Pitzorno, Bianca - La bambinaia francese

Jessamine

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TRAMA
La storia di Sophie Gravillon comincia nella Parigi colta, spietata e rivoluzionaria di primo Ottocento e rischia di concludersi all'Ospedale di mendicità quando a otto anni rimane orfana. Interviene però una famosa stella dell'Opera, Céline, che finge di assumerla come bambinaia della figlia Adele. A casa sua Sophie conoscerà Toussaint, un ragazzino proveniente dalle Antille, e insieme a lui avrà il privilegio di essere istruita dal padrino di Céline, un vecchio marchese dalle idee illuministe. Alla morte del marchese seguiranno una serie di avventure fra Francia e Inghilterra. Un romanzo storico denso di riferimenti alla cultura del tempo.

COMMENTO
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Review Bianca Pitzorno è per me una voce amica, una voce che mi accompagna fin da quando ero piccolissima e leggevo per ore senza mai fermarmi nemmeno un istante a riflettere su ciò che trovavo nei libri.
Eppure, quando torno a pensare alla sua voce, così magnetica e dai toni ammalianti e pieni di promesse, mi trovo a pensare che, probabilmente, senza i suoi libri sarei stata un'altra persona.
Non lo potevo sapere, quando avevo una manciata di anni e trascorrevo pomeriggi interi insieme a Cora, a Prisca ed Elisa, a Lavinia e Làlage e anche Violante (ero troppo piccola per Violante, ma quanto mi piaceva quel brivido di proibito che mi spingeva a continuare a leggere anche se alcune cose non le capivo!) non lo sapevo che quelle ore stavano piantando in me dei semi inestimabili. Semi silenziosi, che ho custodito forse con un po' di noncuranza, ma che sono stati una piccola fortezza di luce. Un piccolo baluardo di incrollabile certezza, di modelli femminili positivi, di lotta e meravigliosa, meravigliosa ribellione.
"La bambinaia francese" è arrivata per la prima volta quando stavo per affacciarmi sulla soglia dell'adolescenza: ricordo che lo lessi voracemente, passando in compagnia di Sophie, Tùssi e Monseur Rochester (esatto, proprio quell'Edward Rochester) solo un paio di giorni d'estate, leggendo per ore e ore, come purtroppo la me adulta non ha più il tempo di fare.
Non conoscevo "Jane Eyre": questo nome mi richiamava alla memoria soltanto qualche eco confusa, al punto che credevo si trattasse solo di un altro personaggio storico (come Victor Hugo o Dickens) che però io non riuscivo a riconiscere.
Inutile dire che questa visione "dal basso", dalla parte dei denigrati (interessantissime le riflessioni su alcune affermazioni infelici della stessa Jane poste in coda al romanzo, quelle che ovviamente da ragazzina saltai a piè pari) ha irrimediabilmente influenzato la mia visione, perché quando, anni dopo, incontrai "la vera" Jane Eyre e il "vero" Edward Rochester, buona parte della mia simpatia era rivolta altrove. Insomma, Bianca Pitzorno mi ha salvata da quella terribile sindrome da crocerossina che probabilmente avrebbe fatto cadere la me sedicenne vittima indiscussa del fascino tenebroso di Mr. Rochester, e questo non è poco.

Ora che sono un'adulta, riesco ad approcciarmi a questo libro con una consapevolezza tutta nuova, e non posso che riconoscere di nuovo (nel caso ce ne fosse bisogno) la grandezza di Bianca Pitzorno, che ha saputo costruire un romanzo che ha l'ampio respiro dei classici della letteratura, in un delizioso impasto di narrativa, romanzo epistolare e pagine di diario. Questo romanzo è una grande avventura, ma è anche un tuffo nella francia della restaurazione, è un crogiolo di idee rivoluzionarie, di difesa dei diritti umani, di rivendicazioni femminili e meravigliose colte citazioni.
Leggendo questo romanzo si impara a conoscere l'evoulzione del balletto classico, si vede la nascita de "La Silfide" e delle scarpette di gesso di Marie Taglioni. Si conosce la rivoluzionaria pedagogia di Pietro Verri (no-vax, prendete nota), si apprendono i principi di Rousseau, ci si commuove assieme a Victor Hugo. Si cantano arie di Rossini, si combatte la rivoluzione degli schiavi di Haiti, e si impara a non vedere un fantasma dietro ogni porta socchiusa assieme alla Catherine Morland di Jane Austen. Si impara anche che la società, con il suo doppio standard nel considerare uomini e donne, è terribilmente ingiusta, e ci si sente il cuore scoppiare d'orgoglio leggendo le parole di Mary Wollstonecraft.
Tutto ciò è presentato anche ai lettori più giovani con una tale naturalezza che è impossibile sentrisi frastornati dalla raffinatezza e dalla completezza di questo bellissimo affresco.

Questa Bertha, poi (che è in fondo la Bertha del meraviglioso "Il grande mare dei Sargassi") mi è entrata nel cuore, accendendomi di indignazione e compassione come pochi altri personaggi hanno saputo fare.

Se tutto questo non bastasse a farmi amare questo romanzo che si legge divinamente quando si è poco più che bambini, e si apprezza infinitamente quando bambini non lo si è più da un pezzo, Bianca Pitzorno mi ha offerto 500 deliziose pagine da sbattere sul naso a chiunque mi chieda perché, ora che sono quasi vicina ai trent'anni, perda ancora tempo a scrivere fanfiction.
 
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