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Non posso scrivere niente di nuovo dopo questa bellissima discussione, queste bellissime recensioni
ma sento il desiderio di scrivere qualcosa.
Forse è strano ma associo il personaggio di Sabbath, in un certo senso, ai versi letti di recente (grazie al Poeticforum) della poesia Sonata al chiaro di luna "né conta che i miei capelli siano bianchi, (non è questo che mi dà pena – mi dà pena che non mi s’imbianchi anche il cuore)".
Disgustoso, perverso, irriverente, dissacrante, sodomizzatore, zotico, sporcaccione, misogino, razzista, profanatore di tombe, sprezzante, maniaco, disadattato, semi-pedofilo e direi persino stupratore Sabbath! I libri davvero belli sono quelli capaci di stravolgere la nostra visuale, quelli che ci permettono di immedesimarci senza difficoltà in un protagonista che merita tutti gli appellativi che ho elencato e anche di più; uno che nella vita non vorremmo mai incontrare, anzi, di cui preferiremmo non sentir neppure parlare, perché è inquietante solo che un tipo del genere esista e viva tra noi.
Solo un grande talento può indurre il lettore a questo.
Roth lo descrive come un personaggio spesso spregevole, in cui però albergano pulsioni e sentimenti che, nostro malgrado, sono scomodi ma umani, tipici del lato più recondito dell'uomo o della donna, quello che non si svela nemmeno a se stessi. Sabbath è, a suo modo, capace di sentimenti profondi e intenerisce poiché reca in sé un dolore incommensurabile, dovuto alla propria sensibilità e al proprio vissuto, dolore da lui gestito, nel bene e nel male, con un cervello decisamente superiore alla media.
Questo bellissimo romanzo, per mezzo del protagonista e della co-protagonista Drenka, contiene in sé il racconto di un amore anticonvenzionale fino all'estremo, ma incredibilmente profondo e vero: nell'incontro finale con il figlio della defunta amata, sulla tomba di lei, la perversione di Sabbath raggiunge, apparentemente, il culmine e si scontra duramente con la morale del giovane; entrambi provano uno sconfinato amore per la morta, eppure tengono comportamenti diametralmente opposti, ciascuno in base alle proprie convinzioni, ma non c'è il minimo dubbio su chi la conosca meglio e si trovi con lei, anche dopo la morte, in assoluta sintonia, pur dimostrandolo con un gesto assurdamente osceno.
Nel libro si descrive, per mezzo del protagonista, lo sprezzo del mondo e dell'essere umano, la rabbia, l'ossessione per il sesso, il dolore, lo sperdimento, il senso di inadeguatezza, ma io vedo questo romanzo soprattutto come un acerrimo scontro tra la vita ad ogni costo e la morte. La vita anche quando si è persa sia la moglie alcolizzata, ma non amata, che l'adorata e altrettanto (rispetto a lui) disinibita amante, gli amici, l'abilità (ironia della sorte!), per via della malattia, di quelle mani fonte del suo lavoro e della sua arte. La vita quando l'anima e i desideri, compresi anzi soprattutto quelli fisici, continuano a crescere in maniera inversamente proporzionale al corpo che invecchia e decade, e il mondo non li accetta più, li respinge e deride il vecchio Sabbath, lo ridicolizza. La vita, quando si è conosciuto il dolore della perdita del fratello ucciso in guerra: il dolore dell'infanzia, forse il più traumatico, quello che non si può elaborare o comprendere e che, forse proprio per questo, ci rincorre come un'ombra informe per sempre, riaffiorando nei momenti più impensati, come quello estremamente commovente, catartico, struggente in cui Sabbath ritrova quasi per caso gli effetti personali del fratello. La vita quando si è persa la madre, prima spiritualmente per via della depressione dopo la morte del figlio e poi fisicamente; la vita quando Nikki, la prima moglie (forse per me il personaggio più notevole del libro) sparisce nel nulla all'improvviso: una donna che teme la sua ombra, che non sa vivere senza i suoi punti di riferimento, Sabbath e sua madre, la cui salma veglia per giorni senza potersi rassegnare alla sua morte (Roth descrive questa scena in modo esilarante!), all'improvviso si mostra più forte di tutto, rinunciando a tutto e sparendo.
Nonostante la malinconia e il dolore che lo pervade, nonché gli aspetti scandalosi che, a tratti, davvero sconvolgono, questo è per me un libro di grande forza e, paradossalmente, ottimismo. Non solo per il tono brioso e brillante che lo contraddistingue, per l'ironia sferzante e intelligente e per le risate di cuore che strappa, ma perché Sabbath si attacca quasi inconsciamente al minimo appiglio pur di restare in vita, pur non avendo, in fin dei conti, nessun motivo razionale per restarci. Alla fine è sempre la vita a vincere sulla morte.
Quanto all'aspetto della misoginia, non l'ho colto nei confronti di Drenka, che sembra godere (in tutti i sensi
) di grande stima e rispetto, forse nemmeno tanto nei confronti della non amata Roseanna, ma soprattutto nelle donne di contorno, e ancora di più nelle ragazzine, che Sabbath (e Roth?) sembra vedere solo come oggetti sessuali, seppur, a suo modo, studiandole e osservandole.
Un romanzo, per me, bellissimo perché fortemente introspettivo, brillante, scritto usando le parole in maniera sublime e descrivendo con profonda chiarezza persone e situazioni e, soprattutto, perché si tratta di una lettura che stuzzica le corde più profonde, una lettura capace di ampliare gli orizzonti e di modificare la prospettiva del lettore e che, per questo, non può non lasciare il segno.
Certo bisogna prepararsi psicologicamente, è un pugno nello stomaco, ci sono passaggi molto duri. Ma ne vale la pena.