Buck, Pearl S. - La buona terra

Tanny

Well-known member
Pubblicato nel 1931 La Buona terra di Pearl S. Buck ricevette il premio Pulizer e fu una delle ragioni per le quali nel 1938 fu attribuito il premio Nobel per la letteratura all'autrice statunitense.

L'autrice visse in Cina la sua giovinezza con i genitori missionari presbiteriani; dove sono narrate le vicende de La buona terra; questo romanzo, sino a pochissimo tempo fa a me completamente sconosciuto, mi è capitato in mano per caso: la sua bella copertina mi ha tentato all'acquisto, ciò che mi è arrivato per caso si è invece dimostrato un romanzo incredibile ed un capolavoro di rara bellezza.

Il libro narra della vita di un contadino cinese di nome Wang Lung, della sua famiglia e del suo attaccamento alla terra; si narra di un epoca ormai scomparsa e con infinita dolcezza e rispetto, si racconta delle miserie dei poveri, delle loro speranze e dei sentimenti.
La cultura descritta è molto diversa dalla nostra, il modello della famiglia patriarcale di quei tempi è forse un concetto difficile da comprendere per un occidentale, ma anche per questo la lettura è così interessante ed affascinante.

Consiglio questa lettura a tutti, un libro eccezionale, voto 5/5 :ad:
 

Spilla

Well-known member
E' stata una mia lettura giovanile e mi aveva incantato.
Mi chiedo perché sia un libro così poco citato e forse poco conosciuto :boh:

Penso che lo rileggerò, grazie Tanny di averlo riportato alla mia memoria:D
 

bouvard

Well-known member
La buona terra è un’epopea familiare, racconta la storia di Wang Lung dalla sua giovinezza di contadino povero alla sua vecchiaia di uomo ricco. Non vi aspettate però la lunghezza che di solito hanno le epopee familiari o l’abituale difficoltà che causano nel dover ricordare troppi nomi. La buona terra è abbastanza breve e con la sua scrittura semplice e scarna si legge facilmente.
E’ un quadro molto realistico della vita che si conduceva nella campagna cinese nel secolo scorso. D’altronde la scrittrice conosceva bene quella realtà per averci vissuto. Del personaggio di Wang Lung ho ammirato la sua forza e caparbietà e disprezzato l’arroganza e l’insensibilità mostrate in alcuni punti.
Mi ha colpito il suo attaccamento alla terra, la consapevolezza che la salvezza per la sua famiglia potesse venire solo dal possedere della terra. In effetti mentre le altre forme di ricchezza (soldi o beni di lusso) si consumano, perciò possono alleviare la fame solo per breve tempo, la terra da una sicurezza duratura. La terra non si consuma, non finisce.
C’è stato un tempo in cui la famiglia di Wang Lung è stata costretta a chiedere l’elemosina e lui a trottare per la città con il suo risciò per pochi centesimi. Un’esperienza che non dimenticherà mai e da cui cercherà sempre di tutelarsi. A volte il suo atteggiamento possessivo verso il denaro mi ha irritato, ma poi a ben pensarci mi rendevo conto che questo suo comportamento – per quanto irritante - un minimo di giustificazioni ce lo aveva pure.
Quello che invece non ho mai accettato è il modo in cui venivano trattate le donne. Sono ben consapevole che quella era la realtà, la Buck non ha inventato niente, esagerato o calcato la mano. E sono anche consapevole che quella concezione della donna non era solo della Cina, ma era quella di tutto il mondo. Ma da ugualmente fastidio.
Quel considerare le donne alla stregua delle “femmine” degli animali buone solo per il lavoro ed il concepimento – quasi non avessero un’intelligenza e dei sentimenti - proprio non sono riuscita a mandarlo giù. Invece O-lan (la moglie di Wang Lung) se non più intelligenza del marito di sicuro ha più sensibilità e più sentimenti. Il fatto stesso poi di chiamare le figlie femmine semplicemente “schiava” quasi non avessero diritto ad un nome proprio fa capire che razza di vita conducessero le donne.
Come lo dimostra il modo in cui Wang Lung ricompensa l’amore e la devozione della moglie: portandole in casa un’altra donna. Non semplicemente un’altra donna, ma una prostituta, una che per soldi si era venduta a lui. Questo è secondo me l’affronto peggiore.
Chi conosce la povertà ha una maggiore stima di ciò che possiede, soprattutto ha una maggiore consapevolezza dei sacrifici che è costato arrivare a possedere quelle cose. E l’atteggiamento possessivo nei loro confronti deriva proprio da questo. Ma quei sacrifici i figli di Wang Lung non li hanno mai fatti…
Bello, consigliato.
 

ayuthaya

Moderator
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Ho iniziato questo libro con grandi aspettative e forse questo mi ha condizionato un po': il concetto di “capolavoro” è molto personale, qualcosa che, per quanto prenda corpo dalla “sostanza” dello scritto, si perfeziona a contatto con la personalità di ciascuno di noi. Questo per dire che La buona terra, del premio Nobel Pearl S. Buck, mi è sì piaciuto, e molto anche, ma allo stesso tempo ha lasciato vacante quel posticino di “capolavoro” che nel mio caso si fa occupare solo quando il libro non solo mi piace e mi convince, ma mi sorprende, mi sconvolge.

A prescindere da ciò, devo comunque ammettere che si tratta di un romanzo straordinario. Mi aspettavo una storia tutta “cinese” ― ricordo che la Buck trascorse gran parte della sua vita in Cina, a partire dalla più tenera età ― e invece mi sono trovata di fronte a un romanzo di grande umanità e universalità.
Certamente la vicenda prende spunto da quelle che sono le tradizioni e le usanze della Cina contadina dell'inizio del secolo scorso, ma le speranze, le ambizioni, le tentazioni e infine le disillusioni che agitano l'animo di Wang Lung rispecchiano quelle di ogni uomo e di ogni epoca.
Certamente c'è l'attaccamento alla terra, alla “buona terra”, ― un attaccamento che di volta in volta rivela lungimiranza, ambizione, fino a trasformarsi in una sorta di ossessione o, se vogliamo, di amore viscerale, simile a quello di un figlio per la propria madre ―, ma insieme a tutto questo, oltre tutto questo, c'è la lotta di un uomo prima contro le avversità esterne ― la carestia, la fame, le esondazioni―, poi contro le debolezze del suo stesso cuore, inorgoglito dalla ricchezza e dalla posizione acquisite, e infine contro la presa di coscienza di non essere eterno, né col proprio corpo, né con l'imposizione della propria volontà. Il grande Wang Lung, che ha saggiamente guidato se stesso e la propria famiglia al raggiungimento di uno status prima neppure pensabile, si ritrova a fare i conti con la propria finitezza nella più umana e drammatica delle battaglie: quella generazionale.
C'è poi la figura di O-Lan, della silenziosa, instancabile, sgraziata e feconda O-Lan. La sua figura si aggiunge alla schiera di umili eroine della letteratura (mi viene in mente la straordinaria “Mà” di Furore ), ma più ancora della storia che non fa notizia: sconosciuti pilastri su cui si fonda la solidità e il benessere della famiglia.

Un vero “classico” raccontato con uno stile essenziale, realistico e sobrio. Sicuramente da leggere.
 
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