E’ davvero una poesia molto complessa e commentarla non è facile.
Per questo parto dall’impatto che ha su di me e mi chiedo: cosa provo?
Inizialmente, leggendola, provo speranza, fiducia nel futuro, coraggio per lottare in nome di un mondo migliore, forza per credere che questo sia possibile. Però provo anche anche paura per tutto quello che potrebbe accadere in nome di questo cambiamento: la discordia, le sofferenze, la “miseria profonda come la lebbra”, cioè uno stato di abbrutimento totale. E non provo, invece, la scintillante certezza espressa dagli ultimi due versi
<<E dalle bocche sparite dei santi
Come le siepi del marzo brillano le verità.>>
Sicuramente Franco Fortini era sincero nel credere a questo finale trionfante, ma a me provoca un leggero fastidio, come se una tale profezia fosse enfatica e un po’ forzata.
Passo ora alla seconda domanda che mi sono posta: come mi appare lo stile di questa poesia?
C’è lo stile denso di immagini delle prime due quartine, così ricco e intenso, poi c’è la riflessione pacata della terza strofa (che è quella che preferisco), e poi c’è lo stile altisonante e profetico dell’ultima parte, che stacca completamente dal resto della poesia. Sembra quasi che Franco Fortini, (essendo un politico, uno studioso, un intellettuale rivoluzionario), si riprenda da un attimo di abbandono intimistico per rivolgere lo sguardo alla Storia e cercare le giustificazioni ideologiche del proprio sentimento.
Mi chiedo ora qual è il ritmo della poesia.
Nelle prime due strofe è fluido, musicale, avvolgente, con un tono quasi sognante. Mi piace moltissimo la contrapposizione fra le immagini potenti della prima e le visioni delicate della seconda.
Poi nella strofa di mezzo riscontro un ritmo più lento, meditativo, accorato, che mi parla di un immenso tesoro da custodire. Questa parte, direi quasi “femminile” dell’autore, mi parla dell’aver cura, del proteggere, del custodire il tesoro immenso della vita, ed è la parte che preferisco.
Invece nell’ultima strofa il ritmo diventa serrato ma anche dissonante, riuscendo però – proprio per questo - a rappresentare bene il conflitto e i contrasti che la storia imporrà agli uomini prima di trovare la gioia.
Infine i due versi che concludono la poesia mi sembrano più il frutto di una tensione utopica che di una reale convinzione.
L’ultima domanda che mi pongo è: a chi si rivolge il poeta?
Questo è l’aspetto di Fortini che mi entusiasma maggiormente, perché la sua poesia si rivolge all’umanità intera, è sempre un noi che rivela la grande tensione etica di questo artista.
Egli non è estraneo al mondo delle emozioni e della tenerezza (e mi sembra dolcissimo il verso della mano che sfiora al passaggio), ma esprime sempre sentimenti calati in un una dimensione sociale.
Ecco qual è per me la discriminante. Un Leopardi, un Fortini, esprimono aspirazioni universali anche se partono dal proprio sentire individuale, e la loro poesia fa vibrare corde che appartengono ad ognuno di noi.
Ciao
Pathurnia