IX CONCORSO LETTERARIO: i racconti

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Chiusa ad ulteriori risposte.

Minerva6

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Eccoci a questo nono appuntamento con i vostri racconti. Scrittevoli, immagino che siate curiosi di leggere gli elaborati degli altri partecipanti e di far leggere i vostri. Eccovi accontentati ;).
Ovviamente la lettura, il commento, la votazione e il totoautore del concorso sono estesi a tutti gli utenti del forum.

I titoli dei racconti con relativi pseudonimi sono i seguenti:
Chi nasce quadro... di Lin Parallel
Come il vento di sera di Alessandro
La promessa di Monica Giulietti
Le due comari di Gina Peppina
Redenzione di Ghostwriter
Signorina di buon senso di Cesira
Subbuglio in libreria di il bibliotecario
Un soffio di vita di Farewell
Una famiglia modello di tampone negativo
Una missione di Eumeo

I 10 partecipanti sono:

Alessandra
Ayuthaya
Carcarlo
Dory
Estersable88
Francesca
Germano Dalcielo
Malafi
Ondine
Roberto89

Per ora li posterò soltanto, domani aprirò anche il sondaggio per votarli. I commenti e il totoautore poi li faremo in un altro 3d.
 
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Minerva6

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Chi nasce quadro… di Lin Parallel

Un boato assordante fece tremare le finestre. Il signor D. si svegliò di soprassalto. Disorientato si guardò intorno, sua moglie dormiva serena. Prima pensò di averlo sognato, ma rimettendosi supino notò un lieve oscillare del lampadario, così decise di alzarsi a dare un’occhiata fuori.

Erano le 6 di una calda e afosa mattina di Agosto. Un camion dei traslochi era fermo sul vialetto della casa accanto, tre o quattro uomini si affaccendavano a trasportare scatoloni all’interno.

“Che ore sono?”

Non ricevendo risposta la signora D. si alzò e affiancò il marito alla finestra.

“Ah, sono arrivati i nuovi vicini” esclamò lei.

“Tu lo sapevi?”

“Sì, me l’ha detto Linda ieri. I signori S., marito e moglie con due figli di 9 e 7 anni, che sono dai nonni per l’estate. Lei lavora nella ditta di pulizie di B. e G. e lui…”

Ma il signor D. aveva smesso di ascoltarla al “9” e se ne stava immobile e pensieroso. Quel cognome aveva scosso il suo fegato come poco prima aveva avvertito i vetri tremare. Anche se molto probabilmente era stato solo un sogno. Aveva bisogno di zuccheri.

Mentre la moglie continuava a snocciolare vita, morte e miracoli dei nuovi arrivati, si diresse a passo spedito verso la cucina, aprì un armadietto, tirò fuori un barattolo di zucchero e ci affondò dentro un cucchiaio con foga. La moglie, che lo aveva seguito, glielo strappò di mano prima che potesse infilarselo in bocca.

“Ma che fai, sei impazzito?”.

No, no, non era impazzito, non in quel momento, era impazzito 20 anni prima, quando un odioso ragazzino con un neo sulla guancia sinistra gli aveva affibbiato il nomignolo che lo aveva tormentato per tutta la durata della scuola. Non c’era niente di strano nella parola in sé, non aveva alcun senso, eppure tutti, conosciuti e sconosciuti, lo apostrofavano in quel modo ridendo, tutto il giorno, ovunque andasse. Finita la scuola, il suo incubo era terminato, ma, ne era sicuro come la morte, quel nuovo vicino non poteva che essere il suo antico tormentatore. In quel momento il signor D. prese la sua decisione: si sarebbe vendicato. Passò i due giorni seguenti ad architettare il suo piano.

Il terzo giorno, alle 5 del mattino un boato assordante fece tremare le finestre. Il signor S. aprì gli occhi, stette in placida attesa per qualche secondo e, non udendo altri rumori né niente di sospetto, si riaddormentò. Era molto stanco dopo il trasloco, il mondo poteva anche finire in quel momento, a lui non sarebbe importato alcunché, voleva solo dormire. Poco più di un’ora dopo, le prime luci dell’alba lo colpirono in pieno viso. Non ricordava di aver lasciato tende e persiane aperte, ma sua moglie non era più nel letto e pensò che fosse stata lei ad aprirle. Con grande disappunto, si alzò malvolentieri, deciso a dirgliene quattro.

Faceva un gran caldo già di primo mattino, così il signor S. si trascinò verso la finestra per aprirla. Tira e tira, la finestra non si apriva. Strinse le mani attorno alla maniglia e vi impresse tutta la forza che aveva, ma niente, sembrava completamente sigillata. Sbuffando, si tolse la canottiera e la lanciò sul letto, la rabbia che montava sempre di più. Scese i gradini di corsa, pestando forte i piedi nudi e facendo tremare tutta la scala. Urlò il nome della moglie a più non posso; mentre vagava di stanza in stanza per cercarla, tentò di aprire altre finestre senza successo. All’improvviso un’idea orribile si affacciò nella sua mente e corse alla porta d’ingresso, e dopo un attimo di esitazione e angoscia abbassò la maniglia… espirò rumorosamente come se avesse trattenuto il fiato per ore. Si apriva. Uscì di corsa con il viso rivolto verso il cielo inspirando a pieni polmoni ma… splaf. Al posto del tappetino di benvenuto, c’era un grosso impiastro marrone-giallognolo vischioso e spumoso in cui aveva appena sprofondato i piedi. Una puzza orrenda gli salì su per le narici inducendogli un conato

di vomito. Non erano escrementi, Dio solo sapeva che roba era, una roba bavosa, appiccicosa, che odorava vagamente di uova marce e acqua putrida e formaggio avariato e chissà cos’altro.

Il signor S. a quel punto rimase impietrito. Non sapeva che fare, cosa pensare. Se fosse rientrato in casa avrebbe imbrattato tutto il pavimento con quella schifezza, così si diresse verso il prato, scelse un tratto in cui l’erba era più alta, e iniziò a strofinare i piedi sopra e sotto, alla meglio, contro le foglie. Nel frattempo roteava gli occhi in tutte le direzioni per accertarsi che i vicini non lo stessero guardando, che nessuno si accorgesse di quello che stava facendo, mezzo nudo, in giardino.

Data l’ora, la strada era deserta e silenziosa. Gli unici suoni erano i cinguettii di qualche uccellino tra i rami degli alberi sparsi qua e là nei giardini del vicinato. Non vedeva nessuno, eppure aveva la strana sensazione di essere osservato. La etichettò come semplice paranoia e tornò dentro dirigendosi in bagno. Aveva bisogno di una doccia, un caffè, e poi avrebbe chiamato la moglie per capire dove diavolo era finita.

A mezzogiorno non era ancora riuscito a rintracciarla e la sua ansia era cresciuta a dismisura. Nel frattempo aveva chiamato un fabbro per capire cosa fosse successo alle finestre e questo gli aveva detto che erano state incollate con una colla a presa rapida.

Aveva appena terminato di parlare con la polizia per denunciare l’accaduto, quando l’improvviso rumore della chiave che girava nella toppa lo fece sussultare.

“Caro ci sei?”. La moglie entrò con varie buste della spesa appese ad un braccio e una pirofila nell’altro, e si diresse verso la cucina.

“Ehi, ma si può sapere dove diavolo sei stata?” urlò lui.

“Ero al lavoro, avevo il turno di mattina. Mi sono alzata alle 4, te l’ho detto ieri a cena.

E poi perché gridi così?” disse lei poggiando la pirofila sul tavolo e le buste a terra.

“Cos’è quella?” disse lui, indicando la pirofila e abbassando un po’ il tono.

“Un tiramisù, me l’ha dato la vicina come augurio di benvenuto.”

“Non ti sei accorta di niente?” proseguì lui.

“Accorgermi di cosa?”

“Le tende! Le finestre! La porta!”

“Ma che stai dicendo, sei impazzito?”

“Perché hai aperto le tende e le persiane? Lo sai che odio la luce di prima mattina”

“Ma non l’ho fatto!”. La moglie sgranò gli occhi costernata davanti al marito che aveva ricominciato ad agitarsi, a sudare copiosamente e a camminare avanti e indietro.

“E le finestre? Non ti sei accorta delle finestre?”

La moglie lo guardò accigliata, scuotendo leggermente la testa senza capire.

“Erano incollate!”

“Come incollate?”

“Sì, qualcuno le ha sigillate con la colla, non si potevano aprire”.

Con un’espressione interdetta, ascoltò tutto il racconto e gradualmente passò da sbalordita, a disgustata, a spaventata.

I giorni successivi non migliorarono. Ogni volta che la moglie usciva di casa, succedevano cose strane. Prima ci fu l’acqua verdognola dai rubinetti, poi il prato blu che emanava odore di zolfo, una strana scritta sul muro del garage e un pacchetto che fu aperto dagli artificieri, ma dentro c’era solo un pagliaccio a molla; in compenso però si ritrovò dei ratti in casa e dovette chiamare i disinfestatori. Fece installare allarmi e telecamere, ma non servirono a nulla. Chi stava architettando quegli scherzi era talmente furbo da non farsi beccare.

Ma perché? Si chiedeva il signor S. mentre si dirigeva verso la cassetta della posta. E allora tutto fu improvvisamente chiaro: “Chi nasce quadro…”. Guardò di nuovo la busta che aveva in mano, un errore del postino davvero provvidenziale, poi diede un’occhiata intorno di sottecchi e rientrò in casa.

La notte successiva, in casa dei signori S., si udì un forte rumore, uno schiocco. Stavolta un sogno non lo era di certo. Divamparono le fiamme e il signor S. chiamò i pompieri. Trovarono il quadro elettrico manomesso.

Le indagini durarono stranamente poco. La scientifica esaminò la casa, prese alcune impronte, un paio di oggetti che non appartenevano al proprietario tra cui una busta, un accendino e una pirofila ancora sporca di tiramisù. Il giorno dopo un suono di sirene segnalò l’arrivo di una pattuglia che si fermò nella casa accanto. Bussarono alla porta, parlarono con una donna che li fece entrare, e ne uscirono dopo poco con un uomo ammanettato. L’uomo aveva la testa bassa, ma la alzò appena prima di entrare nell’auto. Di fronte a lui vide un altro uomo, con un neo sulla guancia sinistra, che lo fissava; aveva un brillio negli occhi e un mezzo sorriso storto. Con la bocca articolò una parola. Una sola parola. Quella parola.
 
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Minerva6

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Come il vento di sera di Alessandro

Erica non si era mai sentita così felice. Dall'infanzia, dai suoi primi ricordi, era stato un susseguirsi continuo di brutte esperienze. Prima suo padre che aveva deciso di punto in bianco di lasciarle, lei e sua madre Sara, rifacendosi una vita con un'altra donna. Poi la morte di sua nonna, la sua adorata nonna Francesca che sapeva farla ridere come nessuno. Poi le delusioni a scuola, la bocciatura e i compagni cambiati, le prese in giro, la solitudine. Per finire con la depressione di Sara, rimasta sola per troppo tempo a barcamenarsi fra le bollette da pagare, le troppe ore di straordinari non pagati e l'adolescenza di Erica che la rendeva sempre più ribelle.

Adesso tutto sembrava poter cambiare, vedeva tutto sotto un'altra luce. Aveva ventidue anni e si era sposata tre mesi prima. Ivan, il suo adorato Ivan, la riempiva di tutte le attenzioni che aveva sempre desiderato e che le erano sempre mancate. Non che rimproverasse sua madre per questo, anzi, si era scusata spesso per il modo in cui l'aveva più volte trattata, fatta preoccupare, delusa. Ora era tutto diverso, Sara si era risposata e viveva a poche centinaia di metri di distanza col suo nuovo marito.

Era da loro che stava andando, con una notizia che le riempiva il cuore di gioia. Arrivò al campanello e poco dopo salì le scale, accolta da sua madre.

Si salutarono come ormai facevano da un po' con un caloroso abbraccio.

“Ti trovo più... bella!” disse Sara, non trovando le parole. In realtà aveva l'impressione che la figlia avesse preso peso.

“Grazie” rispose Erica, un po' imbarazzata, sperando che sua madre non finisse per capire tutto.

“Come sta Ivan? Come va il lavoro?”

“Sta bene, il lavoro lo stressa un po' in questo periodo ma alla fine gli piace.”

“E tu? Come sta la mia bambina?”

“Io sto bene, anzi, più che bene!” Guardò la madre e si accorse che la stava fissando. Doveva avere un'espressione particolarmente gioiosa, forse in quel momento le brillavano gli occhi, non era mai stata brava a mantenere i segreti. E poi quello non doveva essere un segreto, non per molto ancora.

“Ho buone notizie, mamma.”

“Come diceva sempre tua nonna, le buone notizie sono sempre benvenute in questa casa!”

Risero entrambe, di un sorriso spontaneo che veniva dal cuore.

“Allora, queste notizie?” chiese Sara, incapace di attendere oltre.

“Stasera, a cena.”

“Allora deve essere qualcosa di grosso!”

“Sarà una sorpresa per tutti, per ora non mi strapperai una parola di più.” E fece il gesto di chiudersi la bocca, come nella zip dei pantaloni.

“Quindi nemmeno Ivan sa niente?” chiese Sara, curiosa.

“No, non sa ancora nulla.” Erica vide l'espressione della madre cambiare due volte, prima per la sorpresa, poi mostrando la gioia di chi immagina un parente o un amico che sta per ricevere una bella notizia, anche se non sa quale. Doveva essere qualcosa che riguardava sua figlia da vicino ma non riusciva ad immaginare cosa.

“Se tu e Matteo vorrete cenare da noi stasera” disse Erica, già sicura che la madre non avrebbe rinunciato per nulla al mondo, “mi fareste molto felice.”

“Ma certo, certo che ci saremo! Mando subito un messaggio a Matteo.”

Matteo lavorava come tecnico specializzato per un'azienda che aveva aperto da poco in città. Lui e Sara si erano conosciuti tre anni prima ad una festa di amici comuni e da lì avevano iniziato a frequentarsi.

Sara prese lo smartphone iniziando a digitare sui tasti virtuali mentre osservava le parole comporsi, una dopo l'altra, già figurandosi con piacere la serata che stava per venire.

Pochi minuti dopo si erano già spostate nell'appartamento di Erica. Erano le cinque di pomeriggio ed Erica aveva già iniziato le preparazioni prima di andare dalla madre, adesso era felice di averla con sé per poter parlare del futuro.

Passarono le ore seguenti, in attesa della risposta di Matteo e che più tardi tornasse a casa Ivan, cucinando e parlando del più e del meno. L'argomento principale era un matrimonio che si era svolto alcuni giorni prima, piuttosto fastoso e che era finito praticamente sulla bocca di tutti. I due sposi novelli erano troppo diversi, fisicamente e nelle loro origini, per non destare scalpore in quel paesino. Tutti si chiedevano se la coppia avrebbe retto o se le differenze avrebbero finito per renderli estranei e portarli a separarsi. Fu l'occasione perfetta per tirare fuori diversi ricordi di quando Erica era bambina, le sue marachelle, il carattere ribelle dell'adolescenza. Alla fine, stanche e soddisfatte, si lanciarono entrambe sul divano per riposare un po', bere una bibita, guardare un film insieme come non facevano da tempo.

Erano già le otto passate quando, finito il film, si misero entrambe a fare gli ultimi preparativi per la cena. Matteo aveva risposto al messaggio dicendo che sarebbe passato da casa per fare una doccia veloce e poi li avrebbe raggiunti. Erica aveva chiamato Ivan per informarlo che, dopo essere andata dalla madre, aveva deciso di invitarla a cena per passare un po' di tempo insieme. Non voleva farlo insospettire quando, tornato a casa, avrebbe trovato ospiti inattesi. Sarebbe tornato nel giro di mezz'ora.

“Io finisco di cucinare” disse Erica alla madre, “tu apparecchia e metti questa al suo posto” le porse una piccola busta, “sotto la tovaglia. “E non sbirciare.”

“Va bene”, disse Sara, un po' delusa per tutta quella segretezza, ma al tempo stesso eccitata, “ma scommetto che qualunque cosa sia diventerà rosso come quella volta che annunciaste il vostro matrimonio!”

Ivan era un tipo piuttosto timido e arrossiva per ogni nonnulla. Dalla più piccola gaffe alle occasioni in cui tutti gli occhi erano puntati su di lui, si faceva rosso in viso e non gli riusciva più di pronunciare una parola. Ci scherzavano su spesso ed Erica aveva deciso che, prima di fare l'annuncio davanti a tutti, gli avrebbe fatto trovare quel biglietto.

Era già tutto pronto quando Ivan arrivò, seguito poco dopo da Matteo. I saluti furono brevi ma calorosi, ormai si consideravano come una sola famiglia. Ivan aveva perso i suoi genitori qualche anno prima, uno dopo l'altro, e dopo aver conosciuto Erica e Sara avevano subito legato. Poi era arrivato Matteo e si erano sentiti più uniti che mai.

Quel venerdì sera di piena estate il tempo era quasi perfetto, ogni tanto il soffio del vento rafforzava per poi smorzarsi dopo qualche minuto, lasciando solo una leggera brezza che dalle finestre entrava e sembrava rianimare ciascuno di loro.

Per gran parte della cena Sara era rimasta in silenzio, rispondendo solo alle domande di Matteo o quando non poteva fare a meno di dire la sua su qualcosa. Temeva di tradire l'emozione, in fondo era l'unica oltre ad Erica a sapere che ci sarebbe stato un annuncio importante, e perciò preferiva starsene tranquilla fingendo che fosse una serata come un'altra. Ogni tanto lei ed Erica si scambiavano uno sguardo fugace per poi tornare ai loro piatti.

Ormai solo il dolce li aspettava prima dell'annuncio e nessuna delle due aveva più la pazienza di aspettare.

“Tesoro” disse Erica, con aria innocente, “sembra che ci sia qualcosa sotto il tuo piatto!” In realtà non si vedeva nulla ma era certa che la curiosità avrebbe avuto l'effetto giusto.

Ivan spostò il piatto, solo sapendo che c'era una busta lì sotto si poteva intuirne la presenza. Tastò un paio di volte come se fosse dubbioso che qualcosa potesse nascondersi lì sotto, poi vinto dalla curiosità alzò la tovaglia di tessuto spesso e trovò la busta col suo nome scritto sopra.

“E questa?” Guardò Erica, poi Sara (non potevano che essere loro le artefici di quella sorpresa). “Non me la raccontate giusta voi disse, puntando il dito con fare volutamente accusatorio. Già il primo segno di rossore iniziava a farsi vivo sulle guance.

“Aprila!” disse Erica con un sorriso.

Tutti gli sguardi erano su di lui, il rossore si faceva sempre più evidente, e forse al solo pensiero di arrossire arrossiva ancora di più.

“Lo sai che non sopporto queste sorprese!” disse Ivan, sotto sotto felice e ormai più che curioso.

Aprì la busta, tirò fuori il bigliettino, uno di quelli già preparati che si comprano per le occasioni simili, e rimase lì imbambolato. Per un paio di secondi non ebbe la forza di alzare la testa, quasi in attesa di sentirsi dare una spiegazione, un chiarimento in più.​
 

Minerva6

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Vedendolo in difficoltà Erica gli si avvicinò, Ivan spostò leggermente lo sguardo su di lei. Ora si era fatto ancora più rosso per l'imbarazzo e la felicità per la notizia. Perché se c'era una cosa che gli era chiara era che finalmente, dopo tanti tentativi, ce l'avevano fatta. Erica non avrebbe mai scherzato su una cosa simile.

Lei gli si avvicinò, raggiante, gli prese dolcemente il biglietto dalle mani e si tirò sulle punte dei piedi per baciarlo. Ivan si alleggerì, con lei vicino era più facile affrontare la notizia. Perché stavano per dirlo, e dirlo ad alta voce era come vedere un sogno realizzarsi, diventare realtà.

“Ciò che Ivan cercava di dire” disse gioiosa, dando un leggero spintone scherzoso al marito, “è che...” Fece una pausa, anche se ormai non c'era più nulla da nascondere. Alzò gli occhi su sua madre e si accorse che anche lei aspettava quella notizia con trepidante attesa, quasi tirandole le parole di bocca. “Sono incinta!” Girò il bigliettino in modo che tutti potessero leggere la scritta: “Congratulazioni, papà!”

Ci fu un attimo di silenzio, poi tutti si alzarono per applaudire, gioiosi per la bella notizia. Ci furono brindisi per entrambi, per la coppia, per un futuro pieno di felicità. Subito dopo seguirono una sfilza di abbracci, baci, sguardi all'addome di Erica (che davvero era cresciuto nelle ultime settimane), gridolini di gioia. Era già un po' che Erica provava a restare incinta, ma sembrava tutto inutile. Avevano già fatto dei test, nessuno dei due era risultato sterile, c'erano solo basse probabilità dovute sia all'età sia a fattori genetici. Ma non si erano arresi, sapevano che era solo questione di tempo.

Poco dopo, finita la cena, rimasero insieme sul divano a chiacchierare del futuro e di quanto fosse bello trovarsi lì, tutti insieme. Erica guardò suo marito, poi sua madre che in quel momento giocava coi capelli di Matteo. E in quel momento pensò che niente nella vita è perfetto, ma finché fossero rimasti insieme, con le persone che amavano, nulla sarebbe stato impossibile.​
 

Minerva6

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La promessa di Monica Giulietti

È arrivato questa mattina, insieme alla bolletta della luce e al volantino di Nonsolomobili. In stampatello, sul retro della bustina color panna, c’era scritto “Signora Monica Giulietti”. Nessun indirizzo, nessun mittente.

Il cartoncino all’interno era vergato in un corsivo elegante.

“Non ci crederai… La nostra proposta è stata accettata! È per via della promessa, ricordi? Ho ottenuto un permesso per il fine settimana, arrivo venerdì alle cinque! Mi raccomando, è un segreto, anche se non per Giacomo, si capisce, ma non dirglielo adesso, voglio fargli una sorpresa. Non vedo l’ora di rivedervi! Vi amo. Luca.”

Ho continuato a rigirare il biglietto tra le mani, sconvolta. Non ci crederai. Eh no che non ci credo. È uno stupido scherzo, ho pensato. Ma di chi? La grafia è inconfondibile: tutti quei ghirigori, la f, la g maiuscola. Come è possibile? Che io sappia, nessuno c’è mai riuscito. O forse sì. Mica te le vengono a dire, gli altri, queste cose. Oh, certo, lui sarà riuscito a confonderli con le sue chiacchiere. Mi sembra di sentirlo: “È una promessa che ho fatto a mia moglie, nel giorno bla bla dell’anno bla bla eccetera eccetera”. Per lui era una promessa con tutti i crismi, quella. La NOSTRA proposta. Sì, una volta ne avevamo parlato, è vero. In tempi non sospetti, così, per gioco. Come quando Giacomo era piccolo e ci lanciavamo in fantasticherie immaginando cosa avrebbe fatto da grande. O come quando io e la mia amica Carla, alla fine della terza media, avevamo solennemente giurato di rivederci lo stesso giorno, il 15 giugno, dopo 20 anni. Quelle cose di cui tutti parlano, ma che poi nessuno fa mai. Mi gira la testa. Lentamente mi lascio cadere sulla sedia vicino alla porta della cucina. Di certo l’hanno accontentato per non sentirlo più, per stare in pace per qualche giorno. Sono poche, le persone che chiacchierano così tanto. E così insistenti, quando si mettono in testa una cosa… Lo so, dovrei essere felice. Ma certo che lo sono. Venerdì Luca sarà qui! (Oddio, come farò con Paolo?) Non sto più nella pelle dalla gioia! (E Giacomo, come reagirà? Altro che sorpresa, gli verrà un infarto!) Che meraviglia, sembra davvero impossibile! (Ma dai, è tutto così assurdo. E, se anche fosse vero, non sono sicura di vol…)

Il suono della chiave che gira nella serratura mi riscuote dai miei pensieri. È mio figlio, in anticipo rispetto al solito.

- Ciao, mamma, oggi la lezione è terminata mezz’ora prima! – si avvicina per darmi un bacio - Mamma, stai bene? –

Le sue guance un po’ sudate e il sapore di chewing-gum sulle sue labbra mi riportano alla realtà.

- Ciao, amore – rispondo con voluta noncuranza – certo, perché?

- Così, mi sembri strana. Sei pallida. Cosa hai preparato di buono?

Mentre, voltato di schiena, con la testa un po’ china – mai come adesso mi è familiare quella postura, tipica di suo padre - solleva il coperchio della padella per curiosare, infilo velocemente il biglietto in tasca. Facendo appello a tutta la mia capacità di dissimulazione, esclamo con voce allegra:

- Ma che strana, Giacomo! Certo che sono pallida, sono stanca, è tutta la mattina che corro da una parte all’altra in ufficio! Hai visto che ti ho preparato la frittata di melanzane, che ti piace tanto? L’ho fatta stamattina in fretta in fretta, prima di andare al lavoro!

A tavola parlo ininterrottamente: delle sue lezioni, delle paturnie della mia collega, dei peli nel naso del dottor Tremonti, il mio capo ufficio. Di tutto, pur di ostentare indifferenza. Ma non ci riesco, lo sento nella mia voce e lo leggo negli occhi di mio figlio. È sensibile, Giacomo. Non glielo dirò, o almeno non subito. Prima voglio parlarne con Paolo, chiedergli un consiglio. Ma non per la sorpresa, è che penso sia meglio prepararlo pian piano.

- Come vi siete organizzati per questo pomeriggio?

- Dobbiamo andare da Marco. - Meno male. Studiano – o, almeno, così dicono – in tre: oggi a casa dell’uno, domani dell’altro.

- Dopo mi vedo con Sara.

- Va bene. Salutamela tanto.

Quando esce, tiro un sospiro di sollievo. Se deve vedersi con Sara, non tornerà a casa prima delle undici o mezzanotte. Ore in cui posso riflettere, senza dover fingere. E posso…

Lo squillo del telefono mi fa sobbalzare.

- Ciao, amore – la voce al telefono non è la mia: è troppo squillante, forzata.

- Ciao – la sua, infatti, è stupita. – Tutto bene?

- Sì, sì, tutto bene.

- Mmmm.

Non è convinto. Non sono brava a fingere.

- Va tutto bene, Paolo… però devo parlarti di una cosa. Una cosa importante – dico, tutto d’un fiato.

Silenzio. Starà pensando che voglio lasciarlo o qualcosa del genere.

- È successo qualcosa di brutto? – Mi sembra di sentirla tremare, quella voce. È così discreto, Paolo, così timoroso. Tutto il contrario di…

- No… cioè s…no, no, ma che dico, anzi.

- Non puoi anticiparmi niente? – mi chiede, guardingo.

- Eh no, è una sorpresa… - ah, su questo non c’è dubbio – se vuoi ne parliamo stasera a quattr’occhi… cosa ne dici di quel ristorantino di mare dove siamo andati per il tuo compleanno…come si chiamava?

-

Il piatto di calamari arrosto è ancora intatto. Sia il mio che quello di Paolo. L’insalata di polpi, l’ho appena assaggiata. Aveva un sapore strano, come di medicina. Paolo, invece, l’ha apprezzata. È stato prima che glielo dicessi.

Il familiare sorriso sornione è scomparso dal suo volto. Mi guarda come si guarda uno di quei disegni all’interno dei quali si possono vedere figure diverse a seconda di come li si osserva. Come se l’immagine di me che ha davanti agli occhi fosse cambiata di colpo; come se, che so, fino a ieri mi avesse visto robusta e oggi all’improvviso si accorgesse che sono minuta, o qualcosa del genere.

- Ma non può essere, lo capisci? È logico che è uno scherzo. – Mi parla come parlerebbe a un bambino di due anni o a un anziano con l’Alzheimer.

- Anch’io ho pensato così all’inizio, ma la grafia… e poi quella…specie di promessa…chi poteva sapere…

- Ma dai, sarà stata qualche amica un po’ sciocchina a cui non ricordi di averlo raccontato…e poi ci sono persone capaci di imitare qualsiasi scrittura!

- No, Paolo, io credo… credo che sia proprio lui. Tu non lo conosci, non sai quanto sappia essere convincente…

- Monica. – La sua espressione si è fatta grave, seria – Lo sai che non è possibile, vero?

Lo so. Sento le guance prendere fuoco. Adesso che ho tradotto i miei pensieri in parole, mi sembra tutto così assurdo. Guardo la chioma di Paolo, folta e brizzolata, le sue mani abbandonate sulla tovaglia; guardo i camerieri, i calamari, la coppia che ride seduta al tavolo a fianco. Guardo la realtà e mi vergogno di me stessa.

- Non pensarci, stai tranquilla. Sei sfinita, Monica. Per te sono stati anni bui, lo so.

In auto, al semaforo, mi prende la mano. Giunti al portone di casa sua, con gli occhi mi invita a salire. Il calore del suo abbraccio mi placa e, per qualche ora, dimentico tutto.
 

Minerva6

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Il ronfare di Giacomo, nell’altra stanza, scandisce il passare dei secondi. Guardo con gli occhi sbarrati la macchia sul soffitto, che cresce di giorno in giorno. Devo chiamare qualcuno, Paolo è negato per queste cose. Però Luca… no, basta. Ha ragione Paolo, è impossibile. Che vergogna, mi ha preso per pazza. E forse è davvero così, o quasi. Dovrei chiedere aiuto a uno psicologo. O a uno psichiatra. Magari qualche farmaco potrebbe aiutarmi. E meno male che gli ho mostrato il biglietto, se no mi avrebbe preso anche per visionaria. Sono sfinita, è vero. Mi sono aggrappata alla presenza di Giacomo con tutte le mie forze ma, dapprincipio, il senso di vuoto è stato insopportabile. E poi, dal nulla, è arrivato lui. Paolo mi fa sentire bene; ed è paziente, nel senso che non ha fretta di definire il nostro legame. O, se ne ha, non lo dà a vedere. Con lui ho ritrovato un po’ di serenità, di gioia di vivere.

Pensavo di aver definitivamente voltato pagina. Vorrei proprio sapere chi mi ha fatto uno scherzo così crudele. E anche illegale, immagino. Chiunque sia, lo scoprirò e non la passerà liscia. Ma ci penserò quando starò meglio. Ora voglio solo dormire. Dormire e pensare a domani. Al cliente delle dieci, al bucato da stirare. Alla biancheria di Giacomo sparsa sul pavimento, che mi fa uscire dai gangheri tutte le mattine.

In questi giorni i miei pensieri sono stati altalenanti. Ho seguito il consiglio di Paolo: dovunque si trovasse, ogni volta che nella mia mente si fosse riaffacciata quell’assurda convinzione l’avrei chiamato, in modo che mi rassicurasse e mi riportasse alla ragione. Così sono riuscita a tenere a bada le mie ossessioni. Per superare insieme il momento critico, abbiamo deciso che avrebbe trascorso il fine settimana da me. Non vedo l’ora che le cinque siano trascorse, così non ci penserò più. Finalmente non dovrò più preoccuparmi; non dovrò più eludere le domande di Giacomo, far finta di non aver colto il suo sguardo inquisitore. Potrò finalmente concentrarmi su me stessa, risolvere i miei problemi. Riposarmi.

Paolo è seduto sul divano, sorseggiando un bicchiere di sherry. Ho ultimato alcune cosette in cucina, poi mi sono seduta accanto a lui. Alle cinque in punto inizieremo a guardare la terza stagione di The crown. La musica metal che proviene dalla stanza di Giacomo è quasi rasserenante. L’orologio sulla parete segna le 4,54. Ci guardiamo. Paolo sorride. Ricambio, un po’ forzatamente. Mi prende la mano. Le cinque meno due, meno uno. Accendo il televisore. La sigla inizia nel momento esatto in cui suona il citofono.

Balzo in piedi quasi senza accorgermene. – Sarà qualcuno che cerca Giacomo – dice Paolo, ma mi sono accorta che è impallidito. – Sì, deve essere Andrea – rispondo. Andrea, l’amico fraterno di mio figlio, è tra le poche persone che possono permettersi di venire qui a qualsiasi ora, anche senza preavviso. La camera di Giacomo è accanto al citofono, va sempre lui ad aprire.

- Mamma, non ha risposto ness…Papàààààààà!!! –

Ora siamo in quattro, seduti nel salotto. Guardo gli occhi di Luca, verdi e lucidi. La sua testa pelata, le spalle un po’ curve. Tutto uguale a com’era, persino il neo sul collo. E quegli occhi, adesso più che mai vivi, scintillanti, felici di ciò che vedono. E mi rendo conto di quanto mi è mancato.

Guardo Giacomo che, incredulo, lo fissa adorante, stringendogli le spalle con tutte e due le braccia, come se temesse di vederlo andar via di nuovo. Guardo l’espressione sconcertata di Paolo, un occhio a lui, un occhio alla foto sulla mensola, in cui Luca porta la stessa camicia a righe bianche e azzurre che porta oggi. Non so come mi sento, non riesco a gioire né a piangere. Non capisco più niente.

- Ragazzi, non avete idea di quanto si stia bene lassù, si sta proprio beati, come si suol dire… ahah…e, sapete, Lui è davvero come nei libri del catechismo! Ha un’età indefinibile e la barba bianca lunga, ma Lo vediamo poco, ha tanto da fare, infatti avevo paura che non avesse il tempo di firmarmi il permesso… Non vedo molto spesso neppure il Figlio capellone, figuratevi, è oberato di lavoro anche Lui, perciò molte decisioni le delegano ad altri, di solito a Pietro o a Paolo… il mio preferito però è Francesco, è una sagoma, parla con tutti, persino con gli animali, ah, a proposito! tanti saluti da Charlie, vedeste come se la gode lassù, ce n’è di spazio per scorrazzare tra una nuvola e l’altra…eheh…è stato Pietro a mettere una buona parola per questo esperimento, ha detto che non ne poteva più di sentirmi, ahahah…E Teresa, non avete idea di che buona donna sia Teresa, proprio come la descrivono, ce l’avete presente, no, quella di Calcutta? Ieri l’ho stracciata a bridge, però lì mica si vincono soldi, i soldi non esistono, eppure non ci manca niente, vuoi una pizza alla salsiccia? Basta dirlo e la pizza alla salsiccia compare, magari anche con la birra giusta! Sì, lo so, sto parlando solo di me come al solito, ora raccontatemi di voi anche se so già tutto, è vero quello che dicono, sapete? Lassù si sa tutto quello che succede qui! Però è dalle vostre voci, che voglio sentirlo. Ma come sei bella! – mi abbraccia – e tu, figlio mio, possibile che a 22 anni continui a crescere? – gli scompiglia i capelli, Giacomo ride - Ah, ma il massimo divertimento è scendere al piano di sotto a dare lezioni a quegli altri…lì si vede veramente di tutto e di più! Fa un po’ troppo caldo, ma ne vale la pena… ho visto persino Hitler, condannato a dipingere senza sosta quadri orribili con una squadra

di diavoletti che gli ride dietro per tutto il tempo! E, sapete, c’è anche quel serial killer, ora mi sfugge il nome…

Ho ordinato le pizze da Pippo, per la cena. Ha detto che, sì, lassù mangia tutto quello che vuole quando vuole, ma Pippo è Pippo. Paolo ci ha lasciato soli. Ha messo in fretta e furia il pigiama e lo spazzolino nella valigetta e ha mormorato qualcosa di poco credibile a proposito di un impegno con un amico. Non l’ho pregato di restare.

- Grazie – ho mormorato sul pianerottolo. L’ho baciato sulla guancia e gli ho detto – Ci sentiamo -.

Mentre apparecchio la tavola, sento Luca aggiornare Giacomo su un gruppo rock che a breve sfonderà in tutto il mondo. È informato su certe cose, ma non può conoscere il futuro delle persone care: quello è un privilegio dei più anziani che, dopo tanti anni, si sono guadagnati la fiducia di coloro che decidono. Meglio così, se no non avrei fatto che scrutarlo in cerca di un indizio.

– Acqua in bocca con i tuoi amici, però – gli dice – in teoria non potrei svelare niente. Ehi, senti…volevo dirti che sono contento – la voce gli si incrina - so che stai bene, che ti sei ripreso. E so che è anche merito di quella ragazza. Di Sara. – D’improvviso non arriva più alcun suono dalla stanza; li immagino abbracciati e commossi.

Alle due siamo ancora svegli. È stato tutto molto naturale, come se non facessimo l’amore da qualche settimana, magari per motivi futili come la stanchezza o il classico mal di testa. Mi sembra di essere stata sempre con lui, come se non fosse mai successo niente. Come se quell’auto che l’ha travolto non fosse mai esistita. Eppure, nello stesso tempo, in questo momento sento forte la presenza di Paolo nella mia vita. Già, Paolo. L’ho tradito con mio marito defunto. O forse è il contrario. È buffo, lo so. In ogni caso, non mi sento in colpa.

Dopo, Luca si è fatto serio e mi ha spiegato tutto. Il permesso è solo di due giorni ma, se rispetta la regola del silenzio e non combina guai, ce ne potranno essere altri, magari più lunghi. Non subito, però. E poi, se andrà bene, si potrà ripetere l’esperimento con altre persone, o con altre anime, o come si chiamano. Il tutto avverrà con discrezione, in modo che la notizia si diffonda pian piano, senza creare troppo scompiglio, fino a quando i permessi non diventeranno un’abitudine, una cosa normale. Stavano studiando da un pezzo questa possibilità e alla fine hanno scelto lui, non solo per le sue insistenze o per la promessa, ma per il suo carattere equilibrato e ottimista. Ma soprattutto perché noi ci stiamo riprendendo. Se si coinvolgessero i familiari di chi non ha ancora elaborato il lutto, al momento della partenza il trauma si ripeterebbe e la sofferenza ricomincerebbe daccapo, più intensa di prima. “Loro” sanno che Giacomo e io ora siamo in grado di sostenere un secondo distacco, e magari anche un terzo e un quarto. Nell’attesa del prossimo incontro, il che rende tutto molto meno triste.

E hanno ragione. Le mie paure sono scomparse e mi godo il regalo che mi è stato fatto, sapendo che avrà una fine. Sapendo che è qualcosa che non fa più parte della mia vita e allo stesso tempo ne farà parte per sempre, e in maniera assai più concreta di quanto io o chiunque altro potessimo immaginare. Da domani la mia realtà tornerà quella di ieri, ma con qualcosa in più. Qualcosa di importante, che c’era anche prima, ma prima era dolore e ora è gioia. Volgo lo sguardo verso l’alto e ringrazio senza parole, perché non troverei quelle giuste.

- Ehi – sussurra Luca – sono contento per te. Non mi dispiace, sai, quel Paolo. E poi, mica potevi trascorrere il resto dei tuoi giorni a rincretinirti parlando con la mia foto, no? O ad aspettare i permessi, ahahah… E, senti– conclude, prima di crollare esausto – se faccio in tempo la riparo, quella macchia sul soffitto.
 

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La domenica è arrivata e, con un balzo, Luca ha spiccato il volo verso il cielo, portando con sé solo una foto recente di tutti e tre e una teglia di lasagne coi carciofi, la mia specialità. So che lassù possono avere tutte quelle che vogliono, ma per averle preparate da me spero che debbano aspettare ancora un bel po’. A parte quelle che manderò su durante le prossime licenze, si intende. C’è anche Sara, Luca l’ha voluta conoscere. Ha giurato e spergiurato di non dire niente a nessuno, neanche alla madre o all’amica del cuore. In questo momento, però, non può vederlo. Solo le persone più care hanno questo privilegio. Una donna sulla sessantina, vestita con un cappotto grigio e un fazzoletto in testa, guarda perplessa me e Giacomo agitare le braccia salutando il nulla. Vedo una lacrima spuntare negli occhi di mio figlio. Sara si avvicina, gliela asciuga con le dita. Giacomo la guarda e sorride. Quando ci voltiamo per rientrare in casa, Paolo ci aspetta sulla soglia. Sul volto ha il solito sorriso sornione. È ancora un po’ frastornato ma, in fondo, sembra sereno. Appoggia le mani sulle mie spalle e mi segue dentro casa. Mi giro verso di lui, sorrido e gli prendo la mano.

- Tu cosa faresti, se morissi prima di me? Io ti prometto che, se sarò il primo a schiattare e se dopo ci sarà qualcosa, dovunque mi trovi farò il diavolo a quattro per tornare a casa, ogni tanto. Se no come farei, senza te e Giacomo per l’eternità?

- Ma che idee ti vengono in mente? Va be’, se sarà possibile prometto che farò lo stesso…
 

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Le due comari di Gina Peppina

«Stasera cosa danno alla televisione?»

«Che giorno è oggi?»

«Dovrebbe essere giovedì. Oggi c’era la carne in gelatina, di solito ci tocca il giovedì.»

«Sì, giusto. Allora c’è quel bel programma sui sopravviventi!»

«Si dice sopravvissuti, Gina. Intendi quei tizi sull’isola a far la fame?»

«Sì, è divertente quando fanno le gare per vincere il cibo in palio. Poveracci quelli che perdono, restano lì a leccarsi i baffi mentre gli altri si abboffano.»

«Peccato, non mi piace per niente. Quella che presenta, poi, la trovo troppo grezza. Il Grande Fratello invece era carino, mi faceva tanta compagnia in questa vita piatta e noiosa.»

«Lo so, Peppina, ma non è che poteva durare in eterno.»

«Chiaro, ma un po’ mi manca, che te devo di’? In ogni caso spero che la stronza cambi canale. Possibile che non ci sia mai niente sulla Rai?»

«Non sperarci troppo, lei ama la TV spazzatura, sulla Rai c’è molta meno scelta.»

«Questi giovani d’oggi non guardano mai un bel documentario sulla savana o una puntata di Super Quark. Ah, che tempi quelli, io su Piero Angela mi ci sarei strusciata volentieri…»

«Peppina!»

«Che c’è? Ho detto strusciata, non sono mica stata volgare.»

La Gina non commentò, limitandosi a un’impercettibile smorfia di disgusto con relativo scuotimento di testa.

«Chissà cosa mangeremo domani…» cambiò discorso Peppina.

«Sì vabbè, Peppi, non puoi vivere pensando sempre e solo a magnà!»

«A cosa dovrei pensare, Gina, scusa? Non è che in questa casa ci sia tanto da fare, eh?! Lo spazio è sempre e solo quello, ormai ne conosciamo a memoria ogni angolo.»

«Lo so, Peppi, ma in veranda possiamo uscire e guardare fuori. Fai volare la mente, no? Con la fantasia puoi arrivare dappertutto!»

«A fanculo arrivo, Gina, non dappertutto.»

La Gina sbuffò, soffiando fuori tutta la sua frustrazione per l’insofferenza dell’amica.

«Come mi ammazzi i sogni di fuga tu, Peppi, non me li ammazza nessuno.»

«Scusa, cara, ma sono realista. Siamo intrappolate qui.»

«Lo so, tesoro, ma per lo meno abbiamo l’un l’altra.»

«Almeno quello, Gina. E la televisione, per fortuna. Altrimenti avrei già sfasciato questa baracca.»

«A proposito, la stronza ha già messo su Canale 5. Questo significa che potrò vedere i sopravviventi!»

«Sopravvissuti, Gina. E comunque si chiama L’Isola dei Famosi, non sono dei veri naufraghi.»

«Ma la volete smettere di miagolare stasera? Ma che v’è preso, santo cielo?! Avete aperto i rubinetti? Ora state zitte che voglio seguire la TV.»

«Peppi, parliamo domani, dai. Se l’umana si incazza rischia di darci la gelatina di merda di Miglior Gatto anche domani.»

«Silenzio radio, Gina. Non rischiamo. A domani.»

«Basta, ho detto! Finitela con ‘sto mao meo miao continuo, sembrate due comari. Altrimenti domattina ciotola vuota!»

Peppina si dedicò a un lungo e certosino bidet in perfetto stile contorsionista, con una zampa sollevata dietro la testa e le pudenda in bella vista. La Gina invece si leccò una zampa con indifferenza, quasi per inerzia e non per effettiva necessità. Poi entrambe si acciambellarono sul divano a distanza di sicurezza dalla loro umana un po’ bisbetica, gli occhi fissi sullo schermo del televisore finché il sonno non le vinse. Peppina sognò una scatoletta di Chesir al salmone e gamberetti, la Gina invece ebbe un incubo: sognò di affogare in una gigantesca lattina di insipida, schifosa gelatina Miglior Gatto.
 

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Redenzione di Ghostwriter

Forse perchè siamo una terra di confine protesa verso il nulla di un oceano infinito, o forse perché non ci sono obiettivi da conquistare. Ma da noi il nemico non era mai arrivato. La guerra non l’avevamo mai vista. Distruzione e morte erano sempre rimaste notizie da ascoltare alla radio o da leggere sui giornali. Eppure aleggiava un sentimento cupo, grigio, quasi un torpore generalizzato, dove ognuno di noi, sotto un cielo grigio come il nostro umore, faceva il minimo per sopravvivere.

Perché l’invasore non si vedeva, ma era tutt’intorno a noi e prima o poi sarebbe arrivato.

Ricordo con precisione il giorno in cui vedemmo in fondo alla strada la colonna di camionette e biciclette. Niente carri armati e cannoni, solo qualche fucile imbracciato dai soldati. Non avevano paura di noi, già preparati e sottomessi nell’anima alla dominazione che stava per arrivare.

Le regole furono poche, ma chiare fin da subito. “E’ vietato ridere – declamò l’ufficiale nella piazza del paese nella nostra lingua - Ogni altra attività proseguirà come prima, ma è vietato ridere, sia in pubblico che in privato”. Ecco il loro modo di soggiogare ed azzerare la volontà di ribellione di un popolo inerme come il nostro: cupezza nell’animo che porta al degrado della mente ed all’annullamento della volontà.

Ma per me ed Anita non cambiò nulla. Da quando era nato Mika, da quanto ci eravamo accorti che lui non rideva agli angeli come gli altri bambini, che non mostrava di sentire la nostra presenza, che non protendeva le sue manine verso i nostri visi, che sembrava non sentire le nostre coccole sui suoi piedini ciccioni, noi non ridevamo più.

La vita andava avanti, certo, perché per pagare i luminari che vennero a fargli visita per capire l’origine della sua malattia (ma era, poi, una malattia?), io dovetti trovarmi un secondo lavoro ed Anita era sempre dietro ad accudire il piccolo Mika.

Che venissero gli invasori, che ci impedissero di ridere … a noi cosa cambiava?

Ma neanche ai nostri concittadini cambiò tanto, perché la nostra terra era fatta così: un po’ cupa, come la landa che la circondava e l’oceano che la bagnava. Il sorriso non faceva parte di noi.

Una sera stavo lavando Mika e mentre gli asciugavo il pancino, imrovvisamente emise un gridolino. Non ci feci caso sulle prime, talmente ero anch’io assorbito dalla cupezza dell’atmosfra e della nostra vita. Ma poi lo fece di nuovo.

Cominciai a toccarlo nel pancino di nuovo in quel punto, ma non successe nulla. Me lo ero sognato. Ma ecco di nuovo, mentre lo vestivo, il gridolino: no, non me lo sognavo, era vero. Provai a fargli il solletico sotto i piedi e lì fece un sorriso a tutta bocca che mi sciolse lo stomaco.

Lo presi in braccio, corsi fuori incontro ad Anita che stava tornando dall’orto e cominciai ad urlare di gioia. Ma proprio in quel momento, sentii prima uno sparo – il primo dal giorno dell’invasione – poi vidi un plotone venire verso di me ed intimarmi il silenzio. Impaurito misi Mika tra le braccia di Anita, ergendomi a protettore della mia famiglia. Il capitano mi squadrò con gli occhi torvi e mi fece capire che quella cosa non doveva più accadere e che dovevo tornare in casa.

Ma proprio in quel momento, Mika scoppiò in una risata, di quelle irrefrenabili da bambini, quelle che non avevamo mai sentito prima. Io e Anita ci abbracciammo urlando di gioia, Mika non la smetteva più di ridere. E’ un momento che ricorderò per sempre, ma durò poco: il capitano ci strappò Mika dalle mani e se lo portò via.

E lui continuava a ridere, a ridere incurante di tutto e di tutti, sempre più forte. E più i soldati cercavano di farlo smettere, più lui rideva.

Mentre lo portavano per le vie del paese verso il comando generale, tutti si affacciavano alla porta per sentire da dove provenissero quelle risate buffe ed innocenti e, vedendo che era Mika, non sapevano se gioire o se piangere per quell’immane tragedia per quel bimbo innocente strappato dalle mani dei genitori.

Ma ci pensò il capitano, urlando cose incomprensibili nella sua lingua e sparando di nuovo in aria, a far capire chi comandava e che tutti dovevano rientrare nelle loro case.

Solo Mika rideva ancora. E tutti lo sentirono ridere ancora e ancora, finchè non fu portato dentro al quartier generale.

La vita tornò quella di sempre. Per tutti, ma non per me e Anita che avevamo la morte nel cuore e non sapevamo se avremmo mai più rivisto il nostro Mika.

Ma poi ci vennero a riferire che passando accanto al quartier generale si sentivano ogni tanto gli urletti di gioia e le risate di Mika. Qualcuno scommetteva di avere sentito pure il capitano ed i suoi soldati ridere sommessamente.

La sera stessa il capitano organizzò un’adunanza nella piazza della cittadina per fare un annuncio importante. “Con decorrenza immediata è sospeso il divieto di ridere”. Ma non fu l’unica novità.

Di lì a qualche giorno, così come erano arrivati, di buon mattino vedemmo la colonna di camionette e biciclette ripartire verso la capitale.

Io ed Anita ci guardammo negli occhi terrorizzati al pensiero che potessero portare via con loro il nostro Mika. Ma il capitano, che chiudeva la fila, si voltò verso di noi e ci strizzò l’occhio. E ci fece un sorriso.

Con la speranza nel cuore accorremmo verso l’abitazione che fino a pochi minuti prima era stato il quartier generale degli invasori e lui era lì, al centro della stanza in un lettino che si agitava e rideva. Rideva e lanciava i suoi urletti. E quando ci vide, cominciò a sgambettare e tese le sue braccine verso di noi per farsi prendere in braccio. Lo stringemmo con tutte le nostre forze ed anche noi, e con noi tutto il paese, ci mettemmo a ridere. E ridemmo per giorni interi, ballando e facendo festa per le vie della città.

Il nemico non tornò più. O forse non c’era mai stato. Forse era dentro di noi. E lo avevamo sconfitto.
 

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Signorina di buon senso di Cesira

Un anno fa la chiromante me l’aveva detto. Mi aveva detto che avrei incontrato un uomo che si sarebbe innamorato pazzamente di me.

Era una domenica pomeriggio e stavo passeggiando ai giardini pubblici quando vidi una donna - che poteva avere la mia stessa età - seduta su uno sgabello con al suo fianco un cartello bianco su cui c’era una scritta in rosso: Leggo la mano (con un piccolo sovrapprezzo aggiungo manicure).

Mi ricordai che anni fa una mia cugina si fece leggere la mano e le fu detto che presto si sarebbe sposata, e così fu in effetti. Mia cugina mi disse che la chiromante aveva voluto sapere tutto della sua vita, prima di leggerle la mano – all’epoca mia cugina era fidanzata. Mi avvicinai incuriosita e la donna mi fece segno di sedermi allo sgabello di fronte e, per toglierla dall’imbarazzo di farmi delle domande, cominciai io stessa a raccontarmi: le dissi che ero una donna assolutamente realizzata, l’unico cruccio che avevo era che non riuscivo a capire cosa avessi io da far innamorare tanto gli uomini, talmente tanto da farli scappare – i corteggiatori che avevo avuto non si erano mai dichiarati. La risposta fu illuminante, cioè mi disse che gli uomini che si innamorano di me sono tutti uomini timidi.

Aveva avuto ragione: questa mattina ho avuto la conferma che il mio vicino è innamorato pazzo di me.

L’avevo intuito dall’inizio in realtà: appena l’avevo visto che traslocava nell’appartamento di fronte al mio avevo capito che l’uomo di cui mi aveva parlato la chiromante non poteva essere che lui, il mio fascino discreto l’aveva subito colpito.

Io capisco le persone dal tratto - questo anche grazie al mio lavoro di postina; sono vent’anni quest’anno che lavoro alle poste del mio paese, in particolare mi occupo di spedire lettere e raccomandate. Per fare questo lavoro bisogna concentrarsi sui particolari, e saper riconoscere quando è il caso e quando no di spedire una lettera. Ci vuole buon senso in tutte le cose ma soprattutto nel lavoro, non si può fare un lavoro senza un minimo di spirito critico. Per esempio una volta un uomo voleva che io gli spedissi una lettera (ho notato subito che era un uomo combattuto e che non era certo di volerla far spedire, ho notato in ultimo che portava la fede); vidi che era indirizzata all’ufficio del personale di un’azienda molto distante dal nostro paese, la presi ma non la spedii. Sarebbe stato un problema per lui se fosse stato assunto, io so guardare avanti: si sarebbe dovuto svegliare all’alba per prendere il treno o l’autobus e la sera sarebbe tornato a casa stravolto dalla stanchezza e stressato, avrebbe litigato con la moglie perché la trascurava e avrebbero ben presto divorziato – gli ho salvato il matrimonio. E ho salvato anche

il mio vicino da una donna che avrebbe potuto approfittare del suo stato di fragilità dal momento che è ridotto uno straccio a causa mia.

Infatti a gennaio, una donna molto bella, bionda, elegantissima e con un intenso profumo di violette (ho riconosciuto il profumo perché ho una pianta di violette sul mio balcone), venne al mio sportello e mi consegnò una lettera da spedire. Quando se ne fu andata lessi il nome del destinatario e mi accorsi che si trattava del mio vicino.

E’ sempre stato innamorato di me, è già passato quasi un anno, poveretto. Ogni volta che ci incontriamo sul pianerottolo perde la testa, comincia a fare le scale di corsa, e a farlo soffrire un po’ mi diverto, sono proprio crudele.

C’è stato un periodo che gli telefonavo tutti i giorni, ma veramente tutti i giorni, e lui si turbava talmente tanto che appena sentiva la mia voce riattaccava. Ancora adesso, per tormentarlo, la sera lo aspetto sulle scale o davanti al portone: lui mi vede, fa finta di non vedermi, e prosegue dritto (una volta ho notato persino che gli tremavano le mani, comincia a non poter dominare più la sua emozione standomi davanti!). Non mi ha mai rivolto la parola, è chiaro che mi sfugge.

Mi portai la lettera della donna bionda a casa e la lessi – nella lettera c’era scritto che lei lo pensava tutti i giorni e che si era innamorata di lui all’istante ma non aveva il coraggio di dirglielo di persona. A quel punto dovevo fare qualcosa, dovevo salvare il mio innamorato, che è un uomo sensibile e timido, da questa donna così impudica - naturalmente strappai la lettera.

Non la rividi più. Mi dispiace per lei ma che colpa ho io se il mio fascino discreto lo ha travolto scombussolandolo così tanto?

Stamattina mi sono affacciata al balcone e l’ho visto che si stirava una camicia bianca.

E’ un po’ di tempo che si veste tutto elegante e che rincasa tardi la sera, lo so perché sono attenta nel sentire i suoi passi sul pianerottolo e lo guardo tenendo la porta appena socchiusa, facendo attenzione a non farmi vedere - ho capito che torna tardi per non incontrarmi, per non soffrire troppo.

Prima di pranzo sono scesa a fare due passi, mi ha visto la portiera e mi ha detto che lui stava per andare a sposarsi con una donna molto bella, elegantissima, bionda: pover’uomo, mi fa una gran pena, si sposa per dimenticarmi più in fretta.

In quel momento l’ho visto scendere le scale e aveva all’occhiello delle violette, proprio come quelle del mio balcone - sono un chiaro messaggio per me: mi amerà per sempre.
 

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Subbuglio nella libreria di il bibliotecario

C’è subbuglio nella libreria.

Da tempo sugli scaffali si sono iniziati ad ammassare oggetti di tutti i tipi: soprammobilini confusionari, scatole piene di figurine doppie che non hanno nessun rispetto per la cultura, sorpresine degli ovini kinder che perdono pezzi ad ogni starnuto dei libri più anziani. Animali peluche, pelosi e polverosi, che offuscano la visuale e provocano brutte reazioni allergiche. Addirittura il mini cottage di Biancaneve dal quale tutte le mattine, cantando a squarciagola, partono i sette nani, piccone in spalla, per andarsene in miniera. Hanno individuato un piccolo libro dalla copertina verde sufficientemente rocciosa per i loro gusti e passano giornate a prenderlo a picconate, mentre la Biancaneve cucina paiolate di zuppa che inumidiscono l’aria con grave danno dei libri riposti nei paraggi.

Senza contare che lo scaffale dei libri dell’infanzia è totalmente sprovvisto di regole: dalla mattina alla sera i libri-bambini fanno un baccano da asilo, senza alcun ritegno, e scorrazzando anche in scaffali più seri. Arrivando a disturbare i seriosi libri russi che sono uno scaffale più su. Ogni tanto i tre volumi di Guerra e pace si coalizzano per buttarne giù qualcuno, avendo da tempo rinunciato alla pace globale e pensando solo al proprio quieto vivere.

Tutta questa situazione è insostenibile e i libri hanno deciso di eleggere un capo, in modo da dirigere operazioni di bonifica e di ripristino della serietà che si addice ad una libreria che si rispetti.

“Sicuramente”, esordisce il dizionario di italiano “io sono il più indicato per essere il capo di tutti voi. Senza di me nessuno di voi esisterebbe, nessuno vi capirebbe, anche se qualcuno tentasse di scrivervi.”

“Ma dai” ribatte un libercolo della Yoshimoto “sei anziano come il cucco, sorpassato ormai. Non contieni nemmeno parole come “social network”, “chattare”, “smartphone”... Nessuna parola straniera un po’ più moderna. Sentiamo di che anno sei? Dell’ottanta? Del novanta?”

“No, no niente dizionari, né enciclopedie” aggiunge La compagnia dei celestini di Benni “invecchiano subito, non sono mai aggiornati sulle nuove tendenze. Ci vuole qualche classico intramontabile, qualcosa che duri per sempre”.

“Non vedo chi meglio di me” si fa avanti impettito l’Ulisse di Joyce “sono un riconosciuto capolavoro del Novecento”.

“Ma stai zitto” lo rimbecca stizzito La casa degli spiriti dell’Allende “Ma te, chi ti ha mai letto? In questa casa credo che nessuno sia mai arrivato più in là di pagina venti. Ma anche fra tutti quelli che dicono di averti letto, vorrei sapere quanti lo hanno fatto davvero. Non si capisce niente quando parli. Guarda me invece: mi hanno consumato da quanto sono stato letto. Se mi metti con il dorso su un tavolo mi apro alle pagine più amate”.

“Allora guarda me!” si propone Per chi suona la campana di Hemingway “Guarda questa pagina: le vedi quelle macchie lì? Sono lacrime. Io ho fatto piangere!”

“E io ho fatto ridere, vale anche quello. Forse di più, perché è più facile far piangere che ridere per un libro” obietta Le Cosmicomiche di Calvino.

“Specie se è scritto male come te!” rincara un Lawrence.

“Smettete! cosa sono queste offese gratuite?” cerca di pacificare un Virginia Wolf.

Dall’alto dell’ultimo scaffale si affaccia uno dei volumi della Recherche:

“Noi siamo quattro e sicuramente siamo degli intramontabili. Siamo disposti a fare un quadriumvirato”.

“Non scherziamo” obietta bellicosamente uno dei libri di Landolfi “non pretendo certo di essere io rappresentativo di tutti voi: sono così innovativo, nello stile, nei contenuti, così sottovalutato e me ne vanto. Ma voi della Recherche siete pesanti, prolissi, per dire che il sole è giallo vi ci vogliono venti pagine.”

“E poi non siete al completo, vi mancano per lo meno un paio di volumi. Senza contare che non siete nemmeno tutti della stessa casa editrice” puntualizza La ragazza di Bube.

“Silenzio laggiù” urla esasperato Gli occhiali d’oro Bassani, solitamente un tipo tranquillo e triste, rivolto allo scaffale dei libri dell’infanzia “silenzio o mando giù un libro di Stephen King, anche più d’uno se continuate. Stiamo parlando di cose serie”.

Per un attimo la minaccia sembra avere effetto. Ma poi piano piano rinizia il solito bailamme, anche peggio di prima: i libercolini “Melo Disney” si mettono a suonare tutti insieme in un caos di “In fondo al mar” e “Magica bula”.

“Io sono super partes e anche molto amato.” tenta di farsi sentire l’atlante subito zittito dal dizionario di italiano:

“Se sono vecchio io, figuriamoci tu. Non hai nemmeno i nuovi confini della repubbliche russe.”

”Ma cosa dici? certo che ce l’ho. Pensa per te piuttosto: ma lo vedi da come sei vecchio e poco considerato ti hanno ficcato fra i cd musicali”

“Mi hanno messo qui perché sono più a portata di mano! Tu invece giaci di traverso in uno degli ultimi scaffali in fondo, in una posizione scomodissima! Ti sei mai chiesto perché?”

“La smettete di litigare?” fa la voce grossa Delitto e castigo.

“Non riusciremo mai ad arrivare a niente” dice con insolito ottimismo la raccolta di poesie di Leopardi.

“Così è” dice sinteticamente quella di Ungaretti.

“Di sicuro io sono il padre della lingua italiana” interviene uno, subito redarguito in malo modo:

“Ma non farci ridere: tu sei “Le pagine più belle della Divina Commedia”. Lo sappiamo benissimo. Vogliamo farci rappresentare da uno che è “Le pagine più belle di qualcosa”? si sa cosa sono questi libri: libri per scansafatiche, che vogliono far finta di avere una certa cultura e che in vita loro non sono mai riusciti a leggere nemmeno un libro dall’inizio alla fine, ma solo Bignami”. Ci va giù pesante Cime tempestose: d’altra parte ha un bel caratterino, come sanno tutti i suoi compagni di scaffale, i libri della letteratura romantica inglese.

“E meno male che qui di Bignami non ce ne sono, non sopporterei di vivere accanto ad un mio riassunto” borbotta I promessi sposi.

“Nessuno considera la nostra candidatura” dicono in coro i gialli di Aghata Christie “noi non siamo letteratura leggerina come pensano alcuni di voi”

“Non è che non vi consideriamo” inizia zuccheroso e mieloso I ponti di Madison County “Semplicemente vi teniamo alla larga. Non si sa mai, vi venisse in mente di inscenare un assassinio”

“Inizieremo da te: brutto libro noioso e spocchioso” ribatte Dieci piccoli indiani.

Nel loro scaffale, immobili e silenziosi, incutono timore i libri di Stephen King che nessuno osa interpellare, per paura che tutti i mostri ivi contenuti si riversino a giro per gli scaffali a divorare le pagine altrui. D’altro lato per ora non hanno dato segno di essere interessati alla discussione.

Che sta diventando sempre più accesa e litigiosa.

Va dove ti porta il cuore se la prende con Via col vento, compagno di scaffale, dicendo che deve la sua fortuna al film altrimenti nessuno se ne sarebbe mai nemmeno accorto che quella Mitchell aveva scritto un libro. Rossella, il seguito di Via con il Vento, viene sbeffeggiato da tutti appena tenta di aprire bocca, pardon, pagina, con la scusa che la sua unica ragione di esistere è un film che nemmeno è tratto dalla sua trama.

I libri bambini continuano il loro baccano, con I tre porcellini che si scuotono addosso il libro di Peter Pan sperando di farne uscire un po’ di polvere magica e di svolazzarsene a giro per la stanza, mentre il brutto anatroccolo triste triste cerca di convincere la fatina Smemorina a trasformarlo in cigno senza dover aspettare la fine della storia.

In tutto quel caos, da dietro le file di uno scaffale ecco avanzare un libro con copertina marrone in similpelle, con un fruscio di pagine fini fini, e un mormorio di parole scritte piccole piccole. Esordisce quasi sottovoce, ma appena inizia tutti si zittiscono:

”Imparate da me che sono mite e umile di cuore”.

I libri si ripiegano su se stessi improvvisamente silenziosi, con senso riverenziale.

Sono al cospetto della Bibbia. E si può dire quel che si vuole, si può essere cattolici ferventi come i migliori libri russi, oppure assolutamente agnostici e atei, ma nessuno può negare che quello è il Libro dei Libri, tradotto in centinaia di lingue e sicuramente best seller di tutti i tempi, prima ancora che Gutenberg stampasse la sua prima copia.

“Vi dò la pace, vi dò la mia pace, non come il mondo la dà io ve la dò.”

Per un attimo tutti si sentono davvero pacificati, le discussioni di prima appaiono assurde e anche questa idea di dover ristabilire ordine e disciplina. In fondo la libreria è grande, c’è posto per tutti.

Infatti continua il Libro:

“Lasciate che i bambini vengano a me” spalancando le pagine per accogliere le frotte di libri-bambini che gli vanno incontro festanti, accorrendo da ogni angolo e quasi sommergendolo.

Così la discussione sembra finire. Per un po’ riniziano le chiacchiere quotidiane fra i compagni di scaffale. Anche quelli dello scaffale del cottage adesso sorridono indulgenti a Biancaneve che ha iniziato le pulizie quotidiane.

Ma là lontano, in un angolo estremo, in fondo, qualcuno borbotta non proprio benevolo:

“Sì, come no: la pace; mite e umile di cuore. Ma se contiene più guerre lui di tutti i volumi dell’enciclopedia. E fatti sanguinosi e anche di peggio. Poi ogni tanto arriva e tira fuori solo l’amore, il perdono ecc.. Io lo so, una volta un libro mi ha detto che un altro libro gli aveva detto che uno che conosceva era stato a lungo compagno di scaffale di una Bibbia e si era fatto raccontare le storie più truci che sapeva. Ed era una cosa degna di un Poe!”.
 

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“Senza contare” continuava il borbottio e adesso nemmeno si sapeva più chi è che diceva cosa “che fa tanto il grosso, ma quando mai qualcuno lo legge?”

“Infatti se ne sta sempre dietro file e file di libri. Non vedete com’è polveroso?”

“Lo tirano fuori solo per scrivere bigliettini ad effetto quando ci sono le comunioni o i battesimi.”

“Andrebbe eliminato”

“No, ma che dici, via non si parla di un libro in questo modo. Figuriamoci del Libro”

“Invece io dico che ha ragione il nostro amico: va eliminato. Tutte le volte che si cerca di fare un discorso un po’ più serio, di far valere le ragioni più che giuste di fronte al dilagare di malcostume e ignoranza, arriva Lui.”

“Sì, è vero, borbotta qualche frase sulla tolleranza e tutti zitti.”

“Saprete come andrà a finire? Che a forza di dargli retta inizieranno a levarci di qui, a vuotare uno scaffale per volta per far posto a tutte quelle scemenze a giro. Case di Pony, di Winnie Puh, peluche ecc.. E noi a dir bene in soffitta, se non peggio nella raccolta carta”.

“Bisogna fare qualcosa: ci impedisce di prendere provvedimenti giusti per difendere il nostro territorio”.

“Io non dico di eliminarlo, ma almeno di renderlo innocuo.”

“Come potremmo fare?”

“Crocifiggiamolo” dice uno ironico

“Non dire fesserie”

“E allora diciamo ad uno dei mostri di King di mangiarsene qualche pagina, di quelle più mielose e pacificatrici. Così rimangono solo quelle guerrafondaie e non ci rompe più l’anima.”

“Ma poi i padroni se ne accorgono”.

“Io ho un’idea!!! Riduciamolo al silenzio, che poi per un libro in fondo è come essere eliminati. Avete visto come è fatto? Ha quel bottoncino sulla copertina per chiuderlo. Prendiamo la colla che c’è lassù nel vaso in cima e, quando sonnecchia (e in fondo non fa altro che dormire dalla mattina alla sera) glielo incolliamo: così non si può più aprire e se ne sta zitto.”

E su questo tutti si trovano d’accordo.

In occasione di un matrimonio che richiedeva bigliettino con frase ad effetto, la faccenda fu scoperta e la bimba di casa si prese i rimproveri di rito sulla marachella. Il bottoncino fu riaperto, ma il Libro spostato in un luogo più sicuro.

Qualcuno che venne letto in quei giorni, che sono da sempre ricordati come “i giorni del grande allontanamento”, nel ritornare al suo posto raccontò di averlo visto sonnecchiare in fondo allo scaffale del comodino, in un luogo molto buio e remoto, insieme ad altri libercoli suoi pari “Il rosario”, “Le Parole di vita”, “Santa Maria del Cammino”, sempre molto polveroso.

“Bene” commentò acida Emma della Bronte “Così ora pontifica da qualche altra parte”.
 
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Un soffio di vita di Farewell


Era bella, lei, coi suoi vent'anni masticati in fretta, i jeans stretti, le scollature abbondanti quel trucco accennato e i tacchi alti a scandire il ritmo vivace dei suoi passi. Sapeva di miele, di frutti maturi, di bimba già troppo donna… di gioia. Era candida e furba, lei… ingenua e gatta, sfuggente e pressante. Una seduzione pericolosa, la sua, perché inconsapevole e naturale. Era spuma, tenera e guizzante, pronta a dare se stessa per gli altri, ma a fuggire via al primo segno di prevaricazione. Una crisalide delicata che mostrava già i segni di una donna forte e di cuore.

Stavo per fare un errore, con lei… Dall'alto dei miei anni l'avrei trattata come uno dei tanti divertimenti, una conquista facile, già persa nella devozione per me… ma no, lei non me l'ha permesso. È guizzata via, lasciandomi con l'aria fredda tra le mani, stordito e attonito. Si è allontanata da me ed io ho capito che più della sua pelle morbida, più del profumo sensuale, delle attenzioni banali che mi dedicava, mi mancava parlarle, trovare in lei qualcuno che ascoltasse gli sproloqui d'un vanesio pieno di sé. Credevo di volere la passione, invece agoniavo l'amicizia… e alla mia età dovevo capirlo grazie a una ragazzetta… una ragazzetta che, al contrario delle tante conoscenze di una sera, ora mi mancava.

Ma ecco che, quando credevo di aver perso l'ultima occasione di un affetto sincero, lei m'ha graziato, guardinga e ammonitrice. Che hai visto in me, anima limpida, per volermi donare la tua amicizia? Che può darti questo reietto che tutti scansano? Amicizia, dici. Ma cos'ha quest'uomo appesantito dalla sua boria, che tu non possa trovare altrove? Come dici? Una voce? "Una voce che rivela il fondo di un'anima"… Non capisco, non mi spiego la mia fortuna… ma so che non sbaglierò ancora. È tornata per dare e ricevere amicizia… e mi ha donato un soffio – forse l'ultimo – di pura vita.
 

Minerva6

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Una famiglia modello di tampone negativo

- Sei un’idiota – mi disse mia moglie – un immaturo e un idiota! – dopo di che scoppiò a piangere isterica sfogando la tensione accumulata fino a quel momento, incredula per quello che era successo e…

…Ah, scusate, io non sono uno scrittore, faccio il broker, è la prima volta che scrivo qualcosa, cercherò di fare del mio meglio, perciò ricominciamo daccapo se no non ci capiamo. Per prima cosa mi presento: mi chiamo Alberto, sono felicemente sposato con Marina, abbiamo due bambine di otto e dieci anni, bionde, magre, belle, senza lentiggini perché – modestia a parte – siamo ricchi e abitiamo ai Parioli in un appartamento di 350mq su due piani con terrazzo, ma in parrocchia facciamo beneficienza. Non abbiamo cani perché sporcano. Come ho detto prima, faccio il broker e in particolare mi occupo di esportare pastasciutta e importare datteri, soprattutto nei/dai paesi arabi e Africa sub-sahariana. Almeno in apparenza, perché se fosse per i datteri faremmo la fame e ci dovremmo mangiare i noccioli. In realtà il mio business è un altro: metto in contatto i produttori di armi italiani (ma anche cechi, serbi e polacchi) con altri intermediari tunisini, libanesi, egiziani… che poi si occupano della distribuzione al dettaglio in Siria, Yemen, Congo, Somalia, Chad, eccetera. Collaboro attivamente anche con la Croce Rossa Internazionale e tante ONG perché (tanto il mercato è lo stesso) vendo pure containers attrezzati a ospedali da campo. Un po’ come vendere tappi ma anche bottiglie. E’ un lavoro regolare e pulito, aiuto a creare molti posti di lavoro (altrimenti si riempirebbero le tasche solo i russi e i cinesi), che le armi e le mine americane e israeliane sono migliori ma costano un botto (un botto: questa è bella!), e in alcuni posti hanno bisogno di attrezzatura efficiente ma low-cost. Dicevo che è un lavoro regolare e pulito perché come qualsiasi agente di commercio che si rispetti, sono iscritto all’Enasarco, pago le tasse e verso i contributi. Poi magari è ovvio che non puoi riportare proprio tutto sulla bolla o in fattura, che se no in dogana fanno storie e alla gente gli vengono i pruriti pacifisti, perciò tante cose non le metto in piazza. E’ per quello che anche se c’ho una PEC, un indirizzo di posta elettronica @gmail.com e outlook, poi mi muovo tanto sul dark-web con un sistema di doppia criptazione che cambia ogni cinque secondi e che rende impossibile intercettare e leggere la mia posta. Certo, potrebbero anche fermare qualcuno in un aeroporto (che ne so… in Ucraina), su un foglio appare il mio nome, il poliziotto di turno per farsi bello lo passa all’Interpol e prima o poi mi arrivano a casa le fiamme gialle. Ma il mio avvocato mi ha sempre detto di stare tranquillo, che sono cose normali e che succedono tutti i giorni, di non preoccuparmi, che non succede nulla, se no tutti i nostri politici come farebbero a essere ancora lì? Infatti, un PM un po’ pignolo, nel peggiore dei casi, cosa potrebbe avere contro di me? Indizi. Solo indizi buoni per incriminarmi. Ma nessuna prova utile a condannarmi. Qualsiasi cosa, qualsiasi domanda, io devo fare lo gnorri e negare sempre tutto: tanto senza prove sono in una botte di ferro e le prove sono al sicuro di un sistema di decriptazione che nemmeno Turing redivivo potrebbe decifrare.

Ma la vita non sono solo doveri: ci sono anche i piaceri! Infatti sono anche socio al Ruttari Club di Roma, da poco siamo riusciti ad avere una banchina tutta nostra allo Yachting Club, e perciò abbiamo fatto un gruppo su whatsapp che abbiamo chiamato Tirreno for us! Alcuni hanno già la barca, io invece la sto cercando su internet. Voglio un motoscafo semicabinato (così smetto di portarmele in albergo), con tre motori fuoribordo Evinrude da 350 cavalli ciascuno e volante, che il timone a barra è da poveracci. Lo voglio che faccia rumore, alzi l’onda, lasci la scia, perché devo sentirmi libero quando sfreccio con mia moglie e le mie figlie, tutte e tre magre, bionde e senza lentiggini, coricate a prua a prendere il sole che ne sanno di protezione solare al cocco e vaniglia.

Ecco, ero lì, su internet, cercando il motoscafo che piace a me, che già mi gustavo le mie festività pasquali sfrecciando a pelo d’acqua, immaginandomi che arrivavamo a qualche ristorante con approdo a Capri, mia moglie chiedeva sogliole per le bambine che sono senza lische e io una bottiglia di quel vinello bianco… che proprio sul più bello, su Tirreno for us, Romoletto scrive – Ah raga! Avete visto ‘r novo dippiciemme? –

- Mo’ che vojono questi? – domanda Fabrizio.

- A Pasqua niente mare! –

- E chi lo dice? –

- La capitaneria di porto… - informa preciso Romoletto.

- Come a Pasqua niente mare? – penso io incredulo leggendo i messaggi pieni di emoticon pregni di significati.

- Che me frega: io ce vado co’r mio nucleo famijare, mica sto a fa’ ‘ssembramento – continua Fabrizio

- Manco co’a famija se pote. –

- Noooo! – penso io - nemmeno se vado con loro? -

- Mejo, così li lascio a casa e me ne vado in canoa da solo e non mi rompono li cojoni – scrive Martinuccio.

- Te lo scordi! – scrive Spinacio 70 – vietata anche la canoa in solitario -

- E quel ch’è peggio – riprende Romoletto che quando si tratta di cattive notizie è preciso come la morte – niente barca nemmeno dopo il 5 aprile –

- Neanche dopo!? –

- Nemmeno. Puoi solo stare in banchina a fare lavori di manutenzione. –

- Noooo! – mi dispero io

- Be’! Che me frega? Me ce porto ‘na ‘mica e vedete a manutenzione che je faccio! –

- Dai, almeno quello… - sospiro mentre di mordicchio le nocche delle mani.

- Ho detto che puoi stare in banchina a fare manutenzione – precisa Romoletto – non sulla barca in banchina: se no multa. –

- E io me ne frego e ci vado lo stesso – sbraita ‘r Nuccio - Mi fanno la multa? I soldi glieli tiro in faccia a ‘sti carabbigneri. Mi compro la capitaneria di porto e poi li licenzio tutti quanti. –

- No: ti mettono la barca sotto sequestro. –

- Mortacci loro! –

- Fiji de ‘na pagnotta! –

- Fiji de na ballerina! –

Mi misi le mani ai capelli dalla disperazione. Non è possibile che uno si fa un mazzo così tutta la settimana e poi non c’ha diritto e godersi il weekend. Una rabbia! Una voglia di divertirmi! Una voglia di trasgredire! Una voglia…

- E tu Alberto: come va? – mi domanda Mimmo – trovata la barca? -

- Non ancora. Sto cercando un’imbarcazione un po’ speciale. Poi ve la faccio vedere… -

- Che ce fai vède? – domanda Mimmo ancora con le dita sui tasti.

- Vedrete. A me non mi ferma nessuno! -

- Sì, daje, faccela vède! – scrive o’ Spinacio e tutti a fargli il coro.

Ecco che erano le tre del mattino e Marina mi sveglia di soprassalto.

- Alberto! Alberto!! –
 
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- Ooohh? –

- Suonano alla porta. –

- Alla porta? –

- Sì. A quest’ora. Chi sarà? –

- … - risposi io annebbiato.

- Corri ad aprire ma lascia la porta chiusa – consigliò lei curiosa ma apprensiva.

- Sii – risposi io mentre mi infilavo le ciabatte e il campanello riprendeva a suonare imperioso. –

- Chi è? – domandai con voce ferma senza nemmeno guardare dallo spioncino.

- Guardia di Finanza. Apra! – sentii rispondere.

Fu un tuffo al cuore. Ma mi ricordai dell’avvocato che mi aveva detto di stare calmo, di essere gentile e negare sempre tutto. Guardai dallo spioncino ed in effetti erano tutti in divisa grigia.

- Guardia di Finanza. Apra ho detto. Abbiamo un mandato di perquisizione firmato dal giudice. –

Era facile a dirsi, ma a farsi... le mani mi pesavano come di piombo! Comunque cercai di restare tranquillo e procedere con fermezza, perciò mentre levavo gli scatti del chiavistello mi voltavo indietro per incrociare lo sguardo di Marina, che aggrappata allo stipite della porta, strizzava gli occhi di terrore.

- Andrà tutto bene – le dissi mentre davo l’ultimo scatto – ti amo – Perché insomma, anche se ogni tanto combino le mie marachelle, io Marina la amo davvero, che poi proprio per questo c’ho l’amante, perché certe cose alla donna che amo mica gliele posso chiedere, no?

- Abbiamo un mandato di perquisizione – tagliò corto l’ufficiale e me ne porse una copia.

Cosa posso aggiungere allo squallore che seguii? Cinque individui spocchiosi coi loro ipocriti guanti bianchi che rovistavano tra la nostra roba, persino tra i giocattoli delle bambine, nella biancheria della mia signora, tra le mie cravatte…

- E’ su di sopra l’ufficio? – domandò l’ufficiale.

- E’ ovvio – risposi io.

- Perché sarebbe ovvio? – domandò piccato l’ufficiale, e fu allora che mi accorsi che nemmeno io sapevo perché gli avevo risposto così, perciò mi arrampicai sugli specchi dicendo con un tono che più conciliante non poteva essere, che perché le scale portavano su e oltre il terrazzo la casa era finita.

- Resta calmo. Nega tutto. – ripetei dentro di me come un karma – tanto su di sopra non troveranno nulla perché non c’è niente da trovare: tutte le comunicazioni restano nel dark-web, niente rimane nel mio pc, nessun appunto, niente di compromettente e se proprio vanno a leggere la mia posta troveranno solo datteri che arrivano e pacchi di pastasciutta che partono. Resta calmo. Tu nega tutto. –

- Dobbiamo sequestrare tutti gli apparecchi collegati a internet – disse l’ufficiale - Le rilasceremo una ricevuta di tutto ciò che viene prelevato. –

Io annui remissivo facendo la mia parte e domandando perché, come mai.

- Alberto! Alberto! – sentii gridare da sotto le scale. Corsi giù a vedere.

- Ma Alberto: anche le smart-TV? Anche la play-station delle bambine? –

- Sì signora – disse un finanziere – anche loro sono connesse a internet, anche loro possono essere adoperate per scambiare corrispondenza. –

Io abbracciai Marina, che a sua volta abbracciava le bambine.

- State tranquille, vedrete. Si sistemerà tutto. –

Intanto, sull’uscio di casa si erano assembrati un po’ di vicini. Io andai a scusarmi per il disturbo, dissi che doveva trattarsi di un malinteso, di un caso di omonimia, se no non aveva senso… quando un finanziere tagliò corto, disse di sgombrare che stavano facendo assembramento, e perciò se n’andarono tutti alle loro case e continuarono a osservare dai loro spioncini.

Il mio avvocato diceva di stare tranquilli, va bene, ma questa situazione era comunque devastante. E i conti correnti: me li avrebbero bloccati? E le carte di credito? Vabbè che il grosso era distribuito tra Cayman, Salomon e Aruba, ma se ci bloccano tutto all’Unicredit sotto casa, come facciamo con le spese quotidiane?

- Mi può spiegare? – domandai all’ufficiale, se non altro per fare la mia parte dello gnorri, ma questo era intento a dare ordini e osservare i suoi sottoposti che spostavano armadi, aprivano ante, frugavano nei cassetti, spostavano l’argenteria.

Era lo sfascio, altro che Pasqua, che poi quegli stronzi dei magistrati, fruga che ti fruga, qualcosa salta sempre fuori, che poi tra ricorsi, prescrizioni e balle varie non succede nulla, ma intanto lo sai che rogne!

Poi a un certo punto notai che alcuni finanzieri che erano usciti non avevano fatto ritorno e pure l’ufficiale si era tolto i suoi ipocriti guanti bianchi.

- Posso almeno sapere di cosa mi si accusa? – domandai io nella parte di quello che siccome non traffica in armi, non lava i soldi sporchi, non ha i conti nei paradisi fiscali, è innocente e non può sapere niente.

L’ufficiale, allora, aprì un fascicolo, estrasse una fotocopia e me la porse.

- Nelle ultime sei ore, la Polizia Postale ha ricevuto più di trenta segnalazioni. Veda lei! –

Mia moglie (che in questo le donne sono leste come faine), quasi gli strappò di mano il foglio, lo lesse come se avesse fatto un corso di lettura veloce e nello stesso istante mi domandò – ma cos’è questa storia? –

- Ma guardi che è stato uno scherzo… - dissi all’ufficiale tenero tenero che sembravo Nino Manfredi – Gnamooo…è tutto un malinteso! –

- A me le spiegazioni non interessano – rispose lui - Le tenga per il giudice che c’ha una denuncia per procurato allarme… se va bene. –

- Ma guardi - aggiunsi io in extremis – è stato uno scherzo. Se apre il whatsapp del mio cellulare, nel gruppo Tirreno for us c’è scritto tutto.. –

- Mi vuoi spiegare a me? – disse irritata Marina facendomi sentire le sue unghie nel bicipite – io sì che ti ascolto. Insomma, che le spiegai che avevo messo un annuncio su www.subito.it che diceva A.A.A.A. cercasi sommergibile in vetroresina dei narcos colombiani in perfette condizioni astenersi perditempo, e che siccome l’avevo pagato 100 cucuzze, stava pure nella home-page del sito e per una settimana che lo vedevano tutti, anche quelli che volevano disfarsi di un divano, e che per scherzare e farmi bello con gli amici del gruppo, avevo inoltrato loro la schermata dicendo altro che motoscafo! Io mi prendo un sommergibile e a me li cojoni a pasquetta non me li rompe nessuno!

- Era uno scherzo. Solo una battuta tra amici. Un gioco! Capisci? Come da ragazzi. Una bravata se vuoi… ma non è successo niente. Nessuno sospetta nemmeno lontanamente del mio vero lavoro, di quello che combino. Capisci? Solo uno scherzo. –

Lei tremò un attimo, poi urlò, lanciò uno strillo acuto, corse in bagno e mi sbattè la porta in faccia.

- Sei un’idiota. Un immaturo e un’idiota – e poi pianse, pianse tanto, si sfogò e quando infine si sentì tranquilla tornò a letto, ma a me mi mandò a dormire sul divano.

Insomma, che alla fine il mio avvocato conciliò, pagai subito una multa di qualche migliaio di euro, venne archiviato tutto, la mia fedina penale rimase immacolata e ci restituirono computer, smart-TV e play-station. Ovviamente, Pasqua la trascorremmo chiusi in casa senza nulla da fare, perciò ne approfittai per scrivere ‘ste due righe qua, che come ho detto è la prima volta e spero sia venuto bene.

A proposito: ringrazio Minerva, che senza di lei non avrei potuto partecipare: infatti, senza il computer, ho dovuto scrivere a mano e spedirglielo per posta; lei poi, gentile come sempre, ha trascritto tutto sul PC. Grazie ancora!
 

Minerva6

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Una missione di Eumeo

Quando lo vidi, nonostante l’aspetto da vecchio mendicante lo riconobbi subito.
Riconobbi lo sguardo acuto, il guizzo degli occhi profondi e vivaci... non potevo crederci, eppure era proprio lui. Era tornato.

Fui colto da un’intuizione improvvisa. Forse furono gli dei in persona ad agire attraverso di me, perché mi sentii chiamato a qualcosa di unico, di grande. Potevo, dovevo cambiare il corso della storia. Era una "missione" che avrei compiuto per il bene dell’umanità.

Sorrisi al mio antico padrone, commosso alfine di ritrovarlo sano e salvo.

– O divino, o eroe dal multiforme ingegno... che Zeus ti benedica, sei tornato! Quanto ti abbiamo atteso! Quanti sacrifici abbiamo offerto agli dei perché tu restassi in vita e tornassi vittorioso dai tuoi cari! I tuoi nemici ti davano per disperso, ma noi abbiamo avuto fiducia nella sorte e ora i miei occhi stanchi testimoniano che facevamo bene!
Ma a te, mio signore... mi dici chi te lo ha fatto fare?! –

– Nonostante il travestimento che mi ha fornito la dea dagli occhi di civetta, mi hai riconosciuto, fedele Eumeo! Ma la commozione di rivedermi dopo tanto tempo ti ha dato alla testa? Che cosa mi dici dunque? Dopo tanto vagare e tanto faticare non pensi alla gioia che provo per aver rimesso finalmente piede nella mia amata Itaca? –

– Certo, mio signore... non solo immagino quello che hai passato, ma lo vedo con questi miei occhi! Non so per quale grazia degli dei sono in grado di ripercorrere, come se le leggessi su un poema scritto, tutte le peripezie che hai dovuto affrontare: i pericoli, le prove, e... (il mio padrone mi permetta) anche le soddisfazioni! Mica male quella Calipso, eh... –

– Beh, niente da dire, in effetti... un bel pezzo di dea! Ma sai com’è, dopo un po’ ci si abitua a tutto... –

– Appunto! Per questo ti sto mettendo in guardia!!! Zeus mi ha concesso ciò che neppure lui possiede: è come se il tempo si fosse annullato per me, vedo nel passato, sì, ma anche nel futuro! Prevedo per te grande gloria e fama ovunque, ma chiaro come il sole vedo anche ciò che ti attende all'interno di queste mura, se rimarrai... e ti assicuro, o distruttore di rocche, che quello che Omero ha omesso di raccontare, e cioè la tua vita dopo il ritorno, non è propriamente ciò che un uomo che gesticola chiamarebbe “il piacere della scoperta”! –

– Omero? Uomo che gesticola? Ma insomma, Eumeo, parla come Zeus comanda! Cosa stai cercando di dirmi? –

– O uomo scaltro, che a nessuno deve prestare orecchio perché il suo ingegno supera quello di ogni altro mortale, fa' un'eccezione e ascolta il mio consiglio: scappa finché sei in tempo!!! Fuggi!!! Torna da Calipso, che ti ha promesso vita e bellezza eterne, o se proprio non ne vuoi sapere più di donne, torna a viaggiare... continua a deliziarci con le tue avventure! Il mondo non ne sarà mai sazio! –

– E il mio amato figlio, Telemaco? Non vorrai mica che abbandoni il mio piccolo eroe... –

– Telemaco? Un eroe??? Ma li hai letti i primi quattro libri dell’Odissea? Ehm... in effetti no, ma fidati di quello che ti dico io: sarà pure tuo figlio, ma Atena mi perdoni... è un pappamolle! Fifone e inconcludente come ve ne sono pochi nella storia! Quella povera dea per amor tuo non lo abbandona un solo istante e con tutto ciò 'sto buono a nulla non compie un’azione, che sia una, degna del patronimico che porta! Crescili i porci... e te lo dice uno che se ne intende! –

– Povero me, che vergogna! E Penelope, la mia adorata moglie? Non mi dirai mica che non mi è stata fedele, tu che a quanto pare tutto vedi... –

– No, no, per carità! Per esserti fedele lo è stata eccome! Ma è proprio questo il punto, non capisci? Hai idea di cosa voglia dire una donna che non l’ha data a nessuno per dieci anni? Dieci anni? Zeus salvi l’uomo su cui ella vorrà rifarsi del tempo perduto! Con tutta la tua abilità e il tuo coraggio pensi di essere in grado di superare una prova come questa? Auguri... E poi, diciamocela tutta: Calipso, con tutta la sua avvenenza e giovinezza perenni, ti è andata a noia dopo soli sette anni e pensi di riuscire a resistere il resto della vita a casa con tua moglie, che non resterà né bella né giovane? Aspetta che ti abbia di nuovo sotto le sue grinfie... ti metterà sotto chiave! Altro che "prudente", "luminoso", "astuto", "divino" eccetera eccetera... qua rischi di diventare un casalingo disperato sessualmente sottomesso! Senti a me... scappa finché sei in tempo!!! –

– Benedetto Zeus, ma sai che mi stai facendo venire ansia? Quasi quasi riprendo la via del mare... Ma poi che ci vado a fare ancora in giro? Non mi resterà più nulla da visitare e, mi conosci, io a vedere le stesse cose due volte mi stufo... –

– Ma no, tranquillo, padrone! Ce n’è ancora di roba da scoprire... Se tu riprendi il largo, anticipiamo un sacco di cose! Anziché aspettare millenni per conoscere i lillipuziani, ci vai tu e a quel marinaio inglese gli fai un baffo... e poi i giganti, gli scienziati di Laputa, gli uomini-cavallo dal nome impronunciabile... E poi aspetta, ne ho una valanga! Elfi, gnomi, folletti, hobbit, goblin, draghi, ippogrifi, unicorni... abbiamo le saghe nordiche, tutto Tolkien e se proprio non ti basta scomodiamo pure Harry Potter... Puoi avere il mondo ai tuoi piedi, eroe dell’Occidente! Il tuo ingegno è troppo vasto per essere sprecato così, tra una moglie inacidita dall’astinenza e un figlio mammalucco! –

E alla fine ci riuscii... il terrore che per alcuni minuti si era impadronito di lui scomparve dagli occhi ardimentosi, che tornarono a brillare quasi fossero quelli di un ragazzino in partenza per la sua prima avventura! L’uomo la cui fama avrebbe superato quella di qualunque altro mortale, comprese che il suo posto non era qui, a Itaca, ma alla scoperta del vasto mondo... in un viaggio senza fine e senza ritorno!

Zoppicando ancora come un mendicante, Odisseo fece dietrofront e si incamminò rapido e furtivo verso la spiaggia sulla quale era approdato poche ore prima, preoccupato che qualcun altro a parte me potesse riconoscerlo e incatenarlo qui per sempre.

Mentre lo guardavo allontanarsi, il cuore mi si riempiva di orgoglio: avevo adempiuto al mio dovere! Grazie a me l'arte, la letteratura, l’eros si erano riappropriati del loro illustre protagonista!

Ma, tutt’a un tratto, un pensiero funesto mi strappò al mio autocompiacimento e lì per lì mi lasciò turbato... porca miseria, ma se il viaggio di Ulisse diventa eterno, sarà mica che fra 2500 anni quell'irlandese folle deciderà di andare avanti anche lui a oltranza? E no, eh... perché 1500 pagine in quel modo assurdo ancora ancora le fai... ma di più no!!!!
 

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Ieri sera alle 20 circa si è chiuso il sondaggio che ha decretato vincitore il racconto Subbuglio in libreria.
Svelo anche qui gli autori per chi se li fosse persi nell'altro 3d:

Chi nasce quadro... = Dory

Come il vento di sera = Roberto89

La promessa = alessandra

Le due comari = Germano Dalcielo

Redenzione = malafi

Signorina di buon senso = Ondine

Subbuglio in libreria =
francesca


Un soffio di vita = estersable88

Una famiglia modello = Carcarlo

Una missione = ayuthaya
 
Stato
Chiusa ad ulteriori risposte.
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