Dostoevskij, Fedor - I fratelli Karamazov

Complimenti Sergio, che bella interpretazione....:D
E soprattutto, mi hai dato la spinta giusta per riprendere lettura (era questo che cercavo).... penso che stasera lo finirò...:YY

P.S. Il Grande Inquisitore ho letto due volte, per quanto sono rimasta colpita... è stra-or-di-na-rio....:ad:
 
I

i0ri

Guest
Ciao Nicole.
Hai assolutamente ragione, hai compreso benissimo.
Dosto non scrive affatto bene. E' un po' prolisso, manieristico in un certo senso. E' una lettura a volte un po' "stanca" che si trascina. La descrizione dei personaggi risulta affettata, dipinta di colori che risultano noiosi.
Ma come ben dici, Dostoevskij parla ad altre orecchie.
La storia che racconta e' un pretesto per una profonda analisi dell'uomo e del suo tempo.
La contrapposizione tra Ivan ed Alesa manifesta bene questa dialettica: l'incrocio tra un mondo che perde quello che ha sempre creduto ed un altro mondo che sta sorgendo: questa e' la grande crisi dei valori culturali europei.
A cosa si era creduto fino ad allora? A Dio, al cristianesimo, al significato della storia per l'uomo, rifugi delle nostre illusioni, della nostra vana ricerca di un senso.
L'uomo nuovo che sta arrivando e' un distruttore ( o Grande Inquisitore). Non gli basta piu' la fede e tanto meno la fede nella fede.
A tal proposito Nietzsche scrivera': la fede nella fede? che cosa squallida!!!
L'uomo nuovo e' colui che abbatte per riedificare; e' colui che fa tabula rasa dei valori pre-costituiti, pre-giudiziali ( la morale e' un insieme di pregiudizi a priori) per trovarne altri.
Non e' detto che li trovera'! potrebbe fallire, potrebbe esserne addirittura annientato, ma come dicevano gli antichi greci - naufragium feci navigavi bene! - l'uomo nuovo, l'uomo nichilista diventa una necessita' e diventa necessario il suo peregrinare in acque agitate, in mari mossi....L'uomo nichilista sara' il moderno Argonauta.
Per guarire prima bisogna ammalarsi!!!
Dosto capi' tutto questo come capi' la storia Russa di quel momento; la crisi della borghesia, del contado, del potere.
Dosto e' uno splendido affresco dell'uomo che verra'.

Come in Stendhal: l'altra sera parlalndo con Julia, lei mi fa: che tipo il Fabrizio Del Dongo nella Certosa di Parma!
Stendhal non scriveva particolarmente bene, ma nel suo " non stile narrativo" risplende quell'acuta e mirabile visione dl grande psicologo: un ritrattista spettacolare dell'animo umano.
La capacita' di " misurare e comprendere" l'accadere dell'uomo dei suoi tempi e dei tempi futuri. La capacita' di esaltare un sentimento perso ma non dimenticato, un sentimento che ognuno di noi cerca in se stesso.
Nel caso di Fabrizio Del Dongo? Chi meglio di lui rappresenta l'esuberanza dell'innocenza, l'entusiasmo di dire si! a tutto l'accadere, l'accresciuta volonta' mai sazia di quella leggerezza d'animo dell'essere bambino, la smania del volare in alto, dell'essere felice semplicemente perche' lo si e' senza perche': in una parola, chi meglio di Del Dongo per capire ed amare la " joie de vivre"?
La tecnica di scrittura...chi se ne frega?

Davvero complimenti poichè la tua analisi è veramente mirata e ben chiara.
Dostoevskij è un autore magnifico, lo sto apprezzando sempre di più da quando ho iniziato a leggere I demoni, e tutto ciò di cui tu hai parlato lo ritrovo pari pari all'interno della sua opera. E' un autore complesso, complesso e impegnativo, è un autore che richiede pazienza e tempo di per dedicarcisi (il suo stile di scrittura non è fluido, anzi alle volte risulta pesante); tuttavia il messaggio che ci trasmette è veramente chiaro.. Per me Dosto è uno psicologo nonchè veggente della società (in degrado) Russa dell'800 dalle sensazionali capacità.. ha capito tutto quello che sarebbe successo in futuro con una 50ina d'anni di anticipo... incredibile!

P.S.
Dannati nomi russi con cui faccio una fatica pazzesca, dopo 150 pagine sono riuscito a distinguere Stepan Trofimovic da Petr Stepanovic e a capire come Stavrogin e Nikolaj Vsevolodovic fossero la stessa persona :W
 

Athana Lindia

Πάντα ρει
letto assolutamente ad un'età sbagliata, vista la caratura del libro. è uno di quelli da rileggere, un giorno.
 

Nerst

enjoy member
Lo scrittore rende fulcro del romanzo i dubbi legati alle religione, lasciando parlare uno dei protagonisti, proprio colui che dovrebbe accettare senza timore la vita monacale e questo è quello che mi piace moltissimo di Dostovskij. La figura delle donne l' ho apprezzata nella loro follia e pazzia, legate agli episodi della vita, da brivido. I rapporti sociali sono un ulteriore spunto per il romanzo e le figure di tutti i personaggi sono ben descritte e delimitate.
La prima metà del romanzo è un' approfondimento dei punti sopra citati, nella seconda metà si svolgono i veri e propri eventi del romanzo, con lo sviluppo e l' epilogo drammatico. Consiglio questa lettura, perchè la trovo attualissima.
 

ayuthaya

Moderator
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PREMESSA: col mio scrittore preferito, in uno dei suoi capolavori, temo di non essere riuscita molto sintetica... chiedo umilmente venia! :W

Ho ripreso in mano questo libro a distanza di diversi anni e, mentre lo leggevo, non facevo che chiedermi: ma come fa questo autore a far vibrare così intensamente le corde della mia anima? Come ci riesce? E perchè nessuno come lui? Insomma, l'ho letto cercando di carpire il “segreto” del mio amore per Dostoevskij e, per fortuna, non ci sono riuscita: la sua grandezza continua a restare un mistero per me, un mistero da vivere tutto nelle sue pagine... Però è stato bellissimo porsi questa domanda man mano che procedevo nella lettura, e qualche piccola risposta sono riuscita comunque a darmela.

I personaggi di Dostoevskij sono così sublimi e inarrivabili perchè ognuno di essi è come una finestra, uno squarcio aperto nell'interiorità dell'uomo. Ma ciò che secondo me li rende così unici è che, nonostante siano sempre anime inquiete, tormentate (in alcuni casi al limite della morbosità), tuttavia quasi tutti sono dotati di una lucida, profonda (e nella realtà piuttosto inverosimile) capacità di guardare dentro se stessi e di "descriversi"... Per questo i loro lunghi monologhi assomigliano tanto spesso a “lucidi deliri”: attraverso di essi è la loro stessa coscienza a parlare. Diversamente dalla maggior parte dei romanzi psicologici moderni e contemporanei, non siamo noi a entrare nella loro testa, ma sono loro stessi a tirar fuori tutto quello che hanno dentro. La differenza è che di fronte alle loro “confessioni” noi lettori restiamo spaesati: non abbiamo alcuna certezza che ció che essi ci stanno raccontando corrisponde a veritá... e infatti (sebbene i loro slanci siano sempre sinceri, anzi, proprio per questa ragione) spesso si confondono, si contraddicono, cercano disperatamente una soluzione che non trovano e noi - poveri lettori - dobbiamo distinguere da questa massa ingarbugliata una "veritá" che non esiste. Peró credo che il bello sia proprio questo: restare in balia delle loro incontrollabili passioni...
Come se non bastasse, poi, Dostoevskij pone i suoi personaggi sempre in situazioni estreme, per metterli alla prova e sondare le loro reazioni, quasi fossero le cavie di continui esperimenti psicologici. Per questo essi ci affascinano ma allo stesso tempo danno l’impressione di essere “eccessivi”, quasi irreali nell’estremizzazione dei loro sentimenti e delle loro gesta. C’è un passaggio bellissimo nella prefazione al mio libro che dice “l’illusione della verosimiglianza in Dostoevskij nasce dal fatto che analoghi pensieri scandalosi si affacciano continuamente alla mente di tutti; ma questi “pensieri” non si concretizzano mai nell’azione.” Io credo che molto del potere quasi ipnotico che esercitano i suoi romanzi (almeno su di me) sia dovuto a proprio questo aspetto.

Se tutti i personaggi di Dostoevskij sono incarnazioni di passioni e ideologie portate all’estremo, in questo romanzo c’è un ingrediente aggiuntivo e particolare, ovvero l’essere “un Karamazov”, quasi si trattasse di una sottospecie ben distinta del genere umano. In effetti l'autore, fin dall’inizio, non perde occasione di sottolineare che c'è un legame sotterraneo ma indistruttibile che unisce il padre e i tre fratelli, e che è talmente forte da affermarsi con una sua precisa identità: la "natura karomazoviana", appunto, ben descritta dal procuratore Kirillovic nella sua arringa accusatoria. "Ma perchè noi – dice, immedesimandosi nell’imputato – siamo nature ampie, karamazoviane, capaci di mescolare insieme i più opposti contrari che immaginar si possa, e di ficcar lo sguardo, nello stesso istante, in entrambi gli abissi, nell'abisso al di sopra di noi, l'abisso degli ideali più alti, e nell'abisso al di sotto di noi, l'abisso della più bassa, della più fetida caduta morale."
Mitja stesso, in occasione dell'interrogatorio, aveva avuto modo di dire: " e appunto questo m'ha fatto soffrire tutta la vita, ch'ero assetato di azioni elevate (...) e nello stesso tempo, per tutta la vita, ho continuato a fare turpitudini e nient'altro", e molto prima (in uno dei primi capitoli) sempre Mitja confidava ad Alesa: "noialtri Karamazov siamo fatti così, e anche in te, angelo, quest'insetto vive, e dentro al sangue ti cova burrasche. Burrasche sono, perchè la libidine è una burrasca, peggiore di qualsiasi burrasca! La bellezza: che tremenda e orribile cosa! (...) Lì gli opposti si toccano, lì tutte le contraddizioni vivono insieme".
Libidine e bellezza... ma di cosa, per cosa? Non solo di donne parla Mitja (questa passione, portata all’eccesso, egli la condivide quasi solo con suo padre) , ma di una lussuriosa e disperata brama di vivere a cui neanche il “puro” Alesa si sottrae. Non che la sua purezza non sia sincera, ma è anch'essa frutto di questo fortissimo (e tutt'altro che spirituale) attaccamento alla vita... Di Alesa, oltretutto, Dostoevskij “si serve” per offrire agli altri personaggi l’occasione di rivelare se stessi: nessuno, di fronte a lui, riesce a mentire, a nascondersi... la sua innegabile "bontà" diventa il polo d'attrazione (e di svelamento) per ciò che di più buio e nascosto c’è nel loro animo (e in questo la sua figura si avvicina molto a quella del principe Myskin). E’ a lui infatti che Ivan si confessa, in quei due capitoli di incredibile bellezza che sono Ribellione e, soprattutto, Il Grande Inquisitore.

È difficile trovare le parole adatte per descrivere Ivan, l' “eroe” dichiarato dallo stesso Dosto in prefazione al suo romanzo... In lui le contraddizioni karomazoviane raggiungono l'apice, in lui il conflitto fra i due opposti è ancora più disperato perchè si svolge tutto in una dimensione psichica... Da una parte egli sente una tensione inesauribile e inistinguibile verso l'Assoluto, dall’altra è avvinghiato al mondo da una forza terrena che è pura brama di vivere; da una parte anche lui vorrebbe poter "cantare l’inno" e abbandonarsi all’amore divino, dall’altra c’è qualcosa che lo blocca: “se le cose stanno così”, allora lui “non ci sta”. Sublime la sua sentenza “Non è che non accetti Dio: ma semplicemente Gli restituisco, con la massima deferenza, il mio biglietto”.
Mai come in quest'opera il “problema religioso” (sempre presente in Dostoevskij) è il vero perno intorno a cui è costruita tutta la storia. Una questione che sembrerebbe puramente teorica non solo contamina la realtà “oggettiva”, ma persino la determina! Io credo che qui Dostoevskij faccia qualcosa di davvero strepitoso: (inizio SPOILER) accusando Ivan dell’assassinio di suo padre (il suo primo accusatore è infatti lui, l’autore), stravolge la normale gerarchia delle responsabilità, quella che ci dice che “pensare” è diverso da “fare” e che un desiderio, per quanto terribile, non ci rende colpevoli... E invece no, Ivan è l’assassino. La sua natura non accetta compromessi: se Dio non c’è, allora “tutto è possibile”. E quello che lui desidera (sebbene in modo confuso, quasi inconscio) si trasforma in realtà: voleva la morte di suo padre, e della sua morte egli è il principale responsabile. (fine SPOILER)

Io sul serio rabbrividisco pensando a quello che Dostoevskij è riuscito a concepire... Perchè lui è davvero tutt’uno coi suoi romanzi. Se c’è un’altra ragione per cui amo quest’autore sopra ogni altro, è che dentro le sue opere, dentro i suoi eroi, egli mette tutto se stesso: le sue passioni, le sue paure, i suoi tormenti ... e allora, quando leggo i suoi capolavori, davvero ho l’impressione che non stia solo leggendo un libro, ma stia facendo un viaggio straordinario e irripetibile all’interno della mente e del cuore di un uomo.
 
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Grantenca

Well-known member
Si, penso anche io cosi... hai ragione... e credo che questo è forse il miglior modo di guardare, leggere questo romanzo, nel suo pensiero filosofico che ci sta comunicando.
Invece io avevo commentato il testo da un punto letterario, concentrandomi esclusivamente sulla storia per se, ignorando che forse il suo punto forte sta proprio nel pensiero, mentre la storia è solo un pretesto, un mezzo tecnico per comunicarlo e che forse sarebbe caso di ignorarla, o quanto meno, non darle tanto peso...
Credo che questo è stato il mio sbaglio....:mrgreen:

E' un'opera grandiosa, monumentale, senz'altro un punto fermo della letteratura russa di quel periodo. Ma credo che la parte filosofica sia preponderante rispetto a quella letteraria.
 

Des Esseintes

Balivo di Averoigne
PREMESSA: col mio scrittore preferito, in uno dei suoi capolavori, temo di non essere riuscita molto sintetica... chiedo umilmente venia! :W

Ho ripreso in mano questo libro a distanza di diversi anni e, mentre lo leggevo, non facevo che chiedermi: ma come fa questo autore a far vibrare così intensamente le corde della mia anima? Come ci riesce? E perchè nessuno come lui? Insomma, l'ho letto cercando di carpire il “segreto” del mio amore per Dostoevskij e, per fortuna, non ci sono riuscita: la sua grandezza continua a restare un mistero per me, un mistero da vivere tutto nelle sue pagine... Però è stato bellissimo porsi questa domanda man mano che procedevo nella lettura, e qualche piccola risposta sono riuscita comunque a darmela.

Io sul serio rabbrividisco pensando a quello che Dostoevskij è riuscito a concepire... Perchè lui è davvero tutt’uno coi suoi romanzi. Se c’è un’altra ragione per cui amo quest’autore sopra ogni altro, è che dentro le sue opere, dentro i suoi eroi, egli mette tutto se stesso: le sue passioni, le sue paure, i suoi tormenti ... e allora, quando leggo i suoi capolavori, davvero ho l’impressione che non stia solo leggendo un libro, ma stia facendo un viaggio straordinario e irripetibile all’interno della mente e del cuore di un uomo.


Le tue recensioni "emozionali", specie se riferite al tuo autore "eletto", sono assolutamente un piacere da leggere! :mrgreen: Credo che Dosto sarebbe fiero di una lettrice come te, tanto che avrebbe potuto assegnarti, magari, una caricatura in un suo romanzo.. ;)
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Le tue recensioni "emozionali", specie se riferite al tuo autore "eletto", sono assolutamente un piacere da leggere! :mrgreen: Credo che Dosto sarebbe fiero di una lettrice come te, tanto che avrebbe potuto assegnarti, magari, una caricatura in un suo romanzo.. ;)

ahahaha!!! grazie, Des, sei davvero carinissimo!!! però mi piacerebbe tanto sapere in quale personaggio "caricaturale" del grande Dosto mi vedresti bene!!! :?? ahahah! :wink:
 

MadLuke

New member
Volume I:
Tra le opere di Dostoevskij che ho letto, questa è senz'altro quella che più presenta i tratti del saggio di filosofia e sociologia. Le vicende dei personaggi in se passano decisamente in secondo piano, confronto alla possibilità che offrono per l'autore di compiere le sue dissertazioni sulla società, la giustizia, la politica, la domanda sull'esistenza di Dio.
Quasi due secoli or sono, Dostoevskij denunciava la caduta verticale dei valori di etica e moralità in Russia e ancor di più nell'Europa occidentale, dove l'Illuminismo aveva dato l'illusione che tutto, un mondo migliore, potesse essere raggiunto semplicemente con l'uso della ragione, delle scoperte scientifiche, delle condizioni di vita materiali migliori.
Nel corso dei dialoghi tramite i vari personaggi, oggi più attuali che mai, l'autore passa in rassegna ognuna di queste idee, nelle varie declinazioni dell'agire umano. In particolare mi hanno colpito l'idea di giustizia, che senza compassione per il reo, senza desiderio di bene per lui, è solo una pretestuosa soddisfazione di istinti famelici. E al tempo stesso l'impossibilità di realizzare completamente una simile aspirazione su questa terra.
Nel susseguirsi degli eventi, nel crescendo di intensità, mi ha colpito la profondità con cui l'autore illustra le dinamiche psicologiche dell'ufficiale russo, debitore nei confronti del fratello Dmìtrij: il suo orgoglio che lo porta a rifiutare ogni aiuto, come mancanza di amore verso se stesso e quindi verso i suoi familiari, in primis il suo figlioletto più piccolo che pur essendo solo un bambinetto, Dostoevskij non si esime dall'illustrarne la complessa personalità, drammaticamente impressionata dalle vicende del padre.
E ancora il fratello Ivan, ateo e cerebrale, che mentre illustra ad Alesa, con apparente distacco, lo scandalo della fede in Dio, costituito dall'esistenza del dolore, dalla ferocia senza pari degli uomini, da invece molto l'idea di lasciarsi invece coinvolgere dalle sue stesse considerazioni, che quindi sempre più lasciano spazio alla depressione e al pessimismo. Se per i precedenti due brani che ho citato, e anche gli altri che inframezzano la narrazione, per quanto sempre emozionanti e intensi mi è stato naturale pormi dalla parte del giovane e generoso Alesa, che pazientemente offre la sua comprensione e dedizione per offrire una risposta alle fatiche della vita, l'ultimo mi ha lasciato assolutamente sgomento.
Al di là dell'indiscutibile intensità delle vicende e dei momenti di passione in cui sono protagonisti i vari personaggi, in particolare il fratello Dmitrij e il padre Fedor - intensità da tragedia greca spiegano i critici più autorevoli, ma anche da sceneggiata napoletana più modestamente io trovo - ciò che rende "maestoso" questo romanzo è l'approfondita analisi psicologica dei vari personaggi, per cui si presenta come opera omnia del cuore e dello spirito umano, una pietra fondamentale e unica di tutta la letteratura.

Volume II:
"I fratelli Karamazov" non sono solo un'esperienza di lettura, sono molto di più: sono un artiglio che brutalmente ti entra nel petto, ti strappa il cuore, te lo sbatte in faccia e ti dice "guarda uomo di quanto bene e di quanto male sei capace!". E io non sono capace di non restare estasiato, sgomento, commosso, infervorato e trasportato da tanta sensibilità e delicatezza.

Rispetto a primo volume (in realtà la separazione dei volumi è poco più di una mera questione di rilegatura), in cui si compivano ampie dissertazioni filosofiche su svariati campi dell'agire umano, in questo Dostoevskij incentra molto la narrazione sul concreto compimento del parricidio. E lo fa con una maestria che nulla ha a che invidiare ai migliori autori di gialli dei nostri tempi, perché egli non nasconde proprio nulla dei fatti al lettore e così facendo lascia crescere inesorabile la convinzione sia palese la colpevolezza dell'imputato al processo. E con la stessa abilità, nella narrazione dell'istruttoria e del processo stesso, passa in rassegna gli stessi fatti, senza aggiungere o togliere nulla e li mostra sotto tutt'altra veste per cui diventa chiaro che le presunte "prove" in verità altro non siano che indizi.

Ma a prescindere dall'intrigo dell'omicidio, a mio avviso di per se già sufficientemente appassionante da giustificare l'intero romanzo, vi sono di nuovo le profonde valutazioni dell'autore sulla giustizia, sull'amore romantico e ancora di più su quello filiale. Il male verso gli altri come odio a se stessi, che egli mai si esime dal comprendere e abbracciare quale umanissima condizione della mente.
C'è un ragazzino che muore, nel suo personaggio è chiara la componente sacrificale, perché è necessario che uno soffra e muoia perché tanti si convertano. E così nella sua morte si compie inevitabile il ripudio delle tesi materialiste che avevano caratterizzato diversi personaggi, perché l'idea che tanto amore non possa andare dissipato, non sia più un argomento di conversazione, ma diventi invece esperienza.
E c'è un altro uomo che seppure animato dai migliori intenti, rivela che la sua sete di martirio non è altro che vanità che si infrange nell'impatto con la dura realtà. Nella nostra estrema limitatezza umana, il destino possiamo solo accettarlo, neanche lontanamente ci è concesso di plasmarlo.
Anche in quest'ottica il tema della giustizia viene illustrato secondo la sua natura più vera, quella di cura per il reo, non si vendetta o anche solo scrupolosa applicazione della legge, perché senza un desiderio autentico di bene per qualunque individuo, non potrà mai compiere il mondo migliore.

L'unico aspetto del romanzo su cui nutro delle riserve è il principio, proprio della filosofia cristiana, per cui senza Dio non potrebbe esistere alcuna virtù, e tutto sarebbe lecito, compreso uccidere i propri simili, perché così "sarebbe" nella natura umana. Dalla filosofia buddista ho invece dapprima appreso, e poi fatto esperienza, che l'uomo è fatto per il bello e il giusto, e proprio per questo lo persegue, perché lo rende felice, non per mero "timore di Dio", che a mio avviso ammanta di meschinità e codardia qualunque buona iniziativa l'uomo possa intraprendere.

Quest'uomo che ben 150 anni fa aveva già capito tutto, delle minacce che pendevano sulle nostre coscienze, sul nostro animo, intimamente amorevole per natura, ma sempre più sistematicamente castrata da velleità di "benessere", privo di qualunque cura e dedizione allo spirito, sia da parte della società che per personale scellerataggine, è molto più di un autore, un romanziere o un filosofo. E' la campana che suona per ognuno di noi, per chiamarci fuori dal torpore, un profeta dell'animo.
 

isola74

Lonely member
(contiene spoiler!)

Dopo la recensione di Ayu c'è ben poco da dire
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Aver letto il libro in un gruppo di lettura mi ha aiutata ad affrontare la mole del romanzo che è la prima cosa che salta all'occhio, ma voglio rassicurare tutti quelli che ancora non si sono cimentati con quest'opera: dopo averla iniziata, si dimenticano in un colpo solo le centinaia di pagine che mancano alla fine.
Dostoevskij entra nell'animo umano come pochi sanno fare, e lo mette a nudo. Non è semplicemente un romanzo sul più famoso parricidio della letteratura, è un romanzo sull'uomo, sui suoi sentimenti e sul suo bisogno di credere. Credere in se stesso, in Dio, nell'altro.... la religione, in senso lato (ma soprattutto in senso stretto) è sempre presente nei romanzi di Dostoevskij, e questo non fa eccezione.
L'idea, esposta benissimo da Ayu, della colpevolezza anche solo dei nostri pensieri "brutti" è qualcosa di eccezionale (..in pensieri, parole, opere e omissioni...): non è Mitja il colpevole, ma Ivan, che desiderava ardentemente la morte del padre, e che forse ha istigato un'altra mano....
Un appunto però lo faccio: mi aspettavo di più da Alesa, che era stato presentato come il protagonista dell'opera, ma forse l'autore intendeva dire che era il più puro di tutti, il "migliore" secondo la sua morale...


Tra le pagine più belle c'è, secondo me, l'incontro di Ivan con il diavolo, umano che più umano non si può:

.vivi, mi dicono, perché senza di te non esisterebbe nulla. Se sulla terra fosse tutto razionale, non accadrebbe mai nulla. Senza di te non ci sarebbe alcun avvenimento e invece è
necessario che ci siano avvenimenti. E così, con una stretta al cuore, io lavoro perché si verifichino eventi e creo l'irrazionale su ordinazione. Gli uomini prendono tutta questa commedia per una cosa seria, nonostante tutta la loro innegabile intelligenza. Proprio in questo consiste la loro tragedia e soffrono, naturalmente, ma... tuttavia, in compenso, vivono nella
realtà, non nella fantasia; giacché anche quella sofferenza è vita. Senza sofferenza, che soddisfazione ci sarebbe? Tutto si trasformerebbe in un Te Deum senza fine: tutto sarebbe santo sì, ma anche un pochino scocciante. E io invece? Io soffro eppure non vivo. Io sono la x di un'equazione indefinita
........


Insomma, è un romanzo che deve essere letto.
 

darida

Well-known member
ottime le recensioni che hanno preceduto la mia :D sarò breve :mrgreen:

molto bello, 1000 pagine che, a parte le tiritere ideologico-religiose, francamente pesantucce, scorre molto bene. e i temi affrontati:il bene il male la colpa il castigo la redenzione nonché la summa del pensiero religioso-filosofico di Dosto, non sono argomenti lievi.

la caratterizzazione dei personaggi è tale che non è proprio possibile confonderli, per quanto l'uso russo di definire i nomi sia quanto meno bizzarro.

devo dire che anche a me Alesa-da molti definito il personaggio principe di quest'opera- non ha detto più di tanto..molto giovane e molto moralista, si farà :wink:
i due personaggi femminili principali: Katja e Grusenka,che dire, risentono molto del pensiero del Dosto sulle donne (se dovessi buttarne una delle due dalla torre non saprei chi scegliere :wink:)
a me son piaciuti molto anche i personaggi marginali; Smerdjakov -per quanto odiosetto- Iljusa, Kolija e l'avvocato difensore Fetjukovic per la sua arringa finale.

consigliato, senza alcun dubbio
 
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Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
spoiler

Quando leggo un libro in un gruppo di lettura http://www.forumlibri.com/forum/gru...uppo-i-fratelli-karamazov-di-dostoevskij.html poi quasi sempre evito di postare il mio commento qui, mi dedico solo a quelli che vengono fuori durante l'esperienza condivisa; stavolta però ne sono costretta perché fa parte della sfida letteraria.
Posso intanto dire che non sono d'accordo sul ritenere colpevole chi ha "solo desiderato" la morte del padre, altrimenti sai quante persone sarebbero da condannare... per me il colpevole è chi agisce materialmente, anche se Ivan (il mio preferito, in bilico tra ragione e fede) e Dimitrj vengono puniti peggio di Smerd, il primo impazzisce e il secondo è comunque deportato in Siberia e non ci è dato sapere se uno rinsavisca e l'altro riesca poi a fuggire :boh:.
Dosto comunque è sempre un grande conoscitore dell'animo umano e sa farsi apprezzare anche da lettori di vedute diverse :ad:.
Il brano su Il grande Inquisitore e quello sul Diavolo sono davvero affascinanti e coinvolgenti.
La profonda ironia che pervade tutta l'opera la fa risultare scorrevole anche per chi non è abituato a leggere quelli che spesso (esagerando) si definiscono "mattoni"; da parte mia ero già pronta per questa profonda lettura (sono immersa nella fase russa già da diversi mesi) e non ho trovato parti davvero pesanti, comprese quelle sulla fede e sulla vita dello starec. Mi sono piacevolmente immersa nella storia -che qualcuno nel mg ha simpaticamente definito una "telenovela"- condividendo con i personaggi le loro emozioni e i loro sentimenti, lasciandomi trasportare dalla capacità narrativa del Dosto e arrivando alla fine senza sforzi né momenti di noia.

Non vedo l'ora di leggere il prossimo, anche se devo centellinarli, sennò poi finirà come con la Austen della quale ormai ho letto già tutto.
 
Ultima modifica:
A parte i discorsi religiosi che sinceramente mi risultano abbastanza ostici, valuto questo libro un capolavoro, Dostoevskij ha la capacita di descrivere in modo a dir poco splendido l'animo umano.
Sinceramente mi risulta difficile descrivere un particolare passaggio di questo libro in quanto l'ho apprezzato nella sua interezza.
 

darida

Well-known member
In quali passaggi hai trovato Alesa moralista?

Ciao, MadLuke.

ciao! (scusa non avevo visto la domanda)

ma sai, è piuttosto una sensazione sul personaggio:giovane, ingenuo, indiscutibilmente buono e con la tendenza a salire sul pulpito. per come sono fatta tutto ciò che ha a che fare con il prendersi cura dell'anima altrui mi vede diffidente (questione di punti di vista) :)
 

Jessamine

Well-known member
Mi è già capitato, qualche volta, di accingermi a scrivere una recensione su qualche "classicone" immenso, di quelli veramente imprescindibili, e di provare un certo senso di soggezione. Soggezione nei confronti dell'autore, dell'opera stessa, certo, ma questo solo in minima parte, perché è ovvio che il mio parere (positivo o negativo che sia) non ha il minimo valore in confronto; più di tutto, soggezione nei confronti di quanto già si è detto su una determinata opera: pareri illustri, opinioni personali di persone sicuramente più qualificate (ma di un titolo ce ne facciamo poco), persone molto più informate di me che hanno già detto, se non tutto, almeno molto di quanto di intelligente si potrebbe dire. E in mezzo a tutte queste importanti opinioni, arrivo io, che su Dostoevskij so le quattro cose che chiunque sia anche solo un pochino appassionato di letteratura sa, che ho letto "I fratelli Karamazov" per il solo piacere della lettura, ho letto in treno per ingannare il tempo, ho letto a singhiozzo, qualche volta con la mente decisamente stanca dopo una giornata di studio. Arrivo io e mi chiedo quale possa essere il senso e il valore di una mia "recensione" (le virgolette hanno un peso determinante, qui). Eppure mi piace blaterare di quello che leggo, in barba a professori e critici letterari, consapevole della piccolezza che possono avere i miei pareri quando si parla di Letteratura.
Mi rendo conto di provare sentimenti contrastanti nei confronti di questo romanzo: non posso negare che mi sia piaciuto, molto anche. Del resto, se un autore riesce a farmi divorare un migliaio di pagine senza mai farmi pensare a quante ancora ne restino da leggere, significa che il suo mestiere lo sa fare decisamente bene. Fin dalle prime pagine ha saputo fugare il mio timore di trovarmi davanti ad una lettura pesante e poco scorrevole con un'ironia che mai mi sarei aspettata, un'ironia che permette subito di immergersi nelle vicende di questa strana famiglia, dove ogni membro ha una personalità estremamente spiccata e definita. Fin troppo, mi verrebbe da dire. Infatti i personaggi di Dostoevskij sono tanto particolari da sfiorare l'assurdo, in positivo o in negativo. Sia chiaro, non voglio negare la profondità del carattere di nessuno, sono tutti personaggi estremamente complessi e, nelle loro peculiarità, estremamente coerenti, eppure più volte, leggendo, mi sono sentita quasi sopraffare dal "chiasso" dei pensieri dei personaggi. Insomma, spesso mi è parso di assistere ad una immensa e rumorosa commedia, con atteggiamenti estremizzati all'inverosimile. Pianti, svenimenti, repentini cambi d'umore, liti, baci, abbracci, giuramenti, maledizioni... insomma, qualche eccesso che a me ha un po' fatto girare la testa.
Certo è che sarebbe impossibile limitarsi a questo, pensando ai personaggi di Dostoevskij: nei loro modi di fare estremamente ridondanti, infatti, si nasconde una profondissima analisi dell'animo umano, della condizione umana, dalle sue più piccole gioie ai tormenti infiniti. I fratelli Karamazov non sono altro che uomini, uomini in senso lato, esseri umani. E per questo soffrono, si contraddicono, gioiscono, hanno passioni, tremendi dubbi, soffrono. Questo romanzo, forse, è sì una commedia, ma una commedia che rappresenta senza filtri, in maniera diretta, quasi istintiva a volte, l'intimità più profonda e torbida dell'essere umano. Non per niente, i passaggi forse più significativi, quelli che mi hanno maggiormente colpita, sono proprio quelli in cui Dostoevskij rappresenta la follia: il dialogo fra Ivan e il diavolo è qualcosa di meraviglioso, vale la pena di macinare 800 pagine anche solo per leggere questo capitolo.
Insomma, forse qualcosa di diverso rispetto a ciò che mi sarei aspettata (mi immaginavo, non so perché, una disamina molto più lucida dell'animo umano), ma senza dubbio una grandissima opera, dagli immensi temi e spunti di riflessione. Qualcosa che forse non si può pensare di comprendere ed "esaurire" con una sola lettura.
 

MadLuke

New member
Mi è già capitato, qualche volta, di accingermi a scrivere una recensione su qualche "classicone" immenso, di quelli veramente imprescindibili, e di provare un certo senso di soggezione. Soggezione nei confronti dell'autore, dell'opera stessa, certo, ma questo solo in minima parte, perché è ovvio che il mio parere (positivo o negativo che sia) non ha il minimo valore in confronto; più di tutto, soggezione nei confronti di quanto già si è detto su una determinata opera: pareri illustri, opinioni personali di persone sicuramente più qualificate (ma di un titolo ce ne facciamo poco), persone molto più informate di me che hanno già detto, se non tutto, almeno molto di quanto di intelligente si potrebbe dire. E in mezzo a tutte queste importanti opinioni, arrivo io, che su Dostoevskij so le quattro cose che chiunque sia anche solo un pochino appassionato di letteratura sa, che ho letto "I fratelli Karamazov" per il solo piacere della lettura, ho letto in treno per ingannare il tempo, ho letto a singhiozzo, qualche volta con la mente decisamente stanca dopo una giornata di studio. Arrivo io e mi chiedo quale possa essere il senso e il valore di una mia "recensione" (le virgolette hanno un peso determinante, qui). Eppure mi piace blaterare di quello che leggo, in barba a professori e critici letterari, consapevole della piccolezza che possono avere i miei pareri quando si parla di Letteratura.

Credo la stragrande maggioranza delle persone qui non abbiano titoli accademici o referenze tali da giustificare di formulare un giudizio su qualsiasi romanzo, tanto meno su uno dei più grandi classici della letteratura mondiale di tutti i tempi.
Ma almeno io, quello che penso quando scrivo una recensione, non è spiegare perché è un bel libro oppure no, ma solo cosa ha dato a me.
Se scrivo che leggendo i fratelli Karamazov ho maturato la convinzione che "Dio esiste" ovvero "Dio non esiste", o che qualunque ideologia e differenza di pensiero, anche qualunque peccato si possa aver commesso, svanisce se compreso nell'abbraccio di un vero amico, di un fratello; e proprio per questa considerazione che io ho maturato, trovo il romanzo sia un capolavoro, questo (che in verità è quanto di più intensamente e piacevolmente ricordo del romanzo), tanto per dire, neanche Umberto Eco, me lo potrà mai togliere. Neanche Dostoevskij stesso che in sogno che mi spiega che voleva intendere l'esatto contrario, me lo potrà mai togliere.

Ciao, MadLuke.
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Questo libro è diviso in due parti tuttavia inseparabili, in quanto la seconda è completamento della prima, sebbene siano entrambe componenti di un cerchio che non si chiuderà (le sorti di alcuni personaggi restano in sospeso).
Non posso nascondere che la prima parte è tanto profonda quanto impegnativa e non facile da leggere; Dosto si serve delle vicende degli eccentrici Karamazov – padre e figli – e di tutti i personaggi (seppure definirli così sia riduttivo) di contorno, per sviscerare il suo pensiero, l’eterno e irrisolto conflitto interiore dell’essere umano, tra bene e male, tra fede e ragione, l’una rappresentata da Alesa, l’altra da Ivan Karamazov. Queste pagine riportano lunghi dialoghi o semi-monologhi, lunghe dissertazioni filosofiche, per bocca dei personaggi che il caro scrittore inizia a farci conoscere: i tre fratelli - Ivan, non ateo ma cervellotico e razionale e perciò poco propenso a credere ciecamente in un Dio che permette tragedie e dolori; Dmitrij, dissoluto e impulsivo; Alesa, dapprincipio monaco, buono e cristiano nel vero senso del termine, quasi fino alla santità -, il quarto fratello concepito con squallore, Smerdjakov, nato con qualche tara forse ereditaria, figlio illegittimo snobbato e umiliato; l’egoista e cinico padre, arido ma intelligente; le donne del romanzo – l’altezzosa e nevrotica Katerina Ivanovna, la “volgare” Grusenka – e così via. Ma è stata la seconda parte ad appassionarmi maggiormente: al di là della trama che da un certo punto in poi ( a partire dall’omicidio di Fedor) si fa avvincente, questa parte è per me chiarificatrice della vera indole dei personaggi, oltre che dei rapporti tra di loro e con il padre. Dosto sembra farci presente ancora una volta che ogni essere umano è uno, nessuno e centomila (ognuno di noi è un Karamazov, non lo darà a vedere, ma lo è!) e che niente, o quasi, è come sembra: il senso di colpa per l’omicidio di cui ciascuno, a suo modo, si sente responsabile, permette ad ogni personaggio, alla fine, di mostrare la sua vera natura, spesso opposta a quella apparente. Tutti gli aspetti del delitto portano a Dmitrij, che viene accusato ingiustamente (seppure l’arringa della difesa sia stata sublime…) Egli, rivale in amore del padre, con il quale i dissapori sia di natura finanziaria che dovuti all’abbandono infantile non si sono mai sopiti, afferma a voce alta che un giorno l’avrebbe ucciso; la sua impulsività, unita alla sua dissolutezza e inaffidabilità, rendono ancora più credibili le prove, a momenti paradossalmente schiaccianti, della sua colpevolezza e portano alla sua incriminazione. Ma, a partire dai preliminari del processo, la sua vera indole traspare: è ingenua, infantile, quasi genuina. Al contrario Smerdjakov, apparentemente limitato nelle facoltà mentali, mostra la lucidità tipica di chi ha covato dentro di sé per una vita il dolore di chi si è sentito sempre inferiore ed escluso, dolore che si è trasformato in crudeltà, fino a compiere l’omicidio del padre, nonostante poi torni mostri la sua parte più fragile, che culmina nel suicidio. E chi alla fine impazzisce? Il razionale Ivan – che, forse, è il personaggio per me più interessante – che riflette dopo l’ultimo dialogo con Smerdjakov e convince se stesso del fatto che avendo, più o meno consciamente, spinto quest’ultimo a commettere il delitto, è egli stesso il maggiore responsabile: è così che la sua razionalità, il suo essere cervellotico lo porta all’irrazionalità totale, ad una follia che potrebbe portarlo alla morte. L’unico personaggio che si mostra sempre coerente con se stesso, forse per via del suo essere quasi etereo e soprannaturale, è colui che dovrebbe essere il protagonista, dato che I fratelli Karamazov sarebbe dovuto essere il primo romanzo di una trilogia a lui dedicata: Alesa, unico punto di unione tra i fratelli e naturale mediatore tra loro e suo padre, guidato da una fede in Dio e negli uomini pulita e assoluta, Alesa che cerca di riscattare il dolore e il disagio dedicandosi agli altri ed in particolare al povero Iljusa. Una riflessione – sempre, quando leggo Dosto – va alle donne del romanzo: perché i suoi personaggi femminili sono spesso volubili e nevrotici? Penso a Katerina Ivanovna, in parte a Grusenka, ma soprattutto a Liza, che mi ha colpito particolarmente per la sua indole libera e pulita, seppur succube di una madre soffocante e poco intelligente. Non so se Dosto ritenesse buona parte delle donne delle matte isteriche, ma in fondo mi viene da pensare, d’istinto, che di loro avesse, generalizzando, un concetto positivo; infatti le mostra spesso infelici poiché troppo sensibili, a loro modo ribelli rispetto al marcio ambiente che le circonda.
Certamente un capolavoro, ma non riesco a fare una classifica dei libri di Dostoevskij … forse ho preferito Delitto e castigo.
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
PREMESSA: col mio scrittore preferito, in uno dei suoi capolavori, temo di non essere riuscita molto sintetica... chiedo umilmente venia! :W

Ho ripreso in mano questo libro a distanza di diversi anni e, mentre lo leggevo, non facevo che chiedermi: ma come fa questo autore a far vibrare così intensamente le corde della mia anima? Come ci riesce? E perchè nessuno come lui? Insomma, l'ho letto cercando di carpire il “segreto” del mio amore per Dostoevskij e, per fortuna, non ci sono riuscita: la sua grandezza continua a restare un mistero per me, un mistero da vivere tutto nelle sue pagine... Però è stato bellissimo porsi questa domanda man mano che procedevo nella lettura, e qualche piccola risposta sono riuscita comunque a darmela.

I personaggi di Dostoevskij sono così sublimi e inarrivabili perchè ognuno di essi è come una finestra, uno squarcio aperto nell'interiorità dell'uomo. Ma ciò che secondo me li rende così unici è che, nonostante siano sempre anime inquiete, tormentate (in alcuni casi al limite della morbosità), tuttavia quasi tutti sono dotati di una lucida, profonda (e nella realtà piuttosto inverosimile) capacità di guardare dentro se stessi e di "descriversi"... Per questo i loro lunghi monologhi assomigliano tanto spesso a “lucidi deliri”: attraverso di essi è la loro stessa coscienza a parlare. Diversamente dalla maggior parte dei romanzi psicologici moderni e contemporanei, non siamo noi a entrare nella loro testa, ma sono loro stessi a tirar fuori tutto quello che hanno dentro. La differenza è che di fronte alle loro “confessioni” noi lettori restiamo spaesati: non abbiamo alcuna certezza che ció che essi ci stanno raccontando corrisponde a veritá... e infatti (sebbene i loro slanci siano sempre sinceri, anzi, proprio per questa ragione) spesso si confondono, si contraddicono, cercano disperatamente una soluzione che non trovano e noi - poveri lettori - dobbiamo distinguere da questa massa ingarbugliata una "veritá" che non esiste. Peró credo che il bello sia proprio questo: restare in balia delle loro incontrollabili passioni...
Come se non bastasse, poi, Dostoevskij pone i suoi personaggi sempre in situazioni estreme, per metterli alla prova e sondare le loro reazioni, quasi fossero le cavie di continui esperimenti psicologici. Per questo essi ci affascinano ma allo stesso tempo danno l’impressione di essere “eccessivi”, quasi irreali nell’estremizzazione dei loro sentimenti e delle loro gesta. C’è un passaggio bellissimo nella prefazione al mio libro che dice “l’illusione della verosimiglianza in Dostoevskij nasce dal fatto che analoghi pensieri scandalosi si affacciano continuamente alla mente di tutti; ma questi “pensieri” non si concretizzano mai nell’azione.” Io credo che molto del potere quasi ipnotico che esercitano i suoi romanzi (almeno su di me) sia dovuto a proprio questo aspetto.

Se tutti i personaggi di Dostoevskij sono incarnazioni di passioni e ideologie portate all’estremo, in questo romanzo c’è un ingrediente aggiuntivo e particolare, ovvero l’essere “un Karamazov”, quasi si trattasse di una sottospecie ben distinta del genere umano. In effetti l'autore, fin dall’inizio, non perde occasione di sottolineare che c'è un legame sotterraneo ma indistruttibile che unisce il padre e i tre fratelli, e che è talmente forte da affermarsi con una sua precisa identità: la "natura karomazoviana", appunto, ben descritta dal procuratore Kirillovic nella sua arringa accusatoria. "Ma perchè noi – dice, immedesimandosi nell’imputato – siamo nature ampie, karamazoviane, capaci di mescolare insieme i più opposti contrari che immaginar si possa, e di ficcar lo sguardo, nello stesso istante, in entrambi gli abissi, nell'abisso al di sopra di noi, l'abisso degli ideali più alti, e nell'abisso al di sotto di noi, l'abisso della più bassa, della più fetida caduta morale."
Mitja stesso, in occasione dell'interrogatorio, aveva avuto modo di dire: " e appunto questo m'ha fatto soffrire tutta la vita, ch'ero assetato di azioni elevate (...) e nello stesso tempo, per tutta la vita, ho continuato a fare turpitudini e nient'altro", e molto prima (in uno dei primi capitoli) sempre Mitja confidava ad Alesa: "noialtri Karamazov siamo fatti così, e anche in te, angelo, quest'insetto vive, e dentro al sangue ti cova burrasche. Burrasche sono, perchè la libidine è una burrasca, peggiore di qualsiasi burrasca! La bellezza: che tremenda e orribile cosa! (...) Lì gli opposti si toccano, lì tutte le contraddizioni vivono insieme".
Libidine e bellezza... ma di cosa, per cosa? Non solo di donne parla Mitja (questa passione, portata all’eccesso, egli la condivide quasi solo con suo padre) , ma di una lussuriosa e disperata brama di vivere a cui neanche il “puro” Alesa si sottrae. Non che la sua purezza non sia sincera, ma è anch'essa frutto di questo fortissimo (e tutt'altro che spirituale) attaccamento alla vita... Di Alesa, oltretutto, Dostoevskij “si serve” per offrire agli altri personaggi l’occasione di rivelare se stessi: nessuno, di fronte a lui, riesce a mentire, a nascondersi... la sua innegabile "bontà" diventa il polo d'attrazione (e di svelamento) per ciò che di più buio e nascosto c’è nel loro animo (e in questo la sua figura si avvicina molto a quella del principe Myskin). E’ a lui infatti che Ivan si confessa, in quei due capitoli di incredibile bellezza che sono Ribellione e, soprattutto, Il Grande Inquisitore.

È difficile trovare le parole adatte per descrivere Ivan, l' “eroe” dichiarato dallo stesso Dosto in prefazione al suo romanzo... In lui le contraddizioni karomazoviane raggiungono l'apice, in lui il conflitto fra i due opposti è ancora più disperato perchè si svolge tutto in una dimensione psichica... Da una parte egli sente una tensione inesauribile e inistinguibile verso l'Assoluto, dall’altra è avvinghiato al mondo da una forza terrena che è pura brama di vivere; da una parte anche lui vorrebbe poter "cantare l’inno" e abbandonarsi all’amore divino, dall’altra c’è qualcosa che lo blocca: “se le cose stanno così”, allora lui “non ci sta”. Sublime la sua sentenza “Non è che non accetti Dio: ma semplicemente Gli restituisco, con la massima deferenza, il mio biglietto”.
Mai come in quest'opera il “problema religioso” (sempre presente in Dostoevskij) è il vero perno intorno a cui è costruita tutta la storia. Una questione che sembrerebbe puramente teorica non solo contamina la realtà “oggettiva”, ma persino la determina! Io credo che qui Dostoevskij faccia qualcosa di davvero strepitoso: (inizio SPOILER) accusando Ivan dell’assassinio di suo padre (il suo primo accusatore è infatti lui, l’autore), stravolge la normale gerarchia delle responsabilità, quella che ci dice che “pensare” è diverso da “fare” e che un desiderio, per quanto terribile, non ci rende colpevoli... E invece no, Ivan è l’assassino. La sua natura non accetta compromessi: se Dio non c’è, allora “tutto è possibile”. E quello che lui desidera (sebbene in modo confuso, quasi inconscio) si trasforma in realtà: voleva la morte di suo padre, e della sua morte egli è il principale responsabile. (fine SPOILER)

Io sul serio rabbrividisco pensando a quello che Dostoevskij è riuscito a concepire... Perchè lui è davvero tutt’uno coi suoi romanzi. Se c’è un’altra ragione per cui amo quest’autore sopra ogni altro, è che dentro le sue opere, dentro i suoi eroi, egli mette tutto se stesso: le sue passioni, le sue paure, i suoi tormenti ... e allora, quando leggo i suoi capolavori, davvero ho l’impressione che non stia solo leggendo un libro, ma stia facendo un viaggio straordinario e irripetibile all’interno della mente e del cuore di un uomo.
Alla faccia di quelli che recensiscono nelle riviste più blasonate! :ad:
Ne aspetto una su "Le anime morte". Capito perché te lo suggerii come tua prossima lettura in mezzo ai tanti della tua Wishlist? :wink:
Mi piacerebbe anche leggere due :)?) righe su "Moira" di Julien Green. Grande romanzo sottovalutato, IMHO.
E qualcosa sul periodo cattolico di Graham Greene, tipo "Il nocciolo della questione".
E...
E poi...
 
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