Dalcher, Christina - Vox

qweedy

Well-known member
Puoi dire non più di 100 parole al giorno. Ma solo se sei una donna

"Jean McClellan è diventata una donna di poche parole. Ma non per sua scelta. Può pronunciarne solo cento al giorno, non una di più. Anche sua figlia di sei anni porta il braccialetto conta parole, e le è proibito imparare a leggere e a scrivere.
Perché, con il nuovo governo al potere, in America è cambiato tutto.
Jean è solo una dei milioni di donne che, oltre alla voce, hanno dovuto rinunciare al passaporto, al conto in banca, al lavoro. Ma è l’unica che ora ha la possibilità di ribellarsi.
Per se stessa, per sua figlia, per tutte le donne."
[limite di 100 parole raggiunto]


In un’America non troppo lontana si è fatto strada il Movimento per la Purezza, una “riesumazione del culto vittoriano della vita domestica” che prevede “l’esclusione delle donne dalla sfera pubblica”, ma non solo: possono pronunciare al massimo 100 parole al giorno, quando di media se ne dicono sedicimila. Non possono lavorare, leggere, scrivere, usare i gesti: devono essere solo mogli e madri. Recluse, prigioniere in casa loro, mute, possono dedicarsi alla cucina, al giardinaggio, a pulire casa, costantemente sottomesse alla volontà maschile.

Nel romanzo la repressione non riguarda solo le donne, il fanatismo religioso si abbatte anche sull’adulterio, sugli omosessuali, sui cospiratori. Tutti i colpevoli non hanno scampo, il loro futuro è ai lavori forzati: umiliati pubblicamenti, allontanati dalla famiglia e ridotti in schiavitù.

“Spero che questo libro ti abbia fatto arrabbiare un po’. E che ti abbia fatto riflettere”, scrive nei suoi ringraziamenti Christina Dalcher. Sì, mi ha fatto arrabbiare e mi ha lasciato molta inquietudine e tristezza, perchè questo mondo distopico non mi pare poi così lontano nè inverosimile. Questo libro dimostra come è facile zittire intere categorie di persone, in questo caso l'altra metà del cielo, donne e bambine.

Voto 5, nonostante i molti limiti di quest'opera prima, proprio per la trama coinvolgente e destabilizzante. Questo libro disturba e fa arrabbiare.


"Un giorno da mia figlia ci si aspetterà che sappia fare la spesa e gestire le faccende di casa, che sia una moglie devota e diligente, e per queste mansioni serve saper contare e non certo conoscere l’ortografia, né la letteratura. E non serve nemmeno avere una voce."

"Se qualcuno mi dicesse che in una settimana potrei far fuori il presidente e il Movimento per la Purezza, non gli crederei. Ma non potrei nemmeno contraddirlo. Non potrei dire niente. Stasera, a cena, prima che pronunci le ultime sillabe della giornata, mio marito dà un colpetto al dispositivo argentato attorno al mio polso sinistro. Un tocco leggero, come per condividere il mio dolore, o forse per ricordarmi di rimanere in silenzio fino a mezzanotte, quando il contatore si resetterà. Il contatore di mia figlia Sonia farà lo stesso. I miei figli maschi, invece, non hanno nulla al polso."

"Come donne, siamo chiamate al silenzio e all’obbedienza. Se dobbiamo imparare, chiediamo ai nostri mariti nell’intimità di casa, poiché è peccato che una donna metta in discussione l’autorità maschile voluta da Dio."
 

Jessamine

Well-known member
Aspettavo da tanto il momento di poter mettere le mani su questo libro, e forse anche per questo la delusione, a fine lettura, è stata tanto cocente.
Nell'ultimo anno sono anche io stata vittima della febbre “Margaret Atwood”, riscoprendo il suo meraviglioso “Il racconto dell'Ancella” e facendomi poi catturare dai vari epigoni che ne sono nati. Peccato che, non del tutto inaspettatamente, ad essere sincera, questi epigoni non sono nemmeno lontanamente all'altezza del capolavoro della Atwood.
In questo caso mi ritrovo a ripercorrere delle riflessioni che già avevo fatto a proposito di “Ragazze elettriche” di Naomi Alderman (tra l'altro, curioso come in queste distopie all'insegna del girl power - parlare di femminismo qui mi sembra eccessivo - torni così ossessivamente il tema dell'elettricità, sebbene con scopi e obiettivi opposti). L'idea di fondo del romanzo è geniale, ma la realizzazione è mediocre.
La Dalcher ci presenta l'America di un futuro non troppo lontano, dove una setta religiosa estremista è riuscita a salire al potere, imponendo il suo retrogrado pensiero secondo cui tutto andrebbe meglio se le donne restassero a casa a sfornare torte e figli, a pulire, e a non esprimere un'opinione. E dapprima con il blocco di ogni conto corrente intestato alle donne, poi con l'eliminazione dei loro passaporti, si arriva sorprendentemente ad un contatore da polso obbligatorio per ogni essere di sesso femminile (anche le neonate), un contatore che, tramite una scarica elettrica di intensità sempre maggiore, impedisce alle donne di pronunciare più di cento parole al giorno.
Tutto molto interessante e tutto molto bello, le prime sessanta pagine sono un vero e proprio concentrato di angoscia, rabbia e frustrazione, dove la protagonista ci trascina in una spirale di follia, gettando delle basi che, ahimé, credevo fossero molto solide.
Ho particolarmente apprezzato il fatto che Jean fosse una donna normale, una donna come tante, con un signor cervello, ma troppo concentrata sulla sua vita per preoccuparsi davvero di quello che le succedeva attorno... l'università prima, il dottorato poi, e il matrimonio, e i quattro figli, e marciare, protestare, alzare la voce sembrava sempre meno importante, sempre rimandabile. Si può anche non votare, delegare agli altri qualsiasi scelta sul proprio futuro. Fino a quando la situazione si fa insostenibile, e proprio quando si capisce che alzare la voce è necessario, qualcun altro se l'è già presa, la tua voce. Questo conflitto, questo senso di colpa è qualcosa fin troppo facile da riconoscere, e mi è proprio piaciuto.
È interessante anche la ricostruzione di come l'orrore abbia preso piede, dapprima lentamente, poi come se fosse uno scherzo, senza che nessuno lo prendesse davvero seriamente, fino a quando è stato troppo tardi. Niente che non abbia già letto, ma pur sempre interessante.

Il problema è che, superata la pagina sessanta, quando la Dalcher finisce di delineare la situazione e la storia dovrebbe decollare, qualcuno deve averle dato una botta in testa, rubato il pc e dato il suo manoscritto a un mediocre ghost-writer di brutti thriller. O forse, al contrario, finché si trattava di descrivere una situazione tutto sommato conosciuta (regimi estremisti, una parte della popolazione lentamente ridotta al silenzio e spogliata di ogni diritto, la coscienza che si sveglia troppo tardi... insomma, di esempi del genere ne abbiamo a bizzeffe, nella storia e nella fiction) la Dalcher ha saputo giocarsi bene le sue carte, poi tutto è precipitato in una roba piena di stereotipi e azioni assurde.
C'è una storia d'amore, ci sono laboratori governativi segreti, un piano per distruggere il mondo e due eroi e mezzo che, in un paio di notti, riescono a dare vita ad un siero cui avevano lavorato per anni, riescono a invertirne la funzione e a cambiare le sorti del mondo.
Il tutto condito da una protagonista che dimentica improvvisamente tutto quello che ci aveva raccontato per sessanta pagine, sua psicologia inclusa; un amante che somiglia più che altro ai gorilla del laboratorio, ma ehi, lui si che è un uomo, perché gli uomini devono esser grandi, grossi, e prendere a pungi chi ti sputa in macchina, se no sono mammolette... come? Sembrava che le premesse del romanzo parlassero di riscatto e di femminismo?. Poi ci sono mariti zerbini, colpi di scena che non hanno senso, risoluzioni al limite del fantascientifico e stereotipi, stereotipi, stereotipi. Eh, sì, perché Lorenzo è italiano, quindi passa le sue giornate a grugnire, fare caffè e suonare il mandolino (vi giuro, il mandolino). I genitori di Jean vivono in Italia, quindi al telefono parlano solo di arance e limoni. Ah, sì, e, più o meno letteralmente: “ai maschi piace fare esplodere le cose”. Seriamente.
E giusto come ciliegina sulla torta, indovinate un po' chi è che salva queste donne forti, emancipate, pronte ad alzare la voce e ribellarsi ad un regime che vuole ridurle al silenzio? Forse la loro unione, il loro combattere assieme? Forse il risvegliarsi della loro coscienza, e dunque l'affidamento sulle loro forze? Ma certo che no. Insomma, ragazze, va bene fare un po' di casino, ma bene strepitare, va bene fare le femministe incazzate, ma quando le cose si fanno serie, statevene buone in un angolo, mentre gli uomini grandi grossi e forti salvano la situazione e le donzelle in difficoltà.

Un'idea geniale che si perde in un romanzo mediocre, che peccato.
 

ayuthaya

Moderator
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Jess, come stronchi i romanzi tu non li stronca nessuno. Giuro! C'è solo un tipo di recensioni migliori di quelle scritte da te quando un libro ti piace, e sono quelle scritte da te quando il libro NON ti piace! Fantastico!
 
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Jessamine

Well-known member
Non volevo stroncare proprio il romanzo, è solo che ci sono rimasta male: ci speravo tanto, in questo "Vox", e ho preso la delusione sul personale :mrgreen:
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Ho letto pareri contrastanti su questo libro: c'è chi lo esalta e chi lo stronca, e sono passati solo pochi mesi dalla pubblicazione. Forse già questo è emblematico, perché è un libro che comunque vada lascia il segno. La mia opinione è intermedia: riconosco che ha dei difetti, ma mi è piaciuto abbastanza da consigliarlo senza riserve. In molti lo paragonano al ben più noto "Il racconto dell'ancella" di Margareth Atwood ed in effetti il paragone regge, ma – dirò un'eresia per i più – a me questo ha preso di più. Di cosa si parla? Di donne, donne alle quali è stato impedito di parlare (possono pronunciare solo 100 parole al giorno), leggere, scrivere, lavorare. Il "movimento per la purezza", salito al potere con il nuovo presidente-bamboccio degli Stati Uniti, vede la donna come l'angelo del focolare; ha colonizzato tutto, dalla scuola, alle aziende, alle frontiere divenute invalicabili per le donne, ai mezzi di comunicazione… tutto. E ormai non ci si può più ribellare. O forse sì? O forse si può ancora? Jean, la voce narrante e protagonista di questo libro, ben presto capisce di sì, che qualcosa si può ancora fare, e che a pensarla come lei sono in tanti, anche i più insospensabili. Ma sarà pericoloso e potrebbe costare caro.
"Vox" è un libro ben scritto, che sorprende, anche se in qualche punto mi è sembrato stiracchiato e portato un po' per le lunghe; ha un finale discutibile ma comunque apprezzabile e non troppo bislacco in relazione col resto del libro. In definitiva, non sarà il nuovo Pulitzer, ma è una buona lettura per non dimenticare che, mentre noi siamo troppo presi da noi stessi, intorno si decide il futuro nostro, dei nostri cari, del mondo intero… tutto comincia piano, a piccoli passi, ma poi arriva un momento nel quale vorremmo ribellarci ma non potremo più farlo. Perciò bisogna agire finché si è in tempo.
 

Spilla

Well-known member
Sposo completamente il commento di Jessamine, che è molto più brava di me nell’analisi.
Anche io ho divorato il libro, ma non ho ritrovato quello che le premesse promettevano. Tra l’altro,nella seconda metà del libro la scrittura peggiora notevolmente, ci sono bizzeffe di salti logici e incongruenze fastidiose. Peccato.
 

LettriceBlu

Non rinunciare mai
Il problema principale di questo libro, che a mio parere li contiene tutti, è che non doveva essere così breve. L'autrice ha costruito un'ottima distopia, resa ancora più efficacie perché non così lontana dalla nostra realtà come tante altre di cui abbiamo letto; ad essere debole è il modo in cui la storia è narrata: avviene tutto troppo velocemente e spesso mancano completamente passaggi o frasi che collegano pensieri, ricordi e avvenimenti l'uno all'altro. La voglia di assistere al fantomatico piano per liberarsi del regime fa terminare il libro in pochissimo tempo, ma ciò che alla fine si ottiene sono scene d'azione confusionarie e talmente rapide che sembra sia attivo lo scorrimento veloce, e un finale affrettatissimo e privo della metà delle spiegazioni che necessiterebbero.
 
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