«Non si può ricominciare la propria vita (...), se però si ha un libro in mano, e anche se quel libro è confuso e misterioso, dopo che lo si è terminato, lo si può riprendere dall'inizio, se si vuole, lo si può rileggere per tentare di capire l'incomprensibile, per capire la vita...»
Sono finalmente arrivata alla fine di questo romanzo piuttosto ostico, anche se devo dire che dopo la metà diventa più scorrevole, o forse chi legge si abitua!
Leggo su internet che alcuni interpretano i personaggi come simbolo della Turchia: Fatma, novantenne sospettosa e crudele, immersa nei ricordi della sua infanzia, che vive chiusa nella sua camera ma attenta ai rumori della casa, è la Turchia ottomana, la grande tradizione del passato.
Selâhattin, medico esiliato, progressista e ubriacone, che passa la vita a scrivere un'Enciclopedia che dovrebbe cambiare le sorti del suo paese, in una società appena uscita dal medioevo ottomano e ancora intrisa di pregiudizio religioso islamico, che sceglie di chiamarsi Darvinoglu, ovvero «(Quello) di Darwin», è la Turchia di Atatürk, filooccidentale, europeista, proiettata verso la modernità e piena di disprezzo per l’Oriente, le sue tradizioni e il suo oscurantismo.
Metin, genio matematico, frustrato nelle sue ambizioni alla ricchezza, con il sogno dell'America, è la Turchia giovane che vuole emigrare non per necessità ma per ambizione.
Hasan è invece la preda più facile del populismo, della violenza immotivata, del nazionalismo sfrenato.
Recep rappresenta la Turchia reale, storpiata dalla storia, che, mite, paziente e silenziosa, va avanti senza guardarsi troppo indietro.
E' una chiave di lettura che potrebbe anche spiegare tutto, un intero universo di storia e politica recente che si dispiega nelle vicende private di questi tristi personaggi.
«I miei libri», dice Orhan Pamuk, «li ho scritti in buona parte proprio per affermare che Est e Ovest non esistono. Per me il mondo è un unicum. Noi, a Oriente, e voi, a Occidente, siamo i rappresentanti di due facce della stessa cultura.»