La bellezza della Meccanica

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
I Cuscinetti Radenti e l'Equazione di Navier-Stokes

Il Cuscinetto Radente, detto volgarmente Bronzina, (su Google Images ne potete vedere a iosa), è un supporto costituito dalla sede stessa dell’albero; a volte, tra la sede e l’albero, possono essere frapposti due semi-gusci (le bronzine propriamente dette), che essendo di materiale più morbido di quest’ultimo, lo preservano dall’usura.
L’albero in genere è in acciaio cementato e bonificato, mentre la sede può essere in ghisa, in alluminio o in acciaio; in questi ultimi casi, un cuscinetto di bronzo o materiale equivalente diventa essenziale. Quando invece la sede è in ghisa, grazie alle fantastiche qualità di quest’ultima, possono non essere necessarie.
Ovviamente se si avesse contatto diretto tra metallo e metallo, ci sarebbe rumore, spreco di energia, surriscaldamento, usura…e un motore non durerebbe nemmeno 100 metri.
Perciò tutto funziona proprio perché il contatto diretto è scongiurato dalla lubrificazione delle parti: dall’olio.
Ora, se si considera che la tolleranza (gioco radiale) tra le parti in movimento è di pochi centesimi / decimi di millimetro, ne conviene che un film sottilissimo di olio è deputato a reggere gli sforzi di un albero motore magari pesante 20 chili (su una nave tonnellate!), che gira a migliaia di giri al minuto, ed è sottoposto alle continue spinte radiali prodotte da migliaia di combustioni al minuto.
Davanti a un simile film, davanti a un simile film di olio, così sottile, così umile, di cui nessuno sapeva niente, di cui non vi siete mai curati ma che ha preservato la vostra auto per centinaia di migliaia di chilometri permettendovi di andare in discoteca, al lavoro, in vacanza o in camporella, chiedo un applauso.
Se poi conoscete qualcuno di così piccolo ed esile ma che esegua senza mai lamentarsi un simile sforzo quotidiano, ditemelo e applaudirò anche io.

Ora, in un forum di cultura e conoscenza come questo, non si può tralasciare un accenno al perché un simile fenomeno sia possibile, su come un evento di tale importanza possa materializzarsi, perciò non si può non parlare dell’equazione di Navier-Stokes, che appunto spiega la distribuzione delle pressione e velocità di un fluido continuo all’interno del suo stesso meato.
Continuo significa che non può essere applicato ad una bibita gasata.
Se volete vederla, eccovela in tutto il suo fulgido splendore cliccando il link:

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Per semplicità, ma soprattutto per non commuovermi commentando da me, copio e incollo da Wikipedia:

Le equazioni di Navier-Stokes sono un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali che descrivono il comportamento di un fluido dal punto di vista macroscopico. L'ipotesi di base è che il fluido possa essere modellato come un continuo deformabile. Esse presuppongono perciò la continuità del fluido in esame, ovverosia il sistema perde di validità nello studio di un gas rarefatto.
Le equazioni debbono il loro nome a Claude-Louis Navier e a George Gabriel Stokes che le formalizzarono e la loro soluzione analitica generale rappresenta attualmente uno dei problemi irrisolti della matematica moderna (i cosiddetti 7 problemi per il millennio) per il quale vale il premio Clay; soluzioni analitiche particolari si hanno in casi estremamente semplificati mentre soluzioni approssimate si ottengono tipicamente ricorrendo a metodi propri dell'analisi numerica e all'uso congiunto del calcolatore.
Queste equazioni rappresentano l'approssimazione di Chapman-Enskog del prim'ordine delle equazioni di bilancio canoniche (sono quindi più generali delle equazioni di Eulero, che costituiscono l'approssimazione precedente, e più particolari delle equazioni di Burnett che costituiscono quella successiva). Le relazioni costitutive che contengono sono anch'esse lineari: la legge di Newton e la legge di Fourier.


Pensate: chi riuscirà a dimostrare matematicamente la validità complessiva dell’equazione di Navier Stokes, verrà ricordato per l’eternità negli albi della Scienza e riceverà il milione di dollari posto in palio dal Premio Clay!
Personalmente l’ho studiata applicandola a casi particolari (appunto quella dei cuscinetti radenti), dove le condizioni al contorno mi permettevano di semplificarla enormemente e gestirla con semplicità, ma già se uno la applica a uno snodo che lavora in 3D invece che su solo 2, è tutta un’altra storia!

Sono sicuro che questo post riscuoterà decine di like e tutti vorranno dire la loro.
OK. Però evitiamo di aprire nuovi discussioni in merito, raccogliamole tutte qui, se no va a finire che divaghiamo. :)

Un GRAZIE a Minerva6 e Caldosenzafili per l'aiuto nel postare che l'immagine... che non ci riuscivo perchè credevo che potesse proprio apparire l'immagine, non il link :(
 
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Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
La Saldatura

I metalli sono costituiti da atomi disposti secondo precisi schemi (Struttura Cristallina), come cubi, cubi con un atomo nel mezzo, eccetera.
La saldatura consiste nello scaldare talmente tanto i lembi di due pezzi di metallo, da far sì che la struttura di uno s’incastri con quella del secondo.
Tale operazione può essere eseguita aggiungendo o meno un terzo metallo (d’apporto).

L’unione di due pezzi di metallo consente la costruzione di componenti che in un solo pezzo sarebbero troppo complessi o costosi.
Basti pensare al telaio di una bicicletta: come potrebbe essere ricavato dal pieno?

La saldatura è una tecnologia antichissima e che si rimonta ai tempi dei fenici e degli etruschi che ricorrevano alla Brasatura, che consiste nell’unire due pezzi di metallo con temperatura di fusione elevata (per esempio acciaio) aggiungendo un metallo d’apporto con temperatura di fusione più bassa (stagno, rame, ottone).
Volendo, tra due pezzi di ferro dolce caldo, si può mettere polvere di grafite (carbone), e martellare di brutto; a quel punto si crea un legame ferro-carbonio abbastanza resistente da giuntare i due pezzi.
Gli amanti del ferro battuto, non possono non apprezzare questo metodo, che permette di unire due pezzi senza che si veda alcun materiale d’apporto, perciò fanno sembrare i pezzi tra loro appena appoggiati, mentre quando vengono saldati ad arco facendo le classiche palline, viene uno schifo che levati.

A primi del secolo XX nasce la saldatura Ossiacetilinica in cui si sfrutta il calore sprigionato dalla combustione dell’acetilene (C2H2) e l’ossigeno puro (O2).
Per intenderci, è quella dei ladri quando vanno ad aprire una cassaforte (nei romanzi molto datati o nelle barzellette della Settimana Enigmistica) o quella di Jennifer Beals in Flashdance.
Per ottenere una buona saldatura, è importante guardare forma, dimensione e colore della fiamma: se fa una luce troppo bianca, c’è troppo ossigeno, il che ossiderà i lembi rendendo la saldatura fragile; se invece troppo gialla o addirittura arancione, allora c’è troppo acetilene e la temperatura non è abbastanza elevata.

Ma la saldatura vera, quella seria, nasce con l’arco, cioè con un gas ionizzato in cui passa corrente fino a fondere i lembi.
La versione più semplice è quella con le bacchette, tipica dei cancelli, che i buoni saldatori snobbano.
Si inizia a fare sul serio quando si parla di filo continuo, ovvero una bobina di filo fornisce il materiale d’apporto: vengono delle saldature belle e resistenti.
Col MIG e col MAG, si va di gas… ma dove si ottiene la più bella saldatura, è con un TIG ben regolato: a volte, se è veramente ben fatta, si nota appena.

Immaginate di avere un tubo di ferro che a causa delle sollecitazioni si spezza.
Immaginate anche di saldare i due pezzi e che il tubo rimesso al suo posto, si spezzi di nuovo, ma non dove l’avete saldato voi, bensì altrove.
Ciò dimostrerà che siete stati così bravi da fare una saldatura (com’è noto è un punto critico) più resistente dei pezzi stessi.
Ecco: quello è essere dei buoni saldatori.
Un saldatore deve avere una mano ferma come quella del chirurgo, perché non gli può tremare, deve essere in grado di muoversi armoniosamente a velocità costante, senza scatti, perciò non può rovinarsela dando mazzate per ore e ore ogni giorno, o bevendo.
Ma poi un saldatore deve essere capace di muovere correttamente la mano (si parla di pochi decimi di millimetri, non di spanne!) senza vederla, perché la mascherina protettiva lascia vedere solo il punto in cui si salda, non i lembi o la struttura. Chi non ha mai saldato, per capire quanto ciò sia difficile, dovrebbe esercitarsi a scrivere bene, senza uscire dalle righe, con una penna di un chilo, in una posizione scomoda e a occhi chiusi. Provate!

La saldatura, come tutte le tecnologia, ha fatto vincere o perdere le guerre.
Nel caso della II Guerra Mondiale, la fece vincere agli Alleati.
Infatti, gli americani, si ritrovarono nella necessità di produrre un’immensa flotta mercantile subito per approvvigionare l’Inghilterra chiusa dagli U-boat tedeschi, e per farlo ricorsero al primo scafo ottenuto per saldatura: nasceva così la Liberty, di cui, si dice, se ne produceva una al giorno! Peccato che le saldature non fossero fatte da Jennifer Beals e sotto carico, col mare in tempesta o sotto zero, si aprisse come un uovo…

Quando passate vicino a un saldatore, attendete che si prenda un minuto di pausa e osservate da vicino l’attrezzatura: la bombola, il filo, l’elettrodo o la torcia… e provate a immaginare un mondo senza, senza pezzi di metallo tra loro saldato.
Osservate anche il telaio di una bella bicicletta col telaio in alluminio, e guardate come sono fatte bene le saldature, che cordone omogeno.

Io vorrei tanto visitare un cantiere russo dove costruiscono i sottomarini nucleari in titanio, con pareti spesse un metro: pensate che la saldatura in questi casi va fatta in assenza assoluta d’aria o ossigeno: che tecnologia! Che bellezza l’ingegno umano (a volte).
E che mano i saldatori, i Michelangelo del cannello.
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Ve ne frega un tubo?

I tubi flessibili, o più correttamente manichette, servono al trasporto di fluidi.
Le più comuni sono quelle da giardino, in plasticaccia.
Man mano che aumenta la pressione di mandata però, la manichetta richiede di essere rinforzata per non esplodere, e se si trasportano fluidi un po’ particolari, si ricorre a materiali più nobili, in genere gomme speciali.

Chi non ha mai fatto un tubo, nel senso letterale del termine, e cioè non ci ha mai lavorato, non immagina nemmeno quanta tecnologia ci sia dietro.
Siccome è un argomento che affascina – e infatti i libri sui tubi vanno per la maggiore – ne parlerò un po’.

Se il tubo deve muovere acqua o aria, prodotti non aggressivi, non è un grande problema, ma se si muovono fludi particolari, allora le cose cambiano.
Per esempio, se trasportate idrocarburi, è essenziale adoperare un sottostrato in gomma nitrilica come l’NBR, altrimenti se la mangerà
Se poi, invece di un gasolio normale, avete biodiesel, allora deve essere una gomma molto resistente agli acidi come l’EPDM… ed è per quello che nella vs auto diesel non potete mettere il friol esausto, non perché non vada il motore, ma perché sciogliete le parti in gomma.
Se invece veicolate latte, allora l’interno, oltre a resistere all’acidità del latte non deve rilasciare gusti, odori, colori…ed essere a norma. Vi ricordate che anni fa un noto marchio di latte se ne venne fuori con uno di colore blu? Il problema era appunto il tubo che se ricordo bene era stato lavato con acqua troppo calda e aveva rovinato l’interno bianco fino ad arrivare alla cappa blu.
Ovviamente, se invece di latte avete birra o vino, le cose cambiano.
Se poi sono acidi aggressivi, allora si fa sul serio.
Molto particolari i tubi delle fruste dei sub, ovvero quelle che portano l’aria dalla bombola all’erogatore: in genere sono aromatizzati alla vaniglia in modo da mascherare il gusto dell’aria compressa.

Poi c’è il problema della pressione, che più sale e più dovete rinforzare la manichetta.
Anticamente venivano letteralmente bendate con strati di tela che poi veniva gommata.
Negli ultimi anni invece, per conferire maggior flessibilità, si è passati a costruire il tubo intorno ad una o più calze coassiali. La trama e l’ordito però sono di una semplicità deludenti, niente a che vedere con i complessissimi pizzi e merletti del 3d sulla Maglia sempre in questo stesso forum: infatti nessuna macchina è così brava!
I tessuti adoperati sono tessili sintetici o metallici.

Poi ci sono i tubi che lavorano sotto vuoto.
In questo caso il problema è che, come in una cannuccia, se succhiate, quelli collassano auto sigillandosi.
Perciò, se dovete svuotare una fogna, avete bisogno di un tubo rinforzato con una spirale metallica o in PVC che impedisce al tubo di chiudersi.
Il tubo viene fatto sovrapponendo i vari strati, e poi viene vulcanizzato, cioè sottoposto a una certa pressione e temperatura per un certo tempo, in modo che la gamma acquisti tutte le sue proprietà fisico-chimiche.

L’Italia è sempre stato un grande produttore di tubi di eccellente qualità, con stabilimenti che erano dei fiori all’occhiello in Piemonte, Veneto e Campania. Purtroppo, prima la concorrenza turca e poi quella cinese li ha messi un po’ in ginocchio.

I miei tubi preferiti sono quelli per il vapore (perché sono pesanti ma flessibili) e quelli per il rifornimento del carburante degli aerei, molto resistenti all’abrasione sull’asfalto degli aeroporti.
Se volete una carrellata di tubi, potete cliccare su tubi industriali gomma lastre tappeti nastri trasportatori pvc flessibili fascette collari stringitubo | SATI GROUP S.p.A.
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
In tutti questi anni avevo dimenticato cosa volesse dire lavorare in un'officina.
La settimana scorsa l'ho trascorsa in Puglia lavorando nell'avviamento di un macchinario in un capannone mezzo aperto, anche di notte, col vento che soffiava che ne sapeva di neve.
In un termometro di precisione, verso le 23:45, ho letto 3,45°C.
Erano anni che non avevo freddo, soprattutto ai piedi.

Solidarietà per chi c'è ancora.
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Dovevamo aprire una sorta di cilindro idraulico chiuso con una ghiera filettatata internamente... in pratica un tubo filettato sull'esterno chiuso con un tappo filettato sull'interno, dove il filetto è quella cosa che gira su se stesso creandoi una spirale. OK? :D
In pratica, un'enorme bottiglia da 1,5litri d'acqua minerale ma di ferraccio.
Solo che il cilindro era stato esposto alla salsedine per circa 30 anni ed era un grumo unico di ruggine.
Ci voleva una chiave che si incastrasse nelle tacche della ghiera per farla ruotare, ma essendo fuori misura e normativa, non esisteva in commercio e farla dal pieno alla fresa non sarebbe stato facile, oltre chè costosissima visto che l'avremmo adoperata una volta sola.
In questi casi se sei una bestia prendi una chiave a pappagallo da idraulico, mordi la ghiera e giri.
Se sei una persona col cervello fai la stessa cosa ma di nascosto.
Solo che non veniva.
Uno può dire: ma ce l'avete messo lo svitol? Sì ma tanto in questi casi non serve a nulla.
Ma avete scaldato la ghiera? Così si dilata, si allarga e si allenta da sola. Sì, addirittura con un bell'apparecchio a induzione.
Ma niente, non veniva via.

In realtà la chiave a pappagallo è una schifezza non solo per una questione estetica, ma anche pratica: stringe la ghiera che vuoi svitare e in questo caso era evidente che remava contro.
Allora abbiamo infilato la leva del pappagallo in un tubo di ferro lungo un metro e mezzo e mentre uno teneva che non scappasse, l'altro sforzava.
A me lavorare di forza bruta mi fa paura perchè ti puoi fare male e sul serio.
infatti immagina di fare la forza di un rugbista e che sul più bello ti scappi la presa: se sei su un prato a giocare a rugby ti sporchi; se invece sei in un'officina magari dai una zuccata contro uno spigolo della pressa e sei morto.
Non è uno scherzo, lavorando si muore e anni fa, a distanza di un anno morirono prima il mio ex socio e poi un mio concorrente (bravissima persona) lasciando orfani due ragazzini.

Ma non c'era altro da fare: il cilindro idraulico nella morsa, il pappagallo che faceva presa sulla ghiera, il suo braccio nel tubo, il mio collega che teneva tutto centrato e io che spingevo.
sforzavo sempre di più, misurando la forza, stando attento a che se scappava dovevo frenare subito.
Sforza
E sforza
E sforza
E mettici oltre che la forza anche il peso (che è quando veramente diventa pericoloso perchè a quel punto non ti freni più)
E forza ancora...

CRACK!
Ma cosa è successo?
Ci guardavamo negli occhi stupiti perchè non capivamo cosa avesse ceduto.
Il mio collega fissa qualcosa e bestemmia (è toscano).
Seguo il suo sguardo e capisco.
- Era di ghisa, vero? - domando io
- D'acciaio no di certo - risponde lui
Aveva ceduto il basamento della morsa.
Due superfici di 10 X 5 cm aperta in due come se fossero stati di cartone.
Mai vista una cosa del genere.
Ne avevo fatto di sforzo (e di peso....)

In realtà nulla di speciale.
Se uno applica 80Kg di forza/peso su una leva di 1,5m, ottiene una coppia di 120Kgm o 1.200Nm molto più di un comune motore diesel (anche se a velocità infinitamente più basse...:D)
Certo, non puoi essere una tipa mingherlina sui tacchi.
Devi essere più vicino al vitellone.

Andammo a dormire.
Il giorno dopo il mio collega ha fissato il cilindro ad una morsa d'acciaio, ha saldato col TIG un pezzo di tubo sulla ghiera, poi col pappagallo ha morso il tubo (stavolta stritolava il tubo, non la ghiera sul filetto!), e facendo leva col tubo da un metro e mezzo, l'abbiamo tirato via.
Poi il resto è stata una sciocchezza.

Certo che avere uno strumento adatto ad ogni scopo, è un'altra cosa: magari non ti fai neanche male.
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Com'è cambiato il mio rapporto con la Meccanica nel tempo

Il mio rapporto con la Meccanica è cambiato molto nel tempo.

Da bambino progettavo – si fa per dire! - macchine impossibili da realizzarsi e che comunque non avrebbero mai funzionato.

Da ragazzo inventavo soluzioni per far andare il motorino e una volta grippai il pistone.
Poi imparai la lezione e fui più accorto.

Quando iniziai a lavorare davvero nel settore della meccanica, a circa 25 anni, il mio obiettivo era dimostrare ai professionisti che ero veloce nel fare il lavoro, volevo essere apprezzato proprio per quello.
Poi, una volta che fui un po’ più sicuro di me stesso, cercai di non farmi mai male (ci sono riuscito) e diventare bravo – e basta.

A trent’anni – anche grazie alla laurea - lo diventai davvero.
Nel mio settore ero tra i più preparati in Italia ed ebbi le mie soddisfazioni professionali, ma poi mi stufai perché quelle economiche non arrivavano (e non lo avrebbero fatto!) nemmeno a cercarle col lanternino e considerate le conoscenze, l’impegno e la responsabilità richieste, non ne valeva la pena: col cuore in gola mollai tutto e cambiai lavoro.

Sei anni fa ho ripreso a lavorare part time in quello che fu il mio settore.
Mi sono messo con un collega che ha 14 anni più di me, ormai a fine carriera, veramente bravo anche se gli mancano le basi teoriche, che io ho anche se tanti aspetti pratici li ho dimenticati e la mano a fare certi lavori, se un tempo ce l’avevo appena, adesso l’ho completamente persa.
Ci complementiamo.
Poi lui è più paziente, soprattutto con me, quando mi arrabbio.
E quando lui bestemmia in toscano perché lo fanno arrabbiare, io rido e dico amen!.

Per conto di una ditta di sottocomponentistica meccanica, ci siamo messi in testa di insegnare ai suoi clienti a riparare dei componenti di ultima generazione, costosissimi e che si rompono con una frequenza sorprendente (secondo me li costruiscono male per poi spennare chi se li compra) e che nessuno aveva mai riparato prima.
Il risultato è stato un lavoro di meccanica pratica, teorica e marketing bellissimo.
Bellissimo perché c’è dentro tutto il nostro sapere, i miei studi, la sua vita in officina, le notti insonni a capire come fare, per poi magari spostare il piatto con la bistecca perché mi veniva un’idea e dovevo fargli subito uno schizzo sulla tovaglia di carta, o lui zittiva tutti perché di colpo doveva dirmi cosa gli era balenato per la testa.
Un sapere iper-specialistico che, modestia a parte, in questo momento abbiamo solo noi due.
Sappiamo una cosa, sappiamo farla e sappiamo spiegarla agli altri.
Tecnicamente parlando, è’ come essere nella nebbia più totale ed essere gli unici a vederci la punta del naso.
E per imparare vengono da tutta l’Europa, dalla Russia, dal Brasile, dal Messico, dall’Arabia Saudita, dalla Tailandia… uno è venuto persino dalla Mongolia, e ci chiedono di spedirgli tutti gli aggiornamenti man mano che ne abbiamo.
Abbiamo fatto dei corsi pure in due università e dei laurendi di un’università americana ci hanno chiesto di dar loro una mano a indirizzare la loro tesi.

Adesso stiamo studiando come riparare l’ultima generazione di questi componenti dotati di una tecnologia che 15 anni fa era fantascienza e che infatti è molto comune nel settore militare e in Formula 1.

Progettare è bellissimo.
Anche costruire.
Ma pure capire come ripare, perché non solo devi entrare nella testa di chi ha progettato e costruito un pezzo, ma devi capire anche il limite del progetto e farne la tua forza per far funzionare ciò che gli altri hanno buttato via ritenendolo ormai inutile (La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo – Matteo 21,42).

- E perché non li riparate voi? – ci chiedono ai corsi.
- Ho già tanto da fare – svicola il mio socio.
- Non ho più l’officina – mento io.
Mento perché in realtà non mi interessa mettermici per tanti motivi, ma il principale è che il lavoro perderebbe la sua bellezza, una bellezza che resta tale finchè resta pura, finchè resta ricerca.
Se diventasse produzione, perderebbe tutta la sua magia, la magia del capire fine a se stesso e che ha preso lo spazio di quel voler fare veloce per dimostrare qualcosa a qualcuno.
Adesso mi appago dimostrando a me stesso che si può fare, e basta.
Però mi appago tanto anche quando riusciamo a risolvere qualche nuovo problema che sorge ai nostri clienti e che lì per lì non avevamo considerato.
Ma mi appago ancora di più quando Josip (un ragazzotto che viene dalla cima di un monte balcanico, gambe corte, braccia lunghe, occhi un po’ spenti, viso buono ed estremamente introverso, che ha fatto il corso un anno fa e che ci adora perché lo aiutiamo a mandare avanti la baracca), dopo due o tre e-mail di discussione intorno a un problema che avevamo risolto in un modo costoso perché non c’era altra soluzione – d’altronde, se te lo diciamo, ci sarà un perché, no? – mi manda prima uno schizzo che sembra fatto da un bambino di 4 anni in cui illustra come farebbe lui, poi la foto del pezzo aggiustato in maniera banalissima e a costo zero, e le quote da rispettare.
Banalissima ora che me lo ha spiegato lui, che se no mica ci arrivavamo!
Mi appago perché il fatto che mi abbia insegnato uno che ha imparato da me soddisfa il mio ego ancor di più che se lo avessi fatto io stesso, rende la cosa ancor più pura.

La conoscenza profonda di qualcosa che ti piace è estremamente gratificante.
Se poi porti a casa i soldi ti senti realizzato.
E allora capisci la serenità di quelli che, si e no c’hanno un orto di 150mq, bello, preciso, ordinato, con tutte le piante ritte, cariche di frutti lucenti e colorati, e quando bevi il loro vino, perché a loro del Barolo non importa nulla.
Il punto è riuscire, dando un colpo al cerchio e uno alla botte, a mettere insieme la conoscenza che c’è nei libri di chimica, fisica, matematica, geometria…con la pratica quotidiana del proprio lavoro manuale, come se si facesse un’opera d’arte.
Sì, perché riparare il trasduttore differenziale del convertitore positronico degli scaldabagni , se non l’aveva mai fatto prima nessuno, è l’opera d’arte di chi invece di uno scalpello per il marmo, maneggia chiavi a stella, torni e saldatrici, e quando non ci vede nessuno, ci commuoviamo anche noi.
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Scherzi da meccanico (I)

Gli scherzi di quelli abituati a pestare il ferro, sono teneri quanto i loro magli.
Quelli che racconto di seguito non sono molto edificanti, soprattutto perché rivolti quasi sempre verso degli svantaggiati, ma sono veri e fanno parte della vita dell'officina.

Pino era uno che gli affidavi due tartarughe, lo chiudevi in un ascensore, lo spedivi dal 2 al 3 piano, e quando si aprivano le porte, una tartaruga era andata persa mentre l’altra si era suicidata; se andava bene.
Era un disastro ambulante, una piaga biblica, un dànno, peggio di un’epidemia.
Avrebbero dovuto surgelarlo appena nato, invece era diventato ingegnere e gli avevano affidato un reparto con dei sottoposti e parecchia responsabilità.
Qualche mese dopo però, il capo del personale lo richiamò perché aveva la pessima abitudine di scaccolarsi col dito, passarsi la caccola tra baffi e barba e poi mangiarsela, davanti a tutti.
Insomma, per capirci: era un poveretto messo nel posto sbagliato attirando – anche giustamente – non poche invidie, e ogni tanto qualcuno si vendicava.

- Dobbiamo farti un video da mostrare al Presidente – disse Pietro a Pino mostrando la prime telecamera digitale che vidi in vita mia.
- E cosa devo fare? – domandò Pino dubbioso.
- Mostrare a tutti che sai montare e rimontare un cilindro idraulico, che sai fare il tuo lavoro. Così nessuno avrà più da ridire sul tuo conto. –
A Pino non sembrava neanche vero e ci si mise di buzzo buono e mentre Pietro riprendeva, Pino iniziò a fare la sua parte.
- Questo è un cilindro idraulico – disse con fare cattedratico davanti alla video camera – e serve a… a fare cose. –
- Bravo! Avanti così! – gli gridarono fuori campo.
- Allora, adesso andiamo a vedere come si smonta – e ovviamente lo serra sulla morsa dalla parte dello stelo danneggiandone la cromatura, e quando se ne rende conto allenta la morsa, e lo gira – ecco, adesso va meglio, ma andava bene anche prima, ma adesso va meglio… -
- Dai che vai benissimo! – si sente in off.
Insomma che rimuove la ghiera di chiusura (e quasi si fa male), il paraolio che cade per terra e lo pesta, la guida rovinandone la boccola di bronzo…
- Fai vedere che gli sostituisci anche lo spillo di parzializzazione – suggerisce Pietro.
Pino allora fa per aprire il cassetto degli spilli, ma questo era bloccato dalla leva della morsa che serrava il cilindro, che era ancora aperto e pieno d’olio.
Per aprirlo sarebbe bastato far scorrere verso l’alto l’asta della morsa, ma lui no, fece la cosa più idiota che potava fare: la ruotò di 90° allentando la presa sul cilindro idraulico che rimase in equilibrio precario.
Quando poi diede uno scrollone al cassetto, il cilindro si rovesciò riversando 4 litri d’olio nel cassetto, che finì all'interno di tutte le cassettiere sottostanti che immagazzinavano migliaia di componenti minutissimi, e infine attraverso le fessure, in tutto il laboratorio.
Pino, preso dal panico, cercò di asciugare prima un cassetto e poi l’altro col suo fazzoletto, tirando fuori tutta la minuteria gocciolante e dimostrando il disastro combinato.
- La carta! La carta!! – gli gridano mentre continuano a riprendere, e mentre Pino va verso il rotolo della carta, scivola nella pozza d’olio che si era formata facendo ridere tutti selvaggiamente che nemmeno nel Decamerone.
Le più esterrefatte erano le segretarie, sui 60 anni, sempre educate e perfettamente agghindate e aggiustate come bambole di porcellana, che non si raccapezzavano dello spettacolo a cui assistevano.
Per noi uomini era un po’ diverso: era come essere tornati ai tempi di cromagnon e ammazzare una preda ferita ormai rintanata in un angolo.

Per assurdo, il danno fatto fu talmente grosso che venne messo tutto a tacere, perciò il video restò in cassetto.
Meno male che non c’erano i social, altrimenti son sicuro che persino Papa Francesco lo avrebbe girato alle suore facendole scompisciare dalle risate.
 
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Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Scherzi (II)

Questa storia - poco edificante - mi è stata raccontata da più persone che lavoravano nello stesso reparto e risale ad almeno 20 anni fa.
Thomas lavorava in verniciatura.
Non si capiva se era sempre stato così o se erano stati i fumi dei solventi a conciarlo a quel modo…
Avete presente un bambinone complessato di 12 anni che va in giro con la canotta mimetica e fa sempre il Rambo della situazione?
Ecco, quello, ma con più di 50 anni, e che ovviamente diventa la preda favorita di chi al lavoro si annoia e pensa a far scherzi.

- Hai visto che casino con l’Alitalia? – gli domandano.
- No – risponde Thomas dopo uno sforzo notevole.
- Mangia e mangia e adesso non hanno nemmeno i soldi per verniciare gli aerei.
- … - pensò Thomas.
- Potresti pensarci tu –
- Eh sì eh! – rincarò un altro.
- E che ne so io? –
- Ma tu sai verniciare no? –
- Sì, ma cosa c’entra? –
- Facile, gli fai un’offerta e ti prendi l’appalto! –
- Che appalto? –
- Quello per verniciare gli aerei, se no fanno la ruggine. –
- Sì – rincara il compare – basta chiedere meno della concorrenza e sei a posto.
- Fagli un’offerta, dai! –
- Ma che ne so io di quanto mi costa verniciare un aeroplano? –
- Vabbè, vai in aeroporto con un metro a nastro da 10m, lo misuri in lunghezza, in larghezza, calcoli quanto ti vi va di bianco, rosso e verde, ci aggiungi il costo del nastro da carrozziere, ci aggiungi il tuo e via. No? –
- Ma certo – sentenzia l’altro – non capisci che ci mangiano tutti? Se arrivi tu che gli fai pagare solo il costo e la manodopera, anche se la manodopera gliela metti un botto, costi sempre meno degli altri e l’affare è tuo. Capisci? –

Insomma che Thomas ci pensò su e alla fine andò in aeroporto.
Domanda in due o tre posti diversi come accedere alle piste, e davanti a continui dinieghi, salta la recinzione, va sotto un MD80 e mentre è lì che fissa il metro a un estremità e lo estende, ti arriva la Polizia, lo acchiappa, lo carica e se lo porta via.
Lui niente, tutto convinto a spiegargli che no, che era lì per prendere le misure per fare il preventivo all’Alitalia, e che il bianco, il verde, il rosso, il nastro da carrozziere e che avrebbe fatto un bel lavoro…
Per fortuna tutto avvenne prima del 11 settembre quando sì c’erano i controlli di sicurezza ma nemmeno c’era sta paranoia, perciò alla fine, accortisi che era uno sciroccato, lo spedirono fuori senza nemmeno un capo d’imputazione.

- Che stronzi! –
- Eh ma perché è tutta una ghenga. –
- Se non sei raccomandato mica ti lasciano entrare nel giro… -
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Scherzi (III): film porno.

Gaspare era il ns sindacalista FIOM, acerrimo nemico del capitalismo, comunista convinto, ma talmente convinto che andava a dormire con una svastica al collo (giuro: l’ho visto io).
Zuzzuro era alto così, pesava circa 150Kg e sosteneva che nel dopo lavoro faceva il maestro di ballo; durante il lavoro invece, terrorizzava le segretarie mangiandosi le sigarette; quando poi andavamo in trasferta e guidava il camion, a ogni viadotto minacciava di buttarsi di sotto per far dispetto all’azienda che avrebbe dovuto comprarne uno nuovo.
Tanto per metterlo a fuoco, considerate che era di un paesino a 10Km da Venezia, ma a Venezia non c’era mai stato. OK?

Insomma che dobbiamo fare una trasferta di un mese in Svezia, ma siccome nessuno dei due si sente di fare un mese in mezzo alle bionde (non sia mai…), decidono che prima andiamo Gaspare ed io, poi dopo 2 settimane ci raggiunge Zuzzuro, fanno il cambio di consegne e Gaspare torna a casa.
Le prime due settimane vanno bene anche se a un certo punto mi permetto di far notare a Gaspare che ogni volta che si assenta dal lavoro (giusto quelle 2 orette a metà mattina e a metà pomeriggio), torna che ne sa di Martini, ma lui mi corregge e mi dice di no, che è che va in albergo e si sciacqua la bocca col collutorio.
- Portatelo qua, no? Così risparmi due orette la mattina e al pomeriggio! – vorrei dirgli, ma siccome posso sembrare troppo borghese e servo del padrone, mi astengo.

Passano due settimane, andiamo in aeroporto a prendere Zuzzuro, e iniziamo il passaggio di consegne da Gaspare a questo portento della natura, che consiste nello spiegargli che in Svezia è esattamente come da noi, non deve avere paura, ma siccome non bisogna scuoterlo, chiede che Gaspare resti fino a quando non si sente pronto.
Che poi era giusto così, perché con un bambinone (di 35 anni) bisogna essere pazienti.
La mattina ci vediamo al buffet dell’hotel e mentre spalma il burro sul pane, Gaspare se ne salta su dicendo – avete visto il pornazzo di sta notte? –
- No! – scatta tutto agitato Zuzzurro.
E allora Gaspare attacca con ogni dettaglio del film, capolavoro della scuola svedese.
Il giorno dopo Gaspare ripropone la stessa domanda, e Zuzzurro dispiaciuto nega di nuovo ma supplichevole chiede su quale canale li diano, che se li sta perdendo tutti.
- Sul 7 – risponde Gaspare.
Il giorno dopo si ripete la scena, solo che Zuzzurro inizia ad avere le occhiaie e biascica.
Gaspare allora gli spiega che lui lo vede sul 7 della sua TV, ma che il canale è un altro e bisogna vedere se anche la TV di Zuzzurro è sintonizzata come la sua.
Nel pomeriggio però, mentre Gaspare va a farsi gli sciacqui con ghiaccio e fetta d’arancia, becco Zuzzurro che dorme sul lavoro: povera stella!
Il giorno dopo stessa scenetta e Gaspare che gli dice che è colpa sua perché si addormenta prima che inizi il film e… e io sbotto e gli dico – Zuzzuro: ti sta prendendo per i fondelli. Non c’è nessun film porno. Se ne vuoi vedere uno vai al cinema. Ma la notte dormi e di giorno lavora che sono stufo di fare anche il vostro! –
Gaspare fu messo sull’aereo e tornò a casa.
Appena possibile anche Zuzzurro.
Successivamente chiesi di andare in trasferta da solo, che almeno l’azienda risparmiava….

In azienda ci ridemmo sopra per un bel po’.
Una volta poi, tornando dall’Olanda, ci fermiamo a dormire in un hotel in Francia.
Andiamo a dormire tardi, accendo la TV e sul 7, ma proprio sul 7, becco un film porno.
Prendo la cornetta del telefono e chiamo Zuzzurro: - guarda che sul 7 c’è un porno! –
- Ma va, ma lasciami in pace! –
Allora chiamo un altro collega, gli spiego tutto, controlla e anche lui ha il porno sul 7.
Allora anche lui chiama – Zuzzurro! Zuzzurro!! C’è un porno sul 7, davvero!!! –
Oh, Zuzzurro non volle crederci, nemmeno la mattina dopo quando tutti glielo raccontammo a colazione.

Poi una volta andammo a Venezia per lavoro, me lo portai dietro e finalmente la vide.
Disse che era carina ma pur abitandoci di fianco non credo ci sia mai tornato.
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Qui invece si parla di disperazione e bruttezza della Meccanica

Insomma che in Italia, tra leggi e leggine, normative, adempimenti, certificazioni, costo della manodopera, leggi sullo smaltimento di qualsiasi cosa gli passi per la testa al primo passacarte che capita... se ti devi far fare 50 staffe, o non trovi nessuno o le devi pagare uno sproposito.
Risultato che le ordino a... all'estero (diciamo e non specifichiamo dove!), che lavorano senza nemmeno dare codici ai loro prodotti, semplicemente attaccano una foto su un pezzo di carta e tu gli scrivi quanti ne vuoi: 1, 10, 100...
Ovviamente arrivano fatte male e visto che non ce ne sono 2 uguali, non è certo colpa mia!
Faccio reclamo.
Non possono dare la colpa al mio disegno, al progetto, ai miei calcoli... no, non possono!
Però s'ingegnano a scansare la colpa spedendomi un video di come montarle e li vedi seduti per terra, su dei cartoni, pieno di cartacce, scalzi (uno con le infradito) e mentre uno spiega in un inglese che sembra che ha una molletta tra i denti, l'altro si passa il dito tra le dita dei piedi...
No, no, no che schifo!
Ma il bello è che poi arrivate in Italia, ma soprattutto in Germania o in Polonia, cambiano scatola, diventano Designed in Germany, UE, soprattutto diventano Certificate e le vendono.
E' un peccato, perchè la meccanica, il lavoro, è una cosa seria, che fa(rebbe) onore a chi lo fa bene.
Soprattutto è un peccato perchè con tutte le belinate che si sono inventati negli ultimi 20 anni siamo solo riusciti a rendere il lavoro impossibile, far chiudere tutte le aziende, per poi essere costretti a comprare a gente che lavora scalza tra la sporcizia.
Che schifo.
Che peccato.
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Quando ho caldo, attacco alla presa USB del mio PC un ventilatorino che mi rinfresca un po'.
Modestamente, fa il suo, quello che può.
Oggi però no.
Oggi fa un caldo umido, pesante e lepego, che per levarselo di torno ci vorrebbe la girante di una Kaplan, quelle delle centrali idroelettriche per capirci.

Franco faceva il meccanico.
Viveva in una villetta con ampio garage.
A volte organizzava delle mangiate, e per spazio e comodità, arrangiava nel garage, così che d'inverno faceva freddo (ma bastava bere) e d'estate caldo, e quello non te lo levavi mica.
Mise uno o due ventilatori di quelli col treppiede, ma facevano che ridere, e tutti a lamentarsi del caldo, mangiare e lamentarsi.
Un giorno gli venne un'idea e prese la ventola del radiatore di una vecchia FIAT con su tutto il suo telaietto, e l'appese in cima al muro del garage, un po' inclinato verso il basso, che beccasse il capotavola e poi tutti gli altri di ripasso.
Con l'impianto elettrico fece un po' un accrocchio per trasformare i 220V alternati in 12V continui, funzionante ma mica tanto bello perchè i fili erano belli all'aria e coperti alla bene e meglio con un po' di nastro isolante.
Poi l'accese.
Sembrava di essere su appesi in cima all'albero maestro di un galeone in tempesta.
Le orecchie ti venivano come quelle di Carlo d'Inghilterra, e se ti prendeva da dietro, le basette ti finivano negli occhi.
Ti tirava proprio la pelle che se da una parte ti veniva liscia come un culetto, dall'altra ti faceva le rughe come una fisarmonica.

La moglie, al Franco, gli fece tirar via tutto che si vergognava con gli invitati.
 
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Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Piero è un meccanico abilissimo, specializzato in (diciamo) orologi.
Ma abilissimo non vuol dire che è bravo a cambiarti la pila o il cinturino, no.
Abilissimo vuol dire che gli porti un Cartier automatico fermo da 20 anni a cui manca un pezzo, lui ricostruisce il pezzo mancante, lo monta, controlla che marchi giusto, se va avanti o resta indietro modifica il suo pezzo o un altro, e alla fine è perfetto, come nuovo; anzi, meglio, perchè è ancor più preciso.
Abilissimo vuol anche dire che, finchè Cartier deve fare 10.000 orologi tutti uguali da soli 25.000€, se li fa da se; ma se ne deve fare 1 solo da 250.000€, spediscono i pezzi a Piero e glieli monta lui.
Se poi la regina d’inghilterra spedisce i suoi orologi a Cartier per fare il tagliando, Cartier chiama Piero che ci mette mano solo lui.
E’ chiaro a che livelli si muove Piero?
Bene.

Piero, è molto intelligente, molto abile e molto pratico.
Ma Piero, non ha voluto finire la scuola, cioè le medie.
E a leggere un libro, non ci pensa nemmeno.
Cioè, non è che non leggerebbe mai Tolstoij, è che non leggerebbe mai nemmeno un libro sul funzionamento dei Patek Philippe o dei Longines.

Piero trova una soluzione per tutto, ma la deve trovare lui, se no non gl’interessa.
E’ come se fosse senza frizione: il suo cervello nemmeno ingrana.
Se gli dici dov’è la carta igienica, rischi che per principio esca di casa col.....

Eppure, se il libro sul funzionamento dei Patek o dei Longines l’avesse trovato lui su internet alle 23:00, vi sarebbe rimasto incollato a leggerlo fino alla fine, anche fino alle 8 del mattino.
E se era scritto in russo, se lo imparava.

Piero ha un cervello fine, speciale, ma parte solo se ci sono le sue condizioni.
Che gli altri possano lavorare con un metodo diverso dal suo, lo capisce, ma che lui debba o possa adeguarsi a farlo, almeno una volta, nemmeno a parlarne.

In pratica, è come se avesse un rifiuto per tutto ciò che presupponga imparare dagli altri, soprattutto dall'esperienza altrui che, grazie alla scrittura, viene tramandata da circa 3000 anni con un risultato mica male.
- Leggere una e-mail? Ah! Ah! Ah! Ah! -
Gli si svita l’ombelico e gli casca il sedere per terra dalle risate.
- Scrivere una mail? –
- Ma chi? Lui? Presto! Correte a prendere il defibrillatore che stavolta dalle risate ci crepa. -

Alcune e-mail però corre a leggerle subito: quelle che gli permettono di mettere insieme la fattura e spedire il conto.
- E allora sai dove puoi andare? – sbotto io – non sei introverso: sei proprio stronzo ed egoista! -

E di Piero ce ne sono tanti.
Forse non proprio Piero ai livelli di Piero, ma li riconosci fin da bambini.
Magari la mail per la fattura non li riguarda ancora, ma il resto sì.
Interessi particolari.
Metodi particolari.
Capacità di concentrazione e di isolamento fuori dal comune, che quando poi c’è da mollare quello che sta facendo per mangiare, scoppia sempre la lite, perchè per lui, mollare quello che gli frulla in testa, è come subire una violenza fisica.
Sto parlando di mio figlio adesso, non di Piero.
Ma è sulla buona strada.

Mia moglie è disperata.
- non è possibile che non legga un libro nemmeno a spellarlo. –
- si annoia –
- ma come fa ad annoiarsi che ce n’è di bellissimi? –
- rispetto al vortice che ha in testa lui, sono tutti una pizza –

A mio figlio, a 7 anni, gli abbiamo regalato una macchina fotografica impermeabile.
Adesso ne ha 10 e all’imbrunire si apposta nel bosco per filmare i caprioli e se gli va male, gli scarabei stercorari.
Oltre a bei filmati di daini e caprioli, c’ho ore di filmati di scarabei che trasportano palline di cacca.
Adesso invece, dalle 08:30 alle 18:30 sta sott’acqua a filmare donzelle pavonine, acetabularia, polpi, stelle marine, la fauna della posidonia e giù filmini che fa vedere a tutti.
A volte sono un po’ distanti e sfocati, se no sembra un National Geographic fai da te.

Da questo punto di vista (e forse un altro ancora) capisco mio figlio meglio di mia moglie, perchè anche io sono stato un po’ Piero in passato e perchè ne ho conosciuto tanti.
Lei no.
Io però poi sono cambiato.
Forse perchè avevo paura che se non fossi cambiato, non sarei riuscito a fare quello che volevo, e allora sono diventato metodico come un PC.
Che detto così sembra facile, certo, col senno di poi è facile tutto, ma a cambiare c'ho messo sì e no 15 anni durante i quali non avevo nemmeno realizzato cosa mi stava accadendo.

Ecco, mi domando il perchè rifiutare di apprendere dall’esperienza altrui.
Il ns cervello apprende prima grazie all’udito, poi alla vista, al tatto (giocando) e deve essere un processo meraviglioso per il cervello, ma poi bisogna accettare anche altri tipi di esperienze che permettano di apprendere, come la lettura.
Daltr’onde, grazie a udito, vista e tatto, puoi imparare tante cose, ma non tutte e comunque lentamente.
Se invece ti affidi anche alla lettura, allo studio, potrà sembrarti un processo molto più lento, lungo e noioso, ma in realtà puoi assimilare molta più informazione; soprattutto puoi capire in un attimo i rapporti causa-effetto-soluzione.
Ok, poi dovrai mettere in pratica per rendere tuo il know-how acquisito, ma magari hai risparmiato di perdere un mese per scoprire l’acqua calda.
Cioè, non è che uno deve sempre scoprire o inventare o se no chissenefrega, no?

Mi domando anche come capire e correggere questo atteggiamento nei bambini.
Perchè per un po’ giocare all’apprendista stregone è bellissimo, non lo discuto, ma una vita così no, si rischia di buttarla via.
Capisco che a 14 anni si abbia la sensazione di essere in una spirale in continua espansione, perchè il cervello che si arricchisce di esperienza darà quella sensazione lì, ma già a 30 rischi di trovarti in un vicolo cieco, perchè non confrontandoti più con gli altri, un bel giorno la spirale ha iniziato a chiudersi e tu mica te ne sei accorto.
Se poi, per bravo che sei nel tuo lavoro, hai scelto una specializzazione che professionalmente porta a poco o a niente, cosa fai?
O forse correggere è un termine sbagliato.
Forse è meglio dire indirizzare, perchè l’originalità non è mica una deviazione da correggere, ma nemmeno può farti perdere la bussola della vita!

Sono tanti anni che lavoro con Piero.
Io il laboratorio di orologeria (diaciamo...) non ce l’ho più da tanti anni, perciò c’ho perso un po’ la mano e siccome non ho più fatto assistenza ai Cartier, non so che cinque anni fa hanno fatto un modello che per aprirlo ci vuole una chiave speciale che ingrana su una levetta a scomparsa dietro il pomellino del datario, perciò magari divento matto ad aprirlo o a chiuderlo come un principiante.
Ecco, io qui mi perdo rispetto a un Piero.
Ma poi una volta aperto, anche se non ho mai visto quel meccanismo lì in particolare, mi metto lì e razionalmente, passo in rassegna ogni componente, come è fatto, come interagisce con gli altri, e fino a quando non lo faccio funzionare nel mio cervello (non nella pratica), non mollo.
Allora io riesco a capire e a prevedere problemi che Piero non si sognerebbe nemmeno.
Perchè io non sono geniale come lui, ma sono metodico e sistematico.
Se non riesco a scrivere e descrivere con le parole mie come funziona quell’orologio, se non riesco a disegnare un grafico che rappresenti l’evolvente dei suoi ingranaggi, la traiettoria dei bilancieri, le accelerazioni puntuali di ogni sua estremità e a valutare le inerzie nel cambio di moto, non mollo.
Magari poi non ci metto le mani perchè appena ci provo le mollette e ingranaggi mi partono per ogni dove, ma io ho capito e io posso spiegare agli altri come ripararlo, che appunto, è il mio lavoro, e che alla lunga, lavorare per gli orologiai rende di più che essere uno di loro e dover sottostare a tutte le bizze dei loro clienti capricciosi.

Ecco, forse il trucchetto per indirizzare un bambino potrebbe essere proprio quello.
- Vuoi farmi vedere i bellissimi filmini della natura che fai tu? –
- Sì –
- E allora devi aggiuncerci un bell’audio –
- E cosa dico? –
- Ah! Questo non lo so, Domandalo ai libri! Studiati qualcosa sul capriolo piuttosto che sui nudibranchi, così poi mi spieghi le cose fino in fondo invece che farmele vedere e basta. Vuoi andare fino in fondo alle cose o no? –

Boh!
Chi lo sa?
Forse quando un passerotto spicca il suo primo volo, invece di ragionare da vecchio e pensare non solo dove andare ma anche a come tornare, fa bene a ragionare da giovane e cercare di divertirsi senza dare una botta per terra!
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
L’altra notte, verso l’una del mattino, sento una musichetta. Penso a mio figlio che fa qualche cavolata e mi alzo a vedere: invece sta bravo lì che dorme, come sua sorella. I gatti sono fuori perciò non possono aver toccato nulla...boh, me lo sarò sognato.
Qualche giorno dopo la risento distintamente e mia moglie mi dice che è la lavatrice che avvisa il fine ciclo.
Gli elettrodomestici li comprammo 14 anni fa quando andammo a vivere insieme, perciò ultimamente qualcuno lo stiamo sostituendo. La lavatrice è uno di quelli che abbiamo rimpiazzato e quella di adesso fa le musichette. Oggi la guardavo: ha un pannello che sembra una calcolatrice scientifica: non dico ci siano i tasti con Log, Sen, Cos, Hyp....ma quasi.
- Eppure è una di quelle che costava meno – mi garantisce mia moglie.
Che a me non è che freghi tanto del prezzo ma che se un giorno la uso non c’ho voglia d’impazzire a capire tutto. Io avevo imparato con la mia che prima sceglievi tra cotone, sintetici e delicati, tra 30°, 60° e 90°, tra prelavaggio e centrifuga SI/NO, ON e via. Era semplice. Questa bisogna studiarla.

Si scassa la lavastoviglie.
Lei invece 13 anni, uno meno della vecchia lavatrice.
Provo a ripararla ma questa volta è andata. Non è un problema meccanico (filtri, guarnizione...) stavolta è uno di quegli aggeggi elettrici fatti per farti buttar via l’elettrodomestico, prima o poi.
- Quale prendiamo? –
- Io ne voglio una con due tasti: ACC e SPENT –
- Quella che costa meno 249 –
- No, non quella che costa meno: quella che non devo studiare per lavare i piatti! –
Insomma che alla fine abbiamo preso una Indesit a 9 pulsanti / spie: la più semplice di tutte.
Anche questa con musichetta che avvisa che lo scolapasta è lavato, come se me ne fosse mai fregato qualcosa.

Ora, l’altro giorno ero da un cliente.
30 presse da svariate tonnellate l’una, alcune alte 6 metri, come una casa a due piani.
Roba da ridurre in polvere l’acciaio o trasformare la polvere in ferro.
Il pannello di controllo è molto semplice:
1. Interruttore ON/OFF
2. Spia rossa che ti dice che è accesa
3. Fungo rosso per spegnere in caso di emergenza
4. Manopola per regolare la pressione dell’olio
5. Manometro che ti dice la pressione dell’olio
6. Manopola per regolare la temperatura
7. Termometro che ti dice la temperatura
8. Leva/Pedale di azionamento
Credo che la pagina di istruzioni sia poco più grande di un francobollo.
Eppure parliamo di attrezzatura altamente professionale.

Mi dicono ci siano frigoriferi che leggono i codici a barre così sanno cosa c’hanno dentro.
Poi immagino che se rubi una lecca di stracchino glielo devi dire così sa che dai 100g iniziali ne restano solo 76.
Mi dicono pure che sono intelligenti, perchè li puoi collegare al cellulare così ti ricordano che è finito il latte. E se sei genovese ti ricorda che è finito il pesto? E se sei calabrese che il barattolo di peperoncini dinamitardi si è alleggerito? Ma se un bambino ruba la nutella, il frigo se n’accorge e fa la spia alla mamma?
Io sono terrorizzato: adesso c’ho un frigo che va da dio dotato di sola lampadina e rotellina per la temperatura. Il giorno che mi si rompe devo prendere un intero reparto di logistica con una tastiera che sembra l’organo di una cattedrale gotica e uno schermo che nemmeno a Cape Canaveral?
E lui, il nuovo frigo, farà la musichetta quando mi stappo una penosissima Peroni?

La mia vicina ha il Folletto Totale, quello che te lo portano in due valigie che sembrano sarcofaghi egizi: uno per l’aspirapolvere che sembra oggetto di venerazione, l’altro per tutti gli accessori, che ne ha più lui che la sedia di un dentista.
Noi invece abbiamo un coso con un bottone solo.
Infatti con la vicina non ci parliamo mica più.

Comunque io dico che sono gli elettrodomestici che devono servire me, non io che devo servire loro.

Ah, poi, comunque, con la scusa delle novità e dei sacchetti, quello della Folletto visita la vicina un po’ spesso, ma questa musica, suo marito, non la sente mica!
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Gino ha una piccola azienda di lavori di precisione e siccome non può fare tutto lui, ha qualche collaboratore.
Piero è un perito meccanico di 75 anni che ha lavorato una vita negli uffici tecnici di aziende metalmeccaniche, e che da quando è in pensione, collabora con Gino gestendogli l’ufficio tecnico.
Tutti e due sono anzianotti, perciò discutono spesso: Piero è uno fine ed educato, Gino invece, deve bestemmiare per riuscire a parlare, se no gli viene come l’asma e non respira nemmeno.
Discutono perché Gino vorrebbe che il lavoro andasse avanti un po’ più speditamente, mentre Piero si blocca spesso ponendosi dubbi che si risolvono soltanto eseguendo delicate misurazioni all’interno delle varie cave, sedi, pertugi… e alla fine ci vuole sempre un calibro diverso e nuovo per levarsi ogni dubbio, eseguire le misure più strambe, valutare, capire, ponderare e passare a progetto.
Ovviamente, Gino che è quello che ci mette i soldi, a volte anche quelli che non ha, borbotta in maniera molto colorita.

Stimo molto entrambi e per motivi diversi.
Piero lo stimo perché ha quel sapere che io da ingegnere meccanico dovrei avere e invece all’università non me l’hanno insegnato, e io poi per motivi professionali, non ho appreso perché ho fatto dell’altro, perciò non solo lo stimo, ma anche un po’ invidio, e quando parla, sto ad ascoltare e cerco di fare tesoro.
Soprattutto, di Piero, mi è sempre piaciuto quel metodo basato sulla curiosità, sul dubbio, sulla ricerca e misurazione, e sulla valutazione a freddo del dato ottenuto in base a principi obiettivamente corretti.

Piero lavora in un ufficio di 4 metri per due insieme a una segretaria che non c’è quasi mai perché in maternità, perciò alla fine sono due anni che lavora praticamente da solo.
Solo io, ogni tanto, invado il suo spazio perché, quando vado a lavorare da Gino, devo posare il mio PC e fare il mio.
Lo spazio è piccolo, chiuso, senza finestre, senza ricircolo d’aria, perciò in tempo di covid, mascherine su mascherine e ognuno dietro ai propri monitor.
Piero deve starci attentissimo perché prende già la pastiglia per il cuore, per le vene, per il sangue, per la pressione, per gli zuccheri, per i crampi, per lo stomaco… e gli ci manca il covid!
Arrivano marzo e aprile ed è tempo di vaccino, soprattutto per Piero.
- Dai coraggio che tra un po’ ti siringano e puoi tirare un sospiro di sollievo! – gli dicevo allegro io.
- Eeehh – rispondeva lui.

Poi arriva anche giugno, torno e per tranquillizzarlo della mia presenza, gli dico che ho fatto il primo di Pfizer, ma non lo vedo entusiasta, anzi.
Infatti il discorso prende una brutta piega a base di – le mie figlie mi hanno detto che tutta questa storia del coronavirus sono balle, non è vero niente, la gente non muore ma non si può uscire di casa, e se stai male e chiami non risponde nessuno e non vengono a curarti, che se poi sto male io, mi hanno detto, di non chiamare la guardia medica che tanto non vengono, di chiamare loro, che loro sì che sono in contatto con dei volontari che ti seguono a domicilio, altro che gli ospedali – pausa, respiro e poi riprende come se dovesse recitare la Divina Commedia tutto d’un fiato che – se vai su internet, ma sui siti giusti, ci sono dei medici, non gente qualunque, che dice che nei vaccini ci potrebbero essere i chip, perché sono pieni di particelle ferrose, e hanno fatto vedere che se ti fasci una calamita dove ti hanno fatto il vaccino, dopo due giorni ce l’hai tutto nero, perché attira il ferro che ti hanno iniettato…-
Ma se è per quello – interrompo io – anche se ti fasci una calamita all’uccello bella stretta, dopo due giorni ce l’hai tutto nero, ma mica perché ce l’hai d’acciaio – ma lui pare non sentire quel che dico, anche perché a dire il vero, per stupore e rispetto sono rimasto zitto e mi sono limitato a pensarlo.
Ma appunto, lui continua come un panzer che – è tutto un progetto per controllarci perché siamo in troppi e allora hanno deciso quanti cinesi ci sono di troppo, quanti americani, quanti arabi, quanti italiani e la soluzione è presto fatto: medicine per tutti, così o ti spillano dei soldi o muori. –
- Ma per ammazzare te avrebbero dovuto prima ammazzare quattro milioni di persone? – gli domanda Gino che per una volta non bestemmia nemmeno, ma c’è un trucco: come me è stato zitto e si è limitato a pensarlo e poi dirlo solo a me a quattrocchi. – Per ammazzare te, bastava che cambiassero dosaggio ad una sola di quelle pastiglie ed eri già bello e che morto. –
E poi niente, come un invasato: - e Zangrillo di qua… e Burioni di là.. e al Sanraffaele… e quello scemo della Regione Campania… e negli Stati Uniti adesso fanno retromarcia e non vuole più vaccinarsi nessuno perché hanno capito…e neppure i russi vogliono vaccinarsi, preferiscono il covid … -
E grazie – dico io – lo Sputnik io non me lo faccio mettere per davvero! –
Insomma: un disastro, sembrava di ascoltare un pazzo che farneticava contro le donne, tutte cattive tranne la mamma.

Eppure Piero non è né pazzo né scemo.
Piero è uno che ha trascorso una vita a misurare tutto con la precisione del micrometro, e per lui l’unica verità è quella del suo nonio millesimale con la relativa tolleranza, e in mancanza di questa, in mancanza di una verità assoluta, piuttosto che niente, bloccava il lavoro, perchè un lavoro, piuttosto che farlo male, s'interrompe.
Adesso è evidente che annaspa come uno che non sa nuotare, nel panico.
Per forza – penso io – i pezzi meccanici che gli sono capitati per le mani, lungo tutta una vita, iniziavano qui e finivano là, e gli bastava il calibro giusto che ne misurava e capiva ogni piccolo dettaglio. Il covid invece no: riguarda il mondo intero, un mondo che non conosce e non può misurare, e dopo un anno e mezzo di confusione, va nel panico, e piuttosto che accettare i suoi limiti e l’intangibilità delle cose, preferisce negarle, pensare che sia tutto falso, tutto un complotto, tutto assurdo ma limitato, in modo da poterselo immaginare. –
Tra un po’ saremo ad agosto e lui continua a non vaccinarsi: speriamo bene… cioè, che lo vaccinino mentre dorme!
 
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Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
STORIA VOLGARE E DI CATTIVO GUSTO


Mi dispiace, non è colpa mia, è la storia che è così.
Se vedete che non vi piace, passate ad un altro post.
Comunque tranquilli: come dice il titolo, prima c’è la volgarità, poi il cattivo gusto, ma tra l’uno e l’altro avviso, per se ne avete avuto abbastanza del primo e volete evitare il secondo.

In passato, uno dei lavori che ho fatto, è stato vendere ricambi per auto e autocarro.
Chi non è del mestiere o lo fa male, pensa che vendere significhi presentarsi con un vestito d’Armani e gli stivaletti di coccodrillo, oppure con dei completini da morto di fame e fare il prezzo del concorrenza meno 1 cent.
Niente di più vero: devi invece cercare di essere il più caro possibile ma giustificando il prezzo grazie alla qualità, all’immagine, alla gamma, alla disponibilità, al servizio post-vendita… del tuo prodotto, perché a parità di margine in %, se un ricambista compra caro e riesce a rivendere caro, margina di più in euro, che è quello che vuole... ma lasciamo perdere se no andiamo fuori dal seminato: qui si parla di meccanica, non di soldi!
Comunque, giusto per fare una piccola parentesi, creare una rete di vendita è bellissimo e il punto di partenza è sempre guardare la cartina di una nazione, vedere gli abitanti, la densità e distribuzione della popolazione, le reti stradali, il parco circolante (modelli e vetustà), e poi girare e girare per le strade per capire il mondo del cliente finale per scegliere il miglior distributore: insomma, il geo-marketing.

Una volta dovevo trovare un distributore per il Lazio.
Il Lazio è un mercato importante perché ha una popolazione elevata, un parco auto immenso e vecchio, tanti camion… ma difficile, perché i napoletani, soprattutto a Latina e Frosinone, gli rovinano il mercato; comunque i laziali rovinano il mercato ai toscani e marchigiani e alla fine vanno in pari.
Insomma, che vista la regione, decisi di cercare uno serio più che grosso e che mi permettesse di crescere piano piano senza crearmi problemi in altre regioni.
Uno di quei privilegiati che, magari vivendo sull’Appia Antica, fa colazione tra i monumenti, andando al lavoro si diletta ad ammirare statue, poi la sera fa jogging nel parco di una villa secentesca, il sabato ammira le statue del Bernini, la domenica va a messa in una chiesa del Borromini, eccetera.

La prima visita la feci a uno sulla Nomentana, che era piccolo, traccagnotto, scuro di pelle e da buon romano si chiamava Fabbrizzzio.
Iniziai parlando di immagine, gamma… e quando toccò alla qualità, tirai fuori dei campioni per far vedere come la carta dei filtri fosse consistente ma soffice, porosa ma non perdesse i peli; come le frizioni avessero i rivetti ben incassati; come la gomma delle cinghie fosse bella morbida ma i trefoli in nonsocosa invece che in nonsocosaltro… fino a quando arrivò il turno alle pastiglie dei freni e gliene tirai fuori una.
Lui la prese di scatto, come se fosse stato un riflesso incondizionato, come un bambino che afferra un dolcetto, se la porta al naso (grosso come un peperone e con due narici pelose che sembravano l’antro dell’orso) e, dopo un bella sniffata da staccargli l’adesivo e una leggera leccata con la punta della lingua, esclamò:
- ‘n so’bbone! –
- Perché dice così? - domandai io che mi sentivo già come un’ipotenusa alla ricerca di un cateto a cui appoggiarsi.
Ma lui arricciò il naso, strizzò le labbra che sembrava una porchetta sotto il coltellaccio e rincarò sprezzante – ‘n so’bbone! –
Preferendo restare zitto, aspettai che l’unico essere umano dotato di naso da pastiglia dei freni, svelasse l’arcano.
- ‘na pastija, pe’ esse’bbona, deve sapenne ‘dde fregna. –

La frase di sopra diceva tanto, ma più a proposito di Fabbrizzzio che a proposito delle pastiglie dei freni, e siccome voi non siete del mestiere, non potete capire quanto.
Lasciatemi perciò spiegare meglio la situazione passando dalla volgarità al cattivo gusto.

Quando voi fate una leggera pressione sul pedale del freno, questo grazie all’azione del servofreno, genera un’elevata pressione nel sistema idraulico che preme le pastiglie contro i dischi, e per attrito, trasforma l’energia cinetica della vettura in calore, rallentandola.
Il problema è che l’energia e il calore dissipato è così elevato che dopo un po’ l’olio si surriscalda, ribolle, il pedale diventa spugnoso e la vettura non frena più.
Un tempo, per evitare ciò, si adoperavano pastiglie in amianto, così non trasmettevano il calore all’olio, però poi le vietarono sostituendole con altre che dissipassero il calore grazie a particelle metalliche che provvedevano alla bisogna. Il metallo migliore per dissipare il calore è il rame, ma essendo costoso, spesso si ripiega su fibre ferrose che ossidandosi, rilasciano un odore ferroso, simile al gusto del sangue.
Ora, se uno queste cose non le sa, se ne sta che Fabbrizzzio era un animale e punto, ma se poco poco ci mastica, capisce che era proprio una bestia che frequentava in ogni giorno del mese, una fauna poco avvezza al bidet.

Tornando al geo-marketing, all’Appia Antica, alle proiezioni di vendite, al Borromini e ai sales-plans, dirò che ringraziai il nostro Fabbrizzzio e gli dissi che gli avrei spedito listini e sconti, ma poi – per fortuna - iniziai la collaborazione con uno che stava sulla Tuscolana e che mi portava a pranzo in un posto caruccio che se magnava’bbene co’ er vino de li Castelli.
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Quando ero ragazzo io, i cataloghi di cuscinetti iniziavano con una bella foto a tutta pagina della loro fabbrica a Frosinone piuttosto che ad Aachen o a Montpellier, fabbrica di cemento con le finestre in alluminio anodizzato e l’erbetta intorno. Poi si vedevano gli uffici con computer e stampanti.
Negli anni hanno iniziato a mettere cartine dell’Europa dove apparivano le filiali di Timisoara, Bursa e Poznan e ovviamente, hanno dovuto rimpicciolire le foto delle fabbriche.
Poi hanno allargato le cartine mettendoci dei puntini che rappresentavano gli stabilimenti di Ciudad de Mèxico, Guangzhou, Bangalore e Ho Chi Minh City.
Infine sono sparite sia le cartine che le foto delle fabbriche.

Adesso ci sono solo foto di riunioni inclusive di manager.
Inclusive perché sono tutti manager, sia maschi che femmine, caucasici, afroamericani e del sud-est asiatico.
E’ tutto bello, nuovo, ordinato, pulito, luminoso.
Tra i tanti manager ne spicca sempre uno brizzolato, camicia azzurra, maniche lunghe, cravatta regimental o blu scura, bello, lo vedi che gioca a tennis, avrebbe potuto essere un campione ma da ragazzo s’infortunò un ginocchio sciando e perciò dovette dedicarsi solo al lavoro e alla famiglia fino a finire in un catalogo. Non è un capo che comanda, no; è un leader che costruisce un team dove tutti si mettono in gioco.
E se ne accorge la donna che ha alla sua destra: viaggia verso i 40 anni, è stata bellissima ma ora punta più alla propria professionalità che allo specchio e desidererebbe tanto un uomo come lui, che la faccia sentire sicura e giovane per sempre.
C’è un'altra donna, molto più giovane, nemmeno 30 anni, è l’unica che porta gli occhiali ma non per miopia – se no sarebbe brutta – ma perché le donano e la rendono meno frivola nonostante la sua bellezza castigata da una gonna a tubo appena sopra al ginocchio. Anche lei vorrebbe essere stretta dalle braccia del leader, ma nella foto cerca di non pensarci perché non sarebbe professionale.
Tra i giovani c’è un afroamericano con camicia, pullover e cravatta leggermente allentata che guarda un PC per corroborare ciò che dice il capo, nonché un cinese (o almeno lo sembra) con la camicia a quadretti e che sorride con la testa un po’ da una parte, che – si sa – se i cinesi sorridono con la testa diritta è perché sei già spacciato, ma lui è un cinese buono, democratico e non mangia i cani.
C’è pure un ficus.
Male che vada, in ultima pagina, c’è una centralinista sui 23 anni, giovane, carina, dolce ma professionale perché sa quattro lingue e risolve qualsiasi problema tu abbia. E’ talmente brava che credo lavori per tutte le aziende del mondo, infatti la sua foto – coi colleghi sfocati sullo sfondo – appare in almeno 6.548.987 siti internet e altrettanti cataloghi.

Vorrei vivere in un catalogo di cuscinetti perché vivere in una fabbrica di cuscinetti è un po’ diverso.
C’è un computer, anche la tastiera, ma dai tempi in cui era collegata a un 486, gli manca il tasto della R.
La sedia che gli sta di fronte, oltre ad avere una bella macchia di grasso di cuscinetti, ha una ruotina grippata e non scorre bene.
Riunioni non se ne fanno perché il capo non ha un cazzo da spiegare a nessuno che tanto non capite una minchia, perciò è meglio urlarvi, che poi è meglio, che se non si sfoga di continuo esplode ed è peggio.
La fabbrica, come il catalogo, è inclusiva e ci sono sia donne (tutte in ufficio o a fare le pulizie) che uomini (tutti in produzione o alla logistica).
L’entourage del capo, costituito appunto da sole donne, non gli sta proprio così incollato come nel catalogo, anzi gli sta parecchio lontano e fanno pure finta di non vederlo, non sia mai che vengano coinvolte in qualcosa. A dire il vero non somigliano tanto a quelle delle foto: sono decisamente più basse, più grasse o magari no, è solo cellulite, sembra che le ho pettinate io e soprattutto gli occhiali hanno delle lenti che sembrano il culo di un fiasco di vino. Ma soprattutto le vedi che non nascondono di desiderare il capo, anzi, non lo desidera proprio, anzissimo: non desiderano proprio nessuno, nemmeno i loro figli le cui foto ormai sono girate dall’altra parte.
Se vai in produzione vedi proprio cosa vuol dire un mondo multietnico: un ghanese, un bengalese, un marocchino, un ucraino, un filippino, un polacco e un rumeno che nel tempo hanno sostituito un egiziano, un cileno, un russo, un croato, un bielorusso, un turco, un indiano e un senegalese, che a loro volta hanno sostituito altri immigrati e per trovare un italiano bisogna rimontarsi ai tempi delle foto in bianco e nero, quando gli operai leggevano L'Unità, c'avevano i baffi e a briatore non gli avrebbero dato proprio un like.
Sempre in produzione, tra le presse , ci sarebbero pure delle donne, molto più giovani e carine di quelle in ufficio, ma dalle posizioni che assumono non capisci se hanno mal di schiena, fanno yoga o stretching, sta di fatto che sono senza mutande e in un trenta calendari appesi ovunque.
Alla logistica invece ci sono solo ecuadoregni: all’inizio ce n’era solo uno ma poi ha portato dentro suo fratello, suo cugino, suo cognato, un amico…poi scopri che alla fine non solo sono tutti ecuadoregni, ma anche tutti della stessa setta avventista, perciò lì niente calendari di donne nude ma nemmeno della Madonna perché sono protestanti e non ci credono.
C’è pure un italiano che è il capo della produzione e della logistica, e infatti ha un ufficio tutto suo con una sedia più lercia della pressa, un tavolo che sembra ci sia scoppiata una bomba, ovunque bicchierini di plastica del caffè con dentro un mozzicone il cui afrore ti brucia la gola all’entrare, e bestemmia; bestemmia sempre, o perché qualche operaio che non capisce niente gliene ha combinata una delle sue, o perché una dell’entourage che non capisce niente le ha ordinato il grasso al litio anziché quello grafitato, o perché deve andare a rendere conto al vero capo che non capisce niente, ma questo ultimo dettaglio, benchè vero, non osa nemmeno sussurrarlo.
C’era anche un cane nel cortile, dietro ai pallets anche se poi scagazzava per tutto il cortile e nessuno puliva fino a quando di passava sopra il muletto che se era secca la polverizzava, mentre se per disgrazia era fresca, la trascinava ovunque, anche in magazzino. Poi un bel giorno come era arrivato, è sparito e qualcuno sussurra ridendo tra i denti che non si è più visto da quando il filippino e il ghanese hanno fatto tardi una sera, che poi è meglio che almeno adesso puoi trascinare le casse di ralle senza girarci intorno.

Calderòn de la Barca scriveva a proposito de La vida y el sueño.
Ecco, io preferisco il catalogo, mi va bene anche la centralinista dell’ultima pagina.
 
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Pathurnia

if you have to ask what jazz is you'll never know
A me invece non fa ridere affatto. Mi sembra che troppo spesso, nel leggere, ci si fermi al tono sarcastico/paradossale lasciandosi influenzare da quest'ultimo, come se questi brani di vita vissuta fossero solo storie umoristiche (non mi riferisco assolutamente al commento di @qweedy, è un discorso generale). Quello che io colgo da questi articoli è un discorso complessivamente amaro sull'idiozia umana, sull'incapacità di far bene le cose e sulla difficoltà delle persone a dare il giusto peso agli aspetti della vita che contano davvero.
Sono pezzi scritti in modo coinvolgente, ci sono suoni e colori, c'è l'odore dei lubrificanti e il rumore dei metalli, ci sono i discorsi detti e i discorsi pensati, c'è un ritmo di vita vissuta che invoglia il lettore ad arrivare fino in fondo.
Ci sono, oltre a tutto il resto, competenza tecnica, lucidità nello studiare caratteri e persone, vivacità nelle descrizioni, passione e ironia.
Forse ciò che mi sembra assente, pur senza nulla togliere alla brillantezza dello scritto come anche dei precedenti, è un briciolo di affettuosa vicinanza nei confronti della debolezza degli esseri umani, come se chi li osserva fosse capace di analizzare, esporre, in fondo giudicare, ma sempre dall'alto, senza condividere l'altrui capacità di sbagliare e di essere tutti in parte stupidi, incoerenti e spesso meschini, cioè umani.

Spero che il commento non sembri malevolo, sono solo valutazioni soggettive che non mi portano a ridere pur apprezzando l'abilità della scrittura.
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Forse ciò che mi sembra assente, pur senza nulla togliere alla brillantezza dello scritto come anche dei precedenti, è un briciolo di affettuosa vicinanza nei confronti della debolezza degli esseri umani, come se chi li osserva fosse capace di analizzare, esporre, in fondo giudicare, ma sempre dall'alto, senza condividere l'altrui capacità di sbagliare e di essere tutti in parte stupidi, incoerenti e spesso meschini, cioè umani.
Se ti riferisci alla discussione in se, non sono d’accordo, infatti se da una parte offro una carrellata di esseri stupidi, incoerenti, meschini e (per me sub-) umani come Pino (#27), Gaspare e Zuzzurro (#29) e Fabbrizzio (#35), dall’altra nei post 6 (Libero), 16 (Irina e Sonia) e 32 (Piero) e 34 (Gino e Piero) propongo dei personaggi vispi, intelligenti, generosi e al limite dell’eroismo che abbraccio con tutto il cuore.

Per quanto riguarda l’ultimo post in questione invece, hai ragione: i personaggi sembrano usciti da Brutti, sporchi e cattivi ma è inevitalbile: quando il titolare e il suo vice creano una situazione tossica, chi ha un cervello per pensare, lavorare e vivere se ne va; chi non ce l’ha, se ne resta, col risultato che resta il peggio, nel senso letterale del termine, ovvero coloro che la mattina si alzano per andare a dare il peggio di se al lavoro e ai colleghi. Fanno eccezione – per correttezza va detto - coloro che hanno un cervello ma non possono andare via perchè sono in trappola, e ciò perchè non hanno la patente o la macchina per accettare un lavoro 10 km più in là, o hanno un debito col titolare che li vincola a vita.

La descrizione dell’ambiente meschino ma spesso reale è voluto per contrapporlo a quello idialliaco ma finto dei cataloghi, cataloghi che ormai, invece di venderci il frutto del lavoro, vogliono venderci una speranza, speranza che è umano riporre nel paradiso delle anime beate o nel paradiso dei lavoratori, ma non in un catalogo di cuscinetti, perchè allora è meglio credere al mito del mondo contadino.


Quello che io colgo da questi articoli è un discorso complessivamente amaro sull'idiozia umana, sull'incapacità di far bene le cose e sulla difficoltà delle persone a dare il giusto peso agli aspetti della vita che contano davvero.
Verissimo.
Vedere frotte di persone che dedicano 35 anni della loro vita al lavoro senza metterci un pizzico di cervello mi amareggia. Mi amareggia la scusa del io per le lingue son negato....aah a me non mi parlate di informatica.....non so come fai a capirci qualcosa in quei numeri lì....da casa mia non mi sposterei mai e poi mai
Mi amareggia ancor di più mangiarci a pranzo e sentire invece come si siano spremuti le meningi per sviluppare un metodo infallibile perchè matematico, fatto al computer per sbancare la schedina piuttosto che la lotteria, e che il ricordo più bello della loro vita è quando sono stati una sera ad Atene per vedere Genoa – Palathinaicos.
Quando poi parlano di politica... lasciamo perdere?
Penso che nel lavoro si possano trovare delle persone meravigliose da cui imparare a lavorare e a vivere, ma sono dei casi; la massa mi fa cadere le braccia e – a dir poco – mi amareggia.

Fa ridere, ma temo sia tutto vero!
Sul fatto che faccia ridere, dipende.
E’ come in Brutti sporchi e cattivi: se fai lo spettatore puoi anche ridere; se sei uno dei protagonisti, no.
Io di questi miei racconti sono come minimo comparsa, e se mi viene da ridere è a distanza di qualche anno.
 

Pathurnia

if you have to ask what jazz is you'll never know
la massa mi fa cadere le braccia e – a dir poco – mi amareggia.


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In questo "mi amareggia" trovo quello che non mi sembra di aver trovato nel resto del discorso, cioè il dispiacere per degli esseri umani che sono costretti "a viver come bruti". Era l'assenza di questo sentimento, che mi lasciava perplessa.
In fondo capisco che hai voluto privilegiare il tono disincantato-satirico, insomma, la cruda descrizione dei fatti. Però c'è ancora un tarlo, e allora ti parlo di me e di come lo vivo io.
Nelle mie numerose esperienze lavorative del passato, prima di arrivare a questo traguardo di relativa serenità in cui mi trovo, anch'io mi sono trovata insieme ai brutti sporchi e cattivi, in situazioni lavorative tossiche, come dici tu. E quindi capisco bene lo sconforto. E capisco anche l'ostinata resistenza di non voler diventare così, e di coltivare la propria personalità e rimanere fedeli al proprio modo di pensare e di agire.
Eppure dietro l'angolo ho sempre sentito il rischio di credersi migliore, ed è difficile non cascarci, quando sembra che tutti intorno siano pazzi o zombie. Era solo questa la mia perplessità, ovvero come evitare il rischio dell'orgoglio e della superbia. Guarda che non sono punzecchiature rivolte a te, o forse anche, ma sto parlando soprattutto per me stessa.
E non c'è niente da fare, per evitare l'arroganza c'è solo da mettersi nei panni degli altri e spegnere qualche volta il cervello ipercritico e iperassertivo.
E lo so, certe volte.. l'è dura.:cry:
 
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