o cerca di vedere, a modo suo e cioé sempre con gli occhi dello Svedese, le cause dell'insostenibile dolore che annienta e insieme agita lo spirito di Merry: è la balbuzie, il non sapersi esprimere bene, il sentirsi diversa a scatenare in lei il desiderio, una volta cresciuta, di essere "qualcuno"? E' l'ingiustizia della natura a fare sì che la ragazza sviluppi in sé un senso di giustizia tale da manifestarsi nel modo più distorto possibile, ossia con la violenza? E la balbuzie, da cosa dipende? Non ho potuto fare a meno di volerle bene, seppure ne abbia voluto parecchio anche allo Svedese, che per amore della figlia, e della moglie, è infine costretto a superare la propria semplicità di vedute.
C'è un altro personaggio che mi ha colpito molto ed è quello del fratello: cinico e fin troppo diretto, condizionato fin da piccolo dal fatto di avere un fratello "perfetto" è riuscito ad affermarsi per quello che è, fregandosene del giudizio del padre.
Forse Il teatro di Sabbath mi aveva coinvolto un po' di più emotivamente, ma Pastorale americana è senz'altro un capolavoro, sia per la profondità della scrittura e per lo stile, sia per il contenuto. Racconta il sovvertimento di un mondo e di una famiglia "fortunata": per tutti noi - seppure, si spera, in maniera meno drastica - arriva il momento della resa dei conti, di capire chi siamo veramente, di affrontare la vita vera e di mostrare, soprattutto a noi stessi, i lati più intimi e sconosciuti della nostra personalità. E Roth, tutto questo, l'ha descritto in maniera superba.
 

qweedy

Well-known member
Ho fatto un po' fatica ad arrivare alla fine, era da anni che volevo leggerlo, ma è piuttosto pesante, e Philip Roth non è esattamente nelle mie corde. A metà, mi sono presa una pausa e ho letto altri libri, prima di riprenderlo.

E' il sogno americano che va in frantumi.
Seymour Levov, detto Lo Svedese, vive una vita apparentemente perfetta: grande atleta, affermato imprenditore, impeccabile marito della bellissima Miss New Jersey e padre felice di Merry, ebreo dalla famiglia perfetta che incarna il sogno americano realizzato.
E poi tutto si frantuma e si sgretola, tutto crolla improvvisamente.

Risulta piuttosto pesantuccio, sia per la tristezza del crollo, sia perchè la scrittura utilizza un linguaggio parlato, insiste molto su dettagli ripetuti fino alla nausea, il protagonista riflette non solo con analisi minuziose, ma si fa "seghe mentali" infinite.

A parte questa "pesantezza", sono contenta di averlo letto, trasmette molto bene il sogno dell'americano conformista e realizzato, l'illusione della raggiunta stabilità, e poi il crollo.
Lo Svedese si era conformato automaticamente a regole che si presentavano naturali, necessarie, giuste, le uniche possibili. Aveva rispettato quell'imperativo sociale che lo obbligava ad essere un buon marito, un buon padre, un ottimo uomo d'affari. Ma poi tutto gli crolla addosso, non si salva nulla di ciò che aveva realizzato. E lui rimane stupito e si chiede dove ha sbagliato.

E' molto ben descritto il rapporto tra genitori e figli, il susseguirsi delle generazioni, l'abisso tra ciò che vorremmo essere e ciò che siamo, la solitudine in questa provincia americana e il fatto che le nostre certezze possono essere smantellate in un soffio.

Consigliato, ma ci vuole un po' di pazienza per coglierne la grandezza.
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Bella recensione!
Tutto quello che hai scritto è anche ciò che Pastorale ha dato a me.

Oggi invece abbiamo i cosiddetti figli di papà che hanno tutto pianificato: scuola, matrimonio e lavoro. Meno male che ce ne sono sempre meno, almeno mi sembra... Forse per le condizioni su cui l'Italia è seduta. Chissà.

In Pastorale comunque c'è tutto il disastro del perbenismo, della famiglia borghese, del conformismo stesso. La società perfetta che crolla in testa al perfetto ebreo-americano, brillante e sempre vincente. Finché un giorno la figlia gli porta a casa un po' di napalm... :)

Ci sono alcune parti pesantucce e prosa troppo slegata o troppo "incastrata", ma alla fine c'è più roba buona che cattiva, a mio parere. Devo ancora ripetere però, come dicevo in altri interventi, che P. Roth lo amavo di più nei primi lavori; forse più imperfetti ma di certo più genuini e freschi.
Concludendo credo che il Pulitzer sia meritato. Romanzo importante, mi pare. No?
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Lo scrittore Nathan Zuckerman, dopo una rimpatriata tardiva tra ex compagni di liceo ormai attempati, decide di mettere per iscritto parte della vita del suo idolo di allora, Seymour Levov, comunemente conosciuto come “Lo svedese”. E’ lui il vero protagonista di questa storia, non la figlia Merry, balbuziente e latitante, non la bella e minuta moglie Dawn che ha dismesso i panni di Miss New Jersey per allevare vacche, ma lui, lo svedese che di svedese ha solo i tratti del volto, il guantaio che ama il suo lavoro e sa tutto della pelle, il padre controllato ed amorevole, l’uomo di origini ebree che ha sposato una cattolica. Da bambino, da adolescente e poi anche da adulto, Seymour eccelle in tutto ciò che fa, nello sport, nella conduzione dell’azienda di guanti che eredita dal padre, nel matrimonio con la moglie Dawn, nel rapporto con la figlia Merry. Ma quando quest’ultima diventa adolescente qualcosa cambia radicalmente nella vita di Merry, dello svedese ed in quella di un’intera nazione. Merry, infatti, è destinata a far molto parlare di sé e lo svedese, l’uomo controllato che sa sempre cosa fare, non riuscirà più a sopportare le conseguenze di questo cambiamento.
Questo libro è valso a Philip Roth il premio Pulitzer per la narrativa ed è considerato da molti un capolavoro della letteratura americana; se fossi una giornalista o un’opinionista prezzolata dovrei osannarlo e farne lodi sperticate, ma per fortuna sono solo una persona a cui piace leggere, quindi racconterò solo la mia esperienza di lettura.
Roth mi incuriosiva da tempo ed ho voluto cominciare a leggerlo proprio da uno dei suoi libri più famosi. Sin da subito, però, la sua scrittura sembrava respingermi, è stato come se le parole, le frasi mi sfuggissero nonostante l’estrema concentrazione. Non ho voluto allontanarmi dal libro, nonostante mi invitasse a farlo ad ogni frase, e sono stata premiata: superate le prime 70/90 pagine, quando si comincia a parlare della vita di Levov ed in particolare quando entra in scena Merry il ritmo cambia sensibilmente e, senza rendersene conto, ci si ritrova in una storia completamente diversa che cattura ed appassiona. Ma le sorprese, purtroppo non sono finite: in sostanza il libro alterna pagine di adrenalina e ritmo a pagine di pura noia e frustrazione per chi legge. Anche la scrittura cambia sensibilmente passando da incalzante a piatta, ostile e quasi respingente. Il prodigio, però, è che non si tratta di compartimenti stagni: la narrazione è così omogenea da spiazzare e le diverse anime di questo libro si compenetrano perfettamente. Sarà forse questa la bravura di Roth?
In definitiva… personalmente mi sento di consigliare questo libro, ma con qualche cautela perché di certo non si tratta di una lettura scorrevole ed agevole, anzi è ostica e talvolta pesante. Però alla fine, quando lo chiuderete, sarete soddisfatti perché sentirete di aver letto un buon libro, o almeno questo è ciò che è successo a me.
 

MadLuke

New member
Un po' romanzo e un po' saggio

Personalmente trovo che definirlo romanzo non sia completamente corretto. Certo lo è, ma amplissimi sono anche i tratti del saggio di sociologia. In numerose pagine le vicende dei personaggi non sono altro che un pretesto per l'autore per sconfinare nella descrizione del mondo del lavoro, dei costumi e consuetudini sociali della borghesia americana negli anni che vanno dalla fine anni '40 ai primi anni '70. La "pastorale americana" appunto.
Rispetto al suo illustre e più prossimo predecessore Steinbeck, lo fa con una prosa sicuramente più lenta, priva d'ironia, che però concede maggiore spazio all'approfondimento della psicologia di ognuno dei personaggi. A dispetto di quel collasso della classe borghese, tronfia, materialista e profondamente conformista, di cui l'autore va vaticinando, io ci ho ritrovato invece i tratti che ancora oggi caratterizzano almeno in buona parte le persone della società italiana attuale: la diffusa religiosità priva di solida fede, la preoccupazione per quelli che sono considerati i capisaldi dell'esistenza come la casa e la salute, il timore del futuro e il bisogno di rassicurazione sulla propria integrità etica. In questo senso c'è da far tremare i polsi, almeno a me, perché l'autore abilmente mette in luce le incoerenze, ipocrisie e fragilità di ognuno dei personaggi. Più di tutto rivela come la presunta sicurezza relativamente a quanto si possiede, la superba convinzione che quanto si possiede lo si sia meritato e sia intoccabile, sia invece estremamente illusoria, e che basti la più lieve fluttuazione delle circostanze e del caso, per sovvertire quello che, forse per personale e disperato bisogno, si ritiene essere l'ordine stabilito.
D'altro canto però mi ha anche rafforzato nella convinzione che se possibile l'unica zattera in grado di condurre l'uomo nel tempestoso mare, almeno a tratti, sempre quando non ce lo si aspetta o quando lo si ritiene meno opportuno, dell'incertezza esistenziale, sia il fondarsi e affidarsi sulla contemplazione del mistero e del timoroso rispetto timore di esso.
 
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