Cummins, Jeanine - Il sale della terra

estersable88

dreamer member
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Dici Acapulco e pensi a spiagge di sabbia finissima, mare cristallino e palme accarezzate dalla brezza. Ma oggi la perla del Pacifico è molto diversa dall'immagine da cartolina usata per attirare i turisti. Il narcotraffico si è insinuato in città e gli omicidi sono all'ordine del giorno. Ad Acapulco vive Lydia, che si divide tra il lavoro in libreria e la famiglia costruita con il marito Sebastián, giornalista, e il figlioletto Luca, otto anni e un'intelligenza fuori dal comune. Quello che Lydia non si aspetta è che la sua esistenza venga sconvolta da un giorno all'altro, quando un commando di uomini armati irrompe alla festa di compleanno della nipote e stermina tutti i suoi cari. Nascosti in bagno, solo Lydia e Luca si salvano dalla carneficina, e per loro inizia una fuga estenuante. Rimanere in Messico equivale a morte certa, ma per non farsi rintracciare dal boss che ha ordinato il massacro bisogna evitare le strade più battute e i normali mezzi di trasporto. Così, a madre e figlio non resta altro da fare che prendere la via dei migranti: le centinaia di famiglie che ogni giorno fuggono dai paesi dell'America centrale, devastati dalle bande criminali, e attraversano il Messico nella speranza di raggiungere il confine con gli Stati Uniti. Questo significa anche salire sulla Bestia, il treno merci su cui i migranti si arrampicano al volo rischiando di finire stritolati. Mentre tentano di saltare a bordo, Lydia e Luca incontrano due sorelle, Soledad e Rebeca, scappate dall'Honduras, e i quattro iniziano a viaggiare insieme. Affronteranno la difficile traversata del deserto, conosceranno altri migranti, disposti ad aiutarli o pronti ad approfittarsi di loro, e cercheranno di conservare la propria umanità in un'esperienza che di umano ha ben poco. Ma è davvero possibile raggiungere il confine? I sicari li troveranno? E cosa ha scatenato la furia del boss che li vuole morti?


Ho letto molte storie aventi come tema l'immigrazione, qualcuna anche sul tema appassionante dei cartelli della droga in Messico, due tematiche che mi appassionano particolarmente. Perciò non so se sia per questo motivo che ho trovato bellissimo questo romanzo, o perché davvero è ben scritto, ben congegnato, emozionante, straziante. Sta di fatto che a me è piaciuto molto e non riuscivo a staccarmi dalle oltre quattrocento pagine densissime di avvenimenti, dettagli, emozioni, storie.
Tutto comincia ad Acapulco, il giorno della festa del quindicesimo compleanno di Jennifer, la nipote di Lydia, la protagonista. Tutta la famiglia è riunita in giardino quando tre sicari irrompono sparando a tutto ciò che trovano e poi si fermano ad orinare e banchettare col pollo allo spiedo preparato per i commensali che tanto non lo mangeranno mai. Lydia e suo figlio di otto anni, Luca, al momento della sparatoria si trovavano in bagno ed è stato solo questo, insieme al loro sangue freddo, a salvarli. Risultato della sparatoria: sedici persone morte, una famiglia sterminata e una condanna a morte per chi è rimasto: non è possibile, per Lydia e Luca, restare in Messico. Devono fuggire, far perdere le tracce, cercare di raggiungere gli Stati Uniti. Facile a dirsi, ma per una donna di cultura, non ricca ma comunque benestante, e un bambino di otto anni non è facile trasformarsi in migranti ed intraprendere un viaggio rischiosissimo, al limite della follia. Ma facciamo un passo indietro: cos'ha generato questa sparatoria, questa vendetta, questa mattanza? Sebastiàn, il marito di Lydia, è – o meglio, era – un giornalista specializzato in narcotraffico, un profondo conoscitore delle dinamiche dei cartelli, e si era occupato spesso ed approfonditamente del nuovo cartello dominante ad Acapulco, quello dei Jardineros, capeggiati da Javier Crespo Fuentes, un narco diverso dagli altri, uno illuminato, un gentleman. Il problema è che anche Lydia lo conosceva, Javier, ma conosceva una faccia diversa dello stesso uomo. Sta di fatto che, gentleman o no, Sebastiàn è stato l'ennesimo giornalista ucciso in Messico per mano dei cartelli, e con lui l'intera famiglia… per mano di un caro amico proprio di Lydia. E allora bisogna fuggire, bisogna salvarsi ad ogni costo, non pensare più a nient'altro che a sopravvivere senza farsi trovare, senza potersi fidare di nessuno, scegliendo sempre per quale morte rischiare. Sì, perché i cartelli non sono certo l'unico pericolo di quel viaggio disperato che porterà Lydia, Luca e tanti come loro dal Messico e dagli altri Paesi dell'America centrale fino al confine degli Stati Uniti: c'è la Polizia, c'è la Migra, ci sono i sicari, gli altri migranti – perché essere insieme nella sventura non significa per forza essere buoni d'animo – e poi c'è la Bestia. Non si può arrivare in treno al Nord, il trasporto passeggeri non c'è e non si possono usare mezzi rintracciabili, quindi a molti migrantes non resta che rischiare il tutto per tutto sui treni merci, salendo mentre sono in corsa, rischiando di essere risucchiati sotto le ruote, di cadere giù, di essere rapiti, sequestrati……. Un orrore indicibile. E per chi supera tutto questo, c'è da affrontare il deserto nelle mani di un portatore… sarà onesto? Nelle mani di chi ci si sta affidando?
Il sale della terra racconta tutto questo e molto altro: racconta le storie di uomini e donne che quest'odissea l'hanno affrontata davvero. Lo fa con personaggi di fantasia, è vero, ma il tutto è estremamente realistico, dettagliato, al punto da sembrare davvero reale… sì, perché solo i personaggi sono inventati, il resto, credetemi, esiste davvero. Pensateci, mentre lo leggerete. Perché dovreste proprio farlo.
 

qweedy

Well-known member
Mi è piaciuto molto, la tensione rimane altissima dall'inizio alla fine. Questo romanzo conduce il lettore lungo la rotta dei migranti che dal Messico e dal Centro America si spingono a nord, lungo i binari di "La Bestia", il treno merci che ogni anno conduce, aggrappate al suo tetto, quasi mezzo milione di persone fino al confine con gli Stati Uniti. L'argomento è abbastanza violento e disturbante.
Assurdo il titolo italiano, mi chiedo sempre se chi sceglie i titoli italiani evitando di tradurre il titolo originale abbia almeno letto la trama!

Questo libro ha suscitato molte discussioni negli Stati Uniti. A consacrare il romanzo arriva Ophrah Winfrey che lo sceglie per il suo book club, un imprimatur capace di muovere le classifiche statunitensi. “Chiunque legga questo libro si immergerà nell’esperienza di ciò che significa essere un migrante in fuga”, assicura la giornalista più potente d’America. Ma sono arrivate moltissime critiche dalla comunità messicana per "appropriazione culturale" e "spettacolarizzazione del dolore", perchè una 'bianca statunitense non può scrivere una storia di migranti messicani'. L’editore ha dovuto sospendere il tour promozionale causa “specifiche” minacce di violenza fisica all’autrice e ai librai.

Voto 5
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
A proposito delle polemiche... magari sarò smentita, magari non ho colto a pieno la questione, ma voglio schierarmi dalla parte dell'autrice: sarà anche vero che non c'è nessuno che conosca meglio una storia di colui che la vive... ma siamo sicuri che TUTTI i messicani conoscano a fondo questa storia? Come ci racconta efficacemente Jeanine Cummins, neanche la protagonista, Lydia, che viveva la quotidianità di una persona normale, colta, intelligente, aveva idea di cosa avrebbe dovuto affrontare. Perché, allora, non potrebbe essere così anche per il messicano medio? E non dimentichiamo, comunque, che questa è un'opera letteraria... se si usasse la cultural appropriation in letteratura semplicemente non esisterebbe la metà dei romanzi pubblicati nel mondo. E al di là di tutto... una storia così, chiunque la racconti, a qualunque titolo, merita di essere raccontata. Più se ne parla, meglio è proprio per i messicani!
Questa è la mia opinione.
 

qweedy

Well-known member
A proposito delle polemiche... magari sarò smentita, magari non ho colto a pieno la questione, ma voglio schierarmi dalla parte dell'autrice: sarà anche vero che non c'è nessuno che conosca meglio una storia di colui che la vive... ma siamo sicuri che TUTTI i messicani conoscano a fondo questa storia? Come ci racconta efficacemente Jeanine Cummins, neanche la protagonista, Lydia, che viveva la quotidianità di una persona normale, colta, intelligente, aveva idea di cosa avrebbe dovuto affrontare. Perché, allora, non potrebbe essere così anche per il messicano medio? E non dimentichiamo, comunque, che questa è un'opera letteraria... se si usasse la cultural appropriation in letteratura semplicemente non esisterebbe la metà dei romanzi pubblicati nel mondo. E al di là di tutto... una storia così, chiunque la racconti, a qualunque titolo, merita di essere raccontata. Più se ne parla, meglio è proprio per i messicani!
Questa è la mia opinione.

Sono perfettamente d'accordo con te, non è un problema se l'autrice racconta dell'immigrazione sudamericana pur non avendola provata sulla sua pelle!
Comunque molti hanno detto che il romanzo è pieno di stereopiti sul Messico, che viene descritto come un inferno, e l'autrice insiste troppo spesso sul colore scuro della pelle (questo è vero, l'ho notato anch'io). Molti criticano anche la protagonista Lydia, in quanto non credibile come messicana, è molto più simile a una turista bianca americana. Accusano anche l'autrice di aver saccheggiato libri di autori messicani, quelli citati e ringraziati alla fine del libro.
Mi sono segnata alcuni titoli che chi critica Jeanine Cummins consiglia di leggere, "Archivio dei bambini perduti" di Valeria Luiselli, "La fila indiana" di Antonio Ortuño, e "Terra bruciata" di Emiliano Monge.
 

estersable88

dreamer member
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Sono perfettamente d'accordo con te, non è un problema se l'autrice racconta dell'immigrazione sudamericana pur non avendola provata sulla sua pelle!
Comunque molti hanno detto che il romanzo è pieno di stereopiti sul Messico, che viene descritto come un inferno, e l'autrice insiste troppo spesso sul colore scuro della pelle (questo è vero, l'ho notato anch'io). Molti criticano anche la protagonista Lydia, in quanto non credibile come messicana, è molto più simile a una turista bianca americana. Accusano anche l'autrice di aver saccheggiato libri di autori messicani, quelli citati e ringraziati alla fine del libro.
Mi sono segnata alcuni titoli che chi critica Jeanine Cummins consiglia di leggere, "Archivio dei bambini perduti" di Valeria Luiselli, "La fila indiana" di Antonio Ortuño, e "Terra bruciata" di Emiliano Monge.

Grazie Qweedy, copio questi titoli perché, a prescindere dalle critiche a questo libro, l'argomento mi interessa molto. Ne parla anche Don Winslow nella trilogia di Art Keler che, però, è incentrata specificamente sui cartelli.
 

Eve

Member
Ho letto questo libro. Ho letto anche le critiche che gli sono state mosse. Se devo essere sincera, non saprei dire se quelli di cui parla sono stereotipi o se rasentano la realtà. Quello che so è che questo libro ti spacca il cuore in mille pezzettini e poi li ricuce uno ad uno, così che, sotto una vistosa cicatrice, possa riprendere a battere e a percepire con forza sentimenti di amore e speranza.
 
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