Agus, Milena & Castellina, Luciana - Guardati dalla mia fame

Valuzza Baguette

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"È forse la prima volta che un avvenimento, in questo caso un efferato delitto, viene raccontato in uno stesso libro da due voci contrapposte che entrano nella pelle della vittima o dell’aggressore. Nella Puglia del dopoguerra, terra di passaggio dove si incontrano reduci, transfughi, tedeschi e alleati, in occasione di un comizio di Giuseppe Di Vittorio, politico e sindacalista, avviene un linciaggio. Milena Agus e Luciana Castellina entrano nei fatti, ciascuna con la propria passione e la propria ragione, minuziosamente documentate. Milena Agus penetra nel palazzo delle vittime, e le ricrea con la sua smagliante e amorosa immaginazione, mentre Luciana Castellina ricostruisce la storia di quegli anni, assai poco nota, e le circostanze che fecero di una folla di poveri braccianti e delle loro donne dei feroci assassini: una all’interno, l’altra all’esterno, in due superfici che si toccano senza conoscersi, il palazzo e la piazza, e che quando vengono a contatto, esplodono."

Un libro particolare,scritto a quattro mani da due scrittrice secondo me molto diverse,la prima (Milena Agus) ci fa entrare "di pancia"in questa vicenda drammatica,cattura come sempre con la sua capacità di intrigare il lettore con una scrittura chiara,fluida e scorrevolissima.
Poi troviamo la parte scritta da Luciana Castellina,meno di petto,una scrittura quasi giornalistica direi,abbastanza impersonale ma non per questo meno drammatica,grazie a lei viviamo il dramma dei braccianti nella puglia degli anni '40,la disperazione che riesce a bucare le pagine nonostante si tratti per lo piu din un elenco di fatti accaduti.
Non mi è dispiaciuto questo romanzo,due voci contrapposte che si uniscono in coro per urlare all'ingiustizia del dramma vissuto dalle sorelle Porro,causato a sua volte dall'ingiustizia ancora più grande dellla fame e della povertà.
 
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elisa

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ce l'ho anche io questo libro in lista d'attesa, preso dopo aver sentito la presentazione che mi è apparsa molto interessante. Poi ho trovato la Angus particolarmente simpatica :)
 

elisa

Motherator
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Romanzo scritto a due mani, una parte letteraria di Agus e una storica di Castellina. Siamo in Puglia nel 1946, quasi una guerra civile, in quella terra martoriata dalla fame e dalla disoccupazione, una fortissima contrapposizione di classe tra i possidenti e i braccianti. L'uccisione delle sorelle Porro è uno degli episodi terribili che accadono in quegli anni, un "assassinio di folla" come verrà definito nel processo.
I fatti narrati avrebbero meritato una ben più ampia esposizione, fermarsi solo sull'episodio in sè, anche se espanso nella parte storica, è limitativo. Per quanto riguarda l'aspetto letterario la Agus la preferisco come conferenziera, La Castellina è corretta senza eccellere.
 

ayuthaya

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Non potevo non sentirmi attratta da questo libro, che non solo rappresenta una “porta aperta sulla Storia” (una delle mie “passioni letterarie” oltre a quella per gli scrittori ebrei) ma lo fa raccontando un evento che si è svolto poco più di 70 anni fa nella mia terra d’origine, la Puglia. E poi mi ha incuriosito la struttura dell’opera, divisa nettamente in due parti, due voci, due punti di vista: a Milena Agus “la tragedia privata delle sorelle Porro”, a Luciana Castellina “il coro della moltitudine che passa sulla terra, sulla sua terra (che è anche la mia terra, appunto) senza lasciare traccia.
A partire è Milena Agus, con il suo approccio creativo-narrativo. Un apporto fondamentale, il suo, perché, come ammette lei stessa “anche se soltanto la Storia è degna di indagine e offre una tale abbondanza di eventi memorabili da rendere superfluo l’inventarne altri, solo il romanzo può ricostruire quanto la Storia non tramanda nei documenti e rivelare tramite l’immaginazione e la simpatia la parte di Storia che è andata perduta.” E ciò che è andato perduto è “la quotidianità” delle protagoniste, di cui l’io narrante (un’immaginaria compaesana andriese di buona famiglia, intimamente “ribelle” ma incapace di dare concreta attuazione ai suoi propositi passionali e filantropici) pensava spesso che “non servivano a niente”.
In questa semplice frase è racchiuso tutto il valore, o l’assenza di valore, della loro vita. “Non servivano a niente” queste quattro sorelle, di cui una sola si maritò in tarda età, appartenenti a una famiglia di ricchi proprietari terrieri e che tuttavia sembravano indifferenti alla loro stessa ricchezza, ignare (e fu questa probabilmente la loro colpa più grande) della loro posizione di “privilegiate” in un’Andria segnata dalla povertà e dal sempre più crescente senso di rivolta delle masse.
Nessuna scintilla sembra aver mai acceso la loro vita: non l’orgoglio di casta fine a se stesso, né la passione amorosa, né il desiderio di ribellarsi alle severe imposizioni per seguire una propria strada, nulla. Donne di Chiesa e di preghiera, discrete e modeste, la loro unica preoccupazione sembra essere la fedele custodia della proprie origini attraverso il ricordo e soprattutto il tramandarsi delle “buone maniere”, quelle esteriori e formali ma anche quelle interiori: educazione, sobrietà, moderazione, riservatezza. Le une e le altre inutili, come erano inutili loro. Inutili e innocue. Innocenti.
Eppure il 7 marzo del 1946 le sorelle Porro hanno pagato a caro prezzo la loro innocenza e la loro inutilità: essere quello che erano bastava a renderle colpevoli agli occhi di una folla disperata e inferocita, a cui bastò udire uno sparo proveniente apparentemente dal tetto del loro palazzo per scatenare l’inferno. Delle quattro sorelle, due pagarono con la vita, le altre due furono trascinate, malmenate e abbandonate per strada come rifiuti, ma riuscirono a salvarsi. E pur salvandosi, non capirono. Fedeli a se stesse e alle sorelle morte, preferirono cancellare l’eccidio dalla loro mente e non rendersi conto che tutto era cambiato per sempre.

Inizia quindi il racconto di Luciana Castellini. La cesura è netta, non si fa nulla per nasconderlo: si parla di Storia, di fatti, di ciò che è accaduto ben prima del 7 marzo 1946. Perchè per comprendere le ragioni di quella folla inferocita che ha ammazzato le sorelle Porro senza alcuna pietà, bisogna tornare indietro, almeno a quell'8 e 9 settembre 1943 in cui rispettivamente fu firmato l’armistizio e il re d’Italia, Badoglio e pochi altri scapparono da Roma per insidiarsi a Brindisi, dando vita non solo al cosiddetto Regno del Sud, ma di fatto a una vera e propria guerra civile. Non starò qui a riportarvi tutti gli eventi più importanti e le loro conseguenze, lo fa già troppo bene la Castellina e vi rimando a lei. Quello che però mi ha colpito è l’aver compreso quanta parte hanno avuto il contesto geografico e sociale, nonchè la terribile situazione di incertezza politica che ha seguito l’armistizio, in ciò che è accaduto non solo negli anni ma persino nei decenni successivi, e forse tuttora. Mi sono resa conto che era difficile sentirsi “combattenti per una causa” quando questa causa non si sapeva bene quale fosse e poteva cambiare da un accordo politico all’altro. Ma soprattutto, più importanti delle alleanze o degli orientamenti politici (fondamentale in questo senso è il progressivo affermarsi del comunismo nel meridione) c’era la fame, l’ignoranza, il mercato dei braccianti. Una pagina di Storia di cui non dico che non sapessi nulla, ma che ho riscoperto. Ed è stato come riscoprire una parte di me stessa. Perchè siamo un pezzetto della nostra terra, delle nostre origini, e mi ha sicuramente toccato sentir parlare di Andria, Corato, Barletta, Bari, io che così poco ho letto di libri ambientati in Puglia.

Per cui sono davvero soddisfatta, soddisfattissima di questa lettura che mi ha regalato un’occasione così preziosa. Che bello leggere.

È la fame che si fa violenza e chiede vendetta. La chiede ai Porro perchè sono parte della classe che li ha sfiniti. Non importa se a sparare siano state proprio loro o altri come loro. Sono colpevoli per storia.”
La Puglia era povera non solo di pane, ma di stato.”
La guerra in Puglia era terminata da un pezzo e la liberazione non veniva avvertita. La storia della regione rimase a sè . qui non c’era la pace, qui proseguiva una guerra civile più cattiva di quella precedente.”
Il mondo era cambiato nel '46 ma loro, i proprietari terrieri, non se ne erano accorti, non lo avevano capito.
Dei tanti eccidi che dal '43 avevano insanguinato la regione, questo appare il più terribile e il più incomprensibile proprio perchè non fu perpetrato da un manipolo di sicari o di facinorosi, ma fu sostenuto da una folla , dai poveri dell’intera Andria
 
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Minerva6

Monkey *MOD*
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Vi prego, non ridete di me... Avevo letto tutti i libri della Agus tranne questo perché credevo che il tema fosse quello dell'anoressia o comunque dei disturbi alimentari :W.
Fino a qualche mese fa non mi ero decisa a controllare le recensioni qui oppure in rete, poi l'ho fatto e ovviamente l'ho letto.
Mi sono sentita vicina alla narratrice della prima parte, alter ego della Agus, in particolare per il suo essere sempre arrabbiata con qualcuno, la sua necessità di mordersi la lingua per evitare di dire qualcosa di cui poi potrebbe pentirsi e per sentirsi rivoluzionaria ma purtroppo solo a parole.
La seconda parte è molto interessante, ma più impegnativa, non essendo romanzata.
Vi esorto a leggerlo perché è sempre importante conoscere i fatti storici che riguardano le ingiustizie subite dal popolo ma anche, in questo caso, da donne ingenue e benestanti, colpevoli di non essersi rese conto della povertà e dello sfruttamento dei braccianti e che quindi sono state punite per la loro mancanza di partecipazione alla vita sociale e politica del paese.
 

estersable88

dreamer member
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Guardati dalla mia fame è un libro tanto particolare quanto interessante: partendo da un fatto realmente accaduto ad Andria nel 1946 – l'assassinio di due delle quattro sorelle Porro – due autrici, tratteggiano la storia e il contesto socio-culturale della Puglia di quegli anni, uno scenario elettrico e pronto ad esplodere al minimo contatto, come poi effettivamente accadde.
Se, con prosa vividissima e grande immaginazione e capacità di calarsi nell'atmosfera e nella mentalità dell'epoca, Milena Agus riesce a tracciare un ritratto fantasioso, ma – c'è da crederlo – piuttosto fedele delle vittime, del loro modo di pensare (o di non pensare) e del loro ambiente, Luciana Castellina, con piglio giornalistico, decisamente più realista, tecnico eppure allo stesso modo coinvolgente, racconta una storia poco conosciuta di guerra civile, ribellione, sollevazione popolare contro gli agrari, gli oppressori, i possidenti. Entrambe le facce di questa storia ci mostrano, con drammatica chiarezza, come le voci a lungo non ascoltate, la disperazione, la fame, la miseria più nera possano armare gli uomini e le donne di una forza più distruttiva delle armi più potenti, innescando quelle reazioni a catena che portano, invariabilmente, a delitti solo apparentemente inspiegabili. Guardati dalla mia fame è, a partire dal titolo, una narrazione attenta, puntuale, accurata ed intensa di una pagina troppo poco conosciuta della storia pugliese ed italiana, che oltre ad intersecare altre storie richiamate in altri libri (e penso a quel treno dei bambini che da Napoli portava in Emilia di cui ci parlava Viola Ardone), ci induce a riflettere su un'altra tappa di quell'annosa "Questione meridionale" che da tempo immemore affligge le regioni del Sud, le cui radici affondano in secoli di sfruttamento, abuso, depauperamento, rinfocolato da sempre nuove angherie. Da leggere, assolutamente.
 
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